Alcuni appassionati della Storia della nostra Città mi hanno invitato a narrare i lavori del convento di Sant’Agostino, da me progettati all’inizio degli anni ottanta ed ahimè ultimati nei giorni scorsi, dopo parecchie vicissitudini che evito di riferire per non rovinare il gusto delle curiosità ai lettori, su uno dei monumenti più prestigiosi ed antichi presenti nella nostra città. Il convento di sant’Agostino è costruito intorno al XIII secolo nell’antico e non più esistente quartiere di Santa Venara, che si trovava ai piedi del castello Sottano, dalle parti dell’ex Asilo. Assieme al quartiere di San Giuliano, posto a monte sotto il castello Soprano, costituiva certamente il primo nucleo abitativo della città, che aveva cominciato a prendere forma attorno ai due castelli, al seguito delle guarnigioni arabe che li presidiavano. Il quartiere di Santa Venara, al contrario di quello di San Giuliano che fu più popolato, non ebbe eguale fortuna, certamente per le continue frane che lo portarono alla completa distruzione intorno all’anno mille. E’ necessario a questo punto premettere, per fare un quadro più chiaro della nascita della città e della presenza degli Agostiniani in quegli anni, che Corleone come tutte le città medievali nasceva all’interno di un preciso disegno Urbanistico, fissato dalla presenza di strutture appartenenti al potere civile ed al potere religioso. Come ho avuto modo di spiegare in un articolo sui Quaderni dell’Urbanistica, Corleone non sfuggì a questa regola e si sviluppò all’interno di un quadrilatero formato dai due castelli, Soprano e Sottano, e dai due conventi della Maddalena e del SS. Salvatore . La vittoria dei Normanni con la conseguente rinascita del Cristianesimo, porto i nuovi conquistatori ad urbanizzare queste terre attraverso anche la presenza di strutture Religiose che potessero essere di riferimento per la popolazione. La donazione di Federico II ad Oddone di Camerana che ripopola Corleone con i suoi Lombardi, avviene in questo alveo ed infatti i nuovi abitatori si sistemano all’interno del quadrilatero, nella parte alta sotto l’agglomerato di San Giuliano, dando vita al fiorente quartiere di San Pietro, che con le sue attività commerciali e le sue residenze prestigiose costituirà per quasi tre secoli il centro vitale della città .A valle invece viene sistemata,secondo la già descritta strategia dei nuovi conquistatori, la struttura religiosa degli Agostiniani, peraltro già presenti nel territorio fuori le mura. La edificazione del convento deve certamente essere collocata intorno al 1200, se già un secolo dopo in alcuni atti dei Notai Bondi De Sales e Nicola Di Monte Albano, lo stesso era destinatario di legati testamentari .Il lettore deve comunque immaginare la città del tempo con la presenza dei due nuclei ai piedi del castello, il fiorente quartiere che da via Lombardia arriva alla chiesa di San Pietro e soprattutto un immensa area all’interno delle mura costituita da catoj sparsi fino alla chiesa di Santo Martino. In questa grande Piazza, dove non erano presenti ancora l’ospedale dei Bianchi, Il complesso di san Ludovico, il Palazzo Municipale e neanche tutti i fabbricati civili, si estendeva il maestoso convento di Sant’Agostino. Nella piazza antistante si svolgeva un grande mercato ed ancora prima che la macellazione si svolgesse nello spiazzo antistante la Porta delle Beveratoja o delle Boccerie, oggi piazza Vasi, la stessa veniva effettuata frequentemente in quest’area. Tutto questo doveva succedere certamente fino alla fine del XIII secolo se agli inizi del XIV nella Assisa, il regolamento medievale del territorio della città, viene introdotto il divieto di fare mercato nello spiazzo antistante la Chiesa di Santo Martino e vengono fissati i giorni per la macellazione nello spiazzo prospiciente la porta delle Boccerie. In questo contesto l’imponente struttura religiosa si estendeva per circa 2000 mq, da un lato guardando il prospetto delle chiesa di Santo Martino ,dall’altra sovrastando nuclei sparsi di catoj che arrivavano fino ad accostarsi alle mura all’altezza delle Porte di Persico e di Groppi, che consentivano l’accesso al fiume, fonte di ricchezza nell’economia cittadina. Devo riportare, per dovere di cronaca, che una tradizione popolare vuole che la costruzione del convento avesse inglobato anche la casa paterna di San Leoluca posta all’angolo con via Spatafora. Il complesso era costituito da una chiesa ad una navata centrale, riccamente decorata nei secoli con marmi policromi e pitture lignee di pregiata fattura, presenti ancora oggi nell’oratorio dei Frati. Dalla chiesa si accedeva direttamente al Chiostro, attraverso una porta che i lavori odierni hanno messo alla luce. Il chiostro costituito da quattro arcate per lato, aveva accesso anche direttamente dall’esterno nella piazza antistante. I piedritti e gli archi erano costituiti da pietrame informe e muratura a sacco. Dalla parte opposta la chiesa si trovavano le celle dei frati, tutte uguali, poste uno accanto all’altra. Nella parte antistante la piazza si trova, riscoperto nei recenti lavori, un pozzo cilindrico che sarà servito non già per la estrazione dell’acqua ma, presumo, per la conservazione delle derrate alimentari.
Ma certamente l’episodio a prima vista più curioso, ma che troverà nell’approfondimento una spiegazione scientifica, è il ritrovamento di un enorme quantità di corna di bovini soprattutto, sopra le volte del piano del chiostro. Il ritrovamento a prima vista ha suscitato l’ilarità delle maestranze che si sono trovate di fronte a questo fatto insolito ma che ha trovato successivamente un supporto scientifico. A mio parere in quei tempi in cui non era certamente conosciuto alcun materiale di isolamento, le corna degli animali garantivano da un lato il riempimento dei rinfianchi delle volte e dall’altro l’isolamento termo acustico nei piani sottotanti. Sia questo episodio che la lettura della tessitura delle pietre, che notoriamente raccontano la loro storia meglio di qualsiasi eccellente narratore, mi hanno portato a ritenere che l’impianto originario si fermasse al piano del chiostro. Infatti la muratura sovrastante riportava orditura e tessitura diversa ed i rinfianchi delle volte erano riempiti diversamente con carbone e cenere. Questa diversa tipologia di tecniche costruttive assieme ai fregi di intonaci presenti nel prospetto di via Spatafora e del cortile, mi inducono a ritenere che il piano sovrastante ed alcune finiture siano successive e databili intorno al XVIII secolo. Questo arco temporale che va dalla fondazione del Convento all’ampliamento è certamente quello del maggiore splendore, sia per l’ubicazione del convento, nella piazza che diverrà un frenetico cantiere dal XIII secolo al XIX, ma anche per la ricchezza dello stesso che disponeva di ingenti possedimenti anche fuori le mura della città. Attorno al complesso si svilupperà la chiesa di Santo Martino che verrà ampliata continuamente in questo arco temporale, l’ospedale dei Bianchi del XV secolo, le ricche dimore degli Spagnoli Sarzana tra via Spatafora e via San Martino, più recentemente San Ludovico, il tutto in una economia che cresceva per la felice posizione della città, posta lungo l’asse Palermo Agrigento, che per la presenza di quel fiume che l’attraversava, che stava ai corleonesi, con le dovute proporzioni, come il Nilo agli antichi Egizi. I numerosi mulini ad acqua erano infatti una primitiva forma di industrializzazione della città. Tutto questo avviene fino al 1867 quando nei primi anni del Regno d’Italia la complessa dinamica dei rapporti istituzionali tra lo Stato e la Chiesa porta alla emanazioni delle cosidette “leggi eversive”. Queste disciplinavano per tutto il territorio nazionale la soppressione delle corporazioni religiose e la devoluzione al demanio dei loro beni, portando a compimento l’acquisizione del patrimonio ecclesiastico nelle regioni in cui più massicce erano state le soppressioni Napoleoniche. A Corleone molti beni della chiesa subirono questa sorte, ma non tutti passarono nel patrimonio del Demanio. Infatti alcuni di questi beni rimasero tra le grinfie di alcuni speculatori, successivamente scomunicati dalla Chiesa, che fecero le loro fortune approfittando del trapasso .Il complesso di Santo Agostino subì questa sorte, staccandosi dalla chiesa che veniva lasciata alla amministrazione ecclesiastica. E’ di quel periodo la istituzione del Regio Liceo Classico e la destinazione del complesso a scuola pubblica. Il complesso viene stravolto con la occlusione degli archi del chiostro che diventerà in parte aula ed in parte biblioteca e la suddivisione degli ampi corridoi e saloni in piccole aule intitolate ai caduti della grande guerra. Vengono sbarrati gli accessi alla chiesa ed una parte dell’edificio viene affidato alla banca cooperativa denominata “San Leoluca”. Alcune stanze del piano terra ospitano l’ufficiale sanitario, altre l’associazione combattenti ed altre ancora magazzini del Comune. Questo spettacolo si presentò a me, giovane architetto, incaricato subito dopo il terremoto di predisporre gli atti per una celere demolizione del complesso per fare spazio ad una piazza da destinare a parcheggio comunale. Sin dalle prime visite girandolo e rigirandolo i miei occhi, ancora non sazi della storia dell’urbanistica della città di Corleone consegnata per la mia laurea al professore Enrico Guidoni, che la pubblicò nei Quaderni dell’Urbanistica, riuscivano ad intravedere in alcuni elementi di quel decrepito edificio che aveva sfidato l’incuria degli uomini e parecchi terremoti, elementi di una grandiosità che non era stata cancellata ed aveva sfidato i secoli. Gli archi seppur murati lasciavano intravedere l’antico chiostro, le piccole aule lungo il corridoio lasciavano immaginare le celle dei frati e piano piano nella mia fantasia si animava un mondo che era scomparso. I frati che uscivano veloci dalla chiesa per correre lungo il chiostro e raggiungere le loro celle, le campane che suonavano ed attiravano i tanti miserabili che avevano fatto della piazza la loro dimora, ed infine uscendo dalla porta questa vasta radura fatta di ciotoli e pietre mal sistemate da dove si intravedeva la chiesa del Santo Martino e li vicino il cimitero un grande mercato di animali ancora vivi ingabbiati in arnie di legno, ortaggi, panni, carni appena macellate con il sangue ancora caldo che tingeva le pietre con un via vai di gente che entrando dalla porte delle Boccerie, trattava, barattava, comprava, in un miscuglio di voci e suoni ancora lontani dalla nostra lingua madre. Certo pensai che non potevo proprio eseguire il mandato affidatomi dal Comune e mi recai dall’allora Sindaco che mi ricevette con la giunta al completo. Spiegai le ragioni che mi portavano a rifiutare quell’incarico che avrebbe cancellato un pezzo della nostra città, ma fui interrotto dall’autorità di un rozzo assessore che appellandosi alla modernità a cui la città doveva andare incontro mi invitava non solo a procedere celermente al progetto di demolizione ma esortava il capo dell’ufficio tecnico a demolire tutti gli edifici pericolanti compreso il vecchio Ospedale dei Bianchi, per creare spazi per quella nuova era della modernizzazione che vedeva l’industria automobilistica sempre più in rapida espansione. D’altra parte non era stata proprio Corleone nel periodo fascista, la prima ad adeguarsi demolendo le porte medievali per ampliare la traversa grande? Certamente fu proprio quell’ultimo esempio portato dall’assessore che mi diede la certezza di non poter diventare responsabile di un nuovo massacro della città antica, che avrebbe avuto inizio con la demolizione di Sant’Agostino.
Il sindaco a quel punto che aveva seguito con interesse le diverse opinioni mie e dell’Assessore chiese una pausa di riflessione rimandando al domani la decisione. L’indomani di buon mattino il capo dell’ufficio tecnico mi convocò nel suo ufficio comunicandomi la decisione del Sindaco di non demolire l’edificio ma di procedere a salvarlo per quello che era ancora possibile. Oggi tutti noi ed io per primo dobbiamo ringraziare la saggia decisione di quel sindaco a cui sono certo sarà comparso in quella notte l’immagine dei frati che correvano nel chiostro, il mercato nella piazza antistante il convento, i viandanti che attraversavano la Porta delle Boccerie e tante altre immagini di una bellissima Corleone che non c’è più.
Ma certamente l’episodio a prima vista più curioso, ma che troverà nell’approfondimento una spiegazione scientifica, è il ritrovamento di un enorme quantità di corna di bovini soprattutto, sopra le volte del piano del chiostro. Il ritrovamento a prima vista ha suscitato l’ilarità delle maestranze che si sono trovate di fronte a questo fatto insolito ma che ha trovato successivamente un supporto scientifico. A mio parere in quei tempi in cui non era certamente conosciuto alcun materiale di isolamento, le corna degli animali garantivano da un lato il riempimento dei rinfianchi delle volte e dall’altro l’isolamento termo acustico nei piani sottotanti. Sia questo episodio che la lettura della tessitura delle pietre, che notoriamente raccontano la loro storia meglio di qualsiasi eccellente narratore, mi hanno portato a ritenere che l’impianto originario si fermasse al piano del chiostro. Infatti la muratura sovrastante riportava orditura e tessitura diversa ed i rinfianchi delle volte erano riempiti diversamente con carbone e cenere. Questa diversa tipologia di tecniche costruttive assieme ai fregi di intonaci presenti nel prospetto di via Spatafora e del cortile, mi inducono a ritenere che il piano sovrastante ed alcune finiture siano successive e databili intorno al XVIII secolo. Questo arco temporale che va dalla fondazione del Convento all’ampliamento è certamente quello del maggiore splendore, sia per l’ubicazione del convento, nella piazza che diverrà un frenetico cantiere dal XIII secolo al XIX, ma anche per la ricchezza dello stesso che disponeva di ingenti possedimenti anche fuori le mura della città. Attorno al complesso si svilupperà la chiesa di Santo Martino che verrà ampliata continuamente in questo arco temporale, l’ospedale dei Bianchi del XV secolo, le ricche dimore degli Spagnoli Sarzana tra via Spatafora e via San Martino, più recentemente San Ludovico, il tutto in una economia che cresceva per la felice posizione della città, posta lungo l’asse Palermo Agrigento, che per la presenza di quel fiume che l’attraversava, che stava ai corleonesi, con le dovute proporzioni, come il Nilo agli antichi Egizi. I numerosi mulini ad acqua erano infatti una primitiva forma di industrializzazione della città. Tutto questo avviene fino al 1867 quando nei primi anni del Regno d’Italia la complessa dinamica dei rapporti istituzionali tra lo Stato e la Chiesa porta alla emanazioni delle cosidette “leggi eversive”. Queste disciplinavano per tutto il territorio nazionale la soppressione delle corporazioni religiose e la devoluzione al demanio dei loro beni, portando a compimento l’acquisizione del patrimonio ecclesiastico nelle regioni in cui più massicce erano state le soppressioni Napoleoniche. A Corleone molti beni della chiesa subirono questa sorte, ma non tutti passarono nel patrimonio del Demanio. Infatti alcuni di questi beni rimasero tra le grinfie di alcuni speculatori, successivamente scomunicati dalla Chiesa, che fecero le loro fortune approfittando del trapasso .Il complesso di Santo Agostino subì questa sorte, staccandosi dalla chiesa che veniva lasciata alla amministrazione ecclesiastica. E’ di quel periodo la istituzione del Regio Liceo Classico e la destinazione del complesso a scuola pubblica. Il complesso viene stravolto con la occlusione degli archi del chiostro che diventerà in parte aula ed in parte biblioteca e la suddivisione degli ampi corridoi e saloni in piccole aule intitolate ai caduti della grande guerra. Vengono sbarrati gli accessi alla chiesa ed una parte dell’edificio viene affidato alla banca cooperativa denominata “San Leoluca”. Alcune stanze del piano terra ospitano l’ufficiale sanitario, altre l’associazione combattenti ed altre ancora magazzini del Comune. Questo spettacolo si presentò a me, giovane architetto, incaricato subito dopo il terremoto di predisporre gli atti per una celere demolizione del complesso per fare spazio ad una piazza da destinare a parcheggio comunale. Sin dalle prime visite girandolo e rigirandolo i miei occhi, ancora non sazi della storia dell’urbanistica della città di Corleone consegnata per la mia laurea al professore Enrico Guidoni, che la pubblicò nei Quaderni dell’Urbanistica, riuscivano ad intravedere in alcuni elementi di quel decrepito edificio che aveva sfidato l’incuria degli uomini e parecchi terremoti, elementi di una grandiosità che non era stata cancellata ed aveva sfidato i secoli. Gli archi seppur murati lasciavano intravedere l’antico chiostro, le piccole aule lungo il corridoio lasciavano immaginare le celle dei frati e piano piano nella mia fantasia si animava un mondo che era scomparso. I frati che uscivano veloci dalla chiesa per correre lungo il chiostro e raggiungere le loro celle, le campane che suonavano ed attiravano i tanti miserabili che avevano fatto della piazza la loro dimora, ed infine uscendo dalla porta questa vasta radura fatta di ciotoli e pietre mal sistemate da dove si intravedeva la chiesa del Santo Martino e li vicino il cimitero un grande mercato di animali ancora vivi ingabbiati in arnie di legno, ortaggi, panni, carni appena macellate con il sangue ancora caldo che tingeva le pietre con un via vai di gente che entrando dalla porte delle Boccerie, trattava, barattava, comprava, in un miscuglio di voci e suoni ancora lontani dalla nostra lingua madre. Certo pensai che non potevo proprio eseguire il mandato affidatomi dal Comune e mi recai dall’allora Sindaco che mi ricevette con la giunta al completo. Spiegai le ragioni che mi portavano a rifiutare quell’incarico che avrebbe cancellato un pezzo della nostra città, ma fui interrotto dall’autorità di un rozzo assessore che appellandosi alla modernità a cui la città doveva andare incontro mi invitava non solo a procedere celermente al progetto di demolizione ma esortava il capo dell’ufficio tecnico a demolire tutti gli edifici pericolanti compreso il vecchio Ospedale dei Bianchi, per creare spazi per quella nuova era della modernizzazione che vedeva l’industria automobilistica sempre più in rapida espansione. D’altra parte non era stata proprio Corleone nel periodo fascista, la prima ad adeguarsi demolendo le porte medievali per ampliare la traversa grande? Certamente fu proprio quell’ultimo esempio portato dall’assessore che mi diede la certezza di non poter diventare responsabile di un nuovo massacro della città antica, che avrebbe avuto inizio con la demolizione di Sant’Agostino.
Il sindaco a quel punto che aveva seguito con interesse le diverse opinioni mie e dell’Assessore chiese una pausa di riflessione rimandando al domani la decisione. L’indomani di buon mattino il capo dell’ufficio tecnico mi convocò nel suo ufficio comunicandomi la decisione del Sindaco di non demolire l’edificio ma di procedere a salvarlo per quello che era ancora possibile. Oggi tutti noi ed io per primo dobbiamo ringraziare la saggia decisione di quel sindaco a cui sono certo sarà comparso in quella notte l’immagine dei frati che correvano nel chiostro, il mercato nella piazza antistante il convento, i viandanti che attraversavano la Porta delle Boccerie e tante altre immagini di una bellissima Corleone che non c’è più.
* Architetto, progettista e direttore dei lavori di restauro dell'ex Convento di Sant'Agostino
FOTO. Dall'alto: il Chiostro restaurato; il chiostro com'era prima.
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