martedì 4 dicembre 2007

Sparatoria durante il blitz, morto il boss mafioso di Gela Emmanuello

ENNA - Il boss di Gela, Daniele Emmanuello, è morto nella sparatoria avvenuta questa mattina nell'Ennese durante l'operazione della polizia che era diretta alla cattura del latitante. Emmanuello, 43 anni, era ricercato dal 1996 per associazione mafiosa, traffico di droga e omicidi. Daniele Emmanuello è morto a causa di uno o forse due proiettili di pistola che lo hanno colpito alla nuca. È quanto emerge dal primo esame sul cadavere effettuato dal medico legale. Secondo i primi rilievi investigativi il latitante quando è fuggito dal casolare dove si nascondeva non era armato. Il corpo di Emmanuello è stato portato nell'ospedale di Enna dove sarà eseguita l'autopsia.Intanto la Procura comunica che sarà aperto un fascicolo contro ignoti per fare luce sull' uccisione del boss latitante Daniele Emmanuello. I magistrati hanno nominato consulenti per l'autopsia che sarà eseguita domani. La sorella Sara, dal telefono di casa del fratello, in via Eutimo a Gela, dove vive la moglie di Emmanuello, afferma convinta che "il fratello non ha mai avuto armi e non ne aveva neanche oggi quando è stato ucciso. Stiamo - aggiunge - cercando di capire cosa sia avvenuto e stiamo ancora aspettando di vedere il cadavere di mio fratello".Il blitz. L'operazione della sezione Catturandi della Squadra mobile è cominciata all'alba, in contrada Giurfo a Villapriolo frazione settecentesca di Villarosa (Enna). Il latitante si nascondeva in un rustico a forma di "l" con annessa stalla circondato da alberi e in cui si accede da una strada sterrata che giunge proprio nel piazzale davanti all'edificio. La casa rurale era avvolta nella foschia.Gli agenti hanno circondato la zona intimando a chi era dentro di venir fuori e sparando alcuni colpi di pistola in aria. Emmanuello, latitante da 11 anni, è uscito da una finestra con ancora indosso la blusa del pigiama. Sul posto, una zona in aperta campagna, sono presenti il procuratore della Repubblica di Caltanissetta Renato Di Natale e i sostituti della Direzione distrettuale antimafia nissena Nicolò Marino e Roberto Condorelli."Certamente il fatto che il latitante Emmanuello sia morto nel corso della cattura ci lascia l'amaro in bocca". Ha detto il procuratore facente funzioni di Caltanissetta, Renato Di Natale. "Avremmo voluto interrogare Emmanuello - ha aggiunto - e notificargli tutti gli atti che lo riguardavano ma ci risulta che il latitante aveva più volte detto che sarebbe stato pronto a tutto per non farsi prendere vivo". Secondo gli inquirenti il boss era arrivato nel casolare da poco più di una settimana. Le prime ricostruzioni dei periti balistici parlano di sei-sette colpi esplosi da due pistole e due mitragliette. "Saranno gli accertamenti balistici e la perizia autoptica - ha concluso Di Natale - a dare la ricostruzione della dinamica".Il proprietario del casolare dove si nascondeva Emmanuello, Roberto La Paglia, residente a Villarosa è stato prelevato nella sua abitazione nella frazione di Villapriolo e portato in questura a Caltanissetta per essere interrogato.Chi era il boss. Gli investigatori lo descrivono come un killer feroce in grado, però, di pensare alleanze e strategie. Fedele alleato del boss di Caltanissetta Piddu Madonia, che di lui si fidava tanto da 'delegargli' rapine milionarie in Lombardia e Veneto, Daniele Emmanuello apparteneva ad una storica famiglia mafiosa gelese. Dalla fine degli anni '80 era il gestore degli affari criminali a Gela e nel comprensorio e utilizzava ragazzi anche minorenni, estortori, rapinatori, criminali rampanti, per imporre la propria violenza. Lo zio Angelo, detto 'Furmiculuni', a capo della famiglia di Gela, fu tra le prime vittime della sanguinosa guerra che, negli anni '90, contrappose Stidda e Cosa nostra. Da allora Daniele e i suoi tre fratelli, Alessandro, Nunzio, e Davide, tutti in carcere per associazione mafiosa, e qualcuno per omicidio, avrebbero combattuto a fianco dei mafiosi nella lotta contro gli stiddari. I primi affari importanti gli Emmanuello li fecero, proprio grazie a Madonia, negli anni '80, partecipando alla spartizione dell'appalto di oltre 300 miliardi per la ricostruzione della diga "Disueri". Durante la guerra con la Stidda, che culminò il 27 novembre del '90, quando in quattro agguati simultanei furono uccise otto persone ed altre sette rimasero ferite, gli Emmanuello, decisero di lasciare la Sicilia. La famiglia si divise tra Liguria, Piemonte e Germania. Nel '92, dopo 120 morti, si sancì la tregua.Ma l'arresto di Madonia, punto di riferimento delle famiglie di Cosa nostra, e la cattura dei vertici della Stidda, disarticolata grazie alle rivelazioni dei pentiti, rimisero in discussione gli equilibri della provincia. La guerra stavolta scoppiò tra le cosche mafiose degli Emmanuello e dei Rinzivillo, fino ad allora alleate. La latitanza di Daniele Emmanuello, orami diventato capo della famiglia, cominciò nel '96 quando gli investigatori lo indagarono per la morte di uno dei luogotenenti dei Rinzivillo, Maurizio Morreale. Per il delitto il capomafia è stato condannato all'ergastolo, ma la pena non è ancora definitiva. La seconda condanna al carcere a vita gli venne inflitta dalla corte d'assise nissena per il duplice omicidio di Emanuele Trubia, detto 'la belva', e del suo guardaspalle, Salvatore Sultano, anche loro uomini del clan Rinzivillo, trucidati nel '99, in un salone da barba. Nel 2002 arrivarono le due condanne per associazione mafiosa, le uniche ormai definitive: in tutto 10 anni. Processato per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, venne assolto.Da latitante, però, Emmanuello, unico dei 4 fratelli fino ad oggi riuscito a sfuggire alla cattura, continuò a controllare estorsioni e traffico di droga e riuscì a estendere le sue attività oltre la Sicilia. In Friuli una 'cellula' del clan gelese gestiva appalti per suo conto. Miracolosamente sfuggito a due attentati - uno dei quali fallito perchè la bomba utilizzata per l'agguato era rimasta inesplosa - avrebbe compiuto 43 anni a luglio.La moglie "nullatenente". Lo scorso anno agli onori della cronaca salì sua moglie, Virginia Di Fede, 42 anni, che lavorava, in quanto ufficialmente 'nullatenente', nel gruppo dei 165 precari del 'Reddito minimo di inserimento', alle dipendenze del comune di Gela. Il sindaco, Rosario Crocetta, dopo aver ottenuto i risultati delle indagini patrimoniali e giudiziarie, licenziò la donna. "Speravo che lo prendessero vivo per vederlo in faccia, parlargli e fargli finalmente conoscere la figlia che non ha mai incontrato" ha detto la donna che oggi vive a Gela nella casa dei genitori del capomafia. "Ho saputo quanto è accaduto - aggiunge - dalla televisione e dalla radio, ma nessuno mi ha ancora raccontato la verità".Il covo. Gli inquirenti vogliono comprendere appieno il ruolo di Roberto La Paglia il proprietario del casolare in cui si nascondeva il latitante Daniele Emmanuello. L' edificio che sembra ancora in costruzione, senza intonaci e con i mattoni a vista, ha un' antenna satellitare e un condizionatore. Gli inquirenti della Dda non sanno con precisione da quanto tempo il latitante utilizzasse l'edificio nelle campagne di Villapriolo ma che certamente Emmanuello si trovava lì da una settimana.Nella camera da letto è stato rinvenuto un borsone con dentro vestiti, segno - ha detto il questore di Caltanissetta Giudo Marino - che il boss si spostava frequentemente e che comunque si preparava a lasciare il covo. Nella fuga Emmanuello è riuscito a indossare un giubbotto sul pigiama, le scarpe erano slacciate. Nell'edificio rurale è stato trovato un fucile e numerosi farmaci e alcuni documenti. Gli investigatori ipotizzano che l'uomo già da tempo fosse "sotto cura" per malattie ancora da accertare. Addosso anche quattromila euro in contanti. 03/12/2007


Lumia: "Era un boss pericoloso e spietato"
PALERMO - "Emmanuello era considerato da tempo uno dei più pericolosi e spietati boss di Cosa nostra". Lo afferma Giuseppe Lumia, (Pd) vice presidente della commissione Parlamentare Antimafia. "Al di la delle circostanze della morte di Emmanuello le forze dell'ordine e la magistratura - aggiunge - hanno dimostrato che la caccia ai latitanti va avanti senza sosta e che il rigore dello Stato sarà massimo, per questo ai boss ormai conviene arrendersi"."Anche gli altri latitanti più importanti devono sentire la pressione dello Stato, a cominciare da Matteo Messina Denaro - dice Lumia -. È iniziata la rivolta degli imprenditori che denunciano e si ribellano al racket, se ora anche la politica saprà dare una risposta nel segno della pulizia e di una sana unità e si potranno ottenere risultati ancora più importanti". 03/12/2007

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