Presentata stamane a Roma, presso la sede dell’associazione della Stampa Estera in Italia, la prima edizione del «Festival Internazionale del Cinema Religioso». Vittorio Sgarbi: «Apriamo così ufficialmente e con un anno di anticipo le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia»
SALEMI – «Fare di Salemi, in Sicilia, il punto di incontro e di confronto tra le tre grandi religioni monoteiste: la cristiana, l’islamica e l’ebraica». Ha sintetizzato così Vittorio Sgarbi, critico d’arte e sindaco di Salemi, il senso di questa prima e sperimentale edizione del «Festival Internazionale del Cinema Religioso»,che prende il via domani e proseguirà nella piccola cittadina siciliana fino al 6 ottobre prossimo con un ricco programma di proiezioni e «dialoghi» sul cinema e intorno al cinema. Il programma è stato illustrato stamane a Roma a numerosi colleghi della stampa italiana ed internazionale intervenuti alla conferenza stampa di presentazione svolta presso la sede dell’associazione della Stampa Estera in Italia, ed alla quale hanno preso parte Vittorio Sgarbi, il direttore del mensile «Ciak» Piera Detassis, il direttore artistico del festival Nicolas Ballario e il regista Gualtiero Jacopetti.
Il Festival - che è organizzato in collaborazione con «Ciak», il più importante mensile italiano di cinematografia diretto da Piera Detassis - s’inaugura martedì 29 settembre alle 20,45 nel Nuovo Cinema Teatro di via Rocco Chinnici (sarà inaugurato e aperto al pubblico per la prima volta proprio in concomitanza con il festival) e proseguirà fino a martedì 6 ottobre. Durante le intense giornate del «Festival Internazionale del Cinema Religioso» arriveranno a Salemi cineasti, attori, produttori, sceneggiatori e illustri personalità del mondo culturale italiano ed europeo, oltre a numerosi giornalisti italiani ed internazionali della carta stampata e delle televisioni.
Vittorio Sgarbi: «Salemi, seppure per un giorno, è stata proclamata la prima Capitale d’Italia. Questo festival anticipa le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, programmate ufficialmente per il 2011, ma che noi anticipiamo anche per rispetto della Storia, visto che lo sbarco dei Mille è avvenuto nel 1860. Perché un festival del cinema religioso a Salemi? Perché qui tutt’ora esistono tre quartieri, l’ islamico, l’ebraico e il cristiano, che in passato sono stati simbolo di convivenza pacifica. E poi perché qui da pochi mesi esiste uno dei più importanti archivi filmici del Mondo, quello del cinefilo americano di origini coreane Yongman Kim, la cui collezione è stata acquisita dal Comune. L’archivio di Yongman Kim – ha aggiunto Sgarbi - costituito anche da opere per certi versi misteriose e poco conosciute, grazie ad una intesa con la Biennale di Venezia, sarà studiato da un’apposita commissione». Sgarbi ha annunciato anche altre novità: « Il nuovo cine teatro di Salemi sarà dedicato proprio a Yongman Kim, mentre le due sale annesse a Carmelo Bene e Pier Paolo Pasolini, che “rivivranno” nelle spettacolari mummie dell’artista Cesare Inzerillo». Il Festival renderà omaggio ad un grande documentarista italiano, Gualtiero Jacopetti: «Abbiamo voluto omaggiare un morto ed un vivo – ha detto Sgarbi - ovvero Luciano Emmer e Gualtiero Jacopetti. Quest’ultimo certamente meno patinato e meno lusingato di Emmer, ma, per sua fortuna, ancora maledetto. Ho provato a portarlo a Venezia, ma inutilmente. Grazie alla Detassis i suoi documentari saranno a Salemi e al Festival di Roma».
La giornalista e critica cinematografica Piera Detassis ha aggiunto: «La nostra presenza a Salemi è decisamente didattica. Ciak partecipa per gli stage e gli incontri con gli studenti universitari; sceglieremo poi il miglior saggio e l’autore avrà la possibilità di collaborare per un anno con il nostro mensile. Ma ci sono altre coincidenze che ci hanno portato a Salemi, indubbiamente Carmelo Bene e Pier Paolo Pasolini, e poi la presenza di Jacopetti».
Il Direttore artistico Nicola Ballario: «Molti si chiederanno perché un festival sulle religioni a Salemi. Innanzitutto per sfatare un falso mito, quello di uno Sgarbi litigioso. In realtà Vittorio è un pacificatore, oserei dire quasi un pacifista per la sua volontà di voler mettere sempre tutti d’accordo, a ogni costo. Per il resto, tutto il festival è incentrato sul botta e risposta tra film. Moni Ovadia verrà a recitare la lettera, ritrovata nel 2003 da “le Monde”, che Edith Stein mandò a Pio XI predicendo la Shoa. Infine un excursus sul tema della madre. Le madri israeliane e palestinesi, fino a “L’ora di Religione” di Bellocchio».
Gualtiero Jacopetti, che nei prossimi giorni sarà a Salemi, ha commentato: «Sono qui perché ammaliato dall’illuminismo dispettoso di Vittorio Sgarbi. Questo festival, insolito e coraggioso per il programma che propone, è la vera novità nel panorama cinematografico». Tra gli ospiti che giungeranno a Salemi si segnalano lo scrittore e musicista di origine ebree Moni Ovadia, Ugo Gregoretti, Fiamma Nirestein, Luigi Settembrini, Marco Bellocchio, il Vescovo Dario Edoardo Viganò, Padre Virgilio Fantuzzi, amico di Pasolini, Barbara Cupisti (David di Donatello 2008) e Gregorio Napoli.
Moltissime le anteprime, tra cui «Matteo Ricci, un gesuita nel regno del drago» presentato dal regista Gjon Kolndrekaj, e «L'importanza di essere scomodo: Gualtiero Jacopetti» di Andrea Bettinetti, documentario sulla vita del grande regista. Jacopetti verrà insignito del primo «Premio Kim alla carriera» che verrà consegnato dallo stesso Yongman Kim. Attesissima la giornata del 30 settembre. Alle 11,00 in dibattito con la stampa internazionale, il deputato olandese e regista Geert Wilders, autore di «Fitna», cortometraggio censurato in tutto il mondo in seguito alle ripetute minacce da parte dei fondamentalisti. Al dibattito parteciperà anche AmirSeradji, responsabile degli studenti iraniani a Milano.
VISIONI
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA RELIGIOSO
SALEMI 29 SETTEMBRE – 6 OTTOBRE 2009
PROGRAMMA
Martedì 29 settembre 2009
20.45
Inaugurazione di ‘Visioni, festival internazionale del cinema religioso’ – a cura di Vittorio Sgarbi, Yongman Kim, Gregorio Napoli
Proiezione di ‘La settima stanza’ - di Marta Mészaros
Con spettacolo dal vivo di Moni Ovadia, autore e attore
Mercoledì 30 settembre 2009
11.30
Proiezione di ‘Fitna’ - di Geert Wilders, deputato olandese e regista
Incontro tra Geert Wilders e la stampa nazionale e internazionale
21.00
Proiezione di ‘Persepolis’ - di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud
Presentazione a cura di Amir Seradji, responsabile studenti iraniani a Milano
Giovedì 1 ottobre 2009
20.30
Proiezione di ‘Madri’ – di Barbara Cupisti
Presentazione a cura di Barbara Cupisti, regista
22.30
Proiezione di ‘Prima della Pioggia’ - di Milcho Manchevski
Presentazione a cura di Monsignor Dario Edoardo Viganò, critico cinematografico
Venerdì 2 ottobre 2009
20:30
Dialogo religioso: punti di contatto tra Islam, Cristianesimo ed Ebraismo – presentazioni letterarie e dibattito con Alain Elkann, giornalista e scrittore
22.30
Primo ‘Premio Kim alla carriera’ al maestro Gualtiero Jacopetti
Anteprima mondiale di ‘L’importanza di essere scomodo: Gualtiero Jacopetti’ –
di Andrea Bettinetti
Presentazione a cura di Gualtiero Jacopetti, Andrea Bettinetti, Yongman Kim
Sabato 3 ottobre 2009
11:00
Proiezione di ‘Nazarin’ - di Luis Bunuel
Padre Fantuzzi presenta il film ai licei
16:30
Anteprima di ‘Matteo Ricci, un gesuita nel regno del drago’ - di Gjon Kolndrekaj.
Presentazione a cura di Gjon Kolndrekaj, regista
21:00
Proiezione di ‘Il Vangelo secondo Matteo’ - di Pier Paolo Pasolini.
Presentazione a cura di Padre Virgilio Fantuzzi, critico cinematografico e amico di Pasolini
Domenica 4 Ottobre 2009
16.00
Proiezione di ‘La banda’ - di Eran Kolirin
Presentazione a cura di Fiamma Nirenstein, giornalista e scrittrice
18.00
Proiezione del primo episodio di “Le belle famiglie” - di Ugo Gregoretti
Presentazione a cura di Ugo Gregoretti, regista
21.00
Proiezione di ‘L'ora di religione (il sorriso di mia madre)’ - scritto e diretto da Marco Bellocchio.
Presentazione a cura di Marco Bellocchio, regista
Lunedì 5 ottobre 2009
20.00
Proiezione di ‘I picciotti del profeta’ – di Pietrangelo Buttafuoco
Presentazione a cura di Omar Camiletti, co-autore del documentario – Karim Hannachi, docente di lingua araba
21:59
Proiezione di ‘Dio è concentrico’ - di Filippo Martinez, il film più breve del mondo della durata di 45 sec
22:00
Proiezione di ‘Videocracy’ - di Erik Gandini
Presentazione a cura di Lele Mora, agente dello spettacolo
Martedì 6 ottobre 2009
Luciano Emmer
18:00
Tributo a Luciano Emmer
21:00
Bella di notte - di Luciano Emmer
23:00
Belle di notte - di Elisabetta Sgarbi
lunedì 28 settembre 2009
Accordo Sicilia-Brasile: 30 aziende siciliane parteciperanno al piano di costruzione di 1 milione di alloggi “la mia casa è la mia vita”
Palermo, 28 settembre 2009 – Con un investimento pari a 12 bilioni di euro, il Governo brasiliano ha finanziato il programma nazionale “La mia casa è la mia vita”, che prevede la costruzione in tempi rapidi di 1 milione di alloggi per ospitare 3,6 milioni di persone senza casa o in casa in affitto o abitanti nelle favelas. I soldi vengono erogati dalla Caixa Economica Federal (la Banca ufficiale del Governo) ai progetti che arrivano per primi fino ad esaurimento, e saranno gestiti dai comuni o loro consorzi, che stileranno le graduatorie dei richiedenti l’alloggio, individueranno le aree, redigeranno i progetti e affideranno i lavori alle imprese private anche in forma di collaborazione o società mista.
Il programma coinvolge anche il territorio della Grande San Paolo, la conurbazione di 11 Comuni riuniti nel consorzio Amat (Associaçao dos municipios do Alto Tietè e Regiao), che ha individuato nelle imprese dei Giovani dell’Ance Sicilia uno dei partner ideali per il trasferimento in quel territorio di tecnologie, know-how, formazione di personale e tecnici, qualità e tempi di realizzazione nei settori costruzioni civili, energia alternativa, riqualificazione ambientale e gestione rifiuti, servizi a rete e trasporti pubblici.
Oggi a Palermo, presso l’Ance Sicilia, è stato firmato un protocollo d’intesa per la costituzione di una società mista di cui faranno parte le imprese siciliane e rappresentati di Amat, Fiespe (la Confindustria brasiliana) e Sinduscon (l’omologa brasiliana dell’Ance).
L’accordo è stato sottoscritto da Marcello La Rosa, presidente dei Giovani imprenditori edili di Ance Sicilia, alla presenza di Giorgio Cappello, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria Sicilia; da Pedro Campos Fernandes, segretario esecutivo dell’Amat, da Flavio Batista de Sousa, vicesindaco del Municipio di Ferraz de Vasconcelos, da Claudio Ramos, segretario dell’Industria e del Commercio, e da Rubens Fernandes, coordinatore tecnico.
Il piano nazionale brasiliano concede piena autonomia ai Municipi (“prefetture”) per l’individuazione delle aree e la progettazione degli interventi sulla base delle istanze presentate dai cittadini. L’Amat provvederà, fra l’altro, a finanziare le progettazioni per i Comuni più piccoli e coordinerà i rapporti fra enti locali e imprese.
Due le modalità di accesso al progetto: il Comune può acquistare le aree e concederle alle imprese, oppure sono le aziende stesse a comprarle. In entrambi i casi l’onere della compravendita è compreso nel finanziamento pubblico, che copre l’intera realizzazione dei manufatti.
Flavio Batista de Sousa ha annunciato che la “prefettura” di Ferraz de Vasconcelos è la prima ad avere pronti i progetti per varare subito la costruzione degli alloggi, con l’obiettivo di riuscire nel tempo a soddisfare tutte le 12 mila richieste di case pervenute dai suoi abitanti.
Il prossimo 5 ottobre avrà un incontro con la Caixa Economica Federal per lo sblocco dei fondi di propria competenza e, a seguire, organizzerà una riunione con tutte le imprese interessate, fra cui le siciliane, per la condivisione dei progetti e la firma dei contratti operativi che saranno trasmessi alla banca per la delibera.
“Per le imprese siciliane si apre un enorme mercato che ci darà ossigeno in un particolare momento di crisi – ha dichiarato Marcello La Rosa – l’essere stati preferiti per affidabilità e qualità ci impegna particolarmente ad essere rapidi e ad organizzarci al massimo livello”.
“I settori manifatturiero, dell’ambiente e dell’energia riceveranno un notevole volume d’affari – ha aggiunto Giorgio Cappello – un milione di alloggi, ad esempio, significano 5 milioni di finestre, pari ad un fatturato di 1,5 miliardi di euro. Per la Sicilia sarebbe sufficiente anche un quinto della commessa”.
“Abbiamo scelto le imprese siciliane – ha spiegato Pedro Campos Fernandes – perchè vogliamo imparare da loro. Abbiamo avuto modo di apprezzarne le capacità, soprattutto grazie al fatto che nella sola San Paolo del Brasile vivono 5,5 milioni di italiani”.
“Lo spirito dell’accordo – ha concluso Flavio Batista de Souza – è quello di puntare sulla qualità, sul basso costo e sulla fiducia, per costruire un rapporto di medio-lungo periodo. Questo è importante per noi che, operando in un’area in grande espansione, pensiamo per il futuro a realizzare iniziative ancora più prestigiose”.
NELLA FOTO: il presidente del Brasile Lula
Il programma coinvolge anche il territorio della Grande San Paolo, la conurbazione di 11 Comuni riuniti nel consorzio Amat (Associaçao dos municipios do Alto Tietè e Regiao), che ha individuato nelle imprese dei Giovani dell’Ance Sicilia uno dei partner ideali per il trasferimento in quel territorio di tecnologie, know-how, formazione di personale e tecnici, qualità e tempi di realizzazione nei settori costruzioni civili, energia alternativa, riqualificazione ambientale e gestione rifiuti, servizi a rete e trasporti pubblici.
Oggi a Palermo, presso l’Ance Sicilia, è stato firmato un protocollo d’intesa per la costituzione di una società mista di cui faranno parte le imprese siciliane e rappresentati di Amat, Fiespe (la Confindustria brasiliana) e Sinduscon (l’omologa brasiliana dell’Ance).
L’accordo è stato sottoscritto da Marcello La Rosa, presidente dei Giovani imprenditori edili di Ance Sicilia, alla presenza di Giorgio Cappello, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria Sicilia; da Pedro Campos Fernandes, segretario esecutivo dell’Amat, da Flavio Batista de Sousa, vicesindaco del Municipio di Ferraz de Vasconcelos, da Claudio Ramos, segretario dell’Industria e del Commercio, e da Rubens Fernandes, coordinatore tecnico.
Il piano nazionale brasiliano concede piena autonomia ai Municipi (“prefetture”) per l’individuazione delle aree e la progettazione degli interventi sulla base delle istanze presentate dai cittadini. L’Amat provvederà, fra l’altro, a finanziare le progettazioni per i Comuni più piccoli e coordinerà i rapporti fra enti locali e imprese.
Due le modalità di accesso al progetto: il Comune può acquistare le aree e concederle alle imprese, oppure sono le aziende stesse a comprarle. In entrambi i casi l’onere della compravendita è compreso nel finanziamento pubblico, che copre l’intera realizzazione dei manufatti.
Flavio Batista de Sousa ha annunciato che la “prefettura” di Ferraz de Vasconcelos è la prima ad avere pronti i progetti per varare subito la costruzione degli alloggi, con l’obiettivo di riuscire nel tempo a soddisfare tutte le 12 mila richieste di case pervenute dai suoi abitanti.
Il prossimo 5 ottobre avrà un incontro con la Caixa Economica Federal per lo sblocco dei fondi di propria competenza e, a seguire, organizzerà una riunione con tutte le imprese interessate, fra cui le siciliane, per la condivisione dei progetti e la firma dei contratti operativi che saranno trasmessi alla banca per la delibera.
“Per le imprese siciliane si apre un enorme mercato che ci darà ossigeno in un particolare momento di crisi – ha dichiarato Marcello La Rosa – l’essere stati preferiti per affidabilità e qualità ci impegna particolarmente ad essere rapidi e ad organizzarci al massimo livello”.
“I settori manifatturiero, dell’ambiente e dell’energia riceveranno un notevole volume d’affari – ha aggiunto Giorgio Cappello – un milione di alloggi, ad esempio, significano 5 milioni di finestre, pari ad un fatturato di 1,5 miliardi di euro. Per la Sicilia sarebbe sufficiente anche un quinto della commessa”.
“Abbiamo scelto le imprese siciliane – ha spiegato Pedro Campos Fernandes – perchè vogliamo imparare da loro. Abbiamo avuto modo di apprezzarne le capacità, soprattutto grazie al fatto che nella sola San Paolo del Brasile vivono 5,5 milioni di italiani”.
“Lo spirito dell’accordo – ha concluso Flavio Batista de Souza – è quello di puntare sulla qualità, sul basso costo e sulla fiducia, per costruire un rapporto di medio-lungo periodo. Questo è importante per noi che, operando in un’area in grande espansione, pensiamo per il futuro a realizzare iniziative ancora più prestigiose”.
NELLA FOTO: il presidente del Brasile Lula
domenica 27 settembre 2009
Sicilia. Frantumazione del PDL e marasma "autonomista"
di Agostino Spataro
In Sicilia la politica è come impazzita. Gira a vuoto, al di fuori dei canoni, senza centri di riferimento e senza regole. Gli ultimi avvenimenti alla Regione, al comune di Palermo e altrove lo confermano. La situazione è a un punto altamente critico, quasi di non ritorno. E senza sbocco. Giacché l’inamovibilità di fatto del presidente della regione, prevista dalla legge, non consente soluzioni alternative. Tutto si ferma di fronte all’atroce dilemma: scioglimento anticipato dell’Ars o ingovernabilità permanente. Nonostante il governo non abbia una maggioranza e resti impantanato nelle sue contraddizioni, nessuno desidera affrontare tale problema. Il motivo è presto detto. Lombardo ha nelle mani un’arma formidabile: le sue dimissioni che provocherebbero l’automatico scioglimento dell’Assemblea regionale. Paradossalmente, l’atto più evidente della sua debolezza rappresenta il suo punto di maggiore forza. Ma così vanno le cose in Sicilia. D’altra parte, un po’ a tutti sembra andar bene l’inamovibilità del governatore. E chi se ne frega se la crisi rischia di travolgere il già fragile tessuto economico e produttivo isolano e di deludere le aspettative di ripresa di varie categorie sociali. Crisi? Per la Sicilia è dir poco. Qui, infatti, si rischia una caduta verticale e rovinosa da molti vissuta come pre-annuncio del crollo prossimo venturo. Sensazione diffusa soprattutto fra i gruppi dirigenti politici siciliani sui quali pesano anche i timori di una probabile implosione del governo Berlusconi.Si delinea uno scenario segnato da oscuri disegni politici e da preoccupazioni, anche personali, che imprimono alla manovra politica una dinamica imprevedibile. Perciò, ognuno, temendo per il proprio futuro politico, cerca di ri-collocarsi in tempo utile. Tranne- a quanto pare- il ministro Alfano che giura cieca ed eterna fedeltà al Cavaliere anche quando non ne condivide le opinioni. Anche se il personaggio ci sembra piuttosto sveglio e pertanto saprà sganciarsi un attimo prima del fatale impatto.Comunque sia, la frantumazione del PdL incrementerà lo smarrimento nel centro-destra e forse potrà far ritrovare un po’ di buon senso al Pd e agli altri partiti d’opposizione i quali, invece di litigare sul nulla, dovrebbero accordarsi e cogliere l’occasione per mettere finalmente all’angolo il governo. Anche in Sicilia da dove potrebbe venire un contributo importante all’evoluzione del quadro politico nazionale. Dal punto di vista elettorale, infatti, l’Isola è una piazzaforte strategica per il centro-destra. Generalmente, chi vince in Sicilia vince in Italia. Di ciò hanno consapevolezza taluni gruppi del PdL, oggi a disagio, i quali pensano di riproporre l’Isola come laboratorio per sperimentare nuove aggregazioni politiche, nuovi gruppi parlamentari e consiliari e quindi inedite alleanze. Staremo a vedere. Tuttavia, è innegabile la crisi del berlusconismo. Anche in questa Sicilia, generosa e smemorata, dove si sta svolgendo in un clima torbido determinato da un mix allarmante di manovre subdole e vendette trasversali che stanno facendo scoprire gli altarini, santuari direi, del complesso sistema di corruzione che ha dominato la Regione nell’ultimo decennio. Fatti gravissimi che non si sa dove, e a quali responsabilità, potranno portare. Siamo alla resa dei conti fra potentati del medesimo blocco di potere, ad una micidiale guerra intestina che sta facendo morti e feriti e soprattutto rischia di spingere la Sicilia verso la paralisi. Esagerazioni? Basta leggere le cronache quotidiane, fatti e nomi dei protagonisti, delle loro congiunzioni politiche e parentali, per avere, netta, la sensazione del disastro e dell’impotenza nel farvi fronte. A cominciare dal governo in carica il quale ancora non ha varato una riforma vera: quel poco vantato - nei campi della sanità e della dirigenza- risulta svilito da scelte operative miranti a sostituire uomini di partiti e correnti perdenti con altri delle formazioni vincenti e/o cooperanti. Di questo passo e senza una maggioranza certa, dove andrà a parare il governo Lombardo? Dove andrà la Sicilia? Nessuno può azzardare previsioni attendibili. Nei prossimi mesi potremo andare incontro a una fase politica e sociale molto convulsa, in Sicilia e in Italia. Tuttavia, una cosa è certa: così com’è combinata, l’Isola non può andare da nessuna parte, anzi rischia nuova emarginazione e disoccupazione. Di là delle vendette e delle rappresaglie, si ripropone la necessità dell’aggregazione di una maggioranza sociale, ancor prima che politica, che si configuri come alternativa all’attuale marasma “autonomista” il quale per sopravvivere deve continuare a far leva sul clientelismo e sulla divisione dei partiti di maggioranza e d’opposizione. ccorrono un sussulto di dignità e di creatività, una scelta di chiarezza e di responsabilità per proiettare la Sicilia fuori da questo pantano melmoso, agganciandola alle nuove strategie di sviluppo che si delineano ai livelli nazionale ed euro-mediterraneo. nsomma, un grande ritorno alla politica, quella vera e sana che muove la storia. Altro che manovrette sottobanco! Il Pd e le altre forze sinceramente desiderose del cambiamento, devono abbandonare ogni posizione ambigua e venire in campo aperto, tra la gente che soffre ma ancora spera in un’alternativa chiara e definitiva.
Agostino Spataro
* pubblicato con altro titolo
in La Repubblica del 25/9/2009
In Sicilia la politica è come impazzita. Gira a vuoto, al di fuori dei canoni, senza centri di riferimento e senza regole. Gli ultimi avvenimenti alla Regione, al comune di Palermo e altrove lo confermano. La situazione è a un punto altamente critico, quasi di non ritorno. E senza sbocco. Giacché l’inamovibilità di fatto del presidente della regione, prevista dalla legge, non consente soluzioni alternative. Tutto si ferma di fronte all’atroce dilemma: scioglimento anticipato dell’Ars o ingovernabilità permanente. Nonostante il governo non abbia una maggioranza e resti impantanato nelle sue contraddizioni, nessuno desidera affrontare tale problema. Il motivo è presto detto. Lombardo ha nelle mani un’arma formidabile: le sue dimissioni che provocherebbero l’automatico scioglimento dell’Assemblea regionale. Paradossalmente, l’atto più evidente della sua debolezza rappresenta il suo punto di maggiore forza. Ma così vanno le cose in Sicilia. D’altra parte, un po’ a tutti sembra andar bene l’inamovibilità del governatore. E chi se ne frega se la crisi rischia di travolgere il già fragile tessuto economico e produttivo isolano e di deludere le aspettative di ripresa di varie categorie sociali. Crisi? Per la Sicilia è dir poco. Qui, infatti, si rischia una caduta verticale e rovinosa da molti vissuta come pre-annuncio del crollo prossimo venturo. Sensazione diffusa soprattutto fra i gruppi dirigenti politici siciliani sui quali pesano anche i timori di una probabile implosione del governo Berlusconi.Si delinea uno scenario segnato da oscuri disegni politici e da preoccupazioni, anche personali, che imprimono alla manovra politica una dinamica imprevedibile. Perciò, ognuno, temendo per il proprio futuro politico, cerca di ri-collocarsi in tempo utile. Tranne- a quanto pare- il ministro Alfano che giura cieca ed eterna fedeltà al Cavaliere anche quando non ne condivide le opinioni. Anche se il personaggio ci sembra piuttosto sveglio e pertanto saprà sganciarsi un attimo prima del fatale impatto.Comunque sia, la frantumazione del PdL incrementerà lo smarrimento nel centro-destra e forse potrà far ritrovare un po’ di buon senso al Pd e agli altri partiti d’opposizione i quali, invece di litigare sul nulla, dovrebbero accordarsi e cogliere l’occasione per mettere finalmente all’angolo il governo. Anche in Sicilia da dove potrebbe venire un contributo importante all’evoluzione del quadro politico nazionale. Dal punto di vista elettorale, infatti, l’Isola è una piazzaforte strategica per il centro-destra. Generalmente, chi vince in Sicilia vince in Italia. Di ciò hanno consapevolezza taluni gruppi del PdL, oggi a disagio, i quali pensano di riproporre l’Isola come laboratorio per sperimentare nuove aggregazioni politiche, nuovi gruppi parlamentari e consiliari e quindi inedite alleanze. Staremo a vedere. Tuttavia, è innegabile la crisi del berlusconismo. Anche in questa Sicilia, generosa e smemorata, dove si sta svolgendo in un clima torbido determinato da un mix allarmante di manovre subdole e vendette trasversali che stanno facendo scoprire gli altarini, santuari direi, del complesso sistema di corruzione che ha dominato la Regione nell’ultimo decennio. Fatti gravissimi che non si sa dove, e a quali responsabilità, potranno portare. Siamo alla resa dei conti fra potentati del medesimo blocco di potere, ad una micidiale guerra intestina che sta facendo morti e feriti e soprattutto rischia di spingere la Sicilia verso la paralisi. Esagerazioni? Basta leggere le cronache quotidiane, fatti e nomi dei protagonisti, delle loro congiunzioni politiche e parentali, per avere, netta, la sensazione del disastro e dell’impotenza nel farvi fronte. A cominciare dal governo in carica il quale ancora non ha varato una riforma vera: quel poco vantato - nei campi della sanità e della dirigenza- risulta svilito da scelte operative miranti a sostituire uomini di partiti e correnti perdenti con altri delle formazioni vincenti e/o cooperanti. Di questo passo e senza una maggioranza certa, dove andrà a parare il governo Lombardo? Dove andrà la Sicilia? Nessuno può azzardare previsioni attendibili. Nei prossimi mesi potremo andare incontro a una fase politica e sociale molto convulsa, in Sicilia e in Italia. Tuttavia, una cosa è certa: così com’è combinata, l’Isola non può andare da nessuna parte, anzi rischia nuova emarginazione e disoccupazione. Di là delle vendette e delle rappresaglie, si ripropone la necessità dell’aggregazione di una maggioranza sociale, ancor prima che politica, che si configuri come alternativa all’attuale marasma “autonomista” il quale per sopravvivere deve continuare a far leva sul clientelismo e sulla divisione dei partiti di maggioranza e d’opposizione. ccorrono un sussulto di dignità e di creatività, una scelta di chiarezza e di responsabilità per proiettare la Sicilia fuori da questo pantano melmoso, agganciandola alle nuove strategie di sviluppo che si delineano ai livelli nazionale ed euro-mediterraneo. nsomma, un grande ritorno alla politica, quella vera e sana che muove la storia. Altro che manovrette sottobanco! Il Pd e le altre forze sinceramente desiderose del cambiamento, devono abbandonare ogni posizione ambigua e venire in campo aperto, tra la gente che soffre ma ancora spera in un’alternativa chiara e definitiva.
Agostino Spataro
* pubblicato con altro titolo
in La Repubblica del 25/9/2009
sabato 26 settembre 2009
Il sindaco di Palermo Diego Cammarata racconta la sua verità: "Lo vedevo solo nei weekend"
I rapporti con Alioto, la raccomandazione alla Gesip, il no al noleggio della barca. Messaggio agli oppositori interni: "Vediamo chi mi tradirà"
di Antonio Fraschilla
«Escludo che Franco Alioto sia mai stato con me in barca durante il suo orario di lavoro alla Gesip. Non ho mai affittato la mia imbarcazione e se questa è finita con tanto di foto su un sito internet di noleggio, posso assicurare che è stata un'iniziativa di Alioto». Il sindaco Diego Cammarata cerca di uscire dall'angolo in cui il servizio di "Striscia la notizia" l'ha cacciato.Chiuso nel suo ufficio a Palazzo Galletti, rimugina sulla giornata campale che lo ha visto protagonista e cerca di franare l'ondata di dichiarazioni e illazioni che si sono scatenate dopo il servizio andato in onda su Canale 5 che denunciava tentativi d'affitto in nero della barca da parte del suo marinaio, Franco Alioto, che fra l'altro si assentava dalla Gesip per fare il mozzo del primo cittadino.
Sindaco Cammarata, quando ha conosciuto Alioto?
«Conosco Alioto da molto tempo. Non ricordo la data precisa del primo incontro, ma posso dire con certezza di averlo conosciuto su un charter sul quale lui faceva lo skipper. Ho visto come lavorava e gli ho chiesto di badare alla mia barca».
È vero che il marinaio è stato assunto per chiamata diretta alla Gesip su suo interessamento?
«Non escludo di aver fatto un'indicazione all'azienda, chiedendo di verificare se ci fossero le condizioni per la sua assunzione. Alioto aveva una situazione familiare difficile, non aveva nemmeno versato i contributi per la pensione».
Pensa di aver fatto la cosa giusta?
«Sì, non me ne vergogno. E per due motivi: non ho curato io l'assunzione materiale di Alioto e la sua non è stata certo un'eccezione, perché mi è capitato spesso di segnalare casi di persone in difficoltà».
A Marina di Villa Igiea tutti dicono di aver visto quasi ogni mattina Alioto lavorare in barca. E a Casa natura, dove era distaccato come operatore della Gesip, molti affermano di non conoscerlo. Ma lei sapeva che Alioto si occupava tutti i giorni della sua imbarcazione?
«Questa estate ho utilizzato la barca soltanto per due fine settimana, quando certamente Alioto non era al lavoro, perché ha il sabato e la domenica liberi. Non capisco perché Alioto dovesse poi lavorare durante la settimana nella mia imbarcazione, visto che non richiede certo una manutenzione giornaliera».
Alioto era solo il suo skipper? È vero che era anche il suo cuoco personale?
«È capitato, quando ero single, che qualche volta abbia cucinato per me: ma quando ho ripreso una vita familiare, la sua presenza non era più compatibile».
Oltre alle assenze dal lavoro di Alioto, il servizio di Striscia la notizia ventilava anche affitti in nero della sua barca. Ieri, poi, si è scoperto che la sua imbarcazione era presente con tanto di foto su un sito Internet di noleggio.
«Non ho mai affittato la barca. Alioto mi ha chiesto una volta di poterla noleggiare a terzi, dicendo che aveva incassato anche una caparra, ma io gli ho detto subito di restituirla e non sapevo che il tutto era stato filmato dagli inviati di Striscia. Ma anche sul sito Internet nel quale compare la mia barca è chiaro che si tratta di un noleggio in regola, visto che i prezzi sono perfino comprensivi di Iva. Io comunque non ne sapevo assolutamente nulla».
Dopo il filmato andato in onda su Striscia, la Procura ha avviato un'indagine e, oltre all'opposizione, anche il sottosegretario Gianfranco Miccichè ha chiesto le sue dimissioni.
«Credo che Miccichè dovrebbe ricordare che ci sono stati momenti delicati della sua vita, come quando scoppiò lo scandalo che coinvolse alcuni suoi collaboratori al ministero, e che io non ho mai chiesto le sue dimissioni da cariche pubbliche. Premesso che per me questo non è certo un periodo delicato come lo è stato il suo, Miccichè sa benissimo che non ho mai beneficiato del mio ruolo pubblico».
L'opposizione ha presentato una mozione di sfiducia, che potrebbe essere approvata contando anche sui voti dei consiglieri del Pdl legati a Miccichè.
«Non ho alcun timore del dibattito in aula e della mozione di sfiducia. Anzi, voglio proprio vedere fino a che punto andrà avanti l'aggressione che sto subendo da alcuni esponenti del mio partito. Voglio vederli in faccia mentre votano la sfiducia».
Ma è vero che questa volta, all'ennesimo episodio che ha coinvolto la sua vita privata, ha davvero pensato alle dimissioni?
«Non ho alcuna intenzione di dimettermi per una storia nella quale io non c'entro nulla. Certo, non escludo che qualcuno, anche tra chi ritenevo amico, abbia tentato di farmi lo sgambetto. È già capitato in passato che persone a me vicine mi abbiano messo in difficoltà».
Quando?
«Una volta la mia frequentazione con un amico che faceva uso di droga ha fatto circolare voci incontrollate su un mio ricovero in ospedale per overdose: per cercare di mettere fine a queste voci sono stato costretto a rendere pubbliche le mie analisi del sangue. Io vado avanti, allora come oggi».
(La Repubblica, 24 settembre 2009)
NELLA FOTO: Diego Cammarata, sindaco di Palermo
di Antonio Fraschilla
«Escludo che Franco Alioto sia mai stato con me in barca durante il suo orario di lavoro alla Gesip. Non ho mai affittato la mia imbarcazione e se questa è finita con tanto di foto su un sito internet di noleggio, posso assicurare che è stata un'iniziativa di Alioto». Il sindaco Diego Cammarata cerca di uscire dall'angolo in cui il servizio di "Striscia la notizia" l'ha cacciato.Chiuso nel suo ufficio a Palazzo Galletti, rimugina sulla giornata campale che lo ha visto protagonista e cerca di franare l'ondata di dichiarazioni e illazioni che si sono scatenate dopo il servizio andato in onda su Canale 5 che denunciava tentativi d'affitto in nero della barca da parte del suo marinaio, Franco Alioto, che fra l'altro si assentava dalla Gesip per fare il mozzo del primo cittadino.
Sindaco Cammarata, quando ha conosciuto Alioto?
«Conosco Alioto da molto tempo. Non ricordo la data precisa del primo incontro, ma posso dire con certezza di averlo conosciuto su un charter sul quale lui faceva lo skipper. Ho visto come lavorava e gli ho chiesto di badare alla mia barca».
È vero che il marinaio è stato assunto per chiamata diretta alla Gesip su suo interessamento?
«Non escludo di aver fatto un'indicazione all'azienda, chiedendo di verificare se ci fossero le condizioni per la sua assunzione. Alioto aveva una situazione familiare difficile, non aveva nemmeno versato i contributi per la pensione».
Pensa di aver fatto la cosa giusta?
«Sì, non me ne vergogno. E per due motivi: non ho curato io l'assunzione materiale di Alioto e la sua non è stata certo un'eccezione, perché mi è capitato spesso di segnalare casi di persone in difficoltà».
A Marina di Villa Igiea tutti dicono di aver visto quasi ogni mattina Alioto lavorare in barca. E a Casa natura, dove era distaccato come operatore della Gesip, molti affermano di non conoscerlo. Ma lei sapeva che Alioto si occupava tutti i giorni della sua imbarcazione?
«Questa estate ho utilizzato la barca soltanto per due fine settimana, quando certamente Alioto non era al lavoro, perché ha il sabato e la domenica liberi. Non capisco perché Alioto dovesse poi lavorare durante la settimana nella mia imbarcazione, visto che non richiede certo una manutenzione giornaliera».
Alioto era solo il suo skipper? È vero che era anche il suo cuoco personale?
«È capitato, quando ero single, che qualche volta abbia cucinato per me: ma quando ho ripreso una vita familiare, la sua presenza non era più compatibile».
Oltre alle assenze dal lavoro di Alioto, il servizio di Striscia la notizia ventilava anche affitti in nero della sua barca. Ieri, poi, si è scoperto che la sua imbarcazione era presente con tanto di foto su un sito Internet di noleggio.
«Non ho mai affittato la barca. Alioto mi ha chiesto una volta di poterla noleggiare a terzi, dicendo che aveva incassato anche una caparra, ma io gli ho detto subito di restituirla e non sapevo che il tutto era stato filmato dagli inviati di Striscia. Ma anche sul sito Internet nel quale compare la mia barca è chiaro che si tratta di un noleggio in regola, visto che i prezzi sono perfino comprensivi di Iva. Io comunque non ne sapevo assolutamente nulla».
Dopo il filmato andato in onda su Striscia, la Procura ha avviato un'indagine e, oltre all'opposizione, anche il sottosegretario Gianfranco Miccichè ha chiesto le sue dimissioni.
«Credo che Miccichè dovrebbe ricordare che ci sono stati momenti delicati della sua vita, come quando scoppiò lo scandalo che coinvolse alcuni suoi collaboratori al ministero, e che io non ho mai chiesto le sue dimissioni da cariche pubbliche. Premesso che per me questo non è certo un periodo delicato come lo è stato il suo, Miccichè sa benissimo che non ho mai beneficiato del mio ruolo pubblico».
L'opposizione ha presentato una mozione di sfiducia, che potrebbe essere approvata contando anche sui voti dei consiglieri del Pdl legati a Miccichè.
«Non ho alcun timore del dibattito in aula e della mozione di sfiducia. Anzi, voglio proprio vedere fino a che punto andrà avanti l'aggressione che sto subendo da alcuni esponenti del mio partito. Voglio vederli in faccia mentre votano la sfiducia».
Ma è vero che questa volta, all'ennesimo episodio che ha coinvolto la sua vita privata, ha davvero pensato alle dimissioni?
«Non ho alcuna intenzione di dimettermi per una storia nella quale io non c'entro nulla. Certo, non escludo che qualcuno, anche tra chi ritenevo amico, abbia tentato di farmi lo sgambetto. È già capitato in passato che persone a me vicine mi abbiano messo in difficoltà».
Quando?
«Una volta la mia frequentazione con un amico che faceva uso di droga ha fatto circolare voci incontrollate su un mio ricovero in ospedale per overdose: per cercare di mettere fine a queste voci sono stato costretto a rendere pubbliche le mie analisi del sangue. Io vado avanti, allora come oggi».
(La Repubblica, 24 settembre 2009)
NELLA FOTO: Diego Cammarata, sindaco di Palermo
venerdì 25 settembre 2009
Dell'Utri e lo stalliere di Berlusconi. Il Pg: "Mangano ad Arcore per i boss"
Davanti alla seconda sezione penale della Corte d'Appello di Palermo, requisitoria del Procuratore generale nel processo a carico del senatore di Forza Italia. "Di cavalli e coltivazioni non sapeva nulla: ma se guardiamo i suoi precedenti penali, gli interessi che coltivava erano di tutt'altra natura rispetto a quelli agricoli"
PALERMO - "Vittorio Mangano fu assunto nella tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi per coltivare interessi diversi da quelli per i quali fu ufficialmente chiamato da Palermo fino in Brianza". Così il Procuratore generale Antonino Gatto entra subito nel vivo della requisitoria del processo di secondo grado in cui il senatore Marcello dell'Utri (Pdl) è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il parlamentare è stato condannato in primo grado a nove anni di carcere. Stamani davanti alla seconda sezione della Corte di appello di Palermo, Gatto parla prima di tutto di Vittorio Mangano, morto alcuni anni fa, condannato nell'ambito di un processo di mafia. L'uomo per alcuni anni aveva svolto il ruolo di stalliere ad Arcore, la tenuta del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Era stato lo stesso Dell'Utri a farlo assumere. Una scelta, secondo il magistrato, non legata a interessi agricoli, ma alla necessità, che all'epoca avevano tanti imprenditori, tra i quali lo stesso Berlusconi, di "proteggersi" dal pericolo di sequestri. "Ma davvero - si chiede il Pg - non fu possibile trovare in Brianza persone capaci di sovrintendere alla tenuta di Arcore? Davvero dall'estremo nord ci si dovette spostare a Palermo per trovare una persona che non conosceva la zona e le coltivazioni brianzole?". "In realtà - prosegue Gatto - non solo Mangano di cavalli e di coltivazioni non sapeva nulla: ma se guardiamo i suoi numerosissimi precedenti penali, gli interessi che coltivava erano di tutt'altra natura rispetto a quelli agricoli". "Nelle dichiarazioni spontanee rese il 29 novembre del 2004 - dice il Pg - fu Dell'Utri a dire che in realtà Mangano si interessava di cani e non di cavalli. Non si vede quale sarebbe stato dunque il suo contributo alla cura di animali che Berlusconi voleva allevare nella tenuta appena acquistata". Il senatore non è presente in aula. Ad ascoltare l'atto d'accusa del Pg ci sono i suoi difensori, gli avvocati Nino Mormino, Giuseppe Di Peri e Pietro Federico.
(La Repubblica, 25 settembre 2009)
NELLA FOTO: Marcello Dell'Utri
PALERMO - "Vittorio Mangano fu assunto nella tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi per coltivare interessi diversi da quelli per i quali fu ufficialmente chiamato da Palermo fino in Brianza". Così il Procuratore generale Antonino Gatto entra subito nel vivo della requisitoria del processo di secondo grado in cui il senatore Marcello dell'Utri (Pdl) è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il parlamentare è stato condannato in primo grado a nove anni di carcere. Stamani davanti alla seconda sezione della Corte di appello di Palermo, Gatto parla prima di tutto di Vittorio Mangano, morto alcuni anni fa, condannato nell'ambito di un processo di mafia. L'uomo per alcuni anni aveva svolto il ruolo di stalliere ad Arcore, la tenuta del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Era stato lo stesso Dell'Utri a farlo assumere. Una scelta, secondo il magistrato, non legata a interessi agricoli, ma alla necessità, che all'epoca avevano tanti imprenditori, tra i quali lo stesso Berlusconi, di "proteggersi" dal pericolo di sequestri. "Ma davvero - si chiede il Pg - non fu possibile trovare in Brianza persone capaci di sovrintendere alla tenuta di Arcore? Davvero dall'estremo nord ci si dovette spostare a Palermo per trovare una persona che non conosceva la zona e le coltivazioni brianzole?". "In realtà - prosegue Gatto - non solo Mangano di cavalli e di coltivazioni non sapeva nulla: ma se guardiamo i suoi numerosissimi precedenti penali, gli interessi che coltivava erano di tutt'altra natura rispetto a quelli agricoli". "Nelle dichiarazioni spontanee rese il 29 novembre del 2004 - dice il Pg - fu Dell'Utri a dire che in realtà Mangano si interessava di cani e non di cavalli. Non si vede quale sarebbe stato dunque il suo contributo alla cura di animali che Berlusconi voleva allevare nella tenuta appena acquistata". Il senatore non è presente in aula. Ad ascoltare l'atto d'accusa del Pg ci sono i suoi difensori, gli avvocati Nino Mormino, Giuseppe Di Peri e Pietro Federico.
(La Repubblica, 25 settembre 2009)
NELLA FOTO: Marcello Dell'Utri
Recuperate inchieste e video di Rostagno. Salvato il lavoro del giornalista antimafia
La sorella Carla ha sottratto al macero i documenti giornalistici girati da Mauro negli utlimi anni di vita prima che fosse ucciso dalle cosche
di ATTILIO BOLZONI
e SALVO PALAZZOLO
LE SUE inchieste giornalistiche erano finite in un magazzino alla periferia di Trapani, sulla strada delle saline. Nastri abbandonati, destinati al macero. Ma a ventuno anni dall'omicidio di Mauro Rostagno - l'anniversario della sua morte il 26 settembre - sua sorella Carla ha ritrovato decine e decine di vidoecassette e le ha messe in salvo. Sono 120 ore di registrazione. Una collezione di interviste, di editoriali, di inchieste sul campo curate dall'"ultimo" Mauro Rostagno, l'ex operaio e capopolo, l'ex professore e terapeuta, l'ex sociologo e saniasi che a Trapani, terra di mafia, nel settembre del 1988 è stato ucciso a fucilate. E' il giornalista Mauro Rostagno che parla di mafia e politica dal "profondo Sud", dove lui, figlio del grande Nord, si era rifugiato negli ultimi anni della sua esistenza. Il recupero delle registrazioni è stato affidato alla Loopservice di Matteo Frenguelli, una società perugina di produzioni video. Al recupero della memoria è bastata la tenacia di Carla, la sorella: "Voglio diffondere fra i giovani tutta quell'esperienza di Mauro per far capire come si può fare i giornalisti anche in condizioni ambientali estreme. E poi voglio diffondere il pensiero di Mauro in un momento così delicato per l'informazione nel nostro Paese". Qualche nastro era ormai cancellato, qualcun altro danneggiato. Ma alla fine la faccia di Mauro, direttore dell'emittente televisiva trapanese RTP, è ritornata sul video. A volte sorridente, a volte seria. Con lui sempre curioso, caustico, coraggioso. "Si è verificata a Trapani una sorta di malformazione nelle menti di molti uomini politici, i quali hanno creduto di essere impunibili", comincia così una sua intervista a un assessore provinciale democristiano. "A che punto siamo con la lotta alla mafia?", chiede Rostagno al procuratore Paolo Borsellino. Sono giorni terribili per una Sicilia insanguinata, il magistrato lancia un atto di accusa contro Roma, Giovanni Falcone minaccia le dimissioni dal pool antimafia, "saltano" tutti i vertici investigativi di Palermo. E poi c'è anche un'intervista a Leonardo Sciascia. Domanda: "Si è parlato molto dell'eventualità che lo Stato arrivi a una pacificazione degli anni di piombo, a una liberazione di Renato Curcio, che ha espresso l'intenzione, ove fosse libero, di venire a vivere qui a Trapani e lavorare in una comunità di tossicodipendenti". Sciascia gli risponde: "I terroristi che non hanno ucciso nessuno... penso che dovrebbero ormai aver pagato e quindi...". Il nastro è uno di quelli danneggiati, l'intervista allo scrittore bruscamente s'interrompe. In un'altra cassetta Mauro Rostagno compare in video mentre denuncia "il venticello della normalizzazione che attraversa gli apparati dello Stato". In un'altra ancora, c'è il racconto del 1968, della sua esperienza in Lotta Continua e poi del suo lungo viaggio in Sicilia: "Nella mia generazione credevamo che un movimento politico potesse cambiare tutto quello che non andava. Eravamo un po' illusi, un po' ingenui. Oggi i giovani sanno che si devono confrontare con le cose e che devono cercare di strappare i loro diritti poco a poco con un confronto politico preciso con le strutture". Fra queste registrazioni Carla Rostagno ha continuato a cercare una verità sul delitto di Mauro. Le indagini sull'omicidio, insabbiate per molto tempo, sono state riaperte qualche anno fa dai procuratori palermitani Antonio Ingroia e Gaetano Paci. Hanno scoperto che è un delitto di mafia. Ma non solo di mafia. Ancora oggi s'indaga sui killer di Cosa Nostra e sull'"isolamento" che condannò a morte il giornalista sognatore.
(La Repubblica, 25 settembre 2009)
di ATTILIO BOLZONI
e SALVO PALAZZOLO
LE SUE inchieste giornalistiche erano finite in un magazzino alla periferia di Trapani, sulla strada delle saline. Nastri abbandonati, destinati al macero. Ma a ventuno anni dall'omicidio di Mauro Rostagno - l'anniversario della sua morte il 26 settembre - sua sorella Carla ha ritrovato decine e decine di vidoecassette e le ha messe in salvo. Sono 120 ore di registrazione. Una collezione di interviste, di editoriali, di inchieste sul campo curate dall'"ultimo" Mauro Rostagno, l'ex operaio e capopolo, l'ex professore e terapeuta, l'ex sociologo e saniasi che a Trapani, terra di mafia, nel settembre del 1988 è stato ucciso a fucilate. E' il giornalista Mauro Rostagno che parla di mafia e politica dal "profondo Sud", dove lui, figlio del grande Nord, si era rifugiato negli ultimi anni della sua esistenza. Il recupero delle registrazioni è stato affidato alla Loopservice di Matteo Frenguelli, una società perugina di produzioni video. Al recupero della memoria è bastata la tenacia di Carla, la sorella: "Voglio diffondere fra i giovani tutta quell'esperienza di Mauro per far capire come si può fare i giornalisti anche in condizioni ambientali estreme. E poi voglio diffondere il pensiero di Mauro in un momento così delicato per l'informazione nel nostro Paese". Qualche nastro era ormai cancellato, qualcun altro danneggiato. Ma alla fine la faccia di Mauro, direttore dell'emittente televisiva trapanese RTP, è ritornata sul video. A volte sorridente, a volte seria. Con lui sempre curioso, caustico, coraggioso. "Si è verificata a Trapani una sorta di malformazione nelle menti di molti uomini politici, i quali hanno creduto di essere impunibili", comincia così una sua intervista a un assessore provinciale democristiano. "A che punto siamo con la lotta alla mafia?", chiede Rostagno al procuratore Paolo Borsellino. Sono giorni terribili per una Sicilia insanguinata, il magistrato lancia un atto di accusa contro Roma, Giovanni Falcone minaccia le dimissioni dal pool antimafia, "saltano" tutti i vertici investigativi di Palermo. E poi c'è anche un'intervista a Leonardo Sciascia. Domanda: "Si è parlato molto dell'eventualità che lo Stato arrivi a una pacificazione degli anni di piombo, a una liberazione di Renato Curcio, che ha espresso l'intenzione, ove fosse libero, di venire a vivere qui a Trapani e lavorare in una comunità di tossicodipendenti". Sciascia gli risponde: "I terroristi che non hanno ucciso nessuno... penso che dovrebbero ormai aver pagato e quindi...". Il nastro è uno di quelli danneggiati, l'intervista allo scrittore bruscamente s'interrompe. In un'altra cassetta Mauro Rostagno compare in video mentre denuncia "il venticello della normalizzazione che attraversa gli apparati dello Stato". In un'altra ancora, c'è il racconto del 1968, della sua esperienza in Lotta Continua e poi del suo lungo viaggio in Sicilia: "Nella mia generazione credevamo che un movimento politico potesse cambiare tutto quello che non andava. Eravamo un po' illusi, un po' ingenui. Oggi i giovani sanno che si devono confrontare con le cose e che devono cercare di strappare i loro diritti poco a poco con un confronto politico preciso con le strutture". Fra queste registrazioni Carla Rostagno ha continuato a cercare una verità sul delitto di Mauro. Le indagini sull'omicidio, insabbiate per molto tempo, sono state riaperte qualche anno fa dai procuratori palermitani Antonio Ingroia e Gaetano Paci. Hanno scoperto che è un delitto di mafia. Ma non solo di mafia. Ancora oggi s'indaga sui killer di Cosa Nostra e sull'"isolamento" che condannò a morte il giornalista sognatore.
(La Repubblica, 25 settembre 2009)
giovedì 24 settembre 2009
Da giovedì 24 settembre Fabrizio Miccoli è "cittadino onorario" di Corleone
L’attaccante del Palermo Fabrizio Miccoli da giovedì 24 settembre 2009 è “cittadino onorario” di Corleone. Il sindaco, Nino Iannazzo, accogliendo una mozione del Consiglio comunale presentata dal consigliere Dino Paternostro, gli ha conferito il riconoscimento questo pomeriggio nell’Aula Consiliare del Comune. Alla cerimonia hanno partecipato rappresentanti della Giunta e del Consiglio, esponenti del mondo sportivo corleonese e molti tifosi, per lo più bambini e ragazzi. L’incontro è stato aperto dal presidente del Consiglio comunale, Mario Lanza, e dall’assessore comunale allo Sport, Carlo Vintaloro. È intervenuto anche il consigliere Paternostro. «Quella di oggi – ha detto - è una bella giornata per la città di Corleone. Nel nome dello sport più bello del mondo e dei valori dell’onestà, della solidarietà e della non violenza, stiamo conferendo la cittadinanza onoraria ad un grande campione come Fabrizio Miccoli, che si è subito innamorato di Corleone». «Quando ho presentato la mozione – ha concluso - ero sicuro che il consiglio comunale l’avrebbe approvata all’unanimità e che l’amministrazione comunale avrebbe accolto l’dea di dare la cittadinanza onoraria a Miccoli. La passione con cui va nelle scuole a parlare con i giovani dello sport vero, quello “pulito”, e l’affetto con cui ha dedicato alla nostra città il gol fatto al Cagliari nella passata stagione (e quello alla Roma di mercoledì sera) l’hanno fatto entrare nei nostri cuori. E questa sera, insieme a lui, stiamo scrivendo una bella pagina di storia della nostra città!». Paternostro ha donato a Fabrizio Miccoli due suoi libri «per conoscere meglio la storia di Corleone»: “L’antimafia sconosciuta. Corleone 1893-1993” e “Le stelle in un pugno”.
«Tutto è iniziato – ha detto il sindaco Iannazzo – il 30 aprile scorso, quando Miccoli e Tedesco sono venuti in una scuola di Corleone. Quello che ho registrato negli occhi dei miei piccoli concittadini è stata la voglia di avvicinarsi ai giocatori per dire “anche io li ho conosciuti”. Ma l’aspetto che più mi ha colpito è stato vedere cosa i due giocatori sono venuti a fare qui: sposare la causa dello sport pulito, senza violenza, doping o droghe. Questa è la motivazione per la cittadinanza onoraria”. “Sono molto emozionato – ha detto il bomber rosanero -: è la prima volta che mi succede una cosa del genere. Questo però non è un punto d’arrivo, ma di partenza. Verrò sicuramente quest’anno in visita nelle scuole e, oltre a portare in giro i colori rosanero, porterò anche quelli del Corleone, il giallo e il rosso, che sono i colori della mia Lecce”. Dopo l’incontro di aprile, il 3 maggio Miccoli dedicò a Corleone il gol contro il Cagliari. “In quei momenti – dice ancora il sindaco - non credo sia tanto facile ricordarsi di un paese dell’entroterra della provincia di Palermo: Miccoli lo fece. Ciò significa che questa terra attira anche chi non è nato qui”. E poi un augurio del sindaco al fuoriclasse: “Che presto arrivi la Nazionale”. Al termine della cerimonia e della consegna di alcuni regali, Fabrizio Miccoli ha posato per le foto di rito con i tanti tifosi presenti. A seguire, al cinema Martorana, ha partecipato alla presentazione ufficiale della squadra di calcio del Corleone, che milita in Prima Categoria.
FOTO. Un momento della cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria a Fabrizio Miccoli (a sx).
«Tutto è iniziato – ha detto il sindaco Iannazzo – il 30 aprile scorso, quando Miccoli e Tedesco sono venuti in una scuola di Corleone. Quello che ho registrato negli occhi dei miei piccoli concittadini è stata la voglia di avvicinarsi ai giocatori per dire “anche io li ho conosciuti”. Ma l’aspetto che più mi ha colpito è stato vedere cosa i due giocatori sono venuti a fare qui: sposare la causa dello sport pulito, senza violenza, doping o droghe. Questa è la motivazione per la cittadinanza onoraria”. “Sono molto emozionato – ha detto il bomber rosanero -: è la prima volta che mi succede una cosa del genere. Questo però non è un punto d’arrivo, ma di partenza. Verrò sicuramente quest’anno in visita nelle scuole e, oltre a portare in giro i colori rosanero, porterò anche quelli del Corleone, il giallo e il rosso, che sono i colori della mia Lecce”. Dopo l’incontro di aprile, il 3 maggio Miccoli dedicò a Corleone il gol contro il Cagliari. “In quei momenti – dice ancora il sindaco - non credo sia tanto facile ricordarsi di un paese dell’entroterra della provincia di Palermo: Miccoli lo fece. Ciò significa che questa terra attira anche chi non è nato qui”. E poi un augurio del sindaco al fuoriclasse: “Che presto arrivi la Nazionale”. Al termine della cerimonia e della consegna di alcuni regali, Fabrizio Miccoli ha posato per le foto di rito con i tanti tifosi presenti. A seguire, al cinema Martorana, ha partecipato alla presentazione ufficiale della squadra di calcio del Corleone, che milita in Prima Categoria.
FOTO. Un momento della cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria a Fabrizio Miccoli (a sx).
mercoledì 23 settembre 2009
martedì 22 settembre 2009
Assenteista fa il marinaio per il sindaco. Dopo la denuncia di ”Striscia”, aperta un'inchiesta
È scattata alcune settimane fa, in seguito a un esposto anonimo arrivato al Tribunale, l’inchiesta della Procura della Repubblica per accertare le irregolarità che sarebbero state compiute dal sindaco Diego Cammarata e da un dipendente della Gesip, la società di servizi del Comune. Il caso è stato raccontato lunedì sera da «Striscia la notizia» che ha svelato come un dipendente della Gesip, Franco Alioto, non si sarebbe mai presentato al lavoro, prestando invece servizio come marinaio sulla barca dei figli del sindaco, utilizzata dallo stesso primo cittadino di Palermo. Secondo quanto rivelato da «Striscia la notizia» il dipendente della Gesip si sarebbe occupato anche di noleggiare la barca incassando in nero, come documenta il servizio, i soldi pattuiti. La Procura ha disposto l’acquisizione di una copia del servizio televisivo.
La replica di Cammarata. «La barca oggetto del servizio di Striscia La Notizia è di proprietà dei miei figli che l’hanno acquistata con atto del 10 febbraio 2004. Come è ovvio ne ho piena disponibilità. Purtroppo questo avviene solo raramente. Questa estate ne ho usufruito solo per un paio di fine settimana». Lo dice il sindaco di Palermo Diego Cammarata commentando il servizio. «Dall’estate scorsa — aggiunge — la barca è in vendita, perchè neanche i miei figli hanno il tempo di usarla e quest’estate la barca è rimasta praticamente ferma. Conosco il signor Franco Alioto da molto tempo e si è occupato occasionalmente, e fino a ieri, di verificare che la barca sia in ordine. Lo faceva in piena autonomia e fuori dall’orario di lavoro, come è naturale che avvenga. Al riguardo ho già disposto che la Gesip proceda ad una indagine interna sulla presenza nel posto di lavoro di Alioto». «Sull’episodio — prosegue — riportato nel servizio di Striscia, posso affermare che questa estate il signor Alioto chiese di noleggiare la barca. Tale autorizzazione gli fu negata e gli fu intimato anche di restituire l’acconto che impropriamente aveva ritenuto di farsi lasciare, come lo stesso ha subito fatto. Mi auguro che gli intervistatori confermino tutto questo. Ho comunque dato incarico ai miei legali di tutelare i miei diritti davanti le sedi competenti».
La sfiducia. I consiglieri comunali del Pd hanno deciso di presentare una mozione di sfiducia al sindaco (devono raccogliere venti firme in Consiglio) e per questo chiedono l’a ppoggio degli altri gruppi fuori dalla maggioranza. L’opposizione di centrosinistra conta 15 consiglieri su 50 ma l’Mpa (5 consiglieri) e la parte del Pdl che fa riferimento al sottosegretario Miccichè (altri 5) hanno più volte dichiarato di essere all’opposizione chiedendo le dimissioni del sindaco.
Le dimissioni. «Il servizio andato in onda ieri sera su “Striscia la notizia” ha devastato l’immagine della città agli occhi di tutta Italia», dice il capogruppo del Pd al Comune, Davide Faraone. «Abbiamo scoperto fra l’altro — aggiunge — che il figlio del mozzo di Cammarata, risulta fra gli assunti senza concorso nelle spa comunali e precisamente alla Sispi». Sulla stessa linea le eurodeputate Rita Borsellino e Sonia Alfano (Idv). A invocare le dimissioni di Cammarata è anche l’Mpa di Raffaele Lombardo. «Abbiamo toccato il fondo, adesso è il momento di risalire la china attraverso le elezioni per il nuovo sindaco», dicono i consiglieri comunali autonomisti. «A due anni dal mandato elettorale — aggiungono — il sindaco può dichiarare il proprio fallimento: il patto sottoscritto con gli elettori è stato disatteso».Meno diretto l’invito rivolto a Cammarata dal sottosegretario alla Presidenza, e suo ex sponsor politico, Gianfranco Micciché: «Non voglio neanche discutere se votare o meno la mozione di sfiducia presentata dall'opposizione - dice - Spero solo che il sindaco prenda le iniziative più idonee per evitare il dibattito in aula».
L’azienda. «Ho avviato un’indagine interna e ho convocato Franco Alioto per sentire anche la sua versione dei fatti. Di certo immediatamente lo trasferirò, in via cautelativa, dal settore verde ai servizi cimiteriali della Gesip». Lo dice il direttore generale dell’azienda Giacomo Palazzolo. «Alioto è stato assunto nel novembre del 2003 — continua — e ha ricevuto due promozioni, nel 2004 e nel 2006: avanzamenti di quadro. In azienda è nota la sua esperienza di marinaio: ora bisogna verificare se effettivamente lavorasse su barche durante l’orario di lavoro».
(La Repubblica, 22 settembre 2009)
FOTO. Il sindaco di Palermo, Diego Cammarata
La replica di Cammarata. «La barca oggetto del servizio di Striscia La Notizia è di proprietà dei miei figli che l’hanno acquistata con atto del 10 febbraio 2004. Come è ovvio ne ho piena disponibilità. Purtroppo questo avviene solo raramente. Questa estate ne ho usufruito solo per un paio di fine settimana». Lo dice il sindaco di Palermo Diego Cammarata commentando il servizio. «Dall’estate scorsa — aggiunge — la barca è in vendita, perchè neanche i miei figli hanno il tempo di usarla e quest’estate la barca è rimasta praticamente ferma. Conosco il signor Franco Alioto da molto tempo e si è occupato occasionalmente, e fino a ieri, di verificare che la barca sia in ordine. Lo faceva in piena autonomia e fuori dall’orario di lavoro, come è naturale che avvenga. Al riguardo ho già disposto che la Gesip proceda ad una indagine interna sulla presenza nel posto di lavoro di Alioto». «Sull’episodio — prosegue — riportato nel servizio di Striscia, posso affermare che questa estate il signor Alioto chiese di noleggiare la barca. Tale autorizzazione gli fu negata e gli fu intimato anche di restituire l’acconto che impropriamente aveva ritenuto di farsi lasciare, come lo stesso ha subito fatto. Mi auguro che gli intervistatori confermino tutto questo. Ho comunque dato incarico ai miei legali di tutelare i miei diritti davanti le sedi competenti».
La sfiducia. I consiglieri comunali del Pd hanno deciso di presentare una mozione di sfiducia al sindaco (devono raccogliere venti firme in Consiglio) e per questo chiedono l’a ppoggio degli altri gruppi fuori dalla maggioranza. L’opposizione di centrosinistra conta 15 consiglieri su 50 ma l’Mpa (5 consiglieri) e la parte del Pdl che fa riferimento al sottosegretario Miccichè (altri 5) hanno più volte dichiarato di essere all’opposizione chiedendo le dimissioni del sindaco.
Le dimissioni. «Il servizio andato in onda ieri sera su “Striscia la notizia” ha devastato l’immagine della città agli occhi di tutta Italia», dice il capogruppo del Pd al Comune, Davide Faraone. «Abbiamo scoperto fra l’altro — aggiunge — che il figlio del mozzo di Cammarata, risulta fra gli assunti senza concorso nelle spa comunali e precisamente alla Sispi». Sulla stessa linea le eurodeputate Rita Borsellino e Sonia Alfano (Idv). A invocare le dimissioni di Cammarata è anche l’Mpa di Raffaele Lombardo. «Abbiamo toccato il fondo, adesso è il momento di risalire la china attraverso le elezioni per il nuovo sindaco», dicono i consiglieri comunali autonomisti. «A due anni dal mandato elettorale — aggiungono — il sindaco può dichiarare il proprio fallimento: il patto sottoscritto con gli elettori è stato disatteso».Meno diretto l’invito rivolto a Cammarata dal sottosegretario alla Presidenza, e suo ex sponsor politico, Gianfranco Micciché: «Non voglio neanche discutere se votare o meno la mozione di sfiducia presentata dall'opposizione - dice - Spero solo che il sindaco prenda le iniziative più idonee per evitare il dibattito in aula».
L’azienda. «Ho avviato un’indagine interna e ho convocato Franco Alioto per sentire anche la sua versione dei fatti. Di certo immediatamente lo trasferirò, in via cautelativa, dal settore verde ai servizi cimiteriali della Gesip». Lo dice il direttore generale dell’azienda Giacomo Palazzolo. «Alioto è stato assunto nel novembre del 2003 — continua — e ha ricevuto due promozioni, nel 2004 e nel 2006: avanzamenti di quadro. In azienda è nota la sua esperienza di marinaio: ora bisogna verificare se effettivamente lavorasse su barche durante l’orario di lavoro».
(La Repubblica, 22 settembre 2009)
FOTO. Il sindaco di Palermo, Diego Cammarata
Trapani: domani processo a Rino Giacalone. Criticare il sindaco costa cinquantamila euro
L'appello di Spampinato, Morrione, Giulietti
Fra i tanti modi di intimidire un giornalista per metterlo a tacere ce n'è uno nel quale l'aggressore veste i pani della vittima, un metodo che ha tutti i crismi della legalità: la citazione in Tribunale del cronista per i presunti danni subiti a seguito della pubblicazione di uno o pù suoi articoli ritenuti ingiusti. Si possono chiedere i danni, senza limitazione d'importo, a un giornalista e al suo giornale, senza che l'articolo sia stato giudicato diffamatorio o calunnioso in sede penale. Non è necessario, nel nostro sistema. Purtroppo c'è un varco che lo permette, nella nostra legislazione. Ci sarà finchè una oculata riforma dei codici se ne farà carico. Intanto si avvale di questa facoltà non solo Silvio Berlusconi per chiedere milioni di risarcimento alla "Repubblica" e a "l'Unità", i giornali che hanno osato fargli con insistenza domande impertinenti o hanno descritto suoi poco commendevoli comportamenti durante i festini ospitati nelle sue residenze. Se ne avvalgono numerosi amministratori pubblici e fra questi il sindaco di Trapani, Girolamo Fazio, che chiede cinquantamila euro al giornalista Rino Giacalone, corrispondente da Trapani de “La Sicilia", acuto osservatore della sua terra e autore di pepati quanto documentati articoli su Articolo21, sul mensile di Libera "Narcomafie"e sul sito di Libera Informazione.
Il processo avrà inizio domani a Trapani con la prima udienza. Giacalone dovrebbe pagare l'ingente somma per aver osato criticare la decisione del primo cittadino di revocare la deliberazione del consiglio comunale di concedere la cittadinanza onoraria per meriti antimafia all'ex prefetto Fulvio Sodano, il quale, a sua volta, nell'imminenza della cerimonia aveva osato criticare alcune prese di posizione dello stesso Fazio, suscitandone l'ira funesta. Giacalone aveva commentato questa vicenda sul sito di Articolo21, senza nascondere di ritenere ingiustificata la revoca dell'onorificenza all'ex prefetto: "Quando vengono scritte cose che al sindaco di Trapani non piacciono, non si è bollati come mafiosi ma come “professionisti dell'antimafia” che hanno tanti interessi , tranne uno: quello che la mafia venga sconfitta perchè, spiega, si metterebbero in discussione tante carriere e tanti vantaggio. Fazio ha ripetuto ilo suo solito esercizio che è quello delle negazione della realtà, ha ribaltato le cose come in queste stesse ore si è scoperto sta facendo il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro. Per carità, non vogliamo dire che ci siano collegamenti, il caso vuole che, in un pizzino diventato conosciuto adesso, Matteo Messina Denaro grida anche lui al complotto, parla di una nuova inquisizione di Torquemada da strapazzo a proposito di chi indaga e dirige la sua ricerca. Si rivolge così ad uomini che tra le mani utilizzano un codice penale mentre lui tra le mani continua a tenere stretto un codice d'onore sporco del sangue di tanti morti ammazzati. Anche del sangue di giornalisti, di quelli che Fazio, alla pari di altri, magistrati compresi, bolla come professionisti dell'antimafia. Forse “ concludeva Giacalone - è ora che il sindaco di Trapani faccia i nomi e indichi i vantaggi conquistati da ognuno di questi".
Il sindaco se n'è guardato bene. Invece, offeso per l'irrispettoso accostamento all'atteggiamento del boss latitante, ha incaricato il suo avvocato di chiedere una punizione esemplare per quel giornalista che, in un coro di imbarazzati silenzi si ostina a dire ciò che vede con i suoi occhi e pensa con la sua testa: un salasso di 50 mila euro dovrebbe togliergli il vizio, una volta per tutte. Ci sembra difficile che il sindaco Fazio e quanti la pensano come lui possano trovare un giudice che dia loro ragione. La giustizia è una dea bendata, cioè non deve favorire nessun cittadino rispetto a un altro, ma non può avere una mente ottusa, deve distinguere il torto e la ragione al di là dei codicilli da azzeccagarbugli. Dovrà perciò considerare che Giacalone non ha agito a titolo personale, come gratuito avversatore del primo cittadino e delle sue tesi, ma “ piccolo particolare - come giornalista, cioè come rappresentante dell'opinione pubblica e come tale incaricato di raccontare i fatti nella loro completezza, di inquadrarli nel contesto, di sintetizzarli e di interpretarli, per aiutare i cittadini a coglierne il senso effettivo, al di là delle versioni di parte. Se in Italia ci sono giudici disposti a chiudere un occhio e anche l'altro occhio su queste cose, siamo messi proprio male. Una società democratica non può fare a meno della libertà di informazione e di critica sul comportamento dei pubblici amministratori, siano essi sindaci o presidenti del consiglio. A noi piace un paese in cui i personaggi pubblici rispondono alle domande con dichiarazioni esaurienti e convincenti, reagiscono alle critiche cogliendone il lato positivo e confutandone la parte che ritengono ingiusta, lasciano giudicare al giudice penale se una notizia sia calunniosa e diffamatoria, cioè se il cronista o il commentatore abbia agito con dolo. Insomma reagiscano rinunciando all'istinto di mettere a tacere con un colpo di martello i grilli parlanti. Perciò manifestiamo solidarietà a Rino Giacalone e rivolgiamo un appello affinchè il "caso Giacalone" sia inserito nella piattaforma della manifestazione nazionale del 3 ottobre per la libertà di stampa.
Alberto Spampinato direttore di Ossigeno per l'informazione
Roberto Morrione presidente di Liberainformazione
Giuseppe Giulietti portavoce Articolo 21 Liberi Di
Fra i tanti modi di intimidire un giornalista per metterlo a tacere ce n'è uno nel quale l'aggressore veste i pani della vittima, un metodo che ha tutti i crismi della legalità: la citazione in Tribunale del cronista per i presunti danni subiti a seguito della pubblicazione di uno o pù suoi articoli ritenuti ingiusti. Si possono chiedere i danni, senza limitazione d'importo, a un giornalista e al suo giornale, senza che l'articolo sia stato giudicato diffamatorio o calunnioso in sede penale. Non è necessario, nel nostro sistema. Purtroppo c'è un varco che lo permette, nella nostra legislazione. Ci sarà finchè una oculata riforma dei codici se ne farà carico. Intanto si avvale di questa facoltà non solo Silvio Berlusconi per chiedere milioni di risarcimento alla "Repubblica" e a "l'Unità", i giornali che hanno osato fargli con insistenza domande impertinenti o hanno descritto suoi poco commendevoli comportamenti durante i festini ospitati nelle sue residenze. Se ne avvalgono numerosi amministratori pubblici e fra questi il sindaco di Trapani, Girolamo Fazio, che chiede cinquantamila euro al giornalista Rino Giacalone, corrispondente da Trapani de “La Sicilia", acuto osservatore della sua terra e autore di pepati quanto documentati articoli su Articolo21, sul mensile di Libera "Narcomafie"e sul sito di Libera Informazione.
Il processo avrà inizio domani a Trapani con la prima udienza. Giacalone dovrebbe pagare l'ingente somma per aver osato criticare la decisione del primo cittadino di revocare la deliberazione del consiglio comunale di concedere la cittadinanza onoraria per meriti antimafia all'ex prefetto Fulvio Sodano, il quale, a sua volta, nell'imminenza della cerimonia aveva osato criticare alcune prese di posizione dello stesso Fazio, suscitandone l'ira funesta. Giacalone aveva commentato questa vicenda sul sito di Articolo21, senza nascondere di ritenere ingiustificata la revoca dell'onorificenza all'ex prefetto: "Quando vengono scritte cose che al sindaco di Trapani non piacciono, non si è bollati come mafiosi ma come “professionisti dell'antimafia” che hanno tanti interessi , tranne uno: quello che la mafia venga sconfitta perchè, spiega, si metterebbero in discussione tante carriere e tanti vantaggio. Fazio ha ripetuto ilo suo solito esercizio che è quello delle negazione della realtà, ha ribaltato le cose come in queste stesse ore si è scoperto sta facendo il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro. Per carità, non vogliamo dire che ci siano collegamenti, il caso vuole che, in un pizzino diventato conosciuto adesso, Matteo Messina Denaro grida anche lui al complotto, parla di una nuova inquisizione di Torquemada da strapazzo a proposito di chi indaga e dirige la sua ricerca. Si rivolge così ad uomini che tra le mani utilizzano un codice penale mentre lui tra le mani continua a tenere stretto un codice d'onore sporco del sangue di tanti morti ammazzati. Anche del sangue di giornalisti, di quelli che Fazio, alla pari di altri, magistrati compresi, bolla come professionisti dell'antimafia. Forse “ concludeva Giacalone - è ora che il sindaco di Trapani faccia i nomi e indichi i vantaggi conquistati da ognuno di questi".
Il sindaco se n'è guardato bene. Invece, offeso per l'irrispettoso accostamento all'atteggiamento del boss latitante, ha incaricato il suo avvocato di chiedere una punizione esemplare per quel giornalista che, in un coro di imbarazzati silenzi si ostina a dire ciò che vede con i suoi occhi e pensa con la sua testa: un salasso di 50 mila euro dovrebbe togliergli il vizio, una volta per tutte. Ci sembra difficile che il sindaco Fazio e quanti la pensano come lui possano trovare un giudice che dia loro ragione. La giustizia è una dea bendata, cioè non deve favorire nessun cittadino rispetto a un altro, ma non può avere una mente ottusa, deve distinguere il torto e la ragione al di là dei codicilli da azzeccagarbugli. Dovrà perciò considerare che Giacalone non ha agito a titolo personale, come gratuito avversatore del primo cittadino e delle sue tesi, ma “ piccolo particolare - come giornalista, cioè come rappresentante dell'opinione pubblica e come tale incaricato di raccontare i fatti nella loro completezza, di inquadrarli nel contesto, di sintetizzarli e di interpretarli, per aiutare i cittadini a coglierne il senso effettivo, al di là delle versioni di parte. Se in Italia ci sono giudici disposti a chiudere un occhio e anche l'altro occhio su queste cose, siamo messi proprio male. Una società democratica non può fare a meno della libertà di informazione e di critica sul comportamento dei pubblici amministratori, siano essi sindaci o presidenti del consiglio. A noi piace un paese in cui i personaggi pubblici rispondono alle domande con dichiarazioni esaurienti e convincenti, reagiscono alle critiche cogliendone il lato positivo e confutandone la parte che ritengono ingiusta, lasciano giudicare al giudice penale se una notizia sia calunniosa e diffamatoria, cioè se il cronista o il commentatore abbia agito con dolo. Insomma reagiscano rinunciando all'istinto di mettere a tacere con un colpo di martello i grilli parlanti. Perciò manifestiamo solidarietà a Rino Giacalone e rivolgiamo un appello affinchè il "caso Giacalone" sia inserito nella piattaforma della manifestazione nazionale del 3 ottobre per la libertà di stampa.
Alberto Spampinato direttore di Ossigeno per l'informazione
Roberto Morrione presidente di Liberainformazione
Giuseppe Giulietti portavoce Articolo 21 Liberi Di
lunedì 21 settembre 2009
Campofiorito. Arrestata una donna: rubava denaro e oggetti preziosi a casa della cognata
di Cosmo Di Carlo
Ha chiesto il patteggiamento della pena ed è stata giudicata e condannata ad un anno e sei mesi di carcere. La donna, Francesca Calcara, casalinga incensurata di 54 anni, è consigliere comunale e vice-presidente del consiglio di Campofiorito, piccolo centro del palermitano a 12 chilometri da Corleone. Era stata arrestata qualche giorno fa dai carabinieri del Nucleo Investigativo e Radio mobile della compagnia di Corleone, che l’avevano fermata all’uscita dalla casa della cognata che gestiste un esercizio commerciale in paese. Ad incastrare la casalinga una telecamera che l’ha filmata mentre apriva, per l’ennesima volta, la cassaforte ubicata nel salotto dell’abitazione. Ma ecco come si sono svolti i fatti. La cognata della Calcara, in occasione di una sua assenza, le aveva affidato le chiavi di casa affinché provvedesse ad innaffiare le piante del balcone e dell’appartamento. La Calcara, secondo quanto emerso dalle indagini, duplicò le chiavi di casa dei parenti. Ma al ritorno dal loro viaggio la vittima ed i figli hanno avuto la sensazione che dalla cassaforte di casa fossero stati rubati dei soldi. I giovani figli della vittima si sono attrezzati ed hanno installato una piccola telecamera, ben nascosta all’interno di un mobile di fronte alla cassaforte. Qui, infatti, veniva ogni sera rinchiuso l’incasso del loro esercizio commerciale. Poi l’amara sorpresa: dalle immagini registrate dalla telecamera hanno visto con chiarezza la loro parente che entrata furtivamente in casa, prendeva le chiavi della cassaforte, di cui conosceva il nascondiglio, e dopo aver rovistato per qualche minuto asportava una somma di denaro. Immediatamente si sono recati dai Carabinieri di Corleone ed hanno denunciato l’accaduto. I militari dell’Arma hanno quindi predisposto mirati servizi di osservazione per cogliere sul fatto la donna. Qualche giorno fa la casalinga è uscita di casa, è entrata nel negozio della cognata, per sincerarsi che non vi fosse nessuno. Poi, con le chiavi duplicate, è entrata nell’appartamento ed ha messo a segno l’ennesimo piccolo furto. Ma all’uscita ha trovato i carabinieri che l’hanno arrestata per furto e violazione di domicilio. Dopo le formalità di rito, la Calcara è stata tradotta presso la casa circondariale “Pagliarelli” di Palermo e ieri è stata giudicata con rito direttissimo presso il tribunale di Termini Imerese dove ha patteggiato la condanna ad un anno e sei mesi. (*Co.Di.*)
NELLA FOTO: Francesca Calcara, la donna arrestata
Ha chiesto il patteggiamento della pena ed è stata giudicata e condannata ad un anno e sei mesi di carcere. La donna, Francesca Calcara, casalinga incensurata di 54 anni, è consigliere comunale e vice-presidente del consiglio di Campofiorito, piccolo centro del palermitano a 12 chilometri da Corleone. Era stata arrestata qualche giorno fa dai carabinieri del Nucleo Investigativo e Radio mobile della compagnia di Corleone, che l’avevano fermata all’uscita dalla casa della cognata che gestiste un esercizio commerciale in paese. Ad incastrare la casalinga una telecamera che l’ha filmata mentre apriva, per l’ennesima volta, la cassaforte ubicata nel salotto dell’abitazione. Ma ecco come si sono svolti i fatti. La cognata della Calcara, in occasione di una sua assenza, le aveva affidato le chiavi di casa affinché provvedesse ad innaffiare le piante del balcone e dell’appartamento. La Calcara, secondo quanto emerso dalle indagini, duplicò le chiavi di casa dei parenti. Ma al ritorno dal loro viaggio la vittima ed i figli hanno avuto la sensazione che dalla cassaforte di casa fossero stati rubati dei soldi. I giovani figli della vittima si sono attrezzati ed hanno installato una piccola telecamera, ben nascosta all’interno di un mobile di fronte alla cassaforte. Qui, infatti, veniva ogni sera rinchiuso l’incasso del loro esercizio commerciale. Poi l’amara sorpresa: dalle immagini registrate dalla telecamera hanno visto con chiarezza la loro parente che entrata furtivamente in casa, prendeva le chiavi della cassaforte, di cui conosceva il nascondiglio, e dopo aver rovistato per qualche minuto asportava una somma di denaro. Immediatamente si sono recati dai Carabinieri di Corleone ed hanno denunciato l’accaduto. I militari dell’Arma hanno quindi predisposto mirati servizi di osservazione per cogliere sul fatto la donna. Qualche giorno fa la casalinga è uscita di casa, è entrata nel negozio della cognata, per sincerarsi che non vi fosse nessuno. Poi, con le chiavi duplicate, è entrata nell’appartamento ed ha messo a segno l’ennesimo piccolo furto. Ma all’uscita ha trovato i carabinieri che l’hanno arrestata per furto e violazione di domicilio. Dopo le formalità di rito, la Calcara è stata tradotta presso la casa circondariale “Pagliarelli” di Palermo e ieri è stata giudicata con rito direttissimo presso il tribunale di Termini Imerese dove ha patteggiato la condanna ad un anno e sei mesi. (*Co.Di.*)
NELLA FOTO: Francesca Calcara, la donna arrestata
"Rosario Livatino, il giudice ragazzino. un grande esempio di servitore dello Stato"
PALERMO - "Un giovane servitore dello Stato che ci ha lasciato in eredità una preziosa testimonianza di giustizia e legalità". Con queste parole il senatore del Pd Giuseppe Lumia, ricorda la figura di Rosario Livatino, il "giudice ragazzino" ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990. "Il suo impegno - aggiunge Lumia - era animato da un profondo e autentico senso delle istituzioni che ha coltivato con uno studio appassionato, serio, rigoroso e uno stile di vita orientato da autentici valori umani e cristiani". "Nella sua attività di magistrato - ricorda l'esponente del Pd - Livatino si è era occupato della cosiddetta 'Tangentopoli Siciliana', condusse diverse inchieste sulla Stidda e su Cosa nostra. Il suo esempio è un modello di alto senso civile per tutto il nostro Paese".
SCHIFANI: "IL SUO SACRIFICIO NON E' STATO VANO". "Troppo spesso viene dimenticato l'impegno dei servitori dello Stato che nello svolgere con quotidiana dedizione il proprio lavoro hanno rischiato la vita". È quanto si legge in un messaggio del presidente del Senato, Renato Schifani in occasione del diciannovesimo anniversario del barbaro assassinio di Rosario Livatino. "Livatino è stato ucciso - si legge ancora nel messaggio - per difendere i nostri valori più importanti. Ma il suo sacrificio non è stato vano. Ha arricchito le nostre coscienze ed ha contribuito in maniera decisiva alla diffusione della cultura della legalità e della lotta al fenomeno mafioso. Che la sua tragica scomparsa - conclude Schifani - resti un monito forte e imprescindibile per noi tutti a continuare sulla via da lui, come da tanti altri, eroicamente intrapresa".
SONIA ALFANO RICORDA IL GIUDICE-RAGAZZINO. "Rosario Livatino, il 'giudice ragazzino', venne ucciso perché pretendeva di compiere soltanto il proprio dovere, come fanno tanti magistrati impegnati contro Cosa nostra in Sicilia e le altre organizzazioni criminali nel resto del Paese. Morì perché nelle sue inchieste si era occupato di mafia ma anche di politica, senza preoccuparsi se così andava a toccare qualche politico". Così il deputato europeo dell'IdV e presidente dell'Associazione nazionale familiari vittime di mafia, Sonia Alfano, ricorda il giudice Rosario Livatino. "Bisogna ricordarsi di lui - aggiunge - quando magistrati in prima linea vengono attaccati anche da alte cariche delle Istituzioni, quando si cerca di screditare qualcuno solo perché porta avanti inchieste scomode per alcuni settori della politica, quando si cerca di limitare senza senso la libertà d'azione e la ricerca della verità da parte della magistratura".
La Sicilia, 21.09.2009
SCHIFANI: "IL SUO SACRIFICIO NON E' STATO VANO". "Troppo spesso viene dimenticato l'impegno dei servitori dello Stato che nello svolgere con quotidiana dedizione il proprio lavoro hanno rischiato la vita". È quanto si legge in un messaggio del presidente del Senato, Renato Schifani in occasione del diciannovesimo anniversario del barbaro assassinio di Rosario Livatino. "Livatino è stato ucciso - si legge ancora nel messaggio - per difendere i nostri valori più importanti. Ma il suo sacrificio non è stato vano. Ha arricchito le nostre coscienze ed ha contribuito in maniera decisiva alla diffusione della cultura della legalità e della lotta al fenomeno mafioso. Che la sua tragica scomparsa - conclude Schifani - resti un monito forte e imprescindibile per noi tutti a continuare sulla via da lui, come da tanti altri, eroicamente intrapresa".
SONIA ALFANO RICORDA IL GIUDICE-RAGAZZINO. "Rosario Livatino, il 'giudice ragazzino', venne ucciso perché pretendeva di compiere soltanto il proprio dovere, come fanno tanti magistrati impegnati contro Cosa nostra in Sicilia e le altre organizzazioni criminali nel resto del Paese. Morì perché nelle sue inchieste si era occupato di mafia ma anche di politica, senza preoccuparsi se così andava a toccare qualche politico". Così il deputato europeo dell'IdV e presidente dell'Associazione nazionale familiari vittime di mafia, Sonia Alfano, ricorda il giudice Rosario Livatino. "Bisogna ricordarsi di lui - aggiunge - quando magistrati in prima linea vengono attaccati anche da alte cariche delle Istituzioni, quando si cerca di screditare qualcuno solo perché porta avanti inchieste scomode per alcuni settori della politica, quando si cerca di limitare senza senso la libertà d'azione e la ricerca della verità da parte della magistratura".
La Sicilia, 21.09.2009
domenica 20 settembre 2009
Beni confiscati, il primato a Palermo. La cantina Kaggio di Monreale, dopo anni di inattività, assegnata al Consorzio Sviluppo e Legalità
di Norma Ferrara
Con 14.973 beni posti sotto sequestro/confisca, il capoluogo siciliano e' la citta' dove si conferma più alto il numero di patrimoni mafiosi colpiti dai provvedimenti previsti dalla legge109/96. Al secondo posto Roma, che con 11.648 beni supera Reggio Calabria, terza con 5.248. Nonostante Palermo sia capofila fra le città italiane il valore dei beni sequestrati a spostare l'attenzione sulla capitale. A Roma infatti questo arriva sino a 916 milioni e supera di gran lunga quello degli immobili sequestrati a Palermo (42 milioni) o Napoli (29 milioni). Un dato che la dice lunga sulla lungimiranza e sulla forza che hanno assunto gli investimenti criminali nella capitale, assediata da ndrangheta e camorra, che arrivano sino al cuore del centro storico senza incontrare difficoltà, attraverso "scatole cinesi" che camuffano la natura mafiosa dei capitali.I dati resi noti ieri sono stati diffusi dal settimanale "Asud'Europa" edito dal Centro studi Pio La Torre (www.piolatorre.it) di Palermo e si basano sulla relazione annuale del Ministero della giustizia sui beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni mafiose. Un' analisi attenta che prende spunto dall'ultima, in ordine di tempo, fotografia della situazione beni confiscati in Italia.La relazione annuale del Commissario straordinario per i beni confiscati Antonio Maruccia, presentata nel gennaio del 2009 (e relativa all’anno precedente) colloca in Sicilia 271 beni destinati, in Campania 143, 206 in Calabria 206 e 99 in Puglia. La lista prosegue toccando la Lombardia con 165, beni e il Lazio 38, chiudendo con altre regioni nelle quali sono ubicati 44 beni cui la destinazione stata già prevista (966 dunque i beni complessivamente destinati all'ottobre 2008). Secondo la relazione dell'ufficio del guardasigilli ad oggi a Palerm 946 sono i beni sottratti, 590 a Roma e 374 a Milano.Sorprende il dato della Lombardia che dopo l'allarme infiltrazione mafiose lanciato in molte sedi e troppo spesso ignorato, anche attraverso questo dato si conferma avamposto delle mafie al nord, collocandosi (per intenderci) poco sotto la Campania in materia di beni confiscati alle mafie. Analizzando il rapporto beni confiscati/singole regioni e' la Sicilia - secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia - ad attestarsi come prima con oltre 21.141 beni mafiosi passati sotto il controllo dello Stato, di questi 1486 sono stati definitivamente confiscati alla mafia. 3.888 invece i beni sotto confisca in Italia ed il 38% risiede in Sicilia, 625 nel Lazio (16%) e il 13% in Campania.Più delicato e complesso l'iter che invece riguarda le aziende sequestrate e confiscate. I dati resi noti dallufficio del commissario Antonio Maruccia (aggiornati all'ottobre 2008) parlano di 19011 aziende confiscate, 422 aziende confiscate in Sicilia, 210 in Campania, 18 Calabria, 19 in Puglia, 33 in Lombardia, 14 nel Lazio, 14 complessivamente nel resto del territorio nazionale. Alcuni mesi fa Corleone Dialogos e Libera Informazione hanno richiamato lattenzione sulla situazione dei beni confiscati nella provincia di Palermo con un incontro che ha dato l'opportunità di segnalare la situazione di alcune realtà che - a fronte di molte esperienze positive che hanno permesso la nascita delle cooperative del progetto Libera Terra - sono invece rimaste ferme. Inspiegabilmente rallentate da lungaggini burocratiche o da dimenticanze. In particolare l'attenzione era stata posta sulla cantina Kaggio, confiscata ai Riina e rimasta inutilizzata sul territorio di Monreale, dove secondo i dati del demanio (aggiornati al 30 giugno 08) una trentina di beni sono in gestione allo stesso ufficio, altri 13 destinati ma non consegnati, 83 consegnati per un totale di 126 beni sul territorio comunale. Lo scorso agosto arrivata la notizia che in molti aspettavano da tempo per rilanciare lo sviluppo del territorio e riutilizzare un bene troppo a lungo rimasto inattivo. L'inversione di rotta avvenuta, con la cooperazione di molti e la disponibilità dell' amministrazione comunale e l'azienda confiscata stata assegnata al Consorzio Sviluppo e Legalità, che proprio su quei territori opera.Le chiavi di Kaggio sono il simbolo che adesso si potrà cambiare rotta - dichiara il presidente del Consorzio Lucio Guarino ai microfoni di Corleone Dialogos. In passato questo luogo stato purtroppo un simbolo dell incapacità dello Stato di recuperare i beni confiscati alle mafie. Adesso - continua Guarino - lo rimetteremo in moto, facendolo diventare un grosso centro aziendale e di sperimentazione dei prodotti agricoli, nonchè cuore pulsante delle attività culturali del territorio. La cantina Kaggio e tutte le altre aziende che attendono di diventare volano per lo sviluppo del territorio sintetizzano in poche immagini, molta storia e un nuovo futuro il senso della legge 109/96, fortemente voluta dal segretario del Partito Comunista in Sicilia, Pio La Torre, che ha dato forza alla battaglia contro le mafie su quei territori finiti in mano alla criminalità per decenni illecitamente sottratti alla collettività.
Da LiberaInformazioni
Consegna chiavi Cantina Kaggio (Foto Dialogos)
Con 14.973 beni posti sotto sequestro/confisca, il capoluogo siciliano e' la citta' dove si conferma più alto il numero di patrimoni mafiosi colpiti dai provvedimenti previsti dalla legge109/96. Al secondo posto Roma, che con 11.648 beni supera Reggio Calabria, terza con 5.248. Nonostante Palermo sia capofila fra le città italiane il valore dei beni sequestrati a spostare l'attenzione sulla capitale. A Roma infatti questo arriva sino a 916 milioni e supera di gran lunga quello degli immobili sequestrati a Palermo (42 milioni) o Napoli (29 milioni). Un dato che la dice lunga sulla lungimiranza e sulla forza che hanno assunto gli investimenti criminali nella capitale, assediata da ndrangheta e camorra, che arrivano sino al cuore del centro storico senza incontrare difficoltà, attraverso "scatole cinesi" che camuffano la natura mafiosa dei capitali.I dati resi noti ieri sono stati diffusi dal settimanale "Asud'Europa" edito dal Centro studi Pio La Torre (www.piolatorre.it) di Palermo e si basano sulla relazione annuale del Ministero della giustizia sui beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni mafiose. Un' analisi attenta che prende spunto dall'ultima, in ordine di tempo, fotografia della situazione beni confiscati in Italia.La relazione annuale del Commissario straordinario per i beni confiscati Antonio Maruccia, presentata nel gennaio del 2009 (e relativa all’anno precedente) colloca in Sicilia 271 beni destinati, in Campania 143, 206 in Calabria 206 e 99 in Puglia. La lista prosegue toccando la Lombardia con 165, beni e il Lazio 38, chiudendo con altre regioni nelle quali sono ubicati 44 beni cui la destinazione stata già prevista (966 dunque i beni complessivamente destinati all'ottobre 2008). Secondo la relazione dell'ufficio del guardasigilli ad oggi a Palerm 946 sono i beni sottratti, 590 a Roma e 374 a Milano.Sorprende il dato della Lombardia che dopo l'allarme infiltrazione mafiose lanciato in molte sedi e troppo spesso ignorato, anche attraverso questo dato si conferma avamposto delle mafie al nord, collocandosi (per intenderci) poco sotto la Campania in materia di beni confiscati alle mafie. Analizzando il rapporto beni confiscati/singole regioni e' la Sicilia - secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia - ad attestarsi come prima con oltre 21.141 beni mafiosi passati sotto il controllo dello Stato, di questi 1486 sono stati definitivamente confiscati alla mafia. 3.888 invece i beni sotto confisca in Italia ed il 38% risiede in Sicilia, 625 nel Lazio (16%) e il 13% in Campania.Più delicato e complesso l'iter che invece riguarda le aziende sequestrate e confiscate. I dati resi noti dallufficio del commissario Antonio Maruccia (aggiornati all'ottobre 2008) parlano di 19011 aziende confiscate, 422 aziende confiscate in Sicilia, 210 in Campania, 18 Calabria, 19 in Puglia, 33 in Lombardia, 14 nel Lazio, 14 complessivamente nel resto del territorio nazionale. Alcuni mesi fa Corleone Dialogos e Libera Informazione hanno richiamato lattenzione sulla situazione dei beni confiscati nella provincia di Palermo con un incontro che ha dato l'opportunità di segnalare la situazione di alcune realtà che - a fronte di molte esperienze positive che hanno permesso la nascita delle cooperative del progetto Libera Terra - sono invece rimaste ferme. Inspiegabilmente rallentate da lungaggini burocratiche o da dimenticanze. In particolare l'attenzione era stata posta sulla cantina Kaggio, confiscata ai Riina e rimasta inutilizzata sul territorio di Monreale, dove secondo i dati del demanio (aggiornati al 30 giugno 08) una trentina di beni sono in gestione allo stesso ufficio, altri 13 destinati ma non consegnati, 83 consegnati per un totale di 126 beni sul territorio comunale. Lo scorso agosto arrivata la notizia che in molti aspettavano da tempo per rilanciare lo sviluppo del territorio e riutilizzare un bene troppo a lungo rimasto inattivo. L'inversione di rotta avvenuta, con la cooperazione di molti e la disponibilità dell' amministrazione comunale e l'azienda confiscata stata assegnata al Consorzio Sviluppo e Legalità, che proprio su quei territori opera.Le chiavi di Kaggio sono il simbolo che adesso si potrà cambiare rotta - dichiara il presidente del Consorzio Lucio Guarino ai microfoni di Corleone Dialogos. In passato questo luogo stato purtroppo un simbolo dell incapacità dello Stato di recuperare i beni confiscati alle mafie. Adesso - continua Guarino - lo rimetteremo in moto, facendolo diventare un grosso centro aziendale e di sperimentazione dei prodotti agricoli, nonchè cuore pulsante delle attività culturali del territorio. La cantina Kaggio e tutte le altre aziende che attendono di diventare volano per lo sviluppo del territorio sintetizzano in poche immagini, molta storia e un nuovo futuro il senso della legge 109/96, fortemente voluta dal segretario del Partito Comunista in Sicilia, Pio La Torre, che ha dato forza alla battaglia contro le mafie su quei territori finiti in mano alla criminalità per decenni illecitamente sottratti alla collettività.
Da LiberaInformazioni
Consegna chiavi Cantina Kaggio (Foto Dialogos)
In memoria di padre Pino Puglisi
di Francesco Palazzo
Le circostanze che portarono all´eliminazione del giudice Borsellino, nel luglio del 1992, e alla strategia stragista di Cosa nostra in continente, nel 1993, sembrano oggi mettere in primo piano, sebbene molto sia ancora da chiarire e approfondire, la mafia di Brancaccio. Non è fuori luogo ricordarlo in questa settimana, in cui si è ricordato il sedicesimo anniversario della morte per mano mafiosa di Don Pino Puglisi. Egli, intendendo fare al meglio solo il prete, venne verosimilmente a scontrarsi non con una semplice cosca mafiosa. Questo già avveniva in altre parrocchie di Palermo. Nella stessa comunità cristiana di S.Gaetano, dove Puglisi spese i suoi ultimi tre anni di vita, vi era stato in precedenza, dal 1985 al 1989 un altro parroco, Rosario Giuè, che aveva, davvero per la prima volta in quel territorio, portato e costruito un sentire antimafioso, sia dentro il tempio che fuori. Solo che ai tempi di Puglisi, e oggi è possibile inquadrare meglio il tutto, lo scontro tra quanti volevano portare a Brancaccio un impegno cristiano, sociale e antimafioso e i cosiddetti uomini d´onore, non riguardava soltanto aspetti legati a pur importanti questioni locali. La rete della violenza mafiosa, che cade sull´inerme sacerdote la sera del 15 settembre 1993, mentre si apprestava a mettere le chiavi sull´uscio di casa dopo una giornata di duro lavoro, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, era stata il larga parte tessuta in un contesto molto più ampio. Che, da Brancaccio, attraversava tutta la Sicilia e aveva uno dei suoi punti di protezione, e anche qui speriamo presto di saperne di più, in qualche centrale di potere vestita esternamente di legalità, ma dentro pronta a trattare, coprire, suggerire. Puglisi, certo inconsapevole dello scacchiere immenso entro cui la sua azione si muoveva, restò schiacciato in questa enorme tenaglia criminale che non ci pensò due volte ad abbattere un rappresentante della chiesa. Non era la prima volta che accadeva e non sarebbe stata l´ultima. Ricordiamo che nel marzo dell´anno seguente cadrà, a Casal di Principe, Beppe Diana. Ma era la prima volta che un rappresentante del clero veniva eliminato all´interno di un disegno che trovava il pretesto omicidiario in un determinato quartiere periferico, ma che rispondeva a logiche molto più complesse e ingarbugliate. Certo, la cosca di Brancaccio, in quel momento nella stanza dei bottoni dell´ala più sanguinaria del potere mafioso, aveva qualche problema nel far passare l´omicidio come normale amministrazione. E´ noto a tutti il fatto che venne utilizzata un´arma che in genere i tiratori scelti del gruppo di fuoco disdegnavano per le esecuzioni, in modo che la morte di Puglisi potesse passare come il tragico epilogo di un tentativo di rapina. E´ forse meno noto che, per incoraggiare tale quadro investigativo, qualche tempo dopo, in una delle vie adiacenti Piazza Anita Garibaldi, dove cadde Puglisi, fu fatto trovare in un´auto il corpo senza vita di un anonimo delinquente di borgata. In modo da fornire a tutti la certezza che la mafia aveva fatto giustizia. Il fatto non balzò all´attenzione dell´opinione pubblica perché gli uomini delle cosche non riuscirono, all´inizio pare fosse questo il loro intendimento, a lasciare quel cadavere nella stessa piazza, dalla sera dell´omicidio costantemente presidiata. Ed era forse un tentativo messo in atto, non tanto e non solo per giustificarsi con la chiesa, ma per impedire che il tassello dell´omicidio Puglisi venisse posto nel giusto spazio. Ossia dentro quel piano di attacco frontale a certi uomini, compreso Puglisi, che difendevano, da postazioni diverse, lo Stato e la democrazia con la schiena dritta, mentre altri cercavano di porre in essere giochi oscuri. Messa così, la verità, tutta, su quegli anni, se mai si arriverà a conoscerla per intero, sarebbe un omaggio anche al prete Pino Puglisi. Morto, a prima vista, a Brancaccio e solo per Brancaccio. Ma anche e soprattutto per custodire, a mani nude, solo con l´ausilio della sua fede e della sua operosa speranza, in una battaglia molto più grande del suo esile corpo, il futuro di questo paese.
Da “Centonove” del 18.09.2009
Da “Centonove” del 18.09.2009
Campi di lavoro antimafia. Secondo giorno di lavoro a Canicattì (Ag)
Secondo giorno di vendemmia a Canicattì. Oggi giunti nella vigna all’orario previsto abbiamo iniziato la raccolta dei grappoli di buona lena e poco dopo il nostro arrivo siamo stati raggiunti dagli altri soci partiti all’alba da Corleone. A partire da stamani Elio, un ragazzo di Canicattì che collabora con l’Arci, ci ha aiutato nel nostro lavoro nei campi come nuovo volontario. L’uva “Grillo”, vendemmiata oggi,abbondava nei filari ,e per la gioia dei volontari era imbrigliata tra i rami e difficile da liberare. Numerose bottiglie d’acqua dopo la truppa dei cuochi ci ha soccorso con i viveri. Dopo esserci rifocillati e rinfrescati all’ombra del granaio ci siamo rimessi in moto coadiuvati anche dagli impavidi cuochi. Improvvisamente una delle volontarie ha ricevuto telefonicamente una notizia fortemente attesa: l’ammissione alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano!!! Margherita si è addirittura collocata con un ottimo punteggio nella graduatoria con il miglior voto a matematica!! Oh, su tutta Milano! Evviva! Si è deciso che i festeggiamenti avranno luogo domani durante la visita a Sciacca. I nostri sforzi della giornata di vendemmia sono stati ricompensati dalla notizia di aver portato alla cantina 80 quintali di uva! Dopo esserci docciati e profumati ci attendeva al palazzo comunale l’incontro con le autorità locali: sindaco, presidente del consiglio comunale, rappresentanti delle forze dell’ordine, amici dell’Arci ed alcuni cittadini di Canicattì. Al termine dell’ incontro ci attendeva un ricco buffet sul quale si e’ fiondato in primis Filippo, il cuoco del campo di Corleone arrivato stamani col gruppo. Naturalmente questo non e’ bastato per evitare la cena a base di cotolette e patatine fritte, il tutto accompagnato dall’ottimo bianco “Limpiu” frutto della vendemmia dello scorso anno a cui hanno partecipato anche alcuni dei volontari di questo campo. Ilarità a go-go: ormai stiamo entrando in confidenza e ognuno dà il meglio(?) di sè.. anche i soci della cooperativa..!! Si ride si scherza e si fa du’ chiacchiere mentre ci accingiamo ad adagiarci sulle favolose e consistenti brande che ci cullano nella loro accogliente struttura a conca, tanto utile al meritato riposo fino alla prossima sveglia. Buonanotte a chi legge.
Margherita e Anna
Canicattì ,18 settembre 2009
FOTO. L'incontro col sindaco di Canicattì
Margherita e Anna
Canicattì ,18 settembre 2009
FOTO. L'incontro col sindaco di Canicattì
giovedì 17 settembre 2009
Il Csm stoppa la nomina di Salvatore Cirignotta a manager dell'Asp di Palermo
"Non c'é alcun interesse dell'amministrazione della giustizia" allo svolgimento da parte del giudice del lavoro di Roma Salvatore Cirignotta dell'incarico di direttore generale dell'Azienda sanitaria provinciale di Palermo, che ricopre dal primo settembre scorso e che gli è stato assegnato dalla Regione Sicilia. Con questa motivazione il plenum del Csm ha respinto all'unanimità la richiesta del magistrato di essere collocato fuori ruolo per lo svolgimento delle sue nuove funzioni. Il suo caso era stato segnalato la scorsa settimana al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, titolari dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati, dai consiglieri del Movimento per la Giustizia, che gli contestano di aver assunto il nuovo incarico prima della pronuncia del Csm. Palazzo dei marescialli dovrà esprimersi ora su altre due richieste del magistrato, alternative tra di loro: la concessione dell'aspettativa o l'accettazione delle dimissioni dall'ordine giudiziario.
Fonte: ansa, 17 settembre 2009
Fonte: ansa, 17 settembre 2009
Il direttore generale dell'Asp di Palermo, Salvatore Cirignotta: "L'ospedale di Corleone non chiuderà, anzi sarà potenziato"
di Cosmo Di Carlo
«L’ospedale di Corleone non rischia la chiusura, semmai nel tempo un potenziamento». Lo ha detto ieri mattina nell’aula consiliare di Corleone il nuovo direttore generale dell’Azienda Sanitaria Provinciale Salvatore Cirignotta. La visita a Corleone del direttore della Azienda Sanitaria Provinciale più grande d’Italia, che è succeduto dal primo settembre a Salvatore Iacolino, eletto deputato al parlamento europeo, ha portato serenità ed attese dopo le preoccupazioni seguite all’atto deliberativo del suo predecessore, che il 28 agosto, nell’intento di rimodulare la rete ospedaliera provinciale, aveva soppresso l’unità operativa di geriatria dell’ospedale cittadino, provocando le proteste di tutti i sindaci del comprensorio, che avevano gridato al “ tradimento”. Ieri i sindaci della zona erano tutti presenti all’incontro con Salvatore Cirignotta. In mattinata il nuovo direttore sanitario aveva visitato l’Ospedale cittadino, rimanendo favorevolmente colpito «dalla professionalità degli operatori e di tutto il personale sanitario, dalla pulizia e dalla dimensione umana con cui i ricoverati vengono assistiti». Cirignotta ha anche assicurato che «il reparto di ostetricia e ginecologia è insostituibile e non chiuderà. Mi riservo poi di scrivere al sindaco sulla possibilità di reperire dei finanziamenti per il completamento della nuova ala del presidio Dei Bianchi». «Cirignotta – dice il sindaco Iannazzo – ha compreso la situazione del Corleonese e di tutto il territorio della provincia di Palermo. La riforma del sistema sanitario ha creato diffidenza. E molti cittadini pensano vi siano dei punti poco chiari, come ad esempio, sulla rifunzionalizzazione del sistema dei tre ospedali del territorio Corleone-Partinico-Palazzo Adriano». «Abbiamo una struttura sanitaria buona – aggiunge il sindaco - certamente migliorabile, anche se sappiamo che per ora non possiamo chiedere la luna all’Azienda. Però quando sento che la geriatria potrebbe chiudere credo ci sia un’incongruenza». L’ottimizzazione dei servizi, secondo il nuovo direttore generale passa attraverso una integrazione tra i servizi del territorio ed i presidi ospedalieri. «E’ arrivata prima la rimodulazione dei presidi ospedalieri. Se contestualmente fossero stati attivati servizi territoriali integrativi la gente non si sarebbe preoccupata. Ma che non si confonda la giusta ansia dei cittadini con le preoccupazioni dei primari!». «A Palermo – ha spiegato Cirignotta - vi sono quattro centri prelievi aziendali e spostarsi da un punto all’altro è solo questione di qualche chilometro. Diversa e la situazione nei comuni di un distretto, dove un anziano per avere il servizio deve affrontare un viaggio di decine di chilometri». «Le nostre posizioni – ha dichiarato il direttore Cirignotta – non sono molto diverse. C’è un’esigenza complessiva di salute nel territorio, con delle risorse da destinare e ottimizzare. Sono qui per collaborare e per aumentare le prestazioni offerte ai cittadini». Una rassicurazione di Cirignotta ha riguardato anche i lavoratori dell’Azienda sanitaria provinciale: «Non ci sono licenziamenti in vista – ha detto il nuovio direttore generale-. Al massimo i lavoratori cambieranno reparto. Il cambiamento non deve farci paura. L’obiettivo da raggiungere è dare più servizi di qualità agli utenti».
FOTO. Il direttore generale dell'Azienda Sanitaria Provinciale, Salvatore Cirignotta
«L’ospedale di Corleone non rischia la chiusura, semmai nel tempo un potenziamento». Lo ha detto ieri mattina nell’aula consiliare di Corleone il nuovo direttore generale dell’Azienda Sanitaria Provinciale Salvatore Cirignotta. La visita a Corleone del direttore della Azienda Sanitaria Provinciale più grande d’Italia, che è succeduto dal primo settembre a Salvatore Iacolino, eletto deputato al parlamento europeo, ha portato serenità ed attese dopo le preoccupazioni seguite all’atto deliberativo del suo predecessore, che il 28 agosto, nell’intento di rimodulare la rete ospedaliera provinciale, aveva soppresso l’unità operativa di geriatria dell’ospedale cittadino, provocando le proteste di tutti i sindaci del comprensorio, che avevano gridato al “ tradimento”. Ieri i sindaci della zona erano tutti presenti all’incontro con Salvatore Cirignotta. In mattinata il nuovo direttore sanitario aveva visitato l’Ospedale cittadino, rimanendo favorevolmente colpito «dalla professionalità degli operatori e di tutto il personale sanitario, dalla pulizia e dalla dimensione umana con cui i ricoverati vengono assistiti». Cirignotta ha anche assicurato che «il reparto di ostetricia e ginecologia è insostituibile e non chiuderà. Mi riservo poi di scrivere al sindaco sulla possibilità di reperire dei finanziamenti per il completamento della nuova ala del presidio Dei Bianchi». «Cirignotta – dice il sindaco Iannazzo – ha compreso la situazione del Corleonese e di tutto il territorio della provincia di Palermo. La riforma del sistema sanitario ha creato diffidenza. E molti cittadini pensano vi siano dei punti poco chiari, come ad esempio, sulla rifunzionalizzazione del sistema dei tre ospedali del territorio Corleone-Partinico-Palazzo Adriano». «Abbiamo una struttura sanitaria buona – aggiunge il sindaco - certamente migliorabile, anche se sappiamo che per ora non possiamo chiedere la luna all’Azienda. Però quando sento che la geriatria potrebbe chiudere credo ci sia un’incongruenza». L’ottimizzazione dei servizi, secondo il nuovo direttore generale passa attraverso una integrazione tra i servizi del territorio ed i presidi ospedalieri. «E’ arrivata prima la rimodulazione dei presidi ospedalieri. Se contestualmente fossero stati attivati servizi territoriali integrativi la gente non si sarebbe preoccupata. Ma che non si confonda la giusta ansia dei cittadini con le preoccupazioni dei primari!». «A Palermo – ha spiegato Cirignotta - vi sono quattro centri prelievi aziendali e spostarsi da un punto all’altro è solo questione di qualche chilometro. Diversa e la situazione nei comuni di un distretto, dove un anziano per avere il servizio deve affrontare un viaggio di decine di chilometri». «Le nostre posizioni – ha dichiarato il direttore Cirignotta – non sono molto diverse. C’è un’esigenza complessiva di salute nel territorio, con delle risorse da destinare e ottimizzare. Sono qui per collaborare e per aumentare le prestazioni offerte ai cittadini». Una rassicurazione di Cirignotta ha riguardato anche i lavoratori dell’Azienda sanitaria provinciale: «Non ci sono licenziamenti in vista – ha detto il nuovio direttore generale-. Al massimo i lavoratori cambieranno reparto. Il cambiamento non deve farci paura. L’obiettivo da raggiungere è dare più servizi di qualità agli utenti».
FOTO. Il direttore generale dell'Azienda Sanitaria Provinciale, Salvatore Cirignotta
L'irruenza faziosa del sindaco Iannazzo...
Con un’irruenza decisionista degna di miglior causa, il sindaco di Corleone Nino Iannazzo aveva già “convocato” il nuovo direttore generale dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, dott. Salvatore Cirignotta, per lo scorso 3 settembre. Ma questi gli aveva garbatamente fatto notare che si era insediato il 1° settembre e che, prima di fare un incontro sulle sorti della sanità nel Corleonese, aveva bisogno di “leggere le carte” e cominciare a capire. Ed ha proposto un rinvio al 17 settembre. Anche ieri, però, Iannazzo ha parlato abbastanza “sopra le righe”, ammettendo di essere “arrabbiato e deluso”. Arrabbiato e deluso da chi e di che cosa? Sicuramente dal suo “amico” Salvatore Iacolino, precedente direttore generale dell’Asl 6, che Iannazzo & C. hanno votato e fatto votare alle scorse elezioni europee. E sicuramente per la soppressione non concertata dell’Unità Operativa di Geriatria nell’Ospedale di Corleone. Soppressione decisa nell’ambito della delibera di rimodulazione della rete ospedaliera, adottata da Iacolino il 28 agosto, tre giorni prima di cessare dalla carica. All’on. Salvatore Iacolino, parlamentare europeo, però, né Iannazzo, né il presidente del consiglio comunale Mario Lanza hanno osato fare una critica. Lanza addirittura l’ha ringraziato. Di cosa? Dell’avere conferito l’incarico di direttore del Distretto di Corleone al dott. Giuseppe Perconti, facendo fuori il medico corleonese Liborio Moscato, che quella funzione l’aveva esercitato per tre mesi? Più facile “aggredire” il nuovo direttore generale, nominato da un assessore regionale alla sanità, che proprio “amico” di Iacolino non era. Ma si tratta di politica politicante, che squalifica chi la esercita.
I cittadini, invece, vogliono capire che futuro ci sarà per la sanità nella zona del Corleonese. Al riguardo, Cirignotta ha detto che l’ospedale non chiuderà, ma anzi sarà potenziato, probabilmente trovando anche i finanziamenti per completare la seconda ala. Ha detto che non chiuderà l’ostetricia e la ginecologia, che considera un servizio essenziale. Ha detto che cancellerà i sei posti-letto dell’U.O. di Geriatria ma solo quando potrà attivare i nuovi 18 posti-letto per lungodegenti. Ha detto anche che pensa ad un potenziamento dei servizi territoriali. Che non esclude l’attivazione di un servizio per i pazienti che devono sottoporsi a sedute di chemioterapia, risparmiando loro i terribili viaggi a Palermo o a Bagheria. Che non esclude nemmeno un servizio che garantisca gli interventi di catarratta in regime ambulatoriale. Manterrà questi impegni? Staremo a vedere e vigileremo, senza i pregiudizi faziosi di Iannazzo & Soci.
(d.p.)
FOTO. Un momento dell'incontro con Cirignotta nella sala consiliare del comune di Corleone
I cittadini, invece, vogliono capire che futuro ci sarà per la sanità nella zona del Corleonese. Al riguardo, Cirignotta ha detto che l’ospedale non chiuderà, ma anzi sarà potenziato, probabilmente trovando anche i finanziamenti per completare la seconda ala. Ha detto che non chiuderà l’ostetricia e la ginecologia, che considera un servizio essenziale. Ha detto che cancellerà i sei posti-letto dell’U.O. di Geriatria ma solo quando potrà attivare i nuovi 18 posti-letto per lungodegenti. Ha detto anche che pensa ad un potenziamento dei servizi territoriali. Che non esclude l’attivazione di un servizio per i pazienti che devono sottoporsi a sedute di chemioterapia, risparmiando loro i terribili viaggi a Palermo o a Bagheria. Che non esclude nemmeno un servizio che garantisca gli interventi di catarratta in regime ambulatoriale. Manterrà questi impegni? Staremo a vedere e vigileremo, senza i pregiudizi faziosi di Iannazzo & Soci.
(d.p.)
FOTO. Un momento dell'incontro con Cirignotta nella sala consiliare del comune di Corleone
Corleone. Campi di lavoro antimafia. L'incontro con Anna Bucca e Luciana Castellina
Questa mattina la nostra carovana di lavoratori, insieme agli amici di Firenze, ha trovato i campi in buone condizioni, la raccolta è stata produttiva. Al ritorno dal lavoro mattutino, ci aspetta un pomeriggio piuttosto intenso. Alcuni di noi visitano, insieme ai ragazzi della cooperativa, lo stabilimento dove vengono confezionati alcuni prodotti, per tutti, nel tardo pomeriggio, in programma c’è l’incontro con due donne molto importanti per il loro rapporto con la cooperativa e per la loro esperienza: Anna Bucca, presidente di ARCI Sicilia, e Luciana Castellina, storico membro del partito comunista e della sinistra italiana. Luciana racconta ai ragazzi presenti la sua esperienza di donna impegnata in politica in Italia e in Europa. In particolare ci colpisce il parallelo storico fra la sua esperienza nei campi di lavoro in Jugoslavia nel dopoguerra e l’impegno dei giovani di oggi in un’esperienza, senz’altro diversa, ma altrettanto importante e significativa. Dalle sue parole traspare il coraggio di una generazione che è stata capace di battersi per ciò in cui credeva, a volte anche a caro prezzo, coraggio che ci affascina e ci stimola. Qualcuno dei presenti si interessa della sua attività di docente e offre lo spunto per una riflessione su un tema fondamentale nel mondo d’oggi: il rapporto fra culture differenti e globalizzazione. In un momento storico in cui le diversità sono utilizzate per creare divisioni e contrapposizioni, citando un importante teorico letterario palestinese, Edward Said, ci invita a vivere il momento del confronto con l’altro come l’occasione per arricchire il nostro bagaglio culturale, ma anche per ridimensionare il proprio universo culturale e i propri valori alla luce del confronto con la diversità. L’incontro si conclude con l’invito di Luciana a tutti i giovani presenti a non rinunciare a lottare per i valori in cui credono. Le nostre ospiti si trattengono a cena con noi e a tavola continua lo scambio fra i ragazzi, Anna e Luciana, che si interessano della storia personale di alcuni di noi, danno consigli ai più giovani che sono all’inizio del loro percorso di studi, scambiano impressioni e pareri sui temi più vari. Siamo tutti arricchiti e incoraggiati dall’incontro con queste donne, stimolati ancor più a mettere a frutto il tempo che ancora ci resta da passare qui, portando con noi questi messaggi. Alla serata hanno preso parte anche le mogli dei soci della cooperativa, donne che condividono i sacrifici e l’impegno dei propri mariti. Cogliamo l’occasione per festeggiarli e ringraziarli insieme per la loro accoglienza e disponibilità con un piccolo dono.
15 settembre 2009
15 settembre 2009
lunedì 14 settembre 2009
Corleone. L'incapacità amministrativa del sindaco Iannazzo & C. fa slittare l'inizio dell'anno scolastico alle elementari e alle medie
Come in tutta Italia, anche a Corleone lunedì 14 settembre doveva avere inizio l’anno scolastico per gli alunni della scuola elementare e della scuola media. Doveva, perché – se tutto finirà bene – il primo giorno di scuola è stato rinviato a venerdì-sabato prossimi, grazie alla “grande” capacità di programmazione dell’amministrazione comunale. Da metà giugno, infatti, sono in corso i lavori di consolidamento e ristrutturazione del plesso “De Gasperi” della Scuola elementare, il fine-lavori è previsto a febbraio 2010, ma il sindaco Nino Iannazzo (“assistito” dall’assessore ai lavori pubblici Stefano Gambino) e l’assessore alla Pubblica Istruzione Pio Siragusa hanno dormito il sonno degli “ingiusti”. Solo ad agosto si sono chiesti dove mettere gli alunni (accarezzavano l’idea – stolta – dei doppi turni) e in fretta e furia hanno pubblicato un bando per reperire locali in affitto, trovandone tre (l’ex sede del liceo scientifico, l’ex sede dell’istituto per geometri e S. Chiara). Ma bisogna farci dei lavori e allora, forza con il rinvio dell’anno scolastico! A giugno, ci eravamo permessi di “consigliare” al sindaco e agli assessori (un consigliere serve a questo, no?) di proporre all’impresa di attivare due turni di lavoro nelle 24 ore, per dimezzarne la durata ed avere l’edificio consegnato a metà settembre. “La ditta non accetterà mai!”, fu la risposta. Insieme all’altra: “Quanto ci verrebbe a costare?”. La domanda adesso la facciamo noi: quanto verranno a costare tre affitti? E quanto verrà a costare in termini culturali ed educativi la perdita di una settimana (e basta?) di scuola?
Ancora più incredibile il motivo per cui è stato rinviato l’inizio dell’anno scolastico alla scuola media. Bisognava finire di tinteggiare qualche aula! Tutta l’estate non è bastata per tinteggiare le aule, bisognava ridursi proprio all’inizio dell’anno scolastico. E dato che parliamo di scuola, che voto dareste ad amministratori come Iannazzo, Gambino e Siragusa?
(d.p.)
FOTO. Dall'alto: l'ingresso della scuola elementare; la scuola media.
Ancora più incredibile il motivo per cui è stato rinviato l’inizio dell’anno scolastico alla scuola media. Bisognava finire di tinteggiare qualche aula! Tutta l’estate non è bastata per tinteggiare le aule, bisognava ridursi proprio all’inizio dell’anno scolastico. E dato che parliamo di scuola, che voto dareste ad amministratori come Iannazzo, Gambino e Siragusa?
(d.p.)
FOTO. Dall'alto: l'ingresso della scuola elementare; la scuola media.
domenica 13 settembre 2009
Il misilmerese Saitta tra le comparse del film di Tornatore. Un tammurinaro a "Baarìa"
È stato annunciato come un kolossal “Baarìa”, l’ultimo film di Giuseppe Tornatore, che uscirà nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 25 settembre. Un cast d’eccezione quello selezionato dal regista bagherese: Laura Chiatti, Beppe Fiorello, Ficarra e Picone, Leo Gullotta, Nino Frassica, Michele Placido, Raoul Bova e Monica Bellucci alcuni dei nomi più importanti. Tra le circa mille comparse di Baarìa, che ha aperto la 66a Edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, c’è anche il misilmerese Vincenzo Saitta (nella foto con Tornatore), 24 anni e a capo del Gruppo “Tamburinai San Giusto”. Lo abbiamo incontrato e gli abbiamo chiesto di raccontare la sua avventura a fianco di alcuni big del cinema nazionale.
Vincenzo, come ha avuto inizio questa tua singolare esperienza?
Beh, è successo tutto davvero troppo in fretta. Una sera di maggio mi trovavo in macchina dopo aver finito di suonare vicino Trapani quando, con una telefonata, un mio amico, Claudio Pesco, mi dice di preparare i bagagli. Sarebbe passato il mattino seguente: direzione Tunisia (dove Tornatore ha ricreato la Bagheria di mezzo secolo fa, ndr).
Catapultato in un altro mondo, in un altro tempo…
Esatto, proprio così. Non ho avuto nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo attorno a me. Una settimana in Tunisia alla corte di uno dei più grandi registi italiani.
E “’u tammurino”…?
Sempre con me! Per questo mi trovo nel film. Insieme ad altri ragazzi suoniamo nelle due scene che mostrano la processione di San Giuseppe.
Che ambiente hai trovato?
Su questo devo dire che l’ambiente è familiare e professionale allo stesso tempo. È tutta gente che ci sa fare, disponibilissima, dal semplice operatore fino a Peppuccio. …
E già Peppuccio…e com’è lavorare con un Premio Oscar?
Fantastico! È una persona coltissima e molto alla mano. Scherzava con noi e mangiavamo insieme a mensa. Sul set era intransigente poi, però, era socievole con tutti. Con gli altri membri del cast? Io ho avuto l’onore di lavorare con la protagonista Margareth Madè e Beppe Fiorello. Con lui ho instaurato un rapporto d’amicizia. Oltre a pranzare insieme, mangiavamo insieme “calia e simenza” tra una chiacchierata e l’altra in dialetto. Figùrati che ha anche voluto provare a suonare il mio tamburo. La cosa bella è che tu stai a contatto per giorni interi con gente che credi inarrivabile e che poi, invece, si dimostra tutt’altra cosa arrivando, addirittura, a chiamarti per nome. Lì per lì non ci rifletti ma poi, a pensarci, è davvero incredibile.
Cosa ti ha dato questa esperienza?
Mi ha dato tanto! È stata un’avventura indimenticabile, qualcosa che ha segnato la mia vita. Di certo mi ha fatto crescere.
Qualche curiosità, aneddoto da raccontare?
Sì, sì! Ci sarebbe da scrivere un libro. Quelle più belle sono due. La prima è che quattro degli otto tamburi che si vedono nel film sono di mia proprietà. La seconda è che le “placche” di San Giuseppe che usano gli attori durante le scene della processione sono della nostra congregazione misilmerese. Com’è possibile?! Servivano a Tornatore. Da Bagheria non sono arrivate. Allora mi sono messo a disposizione e, dalla Tunisia, ho chiamato Andrea Bonanno, il superiore, che in poche ore ha fatto arrivare sul set 5 placche. L’indomani mattina gli operai ne avevano riprodotte un migliaio sul calco delle poche arrivate da Misilmeri.
Questo sì che è davvero interessante! Beh, Vincenzo, in quale altro kolossal ti rivedremo adesso?
(Ride) Ma quale kolossal?! Sono stato solo una comparsa e già a casa mi chiamano tutti “attore”! Probabilmente, però, nei prossimi giorni, parteciperò alle riprese della seconda stagione della fiction Agrodolce, sempre suonando lo strumento a cui sono legato da quando avevo sei anni.
Grazie e buon lavoro!
Grazie a voi per questa possibilità.
Una partecipazione importante, dunque, quella misilmerese in Baarìa. Oltre al già affermato Valentino Picone adesso anche la comparsa Saitta. Alcune indiscrezioni dicono, però, che alcune scene siano state girate anche nella nostra cittadina. Si parla di un “blitz” notturno del regista, vincitore, tra l’altro, dell’ultimo “Premio Rocco Chinnici – Città di Misilmeri – La cultura per la legalità”, che, insieme alla sua troupe, abbia ambientato una parte del suo capolavoro sulla scalinata della Chiesa Madre e, probabilmente, anche in alcune stanze del Municipio. Non è da escludere quindi la partecipazione di altri misilmeresi e, perché no, anche quella di alcuni politici locali; solo leggenda o realtà? Lo sapremo tra qualche giorno. In allegato alcune foto del set tunisino gentilmente concesse da Vincenzo Saitta.
Sebastiano Corso
Da: Misilmeri News
FOTO. Vincenzo Saitta e Peppuccio Tornatore
Vincenzo, come ha avuto inizio questa tua singolare esperienza?
Beh, è successo tutto davvero troppo in fretta. Una sera di maggio mi trovavo in macchina dopo aver finito di suonare vicino Trapani quando, con una telefonata, un mio amico, Claudio Pesco, mi dice di preparare i bagagli. Sarebbe passato il mattino seguente: direzione Tunisia (dove Tornatore ha ricreato la Bagheria di mezzo secolo fa, ndr).
Catapultato in un altro mondo, in un altro tempo…
Esatto, proprio così. Non ho avuto nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo attorno a me. Una settimana in Tunisia alla corte di uno dei più grandi registi italiani.
E “’u tammurino”…?
Sempre con me! Per questo mi trovo nel film. Insieme ad altri ragazzi suoniamo nelle due scene che mostrano la processione di San Giuseppe.
Che ambiente hai trovato?
Su questo devo dire che l’ambiente è familiare e professionale allo stesso tempo. È tutta gente che ci sa fare, disponibilissima, dal semplice operatore fino a Peppuccio. …
E già Peppuccio…e com’è lavorare con un Premio Oscar?
Fantastico! È una persona coltissima e molto alla mano. Scherzava con noi e mangiavamo insieme a mensa. Sul set era intransigente poi, però, era socievole con tutti. Con gli altri membri del cast? Io ho avuto l’onore di lavorare con la protagonista Margareth Madè e Beppe Fiorello. Con lui ho instaurato un rapporto d’amicizia. Oltre a pranzare insieme, mangiavamo insieme “calia e simenza” tra una chiacchierata e l’altra in dialetto. Figùrati che ha anche voluto provare a suonare il mio tamburo. La cosa bella è che tu stai a contatto per giorni interi con gente che credi inarrivabile e che poi, invece, si dimostra tutt’altra cosa arrivando, addirittura, a chiamarti per nome. Lì per lì non ci rifletti ma poi, a pensarci, è davvero incredibile.
Cosa ti ha dato questa esperienza?
Mi ha dato tanto! È stata un’avventura indimenticabile, qualcosa che ha segnato la mia vita. Di certo mi ha fatto crescere.
Qualche curiosità, aneddoto da raccontare?
Sì, sì! Ci sarebbe da scrivere un libro. Quelle più belle sono due. La prima è che quattro degli otto tamburi che si vedono nel film sono di mia proprietà. La seconda è che le “placche” di San Giuseppe che usano gli attori durante le scene della processione sono della nostra congregazione misilmerese. Com’è possibile?! Servivano a Tornatore. Da Bagheria non sono arrivate. Allora mi sono messo a disposizione e, dalla Tunisia, ho chiamato Andrea Bonanno, il superiore, che in poche ore ha fatto arrivare sul set 5 placche. L’indomani mattina gli operai ne avevano riprodotte un migliaio sul calco delle poche arrivate da Misilmeri.
Questo sì che è davvero interessante! Beh, Vincenzo, in quale altro kolossal ti rivedremo adesso?
(Ride) Ma quale kolossal?! Sono stato solo una comparsa e già a casa mi chiamano tutti “attore”! Probabilmente, però, nei prossimi giorni, parteciperò alle riprese della seconda stagione della fiction Agrodolce, sempre suonando lo strumento a cui sono legato da quando avevo sei anni.
Grazie e buon lavoro!
Grazie a voi per questa possibilità.
Una partecipazione importante, dunque, quella misilmerese in Baarìa. Oltre al già affermato Valentino Picone adesso anche la comparsa Saitta. Alcune indiscrezioni dicono, però, che alcune scene siano state girate anche nella nostra cittadina. Si parla di un “blitz” notturno del regista, vincitore, tra l’altro, dell’ultimo “Premio Rocco Chinnici – Città di Misilmeri – La cultura per la legalità”, che, insieme alla sua troupe, abbia ambientato una parte del suo capolavoro sulla scalinata della Chiesa Madre e, probabilmente, anche in alcune stanze del Municipio. Non è da escludere quindi la partecipazione di altri misilmeresi e, perché no, anche quella di alcuni politici locali; solo leggenda o realtà? Lo sapremo tra qualche giorno. In allegato alcune foto del set tunisino gentilmente concesse da Vincenzo Saitta.
Sebastiano Corso
Da: Misilmeri News
FOTO. Vincenzo Saitta e Peppuccio Tornatore
"Il super-attentato ha l'ok del compaesano. "Le carte di Firenze che turbano la politica
di ATTILIO BOLZONI
Tra '93 e '94 il piano di una strage allo stadio Olimpico: così il pentito Spatuzza ne parla ai pm toscani. Il messaggio sarebbe arrivato da Graviano, boss indicato come vicino a Dell'Utri in alcune inchieste.
ROMA - Prima ha parlato dell'uccisione di Paolo Borsellino con i procuratori di Caltanissetta, poi ha continuato a parlare con i procuratori di Firenze sulle stragi mafiose in Continente del 1993. E Gaspare Spatuzza, boss del quartiere palermitano di Brancaccio soprannominato "U' tignusu" per le sue calvizie, ha cominciato dalla fine. Ha cominciato dal fallito attentato all'Olimpico, da quel massacro che nei piani di Cosa Nostra corleonese sarebbe dovuto avvenire una domenica pomeriggio allo stadio "per ammazzare almeno 100 carabinieri" del servizio d'ordine. Per fortuna, quella volta qualcosa non funzionò nei circuiti elettrici del telecomando che avrebbe dovuto far saltare in aria un'auto - una Lancia Thema - con dentro 120 chili di esplosivo. Non ci fu strage. Ma rivela oggi il pentito Gaspare Spatuzza ai magistrati di Firenze: "Giuseppe Graviano mi disse che per quell'attentato avevamo la copertura politica del nostro compaesano". Le indagini riaperte sui massacri di diciassette anni fa sono disseminate di indizi che stanno portando gli investigatori a riesaminare uno scenario già esplorato in passato, ipotesi che girano intorno agli ambienti imprenditoriali milanesi frequentati dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Palermo più volte citati - in inchieste e anche in sentenze - come vicini al senatore Marcello Dell'Utri. E' a Firenze che hanno dato a Gaspare Spatuzza lo status di pentito (è entrato nel programma di protezione su richiesta della procura toscana), è a Firenze che il mafioso di Brancaccio sta svelando tante cose su quella stagione di "instabilità" mafiose a cavallo fra il 1992 e il 1994. Rapinatore e poi sicario - è uno dei killer di don Pino Puglisi, il parroco ucciso a Palermo nel settembre 1993 - capo del mandamento di Brancaccio, legatissimo ai Graviano, Gaspare Spatuzza dopo avere fornito una diversa ricostruzione della strage di via D'Amelio (autoaccusandosi e smentendo il pentito Vincenzo Scarantino che a sua volta si era autoaccusato dello stesso massacro), è stato ascoltato sulle bombe di Firenze e Roma e Milano, dieci morti e centosei feriti. E poi anche sul fallito attentato all'Olimpico, quello che - se fosse avvenuto - sarebbe stato uno degli ultimi atti della strategia mafiosa nell'attacco contro lo Stato. La "comprensione" del fallito attentato dell'Olimpico potrebbe, a questo punto, diventare la chiave per entrare in tutti i misteri delle stragi. Inizialmente le ricostruzioni poliziesche avevano fatto risalire il progetto dell'attentato nel periodo ottobre-novembre 1993, poi il pentito Salvatore Grigoli aveva indicato una data precisa (domenica 31 ottobre, la partita era Lazio-Udinese), poi ancora un altro pentito - Antonio Scarano - aveva spostato di qualche mese il giorno della strage: 6 febbraio 1994, ventiduesima giornata di campionato, all'Olimpico l'incontro Roma-Milan. Gaspare Spatuzza racconta adesso alcuni restroscena cominciando con quella frase sulla "copertura politica". Dichiarazione che va ad aggiungersi a quelle precedenti scivolate nell'inchiesta sui "mandanti esterni" per le bombe in Continente, prima fra tutte quella di Nino Giuffrè, il capomandamento di Caccamo. Spiegava Giuffrè ai giudici di Firenze: "L'attentato dell'Olimpico doveva essere un messaggio mandato in alto loco... Sarà stato uno dei soliti colpi di testa di Leoluca Bagarella contro i carabinieri, magari perché gli avevano arrestato il cognato Totò Riina, o perché mirava ad altri discorsi, ad eventuali contatti che poi ci sono stati fra i carabinieri e parti di Cosa Nostra". Ma Antonino Giuffrè, più che della seconda ipotesi era convinto della prima. E spiegava ancora che - in quel periodo - dentro Cosa Nostra era già stato impartito l'ordine "di appoggiare la nuova formazione politica che era Forza Italia", che Cosa Nostra non avrebbe mai più continuato con le stragi, che "se ci fosse stato l'attentato dello stadio Olimpico a Bagarella gli avrebbero senza dubbio staccato la testa: sarebbe morto". Le indagini di Firenze si incrociano con quelle della procura di Caltanissetta su Capaci e su via D'Amelio, con quelle di Palermo sulla famosa "trattativa" fra i Corleonesi e apparati dello Stato e infine quelle di Milano sugli investimenti in Lombardia dei fratelli Graviano. Dallo sviluppo di tutte questi filoni fra qualche mese affiorerà probabilmente qualcosa di più concreto, di più chiaro. Al momento sono soltanto "spunti investigativi", sono tracce.
(La Repubblica, 13 settembre 2009)
FOTO. Via dei Georgofili a Firenze, dopo le bombe del '93
Tra '93 e '94 il piano di una strage allo stadio Olimpico: così il pentito Spatuzza ne parla ai pm toscani. Il messaggio sarebbe arrivato da Graviano, boss indicato come vicino a Dell'Utri in alcune inchieste.
ROMA - Prima ha parlato dell'uccisione di Paolo Borsellino con i procuratori di Caltanissetta, poi ha continuato a parlare con i procuratori di Firenze sulle stragi mafiose in Continente del 1993. E Gaspare Spatuzza, boss del quartiere palermitano di Brancaccio soprannominato "U' tignusu" per le sue calvizie, ha cominciato dalla fine. Ha cominciato dal fallito attentato all'Olimpico, da quel massacro che nei piani di Cosa Nostra corleonese sarebbe dovuto avvenire una domenica pomeriggio allo stadio "per ammazzare almeno 100 carabinieri" del servizio d'ordine. Per fortuna, quella volta qualcosa non funzionò nei circuiti elettrici del telecomando che avrebbe dovuto far saltare in aria un'auto - una Lancia Thema - con dentro 120 chili di esplosivo. Non ci fu strage. Ma rivela oggi il pentito Gaspare Spatuzza ai magistrati di Firenze: "Giuseppe Graviano mi disse che per quell'attentato avevamo la copertura politica del nostro compaesano". Le indagini riaperte sui massacri di diciassette anni fa sono disseminate di indizi che stanno portando gli investigatori a riesaminare uno scenario già esplorato in passato, ipotesi che girano intorno agli ambienti imprenditoriali milanesi frequentati dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Palermo più volte citati - in inchieste e anche in sentenze - come vicini al senatore Marcello Dell'Utri. E' a Firenze che hanno dato a Gaspare Spatuzza lo status di pentito (è entrato nel programma di protezione su richiesta della procura toscana), è a Firenze che il mafioso di Brancaccio sta svelando tante cose su quella stagione di "instabilità" mafiose a cavallo fra il 1992 e il 1994. Rapinatore e poi sicario - è uno dei killer di don Pino Puglisi, il parroco ucciso a Palermo nel settembre 1993 - capo del mandamento di Brancaccio, legatissimo ai Graviano, Gaspare Spatuzza dopo avere fornito una diversa ricostruzione della strage di via D'Amelio (autoaccusandosi e smentendo il pentito Vincenzo Scarantino che a sua volta si era autoaccusato dello stesso massacro), è stato ascoltato sulle bombe di Firenze e Roma e Milano, dieci morti e centosei feriti. E poi anche sul fallito attentato all'Olimpico, quello che - se fosse avvenuto - sarebbe stato uno degli ultimi atti della strategia mafiosa nell'attacco contro lo Stato. La "comprensione" del fallito attentato dell'Olimpico potrebbe, a questo punto, diventare la chiave per entrare in tutti i misteri delle stragi. Inizialmente le ricostruzioni poliziesche avevano fatto risalire il progetto dell'attentato nel periodo ottobre-novembre 1993, poi il pentito Salvatore Grigoli aveva indicato una data precisa (domenica 31 ottobre, la partita era Lazio-Udinese), poi ancora un altro pentito - Antonio Scarano - aveva spostato di qualche mese il giorno della strage: 6 febbraio 1994, ventiduesima giornata di campionato, all'Olimpico l'incontro Roma-Milan. Gaspare Spatuzza racconta adesso alcuni restroscena cominciando con quella frase sulla "copertura politica". Dichiarazione che va ad aggiungersi a quelle precedenti scivolate nell'inchiesta sui "mandanti esterni" per le bombe in Continente, prima fra tutte quella di Nino Giuffrè, il capomandamento di Caccamo. Spiegava Giuffrè ai giudici di Firenze: "L'attentato dell'Olimpico doveva essere un messaggio mandato in alto loco... Sarà stato uno dei soliti colpi di testa di Leoluca Bagarella contro i carabinieri, magari perché gli avevano arrestato il cognato Totò Riina, o perché mirava ad altri discorsi, ad eventuali contatti che poi ci sono stati fra i carabinieri e parti di Cosa Nostra". Ma Antonino Giuffrè, più che della seconda ipotesi era convinto della prima. E spiegava ancora che - in quel periodo - dentro Cosa Nostra era già stato impartito l'ordine "di appoggiare la nuova formazione politica che era Forza Italia", che Cosa Nostra non avrebbe mai più continuato con le stragi, che "se ci fosse stato l'attentato dello stadio Olimpico a Bagarella gli avrebbero senza dubbio staccato la testa: sarebbe morto". Le indagini di Firenze si incrociano con quelle della procura di Caltanissetta su Capaci e su via D'Amelio, con quelle di Palermo sulla famosa "trattativa" fra i Corleonesi e apparati dello Stato e infine quelle di Milano sugli investimenti in Lombardia dei fratelli Graviano. Dallo sviluppo di tutte questi filoni fra qualche mese affiorerà probabilmente qualcosa di più concreto, di più chiaro. Al momento sono soltanto "spunti investigativi", sono tracce.
(La Repubblica, 13 settembre 2009)
FOTO. Via dei Georgofili a Firenze, dopo le bombe del '93