lunedì 31 marzo 2008
Trapani, intimidazione a un cronista
TRAPANI - All'assemblea annuale dell'Ordine dei giornalisti siciliani, che si è svolta sabato a Trapani, Aldo Virzì, giornalista pubblicista, aveva denunciato le "commistioni tra politica e informazione", nella notte gli hanno tagliato le 4 gomme dell'auto Audi 80, parcheggiata sotto casa.L'episodio è stato denunciato alla polizia dallo stesso Virzì. "Vorrei tanto che fosse una ragazzata, ma temo che non lo sia". Dice lo stesso Aldo Virzì che ha denunciato l'accaduto. Il giornalista pubblicista, dirigente al Comune di Trapani e collaboratore di numerose testate, da tempo denuncia, soprattutto sul mensile locale 'Extra', "una sorta di acquiescenza di parte dell'informazione trapanese al potere politico e non solo"."Sabato, nel mio intervento all'assemblea dell'Ordine - ricorda lo stesso Virzì - sono tornato a criticare il sistema dell'informazione, senza fare specifiche accuse e sapendo che a Trapani ci sono alcuni colleghi di valore".Il presidente dell'Ordine, Franco Nicastro, oltre ad esprimere solidarietà al collega, ha annunciato "un'iniziativa forte, insieme all'Assostampa", guidata a Trapani da Mariza D'Anna, che ha manifestato a Virzì la solidarietà del sindacato."Su questa vicenda - aggiunge Nicastro - andremo fino in fondo. Le continue intimidazioni ai colleghi sono intollerabili. Virzì, poche ore prima che tagliassero le gomme della sua auto, aveva parlato del clima ostile che si respira a Trapani nei confronti dei giornalisti liberi".Anche l'Unci-Unione nazionale cronisti italiani esprime "solidarietà" al collega: "Chi tenta di fermare la libera informazione con avvertimenti di stampo mafioso - ha dichiarato il presidente dell'Unci Sicilia, Leone Zingales - ha sbagliato strada. Condanniamo l'episodio e chiediamo a magistratura e forze dell'ordine di fare luce sull'episodio"Solidarietà anche da parte del vice presidente della Commissione nazionale antimafia, Beppe Lumia: "Ancora una volta un giornalista subisce un atto intimidatorio. È la conferma del ruolo fondamentale che un informazione libera, rigorosa, autorevole, senza padroni e padrini può svolgere nell'azione di contrasto delle organizzazioni criminali e del malaffare. Ad Aldo Virzì esprimo la mia piena solidarietà e l'incoraggiamento a continuare nella sua importante opera di denuncia, anche dei silenzi di chi invece dovrebbe parlare".
31/03/2008
Al Sud l'83% dei beni confiscati
PALERMO - "L'83% dei beni confiscati si trova nelle quattro regioni meridionali, con una netta prevalenza della Sicilia (46%), mentre Campania e Calabria si attestano intorno al 15% e la Puglia al 7%". Lo rende noto l'agenzia del demanio, responsabile della gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata dal momento della confisca definitiva del bene fino alla sua destinazione."Il restante 17% dei beni - prosegue - è concentrato prevalentemente in Lombardia e nel Lazio". Nel corso del 2007 l'agenzia del demanio ha avviato un nuovo modello di gestione e destinazione dei beni confiscati basato sui Progetti Territoriali che prevedono la consegna di "pacchetti omogenei di beni" agli enti locali e il loro riutilizzo sociale, attraverso la firma di protocolli d'intesa."Il progetto territoriale consente - secondo l'Agenzia del demanio - di superare le criticità legate alle lunghe procedure di istruttoria e di tutela che caratterizzano la destinazione dei beni".I protocolli hanno poi l'obiettivo "di rinforzare la collaborazione e il coordinamento tra i soggetti firmatari, in modo tale da superare le difficoltà operative e le criticità che questi beni presentano (gravami ipotecari, occupazione abusiva, identificazione degli esatti estremi identificativi catastali, ecc.) e consentire una più rapida ed efficiente consegna dei beni alla collettività".Nel 2007 sono stati avviati 4 Progetti Territoriali che hanno portato alla firma di altrettanti Protocolli d'Intesa con i Comuni di Roma (2 febbraio 2007 - 57 unità immobiliari), Reggio Calabria (19 febbraio 2007 - 48 unità immobiliari), Palermo (5 settembre 2007 - 258 unità immobiliari) e Bari (26 settembre - 56 unità immobiliari).La Finanziaria 2007 ha, inoltre, ampliato la platea dei destinatari dei beni confiscati. Oltre ai Comuni, potranno acquisire e gestire immobili confiscati alla criminalità organizzata anche le Province, le Regioni, le Università Statali, le Agenzie Fiscali, le Amministrazioni dello Stato e le Istituzioni culturali con rilevante interesse nazionale.Nel corso del 2007 l'Agenzia del Demanio ha destinato 684 immobili confiscati. Il 2007 ha fatto registrare, per la prima volta, un'inversione di tendenza: il numero dei beni destinati ha superato il numero dei beni in gestione all'Agenzia del demanio.
31/03/2008
domenica 30 marzo 2008
Corleone 10 marzo 2008. Una giornata particolare
Riattualizzare la figura di Placido Rizzotto mi è stato, oltre che gradito, particolarmente facile per l’impegno solidale che
Questo percorso di collaborazione della CGIL con tanti altri soggetti va rafforzato ed esteso, con la partecipazione di chi vive in Sicilia e che desidera un riscatto vero di quella terra. Ritengo importante perciò proseguire sul percorso avviato da tanti giovani che, in questi ultimi anni, dalla Toscana sono andati a “sporcarsi le mani” nelle cooperative di Corleone per dare appunto alla speranza di cambiamento un segno concretamente tangibile.
Mauro Fuso
Segretario Generale CGIL Firenze
Carissimo Dino, desidero ringraziarti per l'ospitalità e per avermi dato l'opportunità di vivere un'esperienza particolarmente significativa sia dal punto di vista umano che da quello politico sindacale. Il sogno di Rizzotto e di molti compagni che hanno dato la vita è stato realizzato grazie al tuo impegno, a quello di Maurizio e di tutti i compagni che lavorano nelle cooperative. I ragazzi che col loro impegno quotidiano danno una dimostrazione e rappresentano un esempio di come si organizza la democrazia in un epoca che invece purtroppo vede avvicinarsi alla politica con altri scopi, vanno sostenuti ed aiutati in tutti i modi.
Il mio impegno sarà quello di trasmettere questa esperienza eccezionale a tanti altri compagni delle forze politiche, delle istituzioni e delle organizzazioni sindacali, per fare in modo che questo progetto possa rafforzarsi, non permettendo a nessuno di spegnere il sogno di Placido, che oggi è diventato quello dei ragazzi delle cooperative.
M'impegnerò per fare in modo che questo interesse non sia esclusivamente della Cgil toscana ma lo diventi anche per le categorie più sensibili, mi viene in mente
Un abbraccio affettuoso e grazie di nuovo per tutto, ma principalmente per il vostro coraggio che ha rafforzato in me la volontà di non abbassare la testa.
Paolo Gozzani
Segretario Cgil Massa-Carrara
FOTO. Da sx, Mauro Fuso e Paolo Gozzani alla cerimonia per ricordare Rizzotto in piazza Garibaldi.
sabato 29 marzo 2008
IN MEMORIA DELLE VITTIME DELLA MAFIA
I video-testimonianza dei familiari delle vittime di mafia
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
PARTE TERZA
PARTE QUARTA
PARTE QUINTA
PARTE SESTA
Dieci anni per il maresciallo dei carabinieri Antonio Borzacchelli
PALERMO - I giudici della seconda sezione del tribunale di Palermo hanno condannato a dieci anni di carcere il maresciallo dei carabinieri Antonio Borzacchelli, ex deputato regionale dell'Udc, accusato di concussione, tentativo di concussione e violazione di segreto d'ufficio nell'ambito del processo nato dall'inchiesta sulle talpe alla Dda di Palermo.
I pm Maurizio De Lucia e Nino Di Matteo avevano chiesto la condanna dell'imputato a 13 anni di reclusione. Il 18 gennaio scorso era arrivata la condanna per il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, dichiarato colpevole per favoreggiamento semplice e rivelazione di segreto d'ufficio e condannato a 5 anni di reclusione.
Borzacchelli è stato assolto soltanto da uno dei capi di imputazione quello relativo alla tentata concussione e condannato per tutti gli altri reati riuniti sotto il vincolo della continuazione. I giudici hanno condannato il maresciallo anche all'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Secondo gli inquirenti, l'imputato, abusando della sua funzione e della carica di deputato dell'Ars, avrebbe indotto il manager della sanità privata palermitana, Michele Aiello, condannato nell'ambito della stessa indagine a 14 anni di carcere per associazione mafiosa, a dargli del denaro e avrebbe cercato di farsi intestare quote della società di diagnostica di cui l'imprenditore era titolare. Aiello si è costituito parte civile nel processo al sottufficiale dell'Arma. Borzacchelli è stato condannato a versargli 25mila euro a titolo di risarcimento del danno.
L'imputato, inoltre, avrebbe informato il manager delle dichiarazioni fatte sul suo conto, agli investigatori, dal pentito Salvatore Barbagallo e avrebbe comunicato al presidente della Regione Salvatore Cuffaro notizie riservate su indagini, condotte dal maresciallo del Ros dei carabinieri Giorgio Riolo, riguardanti il capomafia palermitano Giuseppe Guttadauro.
Il processo, come hanno sottolineato i pm Maurizio De Lucia e Nino Di Matteo durante la requisitoria, "ha fatto emergere le gravi responsabilità del carabiniere". I pm hanno però evidenziato che, allo stesso tempo, "sono stati altri militari dell'Arma, quelli del Nucleo operativo del colonnello Gianmarco Sottili, che con grande professionalità, incisività, efficacia e onestà intellettuale, senza guardare in faccia a nessuno, hanno squarciato il velo che copriva una verità così scomoda".
28/03/2008
giovedì 27 marzo 2008
Polpettone e cassata, Walter a pranzo dal giardiniere nisseno
26/03/2008
Enna, Walter Veltroni presenta il decalogo antimafia del Partito Democratico
26/03/2008
mercoledì 26 marzo 2008
Legacoop: "Impresa, legalità, sviluppo"
Roma, 26 marzo 2008 - Legacoop è impegnata, da diversi anni, in un’attività di promozione di nuove imprese cooperative per contribuire alla crescita economica del Mezzogiorno e alla creazione di opportunità di lavoro dignitoso per i giovani, nella convinzione che questo sia il modo migliore per contrastare l’illegalità ed il ricatto della criminalità organizzata che ostacolano lo sviluppo di un’intera area del Paese.
A conferma dell’impegno dell’organizzazione, la Presidenza Nazionale di Legacoop e la Direzione di Legacoop Sicilia si riuniranno congiuntamente per discutere sul tema “Insieme: legalità e sviluppo”.
L’incontro si terrà mercoledì 2 aprile, con inizio alle ore 10.30, a Corleone, in contrada Gorgo del Drago, (provenendo da Palermo, al km. 25 della strada statale 118) dove sono in corso i lavori di ristrutturazione dell’immobile confiscato a Totò Riina, che sarà assegnato nei prossimi giorni alla cooperativa “Pio La Torre” e dove verrà realizzato un agriturismo che sarà gestito dalla cooperativa.
L’iniziativa sarà l’occasione per lanciare una proposta di collaborazione alle altre organizzazioni imprenditoriali e per presentare un quadro delle iniziative realizzate dalle cooperative aderenti a Legacoop in Sicilia.
Il programma dei lavori, prevede l’introduzione di Elio Sanfilippo, Presidente Legacoop Sicilia, quindi a seguire alle 10.45 la relazione di Giuliano Poletti, Presidente Legacoop Nazionale. Il dibattito verrà aperto alle 11.30, mentre le conclusioni sono previste per le 13.30.
domenica 23 marzo 2008
All'indomani dei 100mila di Bari. Lotta alle mafie e Pasqua: la pietra sarà ribaltata
Eravamo oltre 100mila, sabato 15 marzo a Bari. Arrivati da tutta Italia e da molti paesi d’Europa. Impossibile non rilevare, nel flusso multicolore di associazioni, gruppi, delegazioni, scuole, l’altissima percentuale di giovani. Con la loro energica freschezza e la loro serietà, il loro desiderio di cercare e la loro volontà di capire.
Eravamo in più di 100mila a stringerci attorno a centinaia di famigliari delle vittime delle mafie. Sono stati loro i protagonisti e l’anima di questa giornata. Li abbiamo accolti, ascoltati, accompagnati. Abbiamo sentito sulla nostra pelle le parole di un dolore ancora vivo, a volte gridato, altre sommesso, altre ancora sopraffatto da un’emozione che riemergeva incontenibile. Percorrendo quel lungomare abbiamo scandito in interminabile corteo i nomi dei loro cari. Quei nomi – come pietre miliari di un cammino – continueremo a scandirli anche il 21 marzo: come da tredici anni a questa parte. Il 21 marzo: primo giorno di primavera, segno di vita che si rinnova.
Sono più di settecento le vittime innocenti uccise dalle mafie. Pronunciare insieme quei nomi, custodirli come un seme prezioso da accudire e alimentare ogni giorno, è il senso della 'Giornata della memoria e dell’impegno', ma anche il possibile nesso – per chi abbia certi riferimenti spirituali o ne sia alla ricerca – tra la lotta alle mafie e
La buona notizia del Vangelo rompe però questo circolo vizioso, smonta questo schema all’apparenza ineluttabile. Il primo giorno dopo il sabato, quando è ancora buio e quando morte e violenza sembrano ormai vincere, qualcosa si muove. C’è qualcuno che – più di altri – non si rassegna e che continua a cercare. A sperare nel cambiamento. Ed è a questo punto che chi cerca scorge la pietra sopra il sepolcro ribaltata. Vita e giustizia hanno vinto; luce e speranza hanno fugato buio e violenza. Gesù di Nazareth è stato risuscitato. È vivo. Per continuare a proporre la libertà del «vincere il male con il bene»; del resistere all’ingiustizia con quel semplice, ma incisivo e sempre attuale «fame e sete di giustizia».
100mila vivi che camminano e 700 nomi (volti, storie e vite spezzate) ri-proposte alla meditazione, al ricordo, alla prova della solidarietà e, per chi ha riferimenti di fede, alla preghiera per fare in modo che la via crucis che ci prepara alla Pasqua non si fermi al Venerdì Santo. La pietra è stata ribaltata. Il buio è finalmente vinto dalla luce. Ora l’impegno è nuovamente possibile e ogni rassegnazione, silenzio o complicità con il male devono essere definite per quello che sono: negazione di cambiamento, omissione e privazione di libertà. L’impegno per la giustizia è nuovamente possibile. A partire dal nostro quotidiano. Per tutti. Per ciascuno. Finalmente certi del fatto che 'lotta e preghiera' sono la sola modalità per resistere alla tentazione della violenza e ritrovare le ragioni della verità che ci rende liberi. Anche dalle mafie.
Ma a una speranza che si regge sull’impegno. Anzi: che scaturisce dall’impegno. Come può del resto condurci lontano una speranza non alimentata da gesti quotidiani? Una speranza non sorretta da una responsabilità senza scadenze, non orientata da un realismo che sappia evitare sia le lusinghe dell’illusione, sia la trappola della delusione? Ecco allora il senso dell’espressione 'memoria e impegno', dove la 'e' congiunge, ma anche identifica: memoria è impegno.
Ecco il senso di un ricordare che non è solo un inchinarsi metaforicamente di fronte a testimonianze di generosità, di coraggio e integrità civile, ma un piegarsi concretamente per raccogliere il testimone di chi ha agito per fame e sete di giustizia, avendo riconosciuto in quella fame e sete il fondamento di una vita capace d’impegno e di amore. Senso di una Pasqua che è Passione e Resurrezione di Cristo, ma insieme rinnovamento profondo delle coscienze nel segno dell’impegno e della ricerca di verità.
AVVENIRE, 21 marzo 2008
Corleone. Il Diario di laura, veterana dei campi di lavoro
“E dove stai?”
“In piazza, di fronte alla Villa”
“E pure io ci sto! Sono al bar…vieni avanti che qui sono!”
Sabato, 15 marzo 2008
Domenica, 16 marzo 2008
Mentre siamo nel campo vediamo arrivare una macchina: l’amico Giuseppe di Dialogos ARCI e i giornalisti francesi! Ci raggiungono e chiedono a Salvatore di raccontargli la storia di questo campo: sono due persone gentili e aperte e il clima è confidenziale. Mi fanno qualche domanda in qualità di “intrusa” toscana: vogliono capire cosa mi spinge a utilizzare le mie ferie per venire a lavorare in Sicilia e spiegare il perché è sempre difficile. Bisogna conoscere queste terre, questi ragazzi e l’importanza del loro lavoro per capire! Salutandoci promettono di far avere un dvd della puntata alla cooperativa: ormai siamo curiosi! Mangiamo i nostri panini, ci riposiamo un po’ e poi di nuovo a lavoro. Abbiamo anche un bracciante in più: Calogero, il presidente della cooperativa, è venuto a darci una mano.
Lunedì, 17 marzo 2008
Questo è un altro aspetto importante dei campi di lavoro: si fanno cose che normalmente non avremmo occasione né di vedere né di imparare. E inoltre queste piccole, giovani viti piantate in terreni con tali storie alle spalle è simbolicamente bellissimo!
Giovedì, 20 marzo 2008
venerdì 21 marzo 2008
L'attore: "Per 5 anni nessun uomo del sud candidato". Ed è quasi rissa in televisione tra Michele Placido e Raffaele Lombardo
ROMA - Sfiorata la rissa a "Tetris" tra l'attore Michele Placido e l'europarlamentare Raffaele Lombardo, che per un soffio non sono venuti fisicamente a contatto davanti alle telecamere.Alla registrazione della trasmissione un acceso botta e risposta tra il commissario Cattani della 'Piovrà e il leader dell'Mpa per un soffio non è degenerato. Sembrava che tutto filasse liscio sui binari del fair play. Luca Telese, il conduttore, aveva appena introdotto nel talk show de La7 i protagonisti della serata che andrà in onda stasera, il leader dell'Mpa Raffaele Lombardo e Roberto Castelli della Lega, con scene didascaliche sul movimento di Lombardo e sul Carroccio, movimenti politici che trovano radicamento nel territorio al Nord e al Sud. E per restare in tema meridionalistico, in studio ha fatto la sua comparsa la giovane e bella capolista alla Camera per il Pd campano, Pina Picierno, originaria di Teano.Dopo accenni ai programmi di Berlusconi e Veltroni, sulla scena ha fatto il suo ingresso Michele Placido. Giubbotto nero, jeans, il commissario Cattani della "Piovra", ha arringato: "Consentitemi la provocazione: per 5 anni non dovremmo candidare alle elezioni politiche uomini del Sud. Hanno dato e danno quotidianamente spettacolo indecente di mafiosità,malaffare e incapacità".Placido, ricordando poliziotti e magistrati uccisi della mafia e politici collusi, ha proseguito: "La società del Sud non può essere rappresentata in Parlamento da questa gente". Castelli ha replicato osservando che in ogni caso il Parlamento è lo specchio della società, "ogni regione deve esprimere la propria rappresentanza umana e sociale". Lombardo è stato più critico rispetto alla sortita di Placido e, pur apprezzando le doti artistiche dell'attore, ha osservato: "Vorremmo uscire un tantino dagli strereotipi che per anni ci hanno ammannito le televisioni e cercare di ragionare in termini positivi e moderni, lasciandoci alle spelle anni di soprusi perpetrati dai governi che si sono succeduti, costringendo i giovani a emigrare in cerca di fortuna".Placido non è rimasto in silenzio. "Ribadisco - ha tuonato - Per cinque anni almeno nessun candidato meridionale al Sud".Immediata la replica di Lombardo. "Lei fa parte di quei tanti meridionali che raggiunto l'apice dimenticano la loro origine, sputano nel piatto, facendosi magari scudo di tutele politiche". E sbotta: "Niente candidati del Sud? Così Veltroni potrà sistemare, come ha fatto, candidando i suoi amici romani in Sicilia".A questo punto, Michele Placido si è alzato dal proprio posto dirigendosi minacciosamente verso Lombardo, che dimenticato il suo aplomb si è alzato e ha intimato all'attore: "Sia serio!". Tensione alle stelle, telecamere che indugiano sui due contendenti, imbarazzo.Il dissidio si è ricomposto ma l'atmosfera ha continuato a surriscaldarsi via via con l'entrata in scena di Claudio Fava del Pd e Sandro Parenzo, titolare di Telelombardia. Dopo il tema del giustizialismo, Lombardo ha concluso dicendo: "Cuffaro è mio amico ma non ha bisogno della mia difesa. Per quello ci sono i suoi avvocati e fino a prova contraria non c'è una sentenza definitiva sul suo operato".
21 marzo 2008
Placido: "Alla fine Lombardo mi ha chiesto scusa"
ROMA - Michele Placido, intervistato stamattina sulla "quasi" lite in tv ha voluto precisare: "Non sono abituato ai dibattiti"."Non è successo niente di grave. Alla fine Lombardo mi ha chiesto scusa. Può succedere quando si parla di politica. Si sono trovati tutti un pò spiazzati dopo la mia provocazione -continua Placido- mi hanno frainteso...Ho solo consigliato alla casta politica di mettersi in quarantena per un pò di tempo". Lite sfiorata anche con Roberto Castelli della Lega. "Mi ha detto - spiega Placido - che nonostante io abbia i capelli bianchi non so nulla di politica".Secondo Placido la bocciatura della classe politica è nell'aria: "È vero che sono un attore ma anch'io ho il diritto di esprimere la mia opinione che in realtà è quella di quasi tutti gli italiani".Tornando all'acceso botta e riposta, sfiorato quasi nella rissa con Lombardo, Placido aggiunge: "Quello che ho detto al leader del'Mpa riguarda semplicemente il fallimento sociale della politica, basta guardare in che condizioni è Napoli"."Alla fine della trasmissione ho lanciato un appello alle nuove generazioni -conclude Placido- Ho detto di votare per i giovani, non importa se di destra, di sinistra, di centro ecc..C'è bisogno di aria nuova nel nostro Parlamento". Poi Placido precisa: "Vorrei che i giovani votassero per i loro coetanei, scegliendo senza ideologie ma dopo un'attenta riflessione. Ormai siamo arrivati all'ultima spiaggia, speriamo bene...". Dalla parte di Placido si schiera il giornalista Luca Telese, conduttore di "Tetris"."Sostengo ad occhi chiusi la provocazione di Placido. Da uomo libero, senza peraltro alcun legame o interessi in politica- osserva Telese- Placido ha detto una cosa che molti al Sud pensano: lo pensano quelli sommersi dai rifuiti a Napoli, quelli vessati dal malgoverno, quelli delle 140 amministrazioni sciolte in 5 anni, due proprio ieri. Il vero problema -secondo Telese- è che lo dovrebbero dire altri intellettuali e non solo Michele Placido. Sono contento che l'abbia detto, non penso che la sua sia una battaglia qualunquistica ma una battaglia civile".
21/03/2008
Il simbolo del "No alla guerra" compie 50 anni
WASHINGTON - L'omino disperato che abbassa le braccia, ma che non si arrende di fronte all'idiozia della guerra, il simbolo inerme che terrorizza gli armati, falchi, guerrieri, prepotenti, commissari e generali compie cinquant'anni e se disperato sempre rimane, ancora non si è stancato di non combattere. Era nato, molto opportunamente, un venerdì santo come questo, nel giorno che commemora il massimo sacrificio di un portatore inascoltato di pace, ma non era nato negli Stati Uniti che lo avrebbero poi imposto al mondo scarabocchiato, cucito o appuntato alle divise della protesta per l'ennesima inutile strage, quella volta in Indocina. Era nato a Londra, a Trafalgar Square, nella marcia delle cinquanta miglia organizzata nel 1958 dai pacifisti inglesi per protestare invano contro il riarmo nucleare britannico. Come figlio di una potenza dei mari, fu quasi naturale che quel simbolo avesse ricavato la ispirazione grafica proprio dalle segnalazioni marine che le navi si scambiavano sventolando bandierine, prima che fossero introdotti i semafori per i messaggi in morse luminoso, le radio e i collegamenti satellitari. La "V" rovesciata che sta alla base dell'emblema è in realtà la lettera "N", nella segnaletica marina, la iniziale di "Nuclear" e la linea eretta verticale sta per la "D", di disarmo. Dunque la figura completa vuol dire semplicemente "Nuclear Disarmament". Fu creato da un grafico, racconta la Bbc che ha ricostruito la storia di questo "marchio" divenuto talmente universale da apparire orfano, come se fosse stata la creatura spontanea di un tempo e di una ribellione. Si chiamava Gerard Holton, ed era stato obbiettore di coscienza durante la Seconda Guerra Mondiale, finita appena 13 anni prima. Convinse lui gli organizzatori della marcia delle 50 miglia che la loro manifestazione esigeva un logo, un marchio, qualcosa che si appiccicasse agli occhi e alla memoria. Pensò a una variazione sul tema della croce cristiana, ma gli parve già molto sfruttata e non necessariamente associata alla pace, nei secoli bui. E alla fine ripiegò sulla combinazione dei due segnali navali, per dire "No alla Bomba" e sì al disarmo nucleare.
Neppure lui avrebbe potuto sperare che quel simbolo, subito accusato da alcune femministe di essere pericolosamente fallico, si sarebbe attaccato alla fantasia del mondo diventando immediatamente leggibile e riconoscibile dal Tibet all'Arabia Saudita, dove ancora compariva sugli elmetti dei soldati americani pronti a invadere Iraq e Kuwait nel 1991. L'omino disperato invase l'America, dalle strade della San Francisco hippy della "estate dell'amore" ai motoscafi dei soldati lungo il Mekong in Vietam. Occupò le marcie di Woodstock, si fuse con il Sessantotto, divenendone uno dei luoghi principali. Terrorizzò il governo del Sudafrica negli anni dell'Apartheid razziale, che tentò di dichiararlo ufficialmente fuorilegge con prevedibile insuccesso, perché nella sua assoluta semplicità grafica basta un pennarello, una bombola, una matita grossa per essere riprodotto all'infinito. Fu accusato, dai soliti fanatici del cristianismo bellicista americano di essere un simbolo satanico, un richiamo all'Anticristo, con quel sospetto di croce a testa in giù, venerato dai seguaci di Belzebù. Lo ripresero gli attivisti neri dei diritti civili, per indicare subito, con Martin Luther King, la loro filosofia di rivolta non violenta e di rifiuto di armi e sangue, rifiuto che non fu accolto da chi sparò loro addosso. Costrinse generali e ufficiali superiori a inseguire i soldati che lo esibivano, vedendovi un segno di scarsa bellicosità, di dissenso, di ammutinamento pacifico: in Vietnam era passibile di punizioni fino alla corte marziale, quando ancora era esibito da pochi renitenti, prima che divenisse troppo diffuso per essere represso senza mandare davanti alla corte intere divisioni di Marines e fanti. Si arrese infine, dopo la guerra, il governo americano stesso che lo immortalò in un'emissione di francobolli negli anni '60, secondo il saggio principio del "se non puoi sconfiggerli, unisciti a loro". Finì su un pacchetto di sigarette molto fumate dai soldati americani, le Lucky Strike e nessuno osa calcolare quante volte e dove sia stato riprodotto in questi 50 anni, tra T-shirt e bandiere. E' stato un po' insidiato dai colori dell'iride, quell'Arcobaleno pacifista che, soprattutto dopo l'invasione dell'Iraq, ha cominciato a sventolare anche nelle strade di Londra dove l'omino depresso era nato, ma l'Arcobaleno si presta a equivoci, rappresenta coalizioni variopinte, inter razziali negli Stati Uniti, dove fu creato per la "Rainbow Coalition" del reverendo Jackson, e interpartitiche nei listoni elettorali italiani. Su quella figura che segnala disarmo, invece, non ci possono essere dubbi. Si può dissentire, addirittura fare causa a chi la espone in giardino, come è accaduto a una coppia di Denver, giudicarla ormai leziosa, demodé, inutile, ora che l'incubo del reciproco annientamento nucleare, così intenso nel 1958, ha lasciato - temporaneamente - la poltrona ad altri incubi elettoralmente più profittevoli. Ma come l'indice e il medio aperti a "v" di Churchill, anche questa curiosa ipsilon rovesciata che né il creatore inglese, né il suo corrispondente americano Ken Kolsburn vollero mai depositare e brevettare, rinunciando così a miliardi di royalties, vivrà ogni volta che l'umanità con un pretesto politico, religioso, economico, razziale, troverà un altro modo per massacrarsi. Cioè per sempre, il che spiega l'aria un po' moscia e depressa del l'omino cinquantenne, ma ancora in piedi.
giovedì 20 marzo 2008
Se questa è una strada...
Egregio Direttore, gentilmente, le chiedo di pubblicare queste foto sul suo sito. Amici amministratori, i residenti della zona S.Giacomo – S. Oliva, chiedono cortesemente (per l’ennesima volta e non menzionando la parola “diritto dei cittadini”) di provvedere al più presto alla sistemazione di questa strada. Ricordo, che la strada Comunale denominata S. Oliva, serve da collegamento per raggiungere la propria abitazione a 52 famiglie residenti nelle palazzine delle cooperative oltre al sottoscritto e a tutti i cittadini che hanno i terreni nella zona. Al momento,la strada è l’unico sbocco considerando che i due accessi a monte, sono uno a senso unico e l’altro chiuso al transito per pericolo. Al Sindaco (Carissimo Amico), ricordo che il suo predecessore voleva far diventare Corleone una Capitale, mentre l’attuale amministrazione ed anche il sottoscritto in campagna elettorale avevamo promesso una cittadina vivibile nell’estrema normalità. Da quanto vedo, forse, ci siamo fermati ai vecchi borghi dove le strade si chiamavano “trazzere” e si percorrevano con i muli. Nel ringraziare gli amministratori per quello che faranno, porgo i saluti personali e dei residenti della zona, sperando, in attesa di grandi opere, in una adeguata sistemazione del fondo stradale.
Stefano Comajanni
mercoledì 19 marzo 2008
Delitto Campagna, è svolta. Ergastolo ai suoi assassini.
MESSINA - I giudici della Corte d'assise d'appello hanno confermato la condanna all'ergastolo per il boss Gerlando Alberti jr e Giovanni Sutera accusati dell'omicidio della giovane Graziella Campagna, assassinata nel dicembre 1987 in un paese del messinese.La Corte ha poi derubricato da favoreggiamento aggravato a quello semplice il reato di cui rispondeva la terza imputata, Francesca Federico, e quindi i giudici hanno dichiarato prescritto il reato. In primo grado la donna era stata condanna a quattro anni. La lettura del dispositivo è avvenuta dopo circa otto ore di camera di consiglio.Alberti è stato arrestato in un'abitazione di Falcone (Messina), mentre Sutera è stato ammanettato a Empoli. Il boss, nonostante la condanna al carcere a vita in primo grado, era stato scarcerato nel 2006 per decorrenza dei termini, dovuta alla mancata deposizione della motivazione della sentenza entro i termini stabiliti.Graziella Campagna aveva 17 anni quando venne assassinata nel Messinese. Lavorava come stiratrice in una lavanderia di Villafranca Tirrena, paesino in provincia di Messina. Nessun luogo al mondo sembrava più innocente di quella lavanderia, eppure è proprio in questo luogo che il destino di Graziella viene segnato da due boss mafiosi latitanti di Palermo che dimenticano un biglietto con degli appunti nella tasca di una giacca lasciata in lavanderia.Graziella scopre che l'uomo che tutti in paese conoscono come l'ingegnere Cannata altro non era che il boss Gerlando Alberti junior, nipote dell'omonimo boss di Palermo. Il mafioso, per paura di essere scoperto, come emergerà dal processo, decide di eliminare la ragazza con l'aiuto di Giovanni Sutera.La sera del 12 dicembre 1985 Graziella non torna a casa. Qualche giorno dopo il suo cadavere viene trovato a pochi chilometri di distanza da Villafranca Tirrena. Era crivellata di colpi di fucile che gli erano stati sparati da distanza ravvicinata.Nessun motivo, nessuna ragione apparente dietro l'efferato omicidio. Un delitto su cui nessuno sembra, all'epoca, voler indagare. Eccetto il fratello Pietro, carabiniere, per il quale quella morte misteriosa diventa un'ossessione ed una ragione di vita.Un'indagine, durata 20 anni, porterà lui e la sua famiglia a scoprire il male che viveva intorno a loro in quella provincia apparentemente tranquilla, ma dove la mafia faceva svernare latitanti coperti da una rete di complicità, connivenze e depistaggi.Le inchieste negli anni Ottanta vengono stoppate, i procedimenti giudiziari annullati. Infine, dopo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, il processo prende il via e si conclude nel dicembre 2004 con la condanna all'ergastolo di Alberti e del suo complice Sutera.Ma il nipote del boss palermitano dopo un anno e mezzo torna in libertà perchè i giudici della Corte d'assise non depositano entro i termini stabiliti le motivazioni della sentenza di condanna e quindi viene annullata per decorrenza dei termini la custodia cautelare.Alberti, infatti, rimasto in cella per altri reati, ha lasciato il carcere perchè avendo già scontato una condanna per traffico di droga e potendo beneficiare dell'indulto per gli altri reati di cui è stato ritenuto colpevole torna un uomo libero.La vicenda suscita scalpore e il ministro Mastella nel settembre 2006 invia gli ispettori, che dopo alcuni mesi archiviano il caso sul magistrato che era stato accusato di avere ritardato il deposito delle motivazioni della sentenza.
19/03/2008
Commossi i familiari: "Finalmente giustizia"
MESSINA - La sentenza è stata accolta in aula, dove c'erano tutti i familiari di Graziella Campagna, da un lungo applauso."Adesso lo posso finalmente dire: ci sono giudici degni di questo nome anche a Messina...". ha detto l'avvocato Fabio Repici, legale dei familiari di Graziella Campagna. E Fabio Repici, diventato ormai uno di famiglia per i Campagna, era lì, a pochi passi dal fratello di Graziella, Pietro Campagna e degli altri fratelli della giovane vittima. Subito dopo la sentenza Repici e Pietro Campagna, interpretato nella fiction tv 'La vita rubata' da Beppe Fiorello, sono scoppiati in lacrime e si sono abbracciati a lungo."Più che emozionato - ha detto questa mattina, dopo avere dormito solo poche ore - ero davvero commosso e, soprattutto, molto soddisfatto per la sentenza emessa dai giudici. Ci tengo a dire che anche a Messina ci sono giudici degni di questo nome, perchè nonostante restino ancora alcune anomalie nel rito peloritano, hanno dimostrato di essere imparziali. Sono stati molto bravi".Fabio Repici ha anche parlato con la madre di Graziella Campagna, che da quasi ventitre anni chiede giustizia per l'omicidio della propria figlia. "Era soddisfatta per la sentenza emessa dai giudici - ha raccontato Repici - Ma nello stesso tempo è perfettamente consapevole che la figlia non gliela restituirà mai nessuno. Però, almeno, è stata fatta giustizia dopo avere subito per tutti questi anni offese di apparati deviati dello Stato".Repici ha poi voluto commentare le dichiarazioni spontanee rese ieri mattina, prima che i giudici entrassero in Camera di consiglio, da uno degli imputati, Gerlando Alberto junior, che si è difeso respingendo ogni accusa. Durante la sua deposizione ha raccontato di avere trascorso trent'anni della sua vita in carcere, durante i quali ha preso anche il diploma di geometra. "Beh - ha detto Repici - forse prendendo il diploma di geometra, voleva proseguire la finta carriera avviata quando si nascondeva da latitante nel messinese...".
19/03/2008
martedì 18 marzo 2008
Corleone, inaugurato il Museo Civico Pippo Rizzo
Cosmo Di Carlo
domenica 16 marzo 2008
La giornata della Memoria organizzata da Libera. Lo sbarco dei Corleonesi a Bari
di GIUSEPPE CRAPISI
Il pullman da Corleone è partito venerdi sera proprio dalla nostra piazza più importante, piazza Falcone e Borsellino
Aldilà delle divisioni che ci possono e ci potrebbero essere politicamente Corleone si è dimostrata da esempio anche in questo campo, tutti uniti sulla lotta alla mafia. Un lungo e faticoso viaggio di circa dieci ore, ma è stato bello. Il Presidente del Consiglio Comunale Mario Lanza ci ha raggiunti il
Una lingua umana attraversava Bari in quel giorno per ricordare le oltre 700 vittime di tutte le mafie. Nomi che come una litania religiosa venivano ripetuti e che hanno accompagnato tutto il corteo. Nomi di persone uccise dalla mafia, persone che hanno lasciato figli, madri e padri ecc... Persone che hanno detto di no alla mafia e per questo hanno perso la vita ed è per questo che noi abbiamo il dovere di ricordarli. Altrimenti la loro morte è vana e li ammazziamo una seconda volta. Aprivano il corteo, dietro lo striscione del logo della manifestazione “Puglia Arca di pace”, Don Ciotti con i familiari delle vittime presenti, alcuni ministri, il Presidente della Camera Bertinotti e il magistrato Giancarlo Caselli. Anche noi eravamo in quel corteo con il nostro striscione “Corleone non è solo mafia onore agli eroi Falcone e Borsellino” e tra i gonfaloni c'era anche quello del Comune di Corleone, ed eravamo un simbolo, simbolo della Corleone che vuole esportare il meglio di se, simbolo della Corleone che è fiera di se stessa perché si sente rappresentata dalle numerose persone che hanno perso la vita per lottare contro la mafia. Non vi dico l'emozione nel sentire i nomi di Bernardino Verro, Giovanni Zangara, Giuseppe Letizia, Placido Rizzotto ecc... insieme a tutte le altre centinaia di vittime di mafia. Corleone simbolo mediatico e attenzionato dai mass media e non solo. Vedere negli occhi degli altri partecipanti lo stupore misto alla soddisfazione di leggere che Corleone è contro la mafia. Ma importante è stata la presenza di tutti coloro i quali siamo partiti dalla Sicilia insieme a Libera Palermo. Tra i 100 mila di Bari non c'erano solo italiani ma anche 200 giovani europei in rappresentanza di più di 50 ONG. Poi si è arrivati a Piazza delle Libertà dove c'è stato il saluto delle autorità e dei familiari delle vittime della mafia. Come sempre Don Ciotti è riuscito a lanciare il giusto messaggio ed indicare la strada per il futuro, ha detto che delle parole siamo stanchi e adesso abbiamo bisogno dell'agire concreto a partire dalle istituzioni. Ma il cambiamento ha bisogno di tutti noi. “Dobbiamo prendere coscienza che c'e' bisogno delle nostre scelte, del nostro fare concreto, del nostro impegno, del nostro coraggio, della nostra voglia di metterci in gioco, delle denunce che nella quotidianita' fanno la loro parte''. Poi la piazza si è spopolata per dare spazio ad una breve pausa pranzo e poi l'inizio degli interessanti workshop. Poi alle 18:00 stanchissimi, ma nelle facce si leggeva che ne era valsa la pena, ci siamo rimessi sul pullman per ritornare alla nostra Corleone. Una canzone di Celentano dice “l'emozione non ha voce” ed in questo caso io ho cercato di spiegare quello che abbiamo provato ma nessuna parola potrà spiegare l'atmosfera laico-religiosa che si respirava nel giorno della memoria e dell'impegno organizzata da Libera e Avviso Pubblico. Bari 2008 rimarrà nei nostri cuori.
Giuseppe Crapisi
da www.dialogoscorleone.itBari, centomila no alla mafia
Sono questi e tanti altri ancora i momenti da non dimenticare della XIII edizione della 'Giornata della memoria e dell'impegno per ricordare le vittime della mafia' che si è tenuta a Bari, su iniziativa di Libera, guidata da don Ciotti, e Avviso Pubblico.
Il capoluogo della Puglia per un giorno è stato la capitale dell'antimafia: a Bari, nell'area di Punta Perotti, dove prima sorgevano i palazzi giudicati un ecomostro, si sono radunate circa 100.000 persone - secondo gli organizzatori - provenienti da tutta Italia e anche dall'estero. Tutti insieme mentre gli altoparlanti scandivano ininterrottamente i nomi delle centinaia di vittime della mafia e della criminalità organizzata.
Soprattutto i giovani hanno risposto agli appelli di Libera. "Segno - dice don Ciotti - di una volontà di cambiamento". È dello stesso avviso il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema: non sale sul palco, raggiunge il corteo sul lungomare, dice di essere meravigliato della grande folla e ai giornalisti, prima di partire per Napoli, si raccomanda: "Vi prego, niente domande di politica, questa è la giornata dedicata alla lotta alla mafia".
Il sindaco di Bari, Michele Emiliano, è soddisfatto: "Abbiamo spiegato senza esitazione, anche ai bambini - dice - da che parte stare nella lotta alle mafie". E sul lungomare assolato di Bari l'abbraccio tra don Ciotti e Bertinotti, che ha raggiunto il corteo a piedi: "È una manifestazione straordinaria - dice - chi afferma che questa è una società desertificata venga a vedere".
I palloncini colorati volano in cielo, gli striscioni portati da scolari e studenti sembrano far festa e i gonfaloni dei Comuni, soprattutto provenienti dal Sud Italia, raccontano di una volontà di spezzare qualsiasi legame con le mafie.
Tanti sono i politici e gli amministratori presenti. C'è anche il ministro dell'ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, che si rammarica per la mancata approvazione della sua proposta di legge per i reati legati alle ecomafie. Quando il corteo raggiunge piazza della Libertà, quello della gente sembra l'abbraccio di una città intera a chi non vuole soggiacere ai soprusi.
I parenti delle vittime di mafia prendono posto nelle prime file sotto il palco, ed è a loro che il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, si rivolge per fare "un intervento strano", come egli stesso premette.
"A nome delle istituzioni, vi chiedo scusa - grida al microfono con la voce rotta dall'emozione, scoppiando a piangere - vi chiedo perdono per lo spettacolo indegno di complicità, a nome di coloro che dopo una condanna, invece di vergognarsi, hanno festeggiato con i cannoli".
I familiari delle vittime si alzano in piedi e applaudono, qualcuno di loro non trattiene le lacrime. Non le trattiene pochi attimi dopo neppure don Ciotti, che abbraccia Vendola e poi al microfono dice: "Basta, anche le istituzioni facciano la loro parte una volta per tutte e diano il loro contributo, così come noi, sporcandoci le mani, diamo il nostro". C'è anche l'abbraccio di Bertinotti a Vendola che suggella momenti forti.
L'emozione attraversa il palco e la folla; parlano sul palco anche alcuni parenti delle vittime. Poi risuonano le note di una pianola: è quella del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito di mafia, ucciso a soli 11 anni, il suo corpo sciolto nell'acido. È lui il simbolo di quanto "la mafia è morte", come dice il papà di una vittima. La giornata di oggi, invece, rappresenta l'affermazione di chi vuole una vita di giustizia e legalità.
La Repubblica, 15/03/2008
sabato 15 marzo 2008
Se un voto si compra con cinquanta euro
di ROBERTO SAVIANO
E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.
Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro. Indipendentemente da quale schieramento governerà il paese. Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c'è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un'arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino l'emigrazione verso l'estero. E' cosa risaputa ma che nessuno osa affrontare.
Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato.
Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro. Quasi come al tempo di Achille Lauro, l'imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina.
Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell'arco di una campagna elettorale.
Ma nel vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie prevalgono poteri incompatibili con una democrazia avanzata. E' una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal '
Il governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l'inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti all'opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella gestione dell'emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione rappresenta solo l'esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo scacco.
Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a scagionarlo dall'accusa di essere lui stesso un mafioso vero e proprio.
La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese intero. Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani cattolici i cui voti non sempre vanno al centrosinistra. Anche questi elettori dovrebbero pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di centrodestra che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all'Italia ferita dalle stragi di mafia: "Questo popolo... talmente attaccato alla vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte... Mi rivolgo ai responsabili... Un giorno verrà il giudizio di Dio". Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze.
È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa.
Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire che il chiasso delle polemiche distolga l'attenzione verso problemi che meno fanno rumore, più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non accontentarci.
Nel 1793
© 2008 by Roberto Saviano
Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency
(La Repubblica, 15 marzo 2008)
Mafia, giornata della memoria a Bari
BARI - Sono più di 100.000 - secondo gli organizzatori - le persone che hanno partecipato alla Giornata della memoria per le vittime di mafia a Bari ( ■ il video ), trasformatasi in una grande e colorata festa alla quale partecipano adulti, ragazzi e bambini. Lungo il percorso (il corteo si è snodato fino al parco di Punta Perotti, dove c'era l'eco-mostro poi abbattuto) sono stati letti gli oltre 700 nomi di tutte le vittime delle mafie. Nomi di semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell'ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perchè, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere.
«
DON CIOTTI - «Il cambiamento ha bisogno di noi, non di un Dio». Lo ha detto il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, sintetizzando l'impegno richiesto ai giovani per Combattere le mafie. «C'è una corresponsabilità che ci appartiene», ha aggiunto mentre sfilava alla testa del corteo a Bari. «Chiediamo allo Stato, alle istituzioni, alle amministrazioni di fare la loro parte, non dimenticando - ha continuato - le espressioni positive e rinunciando a quelle cose che non vanno bene. Dobbiamo prendere coscienza che il cambiamento ha bisogno delle nostre scelte, del nostro impegno, del nostro coraggio, della nostra voglia di metterci in gioco, delle denunce che nella quotidianità fanno la loro parte. In questo senso il lavoro con le scuole, con le università, con il mondo del lavoro, le confische dei beni, sono i segni della concretezza, della speranza».
Il Corriere della Sera, 15 marzo 2008