martedì 31 maggio 2011

Corleone. Conclusa la festa di Avviso Pubblico. Campinoti: "In politica bisogna distinguere tra chi si assume le responsabilità e chi non lo fa"

Agriturismo Terre di Corleone. Il saluto di Salvo Gibiino
Nel cuore della Sicilia, sul verde dell’altopiano corleonese, vi è oggi l’agriturismo “Terre di Corleone” (Contrada Drago). Questo casolare, divenuto un simbolo della legalità, apparteneva prima a Totò Riina, mentre oggi è gestito dalla Cooperativa Pio La Torre- Libera Terra. In questo posto incantevole ieri, 29 maggio 2011, si è conclusa la terza Festa nazionale di Avviso Pubblico, durante la quale gli amministratori locali provenienti da tutta Italia, per quattro giorni, si sono incontrati e confrontati sul fronte del contrasto alle mafie e per la costruzione di un’etica della responsabilità, raccontando ognuno le proprie esperienze e presentando dei progetti di lavoro. Salvatore Gibiino, Presidente della Cooperativa Pio La Torre, dopo aver ringraziato Avviso Pubblico per il sostegno concreto che porta a tutte le cooperative Libera Terra, ha affermato che è dal lavoro sui terreni confiscati che può crescere sempre di più la sensibilità dei cittadini per l’affermazione di una società giusta e senza mafie. “Oggi sono i ragazzi stessi di Corleone che chiedono di poter lavorare nella cooperativa e ciò vuol dire che la società civile si sta risvegliando”. Antonino Iannazzo, Sindaco di Corleone e Vice Presidente di Avviso Pubblico ha illustrato le misure di prevenzione amministrativa che il Comune ha attuato per contrastare l’infiltrazione mafiosa negli appalti ed ha affermato che nelle prossime settimane, attraverso Avviso Pubblico, si avanzeranno delle proposte legislative in materia di appalti al parlamento regionale siciliano e quello nazionale. “Le norme sugli appalti della Regione siciliana vanno cambiate. Il cerchio dell’impegno si deve allargare sempre di più” ha concluso Iannazzo.

“Sono contento che la terza Festa nazionale di Avviso Pubblico si sia svolta qui – ha affermato Andrea Campinoti, Presidente di Avviso Pubblico e Sindaco di Certaldo – Tanti amministratori di varie parti d’Italia hanno potuto toccare con mano quanto di positivo si è fatto a Corleone e nei comuni circostanti in questi anni per costruire opportunità di cittadinanza, di lavoro e di impresa. Avviso Pubblico – ha continuato Campinoti – vuole presentare la buona politica per contrastare il luogo comune che vuole che tutti i politici siano uguali. Così non è. L’impegno di questi sindaci che abbiamo incontrato in questi giorni dimostra quanto di positivo ci sia nelle amministrazioni locali del nostro Paese. Bisogna distinguere tra coloro che si impegnano con responsabilità e chi fa il contrario”.

Dopo questi interventi è iniziato l’incontro intitolato Testimonianze di impegno civile e politico contro le mafie, per la legalità. Erano presenti: Franco La Torre, figlio di Pio La Torre, Francesco Forgione, già Presidente Commissione parlamentare antimafia, Luciano Silvestri, responsabile Legalità e Sicurezza CGIL Nazionale e Toni Dell’Olio, responsabile settore internazionale di Libera. A moderare l’incontro Antonio Maria Mira, giornalista di Avvenire. Dalla legalità agli appalti, dai bisogni sociali all’internazionalità delle mafie, sono stati questi i temi principali al centro del dibattito. Franco La Torre ha brevemente ricordato l’impegno di suo padre, l’approvazione della legge Rognoni-La Torre (n. 646/82), che ha introdotto il reato di associazione mafiosa e la norma sulla confisca dei beni dei mafiosi. “Nell’Italia di oggi si fatica a percepire un chiaro schieramento delle forze politiche contro la mafia. Oggi si deve rafforzare la normativa sui beni confiscati – ha affermato il figlio di Pio La Torre – velocizzare i tempi e le procedure di sequestro, confisca, assegnazione e destinazione dei beni confiscati. Soprattutto – ha concluso La Torre – bisogna concentrarsi sul rimettere nel mercato le aziende confiscate, molte delle quali oggi faticano a ripartire”.

Luciano Silvestri della CGIL si è soffermato sul tema del lavoro e degli appalti affermando che: “Il sistema degli appalti pubblici oggi vale il 14% del PIL, un interesse economico rilevante. Il sistema del massimo ribasso va abbandonato a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, vanno chiarite in modo puntuale le regole che normano gli appalti sotto soglia, inserendo nel codice penale un reato contro il caporalato”.

Toni Dell’Olio di Libera si è soffermato sull’espansione delle mafie nel mondo. “Oggi l’internazionalità delle mafie è costitutiva delle mafie stesse. Non si può contrastare la mafia a livello locale senza porsi una strategia a livello internazionale. Oggi tutte le attività della criminalità organizzata si svolgono su uno scenario internazionale”. In questo Avviso Pubblico svolge un ruolo decisivo nel nostro Paese ha sostenuto Francesco Forgione. “La lotta alla mafia deve diventare la chiave interpretativa della società. Il sindacato deve aprire un dibattito pubblico sul sistema degli appalti; va creata una banca dati nazionale e approvata una legge che assegni il potere alla Direzione investigativa antimafia di svolgere le indagini sui flussi finanziari e sugli appalti. La lotta alle mafie va condotta di pari passo con la lotta alla corruzione e, questo, non solo in un’ottica e in una dimensione giudiziaria. In Italia va introdotto il reato di riciclaggio tra privati come previsto dalla Convenzione di Strasburgo del 1999. Va ricostruita una nuova etica pubblica e della trasparenza. Su questi ambiti il ruolo di Avviso Pubblico è decisivo”.
Giulia Migneco

lunedì 30 maggio 2011

50 mila blog chiusi per stampa clandestina?

Carlo Ruta
di Enzo Di Frenna
All’inizio di maggio una sentenza della prima sezione penale della Corte di Appello di Catania ha equiparato un blog ai giornali di carta. Dunque commette il reato di stampa clandestina chiunque abbia un diario in Internet e non lo registra come testata giornalistica presso il tribunale competente, come prevede la legge sulla stampa n 47 del 1948. La vicenda è paradossale e accade in Italia. Lo storico e giornalista siciliano Carlo Ruta aveva un blog: si chiamava Accadeinsicilia e si occupava del delicato tema della corruzione politica e mafiosa. In seguito a una denuncia del procuratore della Repubblica di Ragusa, Agostino Fera, quel blog è stato sequestrato e chiuso nel 2004 e Ruta ha subito una condanna in primo grado nel 2008. Ora la Corte di Appello di Catania, nel 2011, ritiene che quel blog andava considerato come un giornale qualsiasi – ad esempio La Repubblica, Il Corriere della Sera o Il Giornale – è dunque doveva essere registrato presso il “registro della stampa” indicando il nome del direttore responsabile e l’editore. La notizia farà discutere a lungo la blogosfera italiana: cosa succederà ora? Massimo Mantellini se la prende con Giuseppe Giulietti e Vannino Chiti per aver presentato in Parlamento la Legge 62 sull’editoria, che è stata poi approvata, con la quale si definisce la natura di prodotto editoriale nell’epoca di Internet. Ma il vero problema, a mio avviso, è la completa o scarsa conoscenza di cosa sia la Rete da parte di grandi pezzi dello Stato, incluso la magistratura. Migliaia di burocrati gestiscono quintali di carta e non sanno quasi nulla di cosa accade in Internet e nei social network. Questa sentenza, quindi, è un regalo alla politica cialtrona che tenterà ora di far chiudere i blog scomodi. Proveranno a imbavagliarci. In Italia ci sono oltre 50 mila blog. Soltanto BlogBabel ne monitorizza 31 mila. Nel mondo esistono almeno 30 milioni di blog e forse sono anche di più. I blog nascono come diari liberi on line, può aprirne uno chiunque. Una casalinga. Uno studente. Un professore universitario. Un operaio. Un filosofo. Chiunque. Ma adesso in Italia non è più possibile e possiamo dire che inizia il Medioevo Digitale. Nel mondo arabo i blog e i social network hanno acceso il vento della democrazia, il presidente americano Barack Obama plaude il valore di Internet e la libertà d’informazione, Wikileaks apre gli archivi segreti delle diplomazie, e noi, in Italia, in un polveroso palazzo di giustizia, celebriamo la morte dei blog. Ma la vogliamo fare una rivoluzione? Vogliamo scendere in piazza come gli Indignados spagnoli e inventarci qualcosa che faccia notizia in tutto il mondo? Vogliamo innalzare una grande scritta davanti alla Corte Costituzionale con lo slogan “Io bloggo libero, non sono clandestino!”. Eggià: perché gli avvocati di Ruta faranno appello in Cassazione e a quei giudici bisognerà far sapere che in Italia ci sono 50 mila persone libere che hanno un blog e confidano nell’articolo 21 della Costituzione, che permette la libertà di espressione con qualunque mezzo.  Che ne dite? Ci proviamo?
Fonte: “Il Fatto” (edizione on-line), 28 maggio 2011

Modica, blogger condannato. I blog come i quotidiani?

Carlo Ruta
Condanna, dopo due gradi di giudizio, per il reato di stampa clandestina: questo, il verdetto pronunciato dai tribunali di Modica e Catania nei confronti dello storico Carlo Ruta; una decisione, peraltro, capace di porre seri dubbi sul futuro dell'informazione web. L'imputato, dunque, paga con la condanna, in primo e secondo grado, l'impegno profuso all'interno del suo personale blog accadeinsicilia.it, prima oscurato ed oggi completamente disattivato. Ruta, infatti, si trovò al centro di un vortice, fatto di polemiche e denunce, già nel 2005. Agostino Fera, l'allora reggente della Procura della Repubblica di Ragusa, decise di agire in giudizio nei confronti dello scrittore a seguito delle valutazioni da questo espresse sull'operato dell'ufficio giudiziario ibleo e riportate su Accadeinsicilia.it. Ruta, in sostanza, riteneva che le indagini su un caso di corruzione e di passaggi di denaro che coinvolgevano anche un noto avvocato della zona fossero state archiviate con eccessiva facilità. Partì, così, un lungo iter, fra aule di tribunale e carte bollate: nel settembre del 2008, il tribunale di Modica condannò l'imputato al pagamento di una multa pari a 150 euro e al versamento di spese processuali per un totale di 5 mila euro. Sì, perché, stando alla sentenza redatta dai giudici modicani, il blog tenuto da Ruta non era stato registrato e, al pari di qualsiasi quotidiano cartaceo privo delle necessarie autorizzazioni, si poneva in contrasto con l'articolo 16 della legge sulla stampa n. 47 del 1948. Una disciplina che, data la fase storica di approvazione, fa riferimento esclusivamente alla dimensione tradizionale: quella, appunto, del cartaceo. Stando ai giudici del tribunale di Catania, che qualche giorno fa si sono espressi in appello sul caso di Carlo Ruta, non ci sono dubbi: l'imputato, riportando le proprie riflessioni sulle pagine web di accadeinsicilia.it, ha commesso un reato. Al blog, infatti, mancava una registrazione presso il tribunale di competenza, l'indicazione di un direttore responsabile, di un editore e dello stampatore. Dunque, stampa clandestina.
Ma, allora, si chiedono già in molti: la stessa sorte toccherà alle migliaia di blogger nostrani, sempre pronti ad aggiornare le rispettive pagine con notizie rintracciate dalle fonti ufficiali o con quelle ottenute dopo intense, ed autonome, ricerche? “Si tratta – commenta lo stesso Ruta – di una decisione, a mio parere, liberticida, destinata a gravare su tutti coloro, giornalisti e non, disposti a fare informazione in un certo modo”. Già dopo la condanna in primo grado, lo scrittore aveva preso posizione indicando il pronunciamento subito alla stregua del primo di una lunga serie di cappi che si preparavano per essere stretti al collo del web e dell'informazione non ufficiale. “Per questa ragione – conclude lo scrittore – nonostante il reato sia prescritto, ho deciso di agire in Cassazione per ottenere una pronuncia di legittimità; la decisione assunta, infatti, è unica anche a livello europeo. Nel nostro paese, non era mia esistito un caso di stampa clandestina neanche sul cartaceo, a questo punto nessuna pubblicazione può dirsi certa, compresi i bollettini parrocchiali”.

venerdì 27 maggio 2011

Il presidente Umberto Santino: "Necessarie nuove indagini sul delitto di Peppino Impastato"

Peppino Impastato
Apprendiamo dalla stampa che negli archivi del Palazzo di Giustizia giacciono materiali riguardanti l’inchiesta sull’assassinio mafioso di Giuseppe Impastato, di cui non siamo a conoscenza. A suo tempo, dopo la conclusione dei processi a Vito Palazzolo e a Gaetano Badalamenti, condannati come mandanti dell’assassinio, abbiamo chiesto, come famiglia Impastato e come Centro Impastato, la consegna, in fotocopia, dei materiali relativi all’inchiesta. Sappiamo che nelle perquisizioni subito dopo il delitto sono stati sequestrati “informalmente”, cioè senza redigere verbale (il che configura un illecito che si doveva segnalare e punire) documenti e materiali vari, libri, giornali, lettere ecc. con cui sono stati riempiti otto grandi sacchi usati per la raccolta dei rifiuti. Molti di questi documenti e materiali non sono stati restituiti alla famiglia e al Centro, e per iniziativa del giornalista Salvo Palazzolo, alcuni di essi sono stati pubblicati sul quotidiano “la Repubblica” del 27 marzo 2011. Successivamente lo stesso giornalista ha fatto avere al Centro questi e altri documenti. Abbiamo saputo che l’8 aprile scorso il sostituto procuratore Francesco Del Bene ha sentito Giovanni Impastato, fratello di Giuseppe. Il Centro, rappresentato da chi scrive, ha avuto un ruolo decisivo nella ricerca della verità; pertanto siamo fortemente interessati a una ricostruzione completa dei fatti e delle responsabilità e chiediamo che le indagini vadano avanti per continuare e portare a compimento un itinerario che già è riuscito a raggiungere alcuni punti fermi. A queste indagini il Centro darà il suo contributo, in linea con un impegno cominciato dallo stesso giorno del delitto.
Il primo punto fermo è la condanna dei mafiosi già indicati come mandanti dell’omicidio, mentre non si è riusciti a condannare gli esecutori. Essi sono stati individuati nelle persone dei mafiosi Nino Badalamenti e Francesco Di Trapani, uccisi nella guerra di mafia degli anni ’80, mentre un terzo, Salvatore Palazzolo, detto Turiddazzu, non si capisce perché non sia stato portato in giudizio. Il secondo punto fermo è la relazione della Commissione parlamentare antimafia sul depistaggio delle indagini, approvata a larga maggioranza nel dicembre 2000, che il Centro ha fatto pubblicare dagli Editori Riuniti nel volume: Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, nella prima edizione del 2001 e nella seconda edizione del 2006. Nella relazione si ricostruisce il ruolo della magistratura e si fa riferimento all’operato del procuratore capo Gaetano Martorana. La stessa mattina del 9 maggio 1978, poche ore dopo il reperimento dei resti del corpo di Giuseppe Impastato, il procuratore inviava al procuratore generale di Palermo un fonogramma in cui si legge:
«Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda – Morte di persona allo stato ignota, presumibilmente identificata in IMPASTATO GIUSEPPE, nato a Cinisi il 15.01.1948. Verso le ore 0,30-1 del 9.05.1978, persona allo stato ignota, ma presumibilmente identificata in tale IMPASTATO Giuseppe, in oggetto generalizzato, si recava a bordo della propria autovettura FIAT 850 all’altezza del Km. 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore». Il fonogramma del procuratore Martorana è all’origine del depistaggio, indicando la falsa pista dell’attentato, subito dopo seguita dall’allora maggiore Subranni, poi promosso generale. E poco dopo, durante un’ispezione nella casa della zia Fara, dove abitava Giuseppe Impastato, veniva trovata la lettera in cui scriveva che voleva “abbandonare la politica e la vita”, e il cerchio in tal modo si chiudeva: l’attentatore era un suicida. Così si voleva far passare Giuseppe Impastato, cancellando il suo decennale impegno contro la mafia. La lettera fu trovata dal sottufficiale dei carabinieri Carmelo Canale, cognato del maresciallo Antonino Lombardo, e consegnata al “Giornale di Sicilia” che ne pubblicò ampi stralci. Così si diffuse la convinzione che si trattasse di un attentato compiuto da un suicida.
Desidero ricordare che per smantellare questa montatura, condivisa da quasi tutti i magistrati, con pochissime eccezioni, il procuratore Gaetano Costa e il consigliere istruttore Rocco Chinnici soprattutto, e dalle forze dell’ordine, dai carabinieri di Cinisi agli ufficiali della Legione, abbiamo dovuto impegnarci, spesso nel più completo isolamento, per lunghi anni, scontrandoci con la decisa volontà di tanti di oscurare la verità, che è riuscita a farsi strada con grande ritardo. Tra coloro che si sono distinti per la protervia nel sostenere, anche quando era stata smascherata, la tesi dell’attentato terroristico, desidero segnalare il maggiore dei carabinieri Tito Baldo Honorati, successivamente promosso generale, che il 20 giugno del 1984, a sei anni dal delitto e dopo la sentenza istruttoria del maggio precedente che affermava inequivocabilmente che si trattava di un omicidio ad opera della mafia, anche se restavano ignoti mandanti ed esecutori, scriveva:
«Le indagini molto articolate e complesse svolte all’epoca da questo Nucleo operativo hanno condotto al convincimento che l’Impastato Giuseppe abbia trovato la morte nell’atto di predisporre un attentato di natura terroristica. L’ipotesi di omicidio attribuito all’organizzazione mafiosa facente capo a Gaetano Badalamenti operante nella zona di Cinisi è stata avanzata e strumentalizzata da movimenti politici di estrema sinistra ma non ha trovato alcun riscontro investigativo ancorché sposata dal Consigliere Istruttore del tribunale di Palermo, dr. Rocco Chinnici a sua volta, è opinione di chi scrive, solo per attirarsi le simpatie di una certa parte dell’opinione pubblica conseguentemente a certe sue aspirazioni elettorali come peraltro è noto, anche se non ufficialmente ai nostri atti, alla scala gerarchica. Lo stesso Magistrato peraltro, nell’ambito dell’istruttoria formale condotta con molto interessamento, non è riuscito a conseguire alcun elemento a carico di esponenti della mafia di Cinisi tanto da concludere con un decreto di archiviazione per delitto ad opera di ignoti».
Il testo è riportato nella relazione della Commissione parlamentare antimafia, alle pagine 178 e s. della prima edizione del volume Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio e alle pagine 180 e s. della seconda edizione.
Rocco Chinnici, una delle figure più integre della magistratura italiana, lo stratega della lotta alla mafia con la creazione del pool, era stato ucciso il 29 luglio del 1983, non aveva mai avuto aspirazioni elettorali di nessun genere e questo personaggio, vestito con la divisa di pubblico ufficiale, si permetteva di infangarne la memoria con affermazioni calunniose, assolutamente gratuite. Personaggi come questo sono stati premiati con la promozione in carriera mentre avrebbero meritato l’estromissione dall’Arma.
Tra i documenti acquisiti ci sono degli appunti, dal titolo Alcune domande, a firma di un “Centro Informazione Democratica”, in cui si parla di incontri di uomini delle forze dell’ordine con esponenti fascisti e di rapporti redatti in collaborazione tra loro. Dalla documentazione non risultano accenni alle voci sulle confidenze di Gaetano Badalamenti alle forze dell’ordine. Tali voci sono state diffuse anche in relazione alle vicende del maresciallo di Terrasini Antonino Lombardo, che più volte si sarebbe recato negli Stati Uniti per incontrare il capomafia detenuto in seguito alla condanna riportata nel processo alla cosiddetta Pizza Connection. Com’è noto, il 4 marzo 1995 il maresciallo Lombardo si è suicidato nella caserma Bonsignore di Palermo. Su queste vicende non si è mai fatta adeguata chiarezza.
Giuseppe Impastato indagava su questi rapporti e queste conoscenze hanno contribuito alla decisione di eliminarlo fisicamente e moralmente, seppellendolo sotto il marchio di terrorista? Questa è la domanda a cui si deve rispondere riprendendo le indagini volte a chiarire il ruolo che hanno avuto rappresentanti delle istituzioni ed altri soggetti nell’orchestrare e commissionare il delitto camuffandolo da atto terroristico.
C’è poi la vicenda dei carabinieri Salvatore Faldetta e Carmine Apuzzo uccisi ad Alcamo marina il 27 gennaio 1976. Tra le carte c’è un volantino a firma “Lotta continua” del 31 gennaio 1976, in cui si parla delle indagini a senso unico, una volta scartata la pista mafiosa, indirizzate a colpire i militanti della “Sinistra rivoluzionaria” e del Partito comunista, con le perquisizioni delle loro abitazioni. Tutto questo, “in una zona che è, senza ombra di dubbio, campo d’azione incontrastato della mafia: sofisticazione del vino (Partinico), traffico degli stupefacenti (Cinisi, Alcamo) speculazione edilizia mascherata da sviluppo turistico (Cinisi-Terrasini), sequestri di persona (Alcamo-Salemi), taglieggiamenti ed estorsioni a danno di ditte appaltatrici di lavori pubblici, controllo del collocamento della forza lavoro e degli enti locali, imposizioni di ogni genere, lotte tra cosche e una valanga di miliardi ricavati da loschi intrallazzi, riciclati e immessi nel traffico degli stupefacenti”. Com’è noto, recenti dichiarazioni di un ex carabiniere hanno rivelato che le confessioni delle persone incriminate e condannate sono state estorte con la tortura e si è riaperta una pagina che veniva considerata definitivamente chiusa. Anche queste vicende sono collegate con l’attività di inchiesta e di controinformazione svolta da Giuseppe Impastato e dal gruppo politico in cui militava.
Su queste e altre eventuali vicende il Centro chiede che si faccia la chiarezza necessaria e ribadisce che collaborerà attivamente a tutte le iniziative che mirino seriamente all’accertamento della verità.
Umberto Santino
Presidente del Centro Inpastato - Palermo

giovedì 26 maggio 2011

Froci, salvate l'Italia

di Lara Crinò
Li chiamano checche, finocchi, invertiti, busoni, ricchioni. Non possono avere una famiglia, sono discriminati sul lavoro e molti ancora devono nascondersi. Per la Giornata mondiale contro l'omofobia (17 maggio) esce un libro con dieci storie che aiutano a pensare
Un romanziere. Un filosofo. Una deputata. E ancora un poeta, un cantante pop, un attore, un attivista politico, una ex insegnante di educazione fisica. Pensate a dieci persone completamente diverse l'una dall'altra per cultura, collocazione sociale, backgroud familiare.
Dieci persone che sono diventate, in qualche modo, celebri o note, parte della sfera pubblica e in alcuni casi dell'immaginario collettivo per i loro talenti e le loro capacità. Si chiamano Aldo Busi, Tiziano Ferro, Anna Paola Concia, Nichi Vendola, Nino Gennaro, Leo Gullotta, Rosario Crocetta, Titti de Simone, Franco Grillini, Gianni Vattimo, e sono i protagonisti di un libretto lieve e denso, 'Dieci gay che salvano l'Italia oggi' (edizioni Laurana, è in libreria dal 20 maggio) che attraverso i loro ritratti racconta il coraggio di esporsi, di essere se stessi, in un'Italia in cui spesso fare 'coming out' e dichiararsi omosessuale non conviene.
Come spiega l'autrice, la scrittrice palermitana Daniela Gambino, quel che caratterizza la cultura popolare italiana, plasmata dalla sottocultura televisiva, al di là degli episodi di omofobia plateale (E Gambino cita la celebre, recente frase del premier Silvio Berlusconi, «meglio guardare le belle ragazze che essere gay») è una sorta di atteggiamento ipocrita e vagamente menefreghista.
«La frase che si sente pronunciare più spesso», spiega Gambino «e che mi fa rabbia, è quel 'per me possono fare quello che vogliono'. E ci mancherebbe altro. E' come se ogni volta noi etero, con questa frase, volessimo accordare un qualche tipo di permesso a uomini e donne, nostri concittadini, che dovrebbero invece poter godere dei nostri stessi diritti».
Ed è dunque intorno ai diritti, primo fra tutti il diritto a un'identità, che ruotano i ritratti di questi dieci gay, uomini e donne, che 'salvano' il nostro Paese, ovvero contribuiscono o hanno contribuito con il loro esempio a spezzare dei tabù o farci riflettere. Di ciascuno, Gambino fa un'istantanea, senza pretendere di fare un ritratto a tutto tondo. «Sono personaggi che fanno parte, in qualche modo, del mio immaginario e della mia quotidianità. Ancora ricordo, e sono passati molti anni, quando Leo Gullotta fece il suo coming out durante 'Domenica In'. Lo trovai di una potenza incredibile».
Al di là delle storie dei personaggi più noti - Aldo Busi, Gianni Vattimo, Nichi Vendola, Tiziano Ferro - Gambino recupera alcune vicende siciliane meno conosciute. Come ad esempio quella di Nino Gennaro, cresciuto a Corleone nel dopoguerra, che si dichiarò omosessuale e poeta nel paese dei padrini, e con la sua amica, complice e compagna Maria di Carlo è stato una figura importante dell'attivismo palermitano fino alla morte, nel 1994.
Si intitolava 'O si è felici o si è complici' un suo spettacolo, ed è in questa ricerca di felicità che sta la chiave del libro. Con una sorta di leit motiv che percorre ogni pagina: che la felicità o l'infelicità degli altri è anche la nostra. Perché ciò che porta con sé ogni lotta per i diritti civili (e noi viviamo in un Paese in cui, ad ogni legislatura, si seppelliscono i Pacs per motivi di convenienza elettorale) è la consapevolezza che il successo di una rivendicazione civile non cambia solo le condizioni di chi li rivendica, ma di tutti.
Riconoscere a tutti gli stessi diritti non libera soltanto chi è discriminato, ma la società intera. E di certo l'Italia aspetta ancora questa liberazione.
(L’Espresso, 16 maggio 2011)

mercoledì 25 maggio 2011

Marineo. Presentata l'antologia del movimento contadino, curata da Dino Paternostro

Da sx: F. Ribaudo, D. Paternostro, F. Virga, N. Cipolla
di FRANCESCO VIRGA
Come ben sapeva il Pitrè "la storia si è sempre scritta dai dotti pei dotti, e si è sempre occupata di grandi imprese, più o meno vere, senza dir mai nulla di quel che faceva, di quel che pensava, di quel che credeva la grande massa del popolo". Ci sono volute rivoluzioni sociali e culturali per cambiare i vecchio modo di scrivere la storia e, soprattutto, per arrivare a dare uno statuto scientifico allo studio delle cosiddette classi subalterne. In questo contesto va collocata l'opera curata da Nicola Cipolla e Dino Paternostro, intitolata Antologia di un'epopea contadina, pubblicata dal CEPES (Centro Studi ed Iniziative di Politica Economica in Sicilia) di Palermo lo scorso mese di marzo. Nel libro sono raccolti scritti e documenti vari che mettono a fuoco le lotte contadine dell'ultimo dopoguerra. L'opera offre un agile ventaglio degli studi che, soprattutto nell'ultimo decennio, sono stati prodotti per illuminare le grandi lotte per la libertà e il lavoro che uomini e donne, di cui si rischia di perdere la memoria, hanno condotto tra il 1944 e i primi anni cinquanta del secolo appena scorso.
Giustamente i curatori dell'Antologia, nelle loro introduzioni, osservano che sono stati proprio i tanti contadini poveri ed analfabeti di quel tempo a gettare le basi della democrazia in Sicilia e nell' Italia intera. I contadini allora costituivano circa la metà della popolazione attiva nella nostra isola ed in gran parte del territorio nazionale. Eppure la maggior parte dei libri di storia di questi contadini, tutt'altro che rassegnati, non hanno mai parlato. Con questa opera – che spero entri in tutte le scuole - si ripara un torto, si riscatta la memoria delle lotte compiute da milioni di persone. Alcuni protagonisti di queste lotte hanno lasciato memorie che si ritrovano, in parte, nel libro di cui stiamo parlando. Ma la maggior parte di quanti hanno lottato a fianco di Pio La Torre, Concetta Mezzasalma, Michele Li Puma, Maria Domina, Ignazio Drago, Ina Ferlisi, Girolamo Scaturro, Antonietta Profita – solo per citare alcuni nomi – non hanno lasciato alcuna traccia di sè, pur avendo condiviso lotte, arresti e conquiste. Basti pensare che, soprattutto nel biennio 1948-1949, paesi interi si svuotarono per partecipare all'occupazione dei feudi e delle terre incolte.
Al movimento contadino di quegli anni diedero un contributo fondamentale le donne. E, come ha giustamente osservato Nicola Cipolla, le donne che hanno attivamente partecipato alle occupazioni delle terre possono essere considerate le antesignane di tutte quelle altre donne che trent'anni dopo hanno dato vita al movimento femminista. Nelle sue memorie Pio La Torre nota che le donne erano sempre alla testa dei cortei, con le bandiere e i loro canti. Alcune canzoni erano molto settarie: una diceva di voler mettere il bue e il prete a tirare l'aratro. D'altra parte, allora, erano numerosi i preti che si rifiutavano di battezzare i figli di coloro che occupavano feudi e terre incolte. Al padrone, poi, era riservato l' aratru a scocca; e a tirare quest'ultimo, al posto del mulo, doveva essere il primo.
Dobbiamo essere grati agli autori di un'opera che fornisce uno strumento agile per la conoscenza di una pagina della nostra isola che rischia di essere dimenticata.
FRANCESCO VIRGA

martedì 24 maggio 2011

Le famiglie, la scuola e la comunità corleonese trasmettono forti valori positivi

Maurizio Pascucci
"Da ben sette anni ho la fortuna di coordinare l'attività di tante ragazze e ragazzi che a Corleone hanno trascorso quindici giorni delle loro vacanze, dedicando passione e impegno in favore e in aiuto alla Cooperativa Lavoro e Non Solo che gestisce nella Comunità Corleonese beni confiscati ai mafiosi del luogo. In questo lungo periodo ho potuto apprezzare la cordialità e l'ospitalità del popolo corleonese dalle quali traspaiono solidi e forti valori educativi. Una comunità colpita da stereotipi, ma anche da tanti alla ricerca di notizie utili a loro stessi e non al bene di una collettività dove è più complesso vivere la quotidianità. Dal 21 ottobre 2010 ho il piacere di essere cittadino onorario di Corleone, apprezzando moltissimo il senso civico di questa cittadina che riesce a far emergere la voglia del cambiamento sociale. I valori educativi positivi che le famiglie, la scuola e la comunità trasmettono agli adolescenti sono oggi una delle ricchezze che spesso i nostri ragazzi e ragazze, al loro ritorno in Toscana, ben narrano nelle loro testimonianze."
Maurizio Pascucci
Cittadino Onorario di Corleone
residente a Firenze

Corleone. Il progetto fotografico "Cento Sguardi" contro gli stereotipi mafiosi

(ANSA) - PALERMO - Lottare contro gli stereotipi sulla mafia, raccontando con i propri occhi il luogo in cui si vive. E' il senso del progetto fotografico dal titolo "I cento sguardi", organizzato in collaborazione con il Comune di Corleone (Palermo), Unicoop Tirreno, Fondazione sistema Toscana-Mediateca, Fondazione Antonino Caponnetto, il Coordinamento antimafia di Firenze e la Cooperativa 'Lavoro e non solo'. L'inaugurazione, nel corso della quale verranno esposte 100 immagini di selezione su oltre 3 mila, è prevista per stamattina mercoledi 25 maggio, alle 11, nel Complesso di San'Agostino, a Corleone. ''Prima di arrivare a Corleone, noi come tanti, avevamo dei preconcetti su cosa vi avremmo trovato, perche' Corleone e' un luogo che evoca luci fosche ed eventi sanguinosi - racconta Margherita Abbozzo, ideatrice del progetto, assieme ad Alessandra Capodacqua -. La cooperativa 'Lavoro e non solo' offre a ragazzi di tutta Italia la possibilita' di fare l'eccezionale esperienza dei campi di lavoro organizzati dall'Arci - spiega Margherita -. Il nostro progetto e' stato pensato, invece, per i ragazzi del luogo, quelli che non vanno via dopo qualche settimana in estate e che a Corleone invece abitano, studiano, crescono''. ''Alla fine di ottobre 2010 abbiamo distribuito macchine fotografiche attraverso le scuole del paese, coinvolgendo la classe V elementare, la II e la III media, il I liceo di agraria, il I anno del liceo pedagogico e qualche ragazzo dei licei classico e scientifico. I ragazzi hanno avuto qualche giorno per fare fotografie. Delle 100 macchine distribuite ne sono tornate indietro 88 e due non hanno funzionato bene. Per le rimanenti 86 abbiamo avuto quasi tutti i permessi necessari, concessi dai genitori per utilizzare immagini realizzate da minori. Non e' stato facile selezionare cento immagini su oltre 3 mila fotografie, ma siamo rimaste molto colpite dall'entusiasmo dei ragazzi e dalla loro voce che forestieri accogliamo con un silenzio rispettoso e pieno di interesse''. ''Se fosse educata adeguatamente - conclude Abbozzo - la loro voce potrebbe anche aprire porte professionali capaci di dare molta soddisfazione''. (ANSA).

lunedì 23 maggio 2011

La retorica dell'antimafia

L'albero Falcone a Palermo
23 maggio 1992 – 23 maggio 2011: sono passati 19 anni ma non ti abbiamo ancora dimenticato! Per il 19° Anniversario della Strage di Capaci in cui venivano barbaramente uccisi il Giudice Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco di Cillo, noi di COSEDIPRIZZI, anziché farvi il resoconto delle celebrazioni commemorative che si moltiplicheranno in giro per la Sicilia e in tutta la nostra penisola, vorremmo invitare i nostri lettori ad una riflessione. A volte, sulle nostre pagine è capitato di affrontare discussioni riguardanti la mafia e l’antimafia siciliane. Abbiamo letto di tutto e non sempre ci siamo trovati in accordo con quanto affermato, ma soprattutto ci è capitato di constatare con amarezza come la cosiddetta “retorica antimafia”, tipica della nostra regione, e di alcuni personaggi di spicco della politica siciliana e nazionale, sia stata semplicemente un gran bel contenitore “vuoto”, insomma, soltanto cumuli di parole di circostanza, a cui spesso, non hanno fatto seguito i fatti. La Sicilia, purtroppo, a nostro parere, detiene il triste primato della “retorica antimafia”, con un gran numero di personaggi pubblici che su tali tematiche hanno costruito la propria fortuna politica.
Insomma, prendendo in prestito le parole di un grande siciliano come Leonardo Sciascia, possiamo senz'altro affermare che i cosiddetti “professionisti dell'antimafia” in Sicilia ci sono ancora e proliferano come non mai.
La retorica antimafia, a nostro parere, ha spesso avuto come unico risultato quello di mortificare ulteriormente le speranze di riscatto sociale di un territorio già pesantemente oppresso dal giogo della mafia, rendendolo schiavo del proprio passato e rinchiudendolo in una specie di ghetto virtuale dal quale nulla di buono sarebbe mai potuto uscire. Molti politici siciliani, negli ultimi anni, si sono semplicemente gonfiati il petto con i buoni propositi della retorica antimafia fine a se stessa, non rendendosi conto che quando si critica qualcosa è doveroso proporre un'alternativa valida di rilancio e di sviluppo, altrimenti, l'unica cosa che si ottiene è quella di creare “terra bruciata” attorno ai luoghi e alle genti presi in considerazione. Ci sono intere comunità siciliane che hanno visto soffocare le proprie speranze di rilancio economico, sociale e culturale a causa di una politica tesa soltanto a realizzare uno show mediatico sui mali atavici di un territorio, senza proporre alcuna soluzione. Sulla “terra bruciata” creata attorno ai siciliani, purtroppo, per molto tempo non crescerà più l'erba del benessere e dello sviluppo, che rappresentano uno dei pochi mezzi con i quali si può seriamente combattere il fenomeno mafioso che, viceversa, per prosperare, ha la necessità di mantenere uno stato di bisogno nelle popolazioni.
Ma ciò che è più insopportabile è constatare, come anche noi siciliani, a volte, ci facciamo irretire da questi comportamenti messi in atto dagli esperti dell’arte oratoria che, in realtà, poco, o nulla sanno sulla mafia e che, per di più, hanno la presunzione di volerla spiegare a noi siciliani.
Ognuno di noi , nel suo piccolo, può fare la propria parte (compresi i vari amministratori locali).
Probabilmente, negli ultimi tempi qualche amministratore, anziché, spendersi per intitolare i campetti sportivi o le strade ai martiri della mafia (cosa senz'altro giusta ma non prioritaria), avrebbe potuto impegnarsi maggiormente per il benessere del proprio territorio, in modo tale da creare quelle opportunità di sviluppo che rendono un paese meno “bisognoso”, poiché, salvaguardare legittimamente il nostro passato, non deve precludere al nostro territorio il diritto di avere un futuro, futuro che invece negli ultimi anni sembra essere assolutamente inesistente.
Insomma, il popolo siciliano per l’ennesima volta ha dovuto sopportare, i questi ultimi anni, un cumulo di sciocchezze portate in giro con l’arroganza e l’ipocrisia di chi vuole far credere di aver capito tutto sul fenomeno mafioso, perché, parlarne, sbandierare ai quattro venti che ci fa “schifo”, snocciolare i soliti luoghi comuni sull’argomento, fa moda, fa tendenza e consente all’oratore di turno di ottenere la propria fetta di visibilità mediatica…poi…tutto, ma proprio tutto, torna nel silenzio, quel silenzio con cui i cittadini siciliani hanno imparato a convivere per troppo tempo, quel silenzio che fa compagnia da sempre a noi siciliani e che spesso fa più rumore di mille parole, quel silenzio in cui per troppo tempo il popolo siciliano ha soffocato con dignità il proprio malessere, la propria solitudine, la propria delusione per essersi sentito troppe volte abbandonato da uno Stato storicamente e colpevolmente assente, quel silenzio che non esprime vigliaccheria, bensì la dignità e l’orgoglio di un popolo che spesso, nell’arco della sua millenaria storia, non ha avuto “Santi” a cui votarsi. E tra tutti questi silenzi, quello che ci piace di più è senz’altro quello dei tanti servitori dello Stato che combattono concretamente e non a parole, la mafia. Non perché le “parole” non siano importanti, ma perché è d’uopo che a queste, responsabili della formazione di una coscienza civile di un popolo, seguano i fatti concreti, affinché non si abbassi mai la guardia!
E tra le parole che ci fa tanto piacere sentire, vorremo citare quelle apparse qualche mese fa sul sito CITTANUOVECORLEONE e che, a nostro modo di vedere, sarebbe veramente un peccato lasciar cadere nel vuoto, in cui Dino Paternostro per il 2011 auspicava: “Vorrei che (a Corleone, in Sicilia e in Italia) si mettesse fine alla vuota (e pericolosa) retorica dell’antimafia, che alimenta la mafia e crea confusione tra la gente onesta.”
Sono dunque queste le parole che ci piace sentire, e che meglio di ogni altra cosa riassumono il nostro pensiero, tutte le altre, le lasciamo a chi ama prendere in giro il popolo siciliano per l’ennesima volta!
Ed è paradossale che proprio le parole che più ci piacciono, sono quelle pronunciate da qualcuno che, su molti temi di politica e sociali, la pensi spesso in maniera diametralmente opposta alla nostra. Evidentemente, tutto ciò è segno che le parole di buon senso non hanno necessità di essere confinate all'interno di una singola area politica e culturale.
Detto ciò, ci scusiamo se anche noi in questo articolo, probabilmente, siamo stati un po' retorici, ma almeno la nostra è una retorica innocua.
Giovanni Falcone rimarrà per sempre nei nostri cuori!
Mauro M. Lupo
***
Pubblichiamo la lettera inviataci dagli amici di “Cosediprizzi”, ma precisiamo subito che Leonardo Sciascia nella sua polemica contro i “professionisti dell'antimafia”, specie nel riferimento a Paolo Borsellino, prese un grosso abbaglio. Quindi, stiamo attenti a non usare in maniera impropria certi slogan di successo, che alimentano solo confusione. Ci sono i “professionisti dell’antimafia” autorizzati a svolgere questo “mestiere” dalla mafia. Non dimentichiamo, però, che tante (troppe) persone accusate di essere “professionisti dell’antimafia” adesso si trovano in una bara di noce e sottoterra.
Precisiamo, infine che abbiamo seguito, nei mesi scorsi, la polemica contro l’amministrazione comunale di Prizzi che voleva intitolare un campetto sportivo a Peppino Impastato. E uno degli argomenti “contro” usato dagli oppositori era che Peppino non fosse di Prizzi. Un argomento un po’ infantile, al limite tra la stupidità e la malafede. Probabilmente a Prizzi ci sarà una via Manzoni, una via Crispi o una via Garibaldi. E non ci sembra che Manzoni, Crispi e Garibaldi fossero di Prizzi. Quindi rispolverare ancora questa polemica non ci sembra utile.
La retorica dell’antimafia è pericolosa e controproducente, ma cerchiamo di non fare retorica anche criticando la retorica… (d.p.)

LE GUERRE DI UN PREMIO NOBEL PER LA PACE. Lettera aperta di Perez Esquivel a Barack Obama: da Nobel a Nobel

Adolfo Perez Esquivel
Ho trascorso la giornata di ieri (domenica) a tradurre questa bella e vibrante lettera aperta del premio Nobel per la Pace 1980, Adolfo Perez Esquivel, al suo collega Nobel Barack Obama, presidente degli Usa, che certo non sta facendo onore al riconoscimento attribuitogli. Spero sia di vostro interesse. Ve la mando (pregandovi di farla conoscere) anche perché difficilmente la potrete trovare nei media italiani. Agostino Spataro

Caro Barack,
Ti invio questa lettera fraternamente per esprimerti la preoccupazione e l’indignazione nel vedere distruzione e morte provocate in diversi paesi, in nome della "libertà e democrazia", due parole prostituite e vuote di contenuti che giustificano l’omicidio e lo festeggiano come se si trattasse di un evento sportivo. Indignazione per l'attitudine di taluni settori della popolazione degli Stati Uniti, dei capi di Stato europei e di altri paesi che hanno appoggiato l'omicidio di Ben Laden, ordinato dal tuo governo e dalla tua compiacenza in nome di una presunta giustizia. Non hanno cercato di arrestarlo e giudicarlo per i presunti crimini commessi, la qualcosa genera il più grande dubbio, poiché l'obiettivo era quello di assassinarlo. I morti non parlano. Con l’assassinio scompare anche il timore che l’assassinato possa dire cose sconvenienti per gli Stati Uniti e si garantisce che "morto il cane scompare la rabbia”, senza tener conto che altro non si fa che aumentarla.
Quando ti hanno assegnato il Nobel per la Pace, del quale siamo depositari, ti ho inviato una lettera che diceva: "Barack sono rimasto molto sorpreso del fatto che ti abbiano assegnato il Nobel per la pace, ma ora che lo hai avuto devi metterlo al servizio della Pace fra popoli, hai tutta la possibilità di farlo, per porre fine alla guerra e cominciare a invertire la grave situazione che vive il tuo Paese e il mondo” Purtroppo, hai aumentato l'odio e tradito i principi adottati nella campagna elettorale di fronte al tuo popolo, come mettere fine alle guerre in Afghanistan e in Iraq e chiudere le prigioni di Guantanamo e Abu Ghraib in Iraq. Niente di tutto ciò sei riuscito a fare, mentre hai deciso d’iniziare un'altra guerra contro la Libia, con il sostegno della NATO e della vergognosa risoluzione delle Nazioni Unite, in una fase in cui questo alto organismo, paralizzato e senza pensiero proprio, ha perduto la sua strada ed è soggetto ai capricci e gli interessi delle potenze dominanti.
La base fondamentale delle Nazioni Unite è la difesa e la promozione della Pace e della dignità fra i popoli. Il suo preambolo dice: "Noi, i popoli del mondo ..." oggi assenti da questo alto organismo.
Mi ricordo di un insegnante e mistico che ha fortemente influenzato la mia vita, il monaco trappista dell'Abbazia di Getsemani nel Kentucky, Thomas Merton, che dice "Il più grande bisogno del nostro tempo è quello di cancellare l'enorme massa di spazzatura mentale ed emotiva che intasa le nostre menti e trasforma tutta la vita politica e sociale in un’infermità di massa. Senza questa pulizia non potremo cominciare a vedere. E se non vediamo non potremo pensare..”
Barack eri molto giovane durante la guerra del Vietnam, talvolta non ricordi la lotta del popolo americano contro la guerra. I morti, feriti e mutilati in Vietnam ancora soffrono le sue conseguenze. Thomas Merton, di fronte a un francobollo recante la scritta "L’esercito degli Stati Uniti, la chiave per la pace", diceva “ Nessun esercito è la chiave per la pace. Nessuna nazione ha la chiave di nulla che non sia la guerra. Il potere non ha nulla a che vedere con la pace. Quando più aumenta il potere militare degli uomini tanto più violentano e distruggono la pace.”
Ho accompagnato i veterani della guerra del Vietnam, tra cui Brian Wilson e i suoi compagni vittime di quella guerra e di tutte le guerre. La vita ha questo non so che d’imprevisto, di sorprendente fragranza e bellezza che Dio ha dato a tutto il genere umano e che noi dobbiamo tutelare per lasciare alle generazioni future una vita più giusta e fraterna, recuperando l'equilibrio con la Madre Terra.
Se non reagiamo per cambiare la situazione attuale di arroganza suicida che trascina i popoli in profondi recessi dove muore la speranza, sarà difficile uscire e vedere la luce. L’umanità merita un destino migliore. Sappi che la speranza è come il loto che cresce nel fango e fiorisce in tutto il suo splendore.
Leopoldo Marechal, grande scrittore argentino, ha detto che "dal labirinto si esce dall’alto” . E penso, Barack, che, dopo aver seguito la tua strada per un cammino sbagliato, ti ritrovi in un labirinto senza uscita e sprofonderai sempre di più nella violenza, nell'incertezza, divorato dal potere dominante, guidato dalle grandi corporazioni, del complesso militare-industriale, credendo di potere fare tutto e che il mondo sia ai piedi degli Stati Uniti perché impone la forza delle armi e invade i paesi impunemente. E 'una realtà dolorosa, ma esiste anche la resistenza dei popoli che non si piegano di fronte ai potenti.
Sono così vaste le atrocità commesse dal tuo paese nel mondo che sarebbe un tema troppo lungo da affrontare, è questo un impegno per gli storici che dovranno ricercare e conoscere i comportamenti politici, la grandezza e le meschinità che hanno portato gli Usa alla monocultura della mente che non permette di vedere altre realtà.
Ben Laden, presunto autore ideologico dell’attacco alle Torri Gemelle, viene identificato come Satana incarnato che terrorizzava il mondo e la propaganda del tuo governo lo segnalava come "asse del male", e ciò è servito per scatenare la guerra desiderata dal complesso militare- industriale che ne ha bisogno per piazzare i suoi prodotti di morte. Sappi che gli investigatori del tragico 11 settembre, segnalano che l'attentato somiglia a un “autogolpe”, come suggeriscono l’impatto dell’aereo contro il Pentagono e lo svuotamento anticipato degli uffici delle torri.
Quell’attentato ha fornito il motivo per scatenare la guerra contro l'Afghanistan e l’Iraq e ora contro la Libia; argomentando, con la menzogna e l'arroganza del potere, che tutto si fa per salvare il popolo, in nome della "della libertà e della difesa della democrazia”, come il cinismo di dire che la morte di donne e bambini sono" danni collaterali ". Tutto ciò ho visto in Iraq, a Baghdad, dopo i bombardamenti sulla città e sull'ospedale pediatrico e sul rifugio per i bambini che sono stati vittime di questi "danni collaterali".
La parola vuota di valori e di contenuti, per cui l'omicidio, lo chiamano morte e, infine, gli Stati Uniti hanno dato la “morte” a Bin Laden. Non giustifico Bin Laden in nessun caso, io sono contro tutti i terrorismi, tanto di questi gruppi armati come del terrorismo di Stato che il tuo Paese esercita in diverse parti del mondo per sostenere i dittatori, imponendo basi militari e interventi armati, esercitando la violenza per restare, mediante il terrore, nell’asse del potere mondiale. C'è solo un "asse del male"?. Come si chiama?
Sarà per questo motivo che il popolo degli Stati Uniti vive nella paura della rappresaglia di quello che chiamano l '"asse del male"? Il semplicismo e l’ipocrisia di giustificare l'ingiustificabile. La Pace è una dinamica di vita nelle relazioni tra persone e popoli; è una sfida alla coscienza dell'umanità, la sua strada è faticosa, quotidiana e speranzosa, dove i popoli sono costruttori della propria vita e storia. La pace non si regala, si costruisce ed è questo che ti manca, ragazzo, il coraggio di assumerti la responsabilità storica col tuo popolo e con l'umanità.
Non si può vivere nel labirinto della paura e del dominio di coloro che governano gli Stati Uniti, ignorando i Trattati internazionali, i Patti e Protocolli di governi che firmano ma non ratificano nulla e non attuano nessuno degli accordi, però parlano in nome della libertà e del diritto.
Come si può parlare di Pace se non si rispettano gli accordi, salvo gli interessi del tuo paese? Come si può parlare di libertà quando si tengono in carcere prigionieri innocenti a Guantanamo, negli Usa, in Iraq, come Abu Ghraib, e in Afghanistan? Come si può parlare di diritti umani e della dignità dei popoli quando li violi permanentemente e blocchi coloro che non condividono la tua ideologia e debbono sopportare i tuoi abusi? Come puoi inviare forze militari ad Haiti dopo un devastante terremoto e non aiuto umanitario alle persone che soffrono? Come si può parlare di libertà quando massacri i popoli del Medio Oriente e diffondi guerre e torture, in conflitti interminabili che dissanguano palestinesi e israeliani? Barack guarda dall’alto il tuo labirinto, potresti incontrare la stella che ti guida…Cerca di essere coerente con quello che dici e che fai, è l'unico modo per non perdere la giusta direzione. E’ questa la sfida della vita.
Il Nobel per la Pace è uno strumento al servizio dei popoli e non di vanità personale. Ti auguro di avere molta forza e speranza e speriamo che trovi il coraggio di correggere il cammino intrapreso e d’incontrare la saggezza della Pace.
Un giorno come oggi, 34 anni fa tornai alla vita, scampai ad un volo della morte durante la dittatura militare argentina, appoggiata dagli Stati Uniti. Grazie a Dio sono sopravvissuto e sono uscito dal labirinto della disperazione e scoprire nelle stelle il cammino per poter dire come il profeta, "l'ora più buia è quando comincia ad albeggiare" .



Adolfo Perez Esquivel
Premio Nobel per la Pace 1980
Buenos Aires, 5 maggio 2011
(inserito in “Emigrazione Notizie” del 18 maggio 2011)

Alcuni elementi biografici di Perez Esquivel

L'impegno pacifista
Negli anni Sessanta, Perez Esquivel inizia a collaborare con alcuni gruppi pacifisti di cristiani latinoamericani. Nel 1974, decide di lasciare l’insegnamento, per dedicarsi interamente all’assistenza ai poveri e alla lotta contro le ingiustizie sociali e politiche, attraverso la prassi del metodo della non violenza.

[La dittatura
Dopo il colpo di Stato di Jorge Rafael Videla, ha contribuito alla formazione di “El Ejercito de Paz y Justicia” un’associazione di difesa dei diritti umani che si è prodigata anche per assistere le famiglie delle vittime del regime e della guerra delle Falklands.

[La prigionia e il Nobel per la pace
Viene arrestato nel 1975 dalla polizia brasiliana e nel 1976 viene incarcerato in Ecuador. Nel 1977 viene fermato dalla polizia argentina che lo tortura e lo tiene in stato di fermo per 14 mesi senza processo. Mentre si trova in prigione riceve il Memoriale della Pace di Papa Giovanni XXIII. Nel 1980 viene insignito del Premio Nobel per la Pace per i suoi sforzi contro la dittatura ed in favore dei diritti umani. Nel 1999 riceve anche il Premio Pacem in Terris. Nel 1995, pubblica il libro Caminando junto al Pueblo nel quale racconta la sua esperienza. Dal 2003 è presidente della Lega internazionale per i diritti umani e la liberazione dei popoli. È inoltre membro del Tribunale popolare permanente.
(da Wikipedia)

(Il testo originale della lettera)
Estimado Barack:
Al dirigirte esta carta lo hago fraternalmente y a la vez para expresarte la preocupación e indignación de ver como la destrucción y muerte sembrada en varios países, en nombre de la "libertad y la democracia", dos palabras prostituidas y vaciadas de contenido, termina justificando el asesinato y es festejada como si se tratase de un acontecimiento deportivo. Indignación por la actitud de sectores de la población de los EEUU, de jefes de Estado europeos y de otros países que salieron a apoyar el asesinato de Ben Laden, ordenado por tu gobierno y tu complacencia en nombre de una supuesta justicia. No buscaron detenerlo y juzgarlo por los crímenes supuestamente cometidos, lo que genera mayor duda, el objetivo fue asesinarlo. Los muertos no hablan y el miedo al ajusticiado que podría decir cosas no convenientes para los EEUU fue el asesinato y asegurar que "muerto el perro se terminó la rabia", sin tener en cuenta que no hacen otra cosa que incrementarla.
Cuando te otorgaron el Premio Nóbel de la Paz, del cual somos depositarios, te envié una carta que decía:" Barack me sorprendió mucho que te hayan otorgado el Nóbel de la Paz, pero ahora que lo tienes debes ponerlo al servicio de la Paz entre los pueblos, tienes toda la posibilidad de hacerlo, de terminar las guerras y comenzar a revertir la grave situación que vive tu país y el mundo. Sin embargo has incrementado el odio y traicionado los principios asumidos en la campaña electoral ante tu pueblo, como poner fin a las guerras en Afganistán e Irak y cerrar las cárceles en Guantánamo y Abu Graib en Irak , nada de eso haz logrado hacer, por el contrario, decides comenzar otra guerra contra Libia, apoyada por la NATO y la vergonzosa resolución de las Naciones Unidas de apoyarla; cuando ese alto organismo, empequeñecido y sin pensamiento propio, ha perdido el rumbo y esta sometido a las veleidades e intereses de las potencias dominantes. La base fundacional de la o¬nU es la defensa y promoción de la Paz y dignidad de entre los pueblos. Su preámbulo dice "Nosotros los pueblos del mundo..." hoy ausentes de ese alto organismo.
Quiero recordar a un místico y maestro que tiene en mi vida una gran influencia, el monje trapense de la Abadía de Getsemaní en Kentucky, Tomás Merton que dice" La mayor necesidad de nuestro tiempo es limpiar la enorme masa de basura mental y emocional que atasca nuestras mentes y convierte toda vida política y social en una enfermedad de masas. Sin esa limpieza doméstica no podemos comenzar a ver. Si no vemos no podemos pensar"-
Eras muy joven Barack durante la guerra de Vietnam, tal vez no recuerdes la lucha del pueblo norteamericano por oponerse a la guerra. Los muertos, heridos y mutilados en Vietnam hasta el día de hoy sufren sus consecuencias. Tomás Merton decía, frente a un matasellos del correo que acababa de llegar "The U.S. Army, key to peace", "El ejercito U.S., clave de la paz". Ningún ejército es clave de la paz. Ninguna nación tiene la clave de nada que no sea la guerra. El poder no tiene nada que ver con la paz. Cuando más aumentan los hombre el poder militar, más violan la paz y la destruyen".
He compartido y acompañado a los veteranos de guerra de Vietnam, en particular a Brian Wilson y sus compañeros quienes fueron víctimas de esa guerra y de todas las guerras. La vida tiene ese no se que, de lo imprevisto y sorprendente de fragancia y belleza que Dios nos dio para toda la humanidad y que debemos proteger para dejar a las generaciones futuras una vida más justa y fraterna, restablecer el equilibrio con la Madre Tierra. Si no reaccionamos para cambiar la situación actual de la soberbia suicida a que están arrastrando a los pueblos a recovecos profundos donde muere la esperanza, será difícil salir y ver la luz; la humanidad merece un destino mejor. Sabes que la esperanza es como el loto que crece en el fango y florece en todo su esplendor mostrando su belleza.
Leopoldo Marechal, ese gran escritor argentino decía que: "del laberinto se sale por arriba". Y creo Barack que después de seguir tu ruta equivocando caminos, te encuentras en un laberinto sin poder encontrar la salida y te entierras más y más en la violencia, en la incertidumbre, devorado por el poder dominación, arrastrado por las grandes corporaciones, el complejo industrial militar y crees tener el poder que todo lo puede y que el mundo está a los píes de los EEUU porque impone la fuerza de las armas e invades países con total impunidad. Es una realidad dolorosa, pero también existe la resistencia de los pueblos que no claudican frente a los poderosos.
Son tan largas las atrocidades cometidas por tu país en el mundo que daría tema para largo, es un desafío para los historiadores que tendrán que investigar y saber de los comportamientos, política, grandeza y pequeñeces que ha llevado a EEUU al monocultivo de las mentes que no le permite ver otras realidades.
A Ben Laden, supuesto autor ideológico del ataque a las torres gemelas, lo identifican como el Satán encarnado que aterrorizaba al mundo y la propaganda de tu gobierno lo señalaba como el "eje del mal", y eso les ha servido para declarar las guerras deseadas que el complejo industrial militar necesita para colocar su productos de muerte. Sabes que investigadores del trágico 11 de septiembre, señalan que el atentado tiene mucho de "autogolpe", como el avión contra el Pentágono y el vaciamiento anterior de las oficinas de las torres; atentado que dio motivo para desatar la guerra contra Irak y Afganistán y ahora contra Libia; argumentando en la mentira y la soberbia del poder que todo lo hacen para salvar al pueblo, en nombre de "la libertad y defensa de la democracia", como el cinismo de decir que la muerte de mujeres y niños son "daños colaterales". Eso lo viví en Irak, en Bagdad con los bombardeos en la ciudad y el hospital pediátrico y en el refugio de niños que fueron víctimas de esos "daños colaterales".
La palabra vaciada de valores y contenido, donde al asesinato, lo llamas muerte y que por fin EEUU ha "muerto" a Bin Laden. No trato de justificarlo bajo ningún concepto, estoy en contra de todo terrorismo tanto de esos grupos armados, como del terrorismo de Estado que tu país ejerce en diversas partes del mundo apoyando a dictadores, imponiendo bases militares e intervención armada, ejerciendo la violencia para mantenerse por el terror en el eje del poder mundial. ¿Hay un solo "eje del mal"?. ¿cómo lo llamarías?
Será por ese motivo que el pueblo de los EEUU vive con tanto miedo a las represalias de quienes llaman el "eje del mal"? El simplismo e hipocresía de justificar lo injustificable. La Paz, es una dinámica de vida en las relaciones entre las personas y los pueblos; es un desafío a la conciencia de la humanidad, su camino es trabajoso, cotidiano y esperanzador, donde los pueblos son constructores de su propia vida y de su propia historia. La Paz no se regala, se construye y eso es lo que te falta muchacho, coraje para asumir la responsabilidad histórica con tu pueblo y la humanidad.
No puedes vivir en el laberinto del miedo y la dominación de quienes gobiernan los EEUU, desconociendo los Tratados Internacionales, los Pactos y Protocolos, de gobiernos que firman pero no ratifica nada y no cumplen ninguno de los acuerdos, pero hablan en nombre de la libertad y el derecho.
¿Cómo puedes hablar de la Paz si no quieres cumplir con nada, salvo los intereses de tu país? ¿Cómo puedes hablar de la libertad cuando tienes en las cárceles a prisioneros inocentes en Guantánamo, en los EEUU, en las cárceles de Irak, como la de Abu Graib y en Afganistán? ¿Cómo puedes hablar de los derechos humanos y la dignidad de los pueblos cuando los violas permanentemente y bloqueas a quienes no comparten tu ideología y deben soportar tus abusos? ¿Cómo puedes enviar fuerzas militares a Haití después del devastador terremoto y no ayuda humanitaria a ese sufrido pueblo? ¿Cómo puedes hablar de libertad cuando masacras a los pueblos del Oriente Medio y propagas guerras y torturas, en conflictos interminables que desangra a los palestinos e israelitas? Barack mira para arriba de tu laberinto, puedes encontrar la estrella que te guíe, aunque sepas que nunca podrás alcanzarla, como bien lo dice Eduardo Galeano.
Busca ser coherente entre lo que dices y haces, es la única forma de no perder el rumbo. Es un desafío de la vida.
El Nóbel de la Paz es un instrumento al servicio de los pueblos, nunca para la vanidad personal Te deseo mucha fuerza y esperanza y esperamos que tengas el coraje de corregir el camino y encontrar la sabiduría de la Paz.
Un día como hoy, hace 34 años volví a la vida, tuve un vuelo de la muerte durante la dictadura militar argentina apoyada por los EEUU, gracias a Dios sobreviví y tuve que salir del laberinto por arriba de la desesperación y descubrir en las estrellas el camino para poder decir como el profeta:"la hora más oscura es cuando comienza el amanecer"
Adolfo Pérez Esquivel Nobel de la Paz 1980
Buenos Aires, 5 de mayo del 2011
CUANDO LA HIPOCRESIA COMIENZA HACER DE MUY MALA
CALIDAD, ES HORA DE COMENZAR A DECIR LA VERDAD.

Bertold Brecht

"Non privatizzate sorella acqua". Digiuno dei missionari a S.Pietro

Insieme a sacerdoti e suore si raduneranno il 9 giugno a Piazza S.Pietro, a partire dalle 12, per un giorno di digiuno a pane e acqua per appoggiare il referendum del 12 e 13 giugno con i due quesiti contro la privatizzazione idrica. "In piazza come hanno fatto i monaci in Myanmar contro il regime che opprime il popolo" CITTA' DEL VATICANO - Sacerdoti, suore e missionari si raduneranno il 9 giugno a Piazza S.Pietro, a partire dalle 12, per un giorno di digiuno a pane e acqua per "salvare l'acqua". L'iniziativa, lanciata dai missionari padre Adriano Sella e padre Alex Zanotelli, fa riferimento al referendum del 12 e 13 giugno con i due quesiti contro la privatizzazione dell'acqua.

"Come cristiani - si legge nell'appello - non possiamo accettare la Legge Ronchi, votata dal nostro Parlamento (primo in Europa) il 19 novembre 2009, che dichiara l'acqua come bene di rilevanza economica. Il referendum del 12 e 13 giugno sarà molto importante per bloccare questo processo di privatizzazione dell'acqua e per salvare l'acqua come un grande dono per l'umanità".

"Ci stanno rubando l'acqua - affermano i missionari - come possiamo permettere che l'acqua, nostra madre, sia violentata e fatta diventare mera merce per il mercato? Per noi cristiani, l'acqua è un grande dono di Dio, che fa parte della sua straordinaria creazione e non può mai essere trasformata in merce".

L'appello fa riferimento alle parole sull'acqua come bene comune pronunciate più volte da Benedetto XVI, contenute nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, ed espresse di recente anche dal segretario della Cei, Monsignor Mariano Crociata, durante il convegno ad Assisi su "Sorella Acqua" (aprile 2011).

In quell'occasione Monsignor Crociata aveva affermato: "In questo scenario, conservano tutto il loro peso i processi di privatizzazione, che vedono poche multinazionali trasformare l'acqua in affare, a detrimento dell'accesso alle fonti e quindi dell'approvvigionamento, con conseguente perdita di autonomia da parte degli enti governativi. Il tema va affrontato dalla comunità internazionale, per un uso equo e responsabile di questa risorsa, bene strategico - l'oro blu! - attorno al quale si gioca una delle partite decisive del prossimo futuro. Richiede un impegno comune - proseguiva Crociata - che sappia orientare le scelte e le politiche per l'acqua, concepita e riconosciuta come diritto umano, come bene dalla destinazione universale".

"A dire quanto queste problematiche tocchino la sensibilità comune - affermava il Segretario generale della Cei - la Corte costituzionale ha ammesso a referendum due quesiti, sui quali il popolo italiano sarà chiamato a esprimersi nel prossimo mese di giugno". Ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose si chiede di scendere in piazza "come hanno fatto i monaci in Myanmar (ex Birmania) contro il regime che opprime il popolo". "Venite - recita l'appello - con i vostri simboli sacerdotali e religiosi, ma anche con i vostri manifesti pastorali, per gridare a tutto il popolo italiano: 'Salviamo l'acqua!'

Falcone, riaperta l’inchiesta sulla strage. Caccia a chi fornì l’esplosivo a Cosa nostra

La strage di Capaci
di SALVO PALAZZOLO
La Procura di Caltanissetta torna a indagare sui misteri dell’eccidio di Capaci. Il pentito Gaspare Spatuzza ha offerto indicazioni importanti, che sarebbero già state riscontrate dalla Dia. L’ultimo collaboratore di giustizia, Fabio Tranchina, ha parlato invece del progetto di attentato a Falcone che doveva essere compiuto a Roma, nel febbraio ''92. Oggi, il giorno del ricordo. A Palermo sono sbarcati tremila studenti con due navi della legalità
Diciannove anni fa, l’esplosivo piazzato dai sicari di Cosa nostra sotto l’autostrada Punta Raisi-Palermo spazzava via il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Antonino Montinaro e Vito Schifani. Oggi è il giorno del ricordo: a Palermo sono arrivati tremila studenti da tutta Italia. E altri cinquanta provengono da 16 paesi europei. Sono sbarcati questa mattina, al porto, dai due traghetti della Snav partiti da Civitavecchia. Con i ragazzi ci sono don Luigi Ciotti, l’instancabile animatore di Libera, e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.
Il popolo dei giovanissimi dell’antimafia chiede verità sui misteri che ancora avvolgono la morte di Giovanni Falcone. Di recente, gli stessi interrogativi li hanno ripercorsi nuovamente anche i pm di Caltanissetta: il procuratore Sergio Lari ha deciso di riaprire l’inchiesta sulla strage del 23 maggio 1992.
Si riparte dalle dichiarazioni offerte dal pentito Gaspare Spatuzza, che ha già offerto un contributo importante per riscrivere la storia della strage Borsellino. L’ex boss di Brancaccio ha indicato una pista ben precisa per arrivare a chi fornì l’esplosivo di tipo militare utilizzato per l’attentato a Falcone: “Circa un mese e mezzo prima di Capaci – ha messo a verbale - vengo contatto da Fifetto Cannella, mi dice di procurare una macchina più grande che dobbiamo prelevare delle cose. A piazza Sant’Erasmo, ad aspettarci, c’erano Cosimo Lo Nigro e Giuseppe Barranca. Noi aspettavamo anche Renzino Tinnirello. Quindi siamo andati a Porticello, ci siamo avvicinati alla banchina e c’erano tre pescherecci ormeggiati: siamo saliti sopra uno di questi e nei fianchi erano legate delle funi, quindi abbiamo tirato la prima fune e c’erano praticamente semisommersi dei fusti, all’incirca mezzo metro per un metro. Quindi, abbiamo tirato sulla barca il primo fusto, poi il secondo e li abbiamo trasferiti in macchina”.
Il procuratore Lari, il suo aggiunto Domenico Gozzo e i sostituti Nico Marino e Stefano Luciani hanno già incaricato la Dia di fare alcuni accertamenti, e sarebbero emersi riscontri importanti al racconto del collaboratore, per individuare i pescherecci e soprattutto per dare un nome a chi caricò i fusti.
Spatuzza sostiene che l’esplosivo sarebbe stato recuperato in mare, da alcuni siluri inesplosi della seconda guerra mondiale. E’ un’operazione da addetti ai lavori. E torna l’ombra di esperti artificieri che potrebbero aver collaborato con i boss. Ma su questo aspetto le dichiarazioni del collaboratore sono ancora coperte dal segreto istruttorio.
I misteri dei computer
Quello dell’esplosivo non è l’unico punto rimasto irrisolto nel processo di Caltanissetta che ha condannato i componenti della Cupola mafiosa e gli esecutori materiali. Non sappiamo ancora chi entrò nell’ufficio romano di Giovanni Falcone, al ministero della Giustizia, nei giorni successivi all’attentato, quando la stanza era sotto sequestro. Il 6 giugno 1992, qualcuno accese il computer Olivetti M 380 che Falcone teneva sulla sua scrivania assieme ad un’unità di back up, lo strumento che serve per fare delle copie dell’archivio informatico: alcuni file vennero aperti e salvati nuovamente, ne è rimasta traccia nel pc. Tre giorni dopo, fu accesso l’altro computer di Falcone, un portatile Compaq, e venne consultato l’archivio più riservato del giudice, quello in cui erano conservati gli elenchi della struttura segreta Gladio. Di certo, non si è mai trovato il diario personale di Giovanni Falcone, di cui lui stesso aveva parlato ad alcuni amici e colleghi. E nell’ufficio romano di via Arenula non è mai stata trovata alcuna cassetta dell’unità di back-up del computer Olivetti. Altri due computer furono ritrovati dai familiari di Falcone nella sua abitazione palermitana, in via Notarbartolo. Sono un portatile Toshiba e un databank Casio, una sorta di agenda elettronica molto più sofisticata. E’ davvero strano che durante il primo sopralluogo della polizia nessuno avesse fatto caso a quei due computer. Al consulente informatico della Procura di Caltanissetta, Gioacchino Genchi, bastò accenderli per verificare alcune anomalie: anche il Toshiba era stato consultato da qualcuno dopo la morte di Falcone, e la memoria del databank risultò invece cancellata. Infine, è scomparsa l’estensione di memoria, una piccola scheda Ram, che il giudice aveva acquistato qualche mese prima per ampliare la capacità della sua agenda Casio.
Il nuovo pentito
L’ultimo mistero l’ha aggiunto il pentito Fabio Tranchina, che collabora con i magistrati da appena due settimane. Ha parlato del corteo di auto cariche di armi che nel febbraio 1992 partì da Palermo in direzione Roma. A guidarlo, c’era il boss trapanese Matteo Messina Denaro, che all’epoca non era ancora latitante. “Li aiutai a caricare le auto e li vidi partire. Il gruppo di fuoco di Brancaccio aveva avuto il compito di uccidere Falcone a Roma – ha spiegato Tranchina, confermando quanto aveva già rivelato il pentito Vincenzo Sinacori – poi, all’improvviso, arrivò l’ordine di tornare. Perché Falcone bisognava ucciderlo in modo eclatante, a Palermo. Così fecero sapere”. Per i magistrati è una conferma importante, che serve a datare con più precisione il momento in cui Riina diede il via alla strategia stragista, e dunque alla trattativa con uomini o apparati dello Stato ancora non ben identificati.
La Repubblica, 23.5.2011

L'attacco di Grasso al governo: "Come dialogare con chi ci insulta?"

Il ministro Alfano e il procuratore Grasso
di ALESSANDRA ZINITI
Alta tensione al convegno organizzato nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone con il procuratore nazionale antimafia e il ministro della Giustizia Alfano
Nel nome di Falcone e Borsellino Giovanni Minoli, da moderatore del dibattito in occasione del diciannovesimo anniversario della strage di Capaci, ci ha provato a smorzare i toni tra governo e magistratura sul tema della riforma della giustizia. Ma se il guardasigilli Angelino Alfano ha colto la palla al balzo dichiarando che "il governo lavorerà sempre per l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, presidio di legalità e fondamento di uno stato di diritto", il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso non è arretrato di un centimetro rispetto al malcontento della magistratura. Anzi, la risposta del superprocuratore è stata dura e tagliente: "Smorzare la tensione? E' come cercare di dialogare con chi ti prende a schiaffi. Dobbiamo usare il Vangelo e porgere l'altra guancia. La delegittimazione rende tutto più difficile, ci danno del matto, maxiutospisti, cancro da estirpare". Un'ovazione di applausi all'interno dell'aula bunker interrompe Grasso che poi riprende per dire la sua sulla riforma della giustizia.
"Questa, per altro, non è una riforma della giustizia, non è quella che i cittadini attendono, il processo breve, la possibilità per le vittime di avere giustizia, di essere risarcite. Questa casomai è una riforma del rapporto tra magistratura e politica". Angelino Alfano ci prova a difendere la sua riforma e usa parole di Giovanni Falcone tratte da una vecchia intervista a Repubblica: "Come chiedeva proprio Falcone stiamo lavorando per conseguire la tanto attesa separazione delle carriere".
Grasso non ci sta e ribatte: "Falcone voleva l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, però non si può pensare di dichiarare nella Costituzione il pm autonomo e indipendente, e poi togliergli la direzione delle indagini". Altra ovazione. Il clima si fa teso nell'aula-bunker e Minoli prova a mettere una pezza chiedendo ai due interlocutori di indicare ciascuno una qualità dell'altro.
Dopo un momento di esitazione, Grasso risponde: "Il ministro Alfano sa percepire al volo le priorità come ha fatto quando, all'inizio del suo mandato gli prospettai l'idea di Falcone di aggredire i patrimoni dei mafiosi dando la competenza alle Dda e il coordinamento alla Procura nazionale antimafia". Alfano rende merito al superprocuratore: "Grasso è un uomo delle istituzioni che non fa sconti al governo ma non si pone al servizio di nessuna parte politica".
Nell'aula bunker insieme ad altri due membri del governo, le ministre Maria Stella Gelmini e Stefania Prestigiacomo, Alfano e il ministro dell'Interno Maroni hanno colto l'occasione per annunciare la lotta contro le infiltrazioni mafiose nei partiti. Rispondendo ad un intervento dalla platea, Alfano ha detto: "I collusi se ne devono andare dal Parlamento, lo prevede la legge dopo una sentenza definitiva, se poi i partiti hanno la forza di cacciarli prima è molto meglio. Noi abbiamo sempre più depurato le liste, la politica deve mostrare gli attributi".
E Maroni, ricordando lo scioglimento di ben 35 comuni per infiltrazioni mafiose, propone: "Ora bisogna tradurre in legge quel codice deontologico preparato dalla commissione antimafia per evitare che nelle grandi città o nei piccoli comuni entri chi fa non l'interesse dei cittadini ma quelli della criminalità".
La Repubblica, 23.05.2011

sabato 21 maggio 2011

Roberto Morrione: un grande giornalista, ma prima di tutto una grande persona e un caro amico

Roberto Morrione
di don Luigi Ciotti
Roberto, con quella sua lunga carriera alle spalle, le responsabilità che aveva ricoperto nel servizio pubblico, le importanti inchieste che aveva svolto, ci ha regalato in tutti questi anni la sua esperienza. Ha trasmesso a tanti giovani l’amore ma anche la responsabilità del giornalismo.
La sua era invece una penna che lasciava il segno. Coltivata a quella grande scuola che era stata la Rai degli anni sessanta, quella di Enzo Biagi. Una penna che andava al sodo, senza tanti fronzoli, sempre però dopo un lavoro di approfondimento, sempre dopo quello studio, quel lavoro di conoscenza che rende davvero il giornalismo un servizio per la collettività. Non improvvisava, Roberto. Si preparava sempre con coscienza e scrupolosità, per lui non c’era persona, fatto, che non fossero degni di un’attenzione vera, autentica. Non ha mai sviluppato quel distacco, quel disincanto, che può sopraggiungere nel giornalista che ne ha viste tante.
Si commuoveva, Roberto, al ricordo di quei colleghi come Ilaria Alpi e Milan Hrovatin che per la ricerca della verità hanno perso la vita. Credeva a un giornalismo che fosse amore per la giustizia e distanza dal potere. Credeva che fosse questa l’etica del giornalismo, e prima ancora del giornalista.
Roberto era laico, ma da laico aveva la spiritualità, il senso dell’infinito, di tutte le persone che s’impegnano per la giustizia. Lo avevano colpito quelle parole del giudice Livatino, ucciso dalla mafia: «Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma se siamo stati credibili». Di lui mi porto dentro le cose costruite insieme, la sua generosa umanità, ma anche la grande dignità con cui ha affrontato la malattia, protetto dall’affetto di Mara e della sua famiglia. L’ho visto pochi giorni fa in ospedale. Mi ha indicato con occhi vivi, compiaciuti, i fogli di carta appesi sulla parete. Erano i disegni che la nipotina aveva fatto per il nonno. C’erano tanti fiori colorati e una casa.
Ciao Roberto, grazie dei colori che ci hai donato. Sappi che in quella casa non smetteremo mai di venirti a trovare, per chiederti un consiglio, un articolo, una parola di denuncia e di speranza. Roberto credeva fino in fondo nella funzione sociale e civile di chi racconta e ragiona sui fatti, credeva che solo una democrazia consapevole, capace di raccontarsi con onestà, sia una democrazia sana, una democrazia viva. Aveva costruito “Libera Informazione”, creduto nell’importanza di una analisi puntuale, approfondita sulle mafie, la corruzione, le tante forme d’illegalità, sapendo bene che non dovrebbe esserci bisogno di mettere accanto alla parola “informazione” l’aggettivo “libera”. Perché l’informazione o è libera o, semplicemente, non è informazione: è propaganda, demagogia. Eppure sapeva, Roberto, che mai come in questi anni l’informazione corre il rischio di essere soffocata o asservita. Non accettava, Roberto, le parole troppo spesso imbrigliate, le penne opportunamente spuntate, le cronache monche o pilotate.

martedì 17 maggio 2011

Operazione «Salus iniqua». Sgarbi: «E’ una macchina del fango. Salemi con me “libera et immunis»

«Giammarinaro mai alle mie giunte. Si fanno riemergere i fantasmi del passato per affermare l’opposto del vero. Quella di Salemi è stata ed è  una grande rivoluzione, contrastata, com’era prevedibile, più dalla facile retorica dell’Antimafia che dalla effettiva capacità di condizionamento di Giammarinaro, pari a zero»
SALEMI  Vittorio Sgarbi interviene sulle ricostruzioni investigative risultanti dall’operazione «Salus iniqua»: «La recente operazione di sequestro dei beni disposta nei confronti di Pino Giammarinaro corona una indagine iniziata da lontano che ha accompagnato l’esistenza politica dell’esponente di una stagione democristiana sconvolta dalla fine dei partiti e dalla loro trasformazione; un’aurea sulfurea che si è tentato di usare e si userà per mettere in discussione e ostacolare qualunque processo democratico e di rinnovamento in Sicilia.
 Troppo comodo evocare i fantasmi del passato di fronte a una impresa così vasta e difficile, quella di Salemi, cui ha contribuito anche Oliviero Toscani, il quale, senza avere avuto mai alcuno impedimento, ha trovato suggestiva la via d’uscita di attribuire alla mafia e a Giammarinaro difficoltà di burocrazia, di inerzia, di consuetudini amministrative clientelari.
Arrivato alla fine della sua carriera politica, Giammarinaro ebbe l’intuizione di chiedere a me di candidarmi a sindaco, e raccolse i voti di un’area politica tradizionale legata alla cultura politica ormai inesistente, quella democristiana, insieme a quelli di cittadini desiderosi di un cambiamento che c’è stato. E potente. E non poteva esserci senza l’organizzazione delle storiche tradizioni di partiti confluiti, da Andreotti e Mannino, nell’Udc.  Ma nessuno poteva costruire una nuova amministrazione e una immagine positiva della città liberandola da un passato imbarazzante e ininfluente che l’aveva condannata a una mortificazione ingiusta.
Oggi si si ritenta di nuovo, si fanno riemergere i fantasmi del passato per affermare l’opposto del vero. Perché Pino Giammarinaro non ha mai avuto alcun ruolo attivo, né politico né amministrativo, sul Comune di Salemi, altro che quello consentito dalla maggioranza di consiglieri che, in suo nome e con la sua organizzazione politica, furono eletti in consiglio comunale. La democrazia è anche questo. E può consentire a un sindaco eletto come me, che non abbia alcun consigliere, di nominare, in nome di una rivoluzione amministrativa, soltanto assessori senza ruolo e orientamenti politici. Anche quelli indicati per legge tra il primo e il secondo turno erano personalità estranee alla politica attiva, tecnici, e di orientamento politico diverso da quello di Giammarinaro pur nella vasta area moderata.
Ma quali condizionamenti poteva porre Giammarinaro a chi, con assoluta autonomia, fin dall’inizio aveva portato a Salemi persone che non vi erano mai passate,  come Oliviero Toscani, Peter Glidwell, Graziano Cecchini, BernardoTortorici, in un continuo braccio di ferro, peraltro facilissimio da vincere,  con i tentativi di riconoscimento dei risultati politici democraticammete conseguiti da parte di Giammarinaro ?
Mille polemiche, accese discussioni, contrasti, fino allo sfregio di nominare un Vice Sindaco autonomo e ostile a Giammarinaro, Antonella Favuzza,  e assessore un esponente candidata nelle liste del Partito Democratico, Antonina Grillo.

Io ho vissuto queste contraddizioni con difficili riflessioni, ma senza rinunciare per un attimo ad assumere decisioni per la grandezza della città nella prospettiva dell’anniversario del 150° dell’Unità d’Italia di cui Salemi fu Prima Capitale.

E’ stata una grande rivoluzione, contrastata, com’era prevedibile, più dalla facile retorica dell’Antimafia che dalla effettiva capacità di condizionamento di Giammarinaro, pari a zero. Con effetti anche grotteschi, di continue fibrillazioni nella sua maggioranza, spesso indirizzata contro di me, ma anch’essa travolta dalla contraddizione tra il desiderio del nuovo e la sua pur naturale origine elettiva.
Io ho governato, senza avere una maggioranza, nella sfida a tutti nota: o con me o con Giammarinaro. E  tra le prime persone che, come tutti sanno (fino a rompere anche i rapporti personali) che mi sono state e mi sono vicine, c’è l’Addetto Stampa Nino Ippolito, di cui l’antica amicizia con Giammarinaro leggo che viene adesso usata per una infame insinuazione priva di ogni fondamento.
Pur eletto anche con i suoi voti, non ho mai concesso nulla a Giammarinaro e non ho mai avuto pressioni, e neanche accettato consigli. Analoga condizione, seppure eletta con i suoi voti, ha vissuto il presidente del Consiglio Giusy Asaro, muovendosi in continui tentativi di fronda alla stessa maggioranza.
Io sono stato pesantemente minacciato dalla mafia, e non ho ovviamemnte pensato all’impotente Giammarinaro.
Il Vice Sindaco Antonella Favuzza ha denunciato per prima i tentativi di condizionamento che oggi si leggono nella facile e suggestiva ricostruzione delle vicende di Giammarinaro.  Non occorrevano indagini, bastava guardare i meccanismi della democrazia che avevano fatto conseguire, alla parte politica organizzata da Giammarinaro, la maggioranza.
Può la maggioranza chiedere e ottenere alcuni risultati ? Può il referente politico di quella maggioranza avere legittime e democratiche aspettative ? Questo è accaduto attraveso la manifestazione di legittime intenzioni tutte sistematicamente frustrate.
Da qui è uscita la nuova stagione di Salemi attraverso la mia forza personale e la mia mancanza di rispetto di regole che, pur nella democrazia, potevano portare a scelte discutibili.
Ma Giammarinaro, che io ho sempre rispettato, non ha mai ottenuto nullla. L’unico potere che ha manifestato è quello che gli attribuisce la estenuante, continua, pluridecennale attenzione dell’Antimafia che l’ha fatto diventare un eroe negativo e letterario, trasformando la realtà in una suggestione utile a far sentire in trincea, contro un nemico che non c’è, persone abili e fantasiose come Toscani.
Il Comune di Salemi e gli assessori nominati non hanno mai subìto alcun condizionamento e hanno semplicemente rispettato un mandato politico fortememnte innovativo stabilito da me, tentando di non sottrarsi alle regole democratiche.

Alle mie giunte non ha mai partecipato Giammarinaro, pur avendo io spesso fatto riunioni aperte con esponenti politici e consiglieri di maggioranza e opposizione, e anche consulenti per indicare un possibile destino e una speranza per Salemi dimostrata prima di tutti e emblematicamente dal Museo della Mafia, dal Museo del Risorgimento, dal Museo del Paesaggio, e poi dalle mille iniziative culturali con ospiti da ogni parte del mondo a discutere con i cittadini, dal vescovo di Noto al matematico Odifreddi, dal giornalista Francesco Merlo al magistrato Giuseppe Ayala, in un continuo confronto di idee, sino alla straordinmaria impresa delle «Case a 1 euro» fortunatamente condivisa dallo stesso Giammarinaro e promossa da me e da Toscani.
Ora si vogliono far riemergere i fantasmi di un passato che non corrisponde alla realtà politica attuale di Salemi. E con il tipico effetto della machina del fango si trasferiscono vicende antiche e che non conosco di un potere tramontato, in effetti che nulla hanno a che fare con il presente e con l’amministrazione del Comune di Salemi oggi finalmente «libera et immunis»

 l'Ufficio per la Comunicazione
 Responsabile: Nino Ippolito
 0924 - 991401 e 0924-991400,
331-1708195,380-5475045