lunedì 23 agosto 2010

Consulenze e mafia: nuove accuse a Schifani

Renato Schifani
Il pentito campanella ai Pm di Palermo: favorì il boss Mandalà. Quei "consigli" per la variante del piano regolatore a Villabate e gli interessi dei clan. Francesco Campanella, il pentito che ha ottenuto la falsa carta d'identità per favorire la latitanza di Bernardo Provenzano, torna ad accusare Renato Schifani. Il presidente del senato, 15 anni fa quando era solo un avvocato, secondo l'ex politico Udeur legato al clan Mandalà, avrebbe messo a disposizione del capofamiglia del mandamento Nino Mandalà (allora incensurato) la sua scienza giuridica. Nel suo ruolo di consulente del comune in materia urbanistica, secondo Campanella, Schifani avrebbe suggerito le soluzioni tecniche per modificare il piano regolatore in modo da aderire agli interessi immobiliari e imprenditoriali di Nino Mandalà. La Procura di Palermo sta verificando con attenzione queste dichiarazioni. Anche perché il duello tra il pentito e il presidente va avanti da alcuni anni e quello che si sta svolgendo a Palermo è il secondo round della contesa svoltasi davanti ai giudici di Firenze e conclusa con un pareggio che ha il sapore della sconfitta per Campanella. Il pentito aveva parlato dei rapporti tra Schifani e Nino Mandalà nel 2007 in un'aula a Firenze. La querela di Schifani per diffamazione è stata archiviata ma il decreto del gip conteneva giudizi molto duri nei confronti di Campanella. Il gip Michele Barillaro scriveva: "gli atti del procedimento hanno fornito la chiara e inconfutabile prova che le dichiarazioni di Campanella relative alla persona ed al ruolo dell'avvocato Schifani non solo non abbiano avuto alcun positivo riscontro ma, anzi, siano risultate, in taluni casi, palesemente infondate". Campanella non è stato affatto contento dell'archiviazione ed è tornato in Procura per puntualizzare le sue accuse. Al Fatto Quotidiano risulta che il pentito ha accusato Schifani di reticenza nel suo verbale reso di fronte alla Procura di Firenze nel 2008. Secondo Campanella quando il presidente del senato è stato nominato consulente del comune di Villabate nel novembre del 1994 non è vero che nessuno, come ha sostenuto davanti ai pm, "mi dà nessun ruolo nella rivisitazione del piano regolatore". Non è vero che non c'era stato "nessun accenno a varianti (del piano regolatore Ndr) perché il piano c'era, io non mi sono occupato di nessuna variante, nei primi mesi del 1996 non si parla di nuova variante né mi viene compulsata l'ipotesi di assistere qualcuno su varianti quindi con me non ha mai parlato con nessuno". Queste affermazioni, secondo Campanella, contrastano non solo con quanto appreso dal pentito per bocca del boss Nino Mandalà ma anche con gli atti del comune e della regione Siciliana. Campanella sfida i magistrati a riscontrare le sue parole acquisendo le delibere del consiglio comunale e della commissione urbanistica del comune di Villabate relative alle varianti presentate alla Regione Sicilia. La ricostruzione di Campanella inquadra il ruolo di Schifani in un momento particolare della storia di Villabate. In quegli anni il clan Mandalà aveva appena vinto la guerra di mafia con i Montalto che avevano guidato il mandamento fino ad allora. Il piano regolatore del 1993 era figlio della vecchia mafia e per questa ragione i Mandalà volevano modificarlo. Il sindaco Giuseppe Navetta era espressione della famiglia Mandalà, capeggiata dal vecchio Antonino (poi arrestato nel 1998 e condannato per mafia e riarrestato e ora scarcerato) e dal figlio Nicola (arrestato nel 2006 quando era diventato il braccio destro diProvenzano). Nicola Mandalà era amico fraterno di Campanella che divenne presidente del consiglio comunale di quella giunta, nonostante fosse stato eletto con la lista legata ai Montalto. Quando parlo del piano regolatore, del ruolo di Schifani e dei rapporti con Nino Mandalà, sostiene Campanella, in parte sono testimone diretto e in parte riferisco le cose che mi raccontò Nino Mandalà. Che non era uno che passava lì per caso ma era il vero dominus della maggioranza e del clan. Schifani scopre di essere stato scelto come consulente del comune nello studio di La Loggia alla presenza del sindaco Navetta e proprio di Mandalà. Il boss sosteneva di avere puntato su La Loggia e Schifani perché erano stati suoi soci e avevano partecipato al suo matrimonio. Il presidente ha confermato queste due circostanze riducendone però la portata. Fino al 1998, Antonino Mandalà era un dirigente provinciale di Forza Italia incensurato e sia la sua partecipazione (con una quota minima) alla società Sicula Brokers sia la presenza al matrimonio risalivano al 1980-1981 quando Schifani era un giovane legale dello studio La Loggia. Secondo Campanella, però Mandalà gli raccontava che ci furono diverse riunioni nello studio Schifani alla presenza di Mandalà proprio per il piano regolatore. Nell'estate del 1995 la Regione Sicilia, secondo il pentito, chiede al comune di Villabate le sue controdeduzioni. A quel punto si tiene un consiglio comunale al quale partecipa anche l'avvocato Schifani come consulente. L'avvocato Schifani, sempre secondo il racconto di Mandalà riferito ai pm da Campanella, si interessò anche di altre modifiche al piano regolatore. Mandalà avrebbe ottenuto dall'avvocato Schifani preziosi consigli per risolvere un paio di problemi: il centro storico e i terreni delle cooperative edilizie. La Regione aveva chiesto al comune di creare una zona A tutelata come centro storico. Mandalà aveva i suoi interessi in quell' area e – racconta sempre Campanella ai pm – fu proprio l'anziano capofamiglia a preparare le controdeduzioni con l'aiuto di Schifani per limitare i danni della zona A. Mentre della questione della localizzazione delle cooperative edilizie, Campanella racconta di aver parlato in prima persona con Schifani. In fondo l'avvocato del comune era pagato per fare il consulente. Il problema sorgerebbe se fosse mai provata la sua consapevolezza di fare gli interessi di Antonino Mandalà, in qualità di mafioso. E anche Campanella ammette con i pm di Firenze di non essere certo che il presidente del senato fosse consapevole della caratura mafiosa del suo vecchio ex socio. Al collaboratore di giustizia preme un altro aspetto: Schifani non ha detto tutta la verità nella sua testimonianza a Firenze. Il presidente del senato – a differenza di quello che ha detto ai pm – secondo Campanella, fu interessato da subito da Mandalà di tutte le questioni che riguardavano il piano regolatore di Villabate e si occupò delle varianti fino al maggio 1996 quando si candidò al Senato e lasciò l'incarico.
Il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2010

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