I vescovi difendono il Mezzogiorno: "Richia di essere tagliato fuori dalla ridistribuzione delle risorse". La colpa è della criminalità organizzata e "dell'inadeguatezza presente nelle classi dirigenti". Necessari interventi educativi:" Il mafioso non deve essere visto come modello da imitare". I giovani non siano condannati alla precarietà: "Per crescere il Meridione ha bisogno di loro"
ROMA - Per risolvere la questione meridionale, è necessario "superare le inadeguatezze presenti nelle classi dirigenti" e sconfiggere una volta per tutte le mafie, colpevoli di "avvelenare la vita sociale, pervertire la mente e il cuore di tanti giovani, soffocare l'economia e deformare il volto autentico del Sud''. E' quanto afferma il nuovo documento dei vescovi italiani "Per un Paese solidale. Chiesa e Mezzogiorno". In tutta Italia - denunciano i vescovi - è cresciuto "l'egoismo, individuale e corporativo, con il rischio di tagliare fuori il Mezzogiorno dai canali della ridistribuzione delle risorse, trasformandolo in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo". Durissimo l'attacco alla criminalità organizzata, che "negli ultimi vent'anni ha messo le radici in tutto il territorio nazionale", condannando in primo luogo i giovani del Sud. "Non è possibile mobilitare il Mezzogiorno senza che esso si liberi da quelle catene che non gli permettono di sprigionare le proprie energie", scrivono i vescovi nel testo presentato oggi.
Condanna della criminalità organizzata. La Conferenza Episcopale Italiana duramente il perdurare del fenomeno della criminalità organizzata nel Mezzogiorno, definito l'autentico "cancro" del Sud. "La criminalità organizzata non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell'economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto a una forte limitazione, se non addirittura all'esautoramento, dell'autorità dello Stato e degli enti pubblici, favorendo l'incremento della corruzione, della collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro, manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema delle autorizzazioni e concessioni, contaminando così l'intero territorio nazionale''.
Il testo cita una recente presa di posizione dei vescovi calabresi: "La mafia sta prepotentemente rialzando la testa. Di fronte a questo pericolo, si sta purtroppo abbassando l'attenzione. Il male viene ingoiato. Non si reagisce. La società civile fa fatica a scuotersi. Chiaro per tutti il giogo che ci opprime. Le analisi sono lucide ma non efficaci. Si è consapevoli ma non protagonisti". Per i vescovi, "in questi ultimi vent'anni le organizzazioni mafiose, che hanno messo radici in tutto il territorio italiano, hanno sviluppato attività economiche, mutuando tecniche e metodi del capitalismo più avanzato, mantenendo al contempo ben collaudate forme arcaiche e violente di controllo sul territorio e sulla società". "Purtroppo - aggiungono - non va ignorato che è ancora presente una cultura che consente loro di rigenerarsi anche dopo le sconfitte inflitte dallo Stato attraverso l'azione delle forze dell'ordine e della magistratura. C'è bisogno di un preciso intervento educativo, sin dai primi anni di età, per evitare che il mafioso sia visto come un modello da imitare".
Carenza di senso civico. La Cei sottolinea però che l'economia illegale "non si identifica totalmente con il fenomeno mafioso, essendo purtroppo diffuse attività illecite non sempre collegate alle organizzazioni criminali, ma ugualmente deleterie", come usura, estorsione, evasione fiscale e lavoro nero. "Ciò - sottolinea la Conferenza Episcopale Italiana - rivela una carenza di senso civico, che compromette sia la qualità della convivenza sociale sia quella della vita politica e istituzionale, arrecando anche in questo caso un grave pregiudizio allo sviluppo economico, sociale e culturale". Per questo - concludono i vescovi - la Chiesa "è giunta a pronunciare, nei confronti della malavita organizzata, parole propriamente cristiane e tipicamente evangeliche, come 'peccato', 'conversione', 'pentimento', 'diritto e giudizio di Dio', 'martirio', le sole che le permettono di offrire un contributo specifico alla formazione di una rinnovata coscienza cristiana e civile".
Lavoro per i giovani: il Mezzogiorno ha bisogno di loro. Un pensiero particolare è rivolto ai giovani del Mezzogiorno, coloro che più di tutti gli altri rischiano di pagare il prezzo dell' "inadeguatezza delle classi dirigenti" e della loro incapacità di respingere la criminalità organizzata. "La disoccupazione - scrivono i vescovi - tocca in modo preoccupante i giovani e si riflette pesantemente sulla famiglia, cellula fondamentale della società". Anche se "non è facile individuare quali possano essere le migliori politiche del lavoro da realizzare nel Mezzogiorno", la Cei ricorda che "si deve onorare il principio di sussidiarietà e puntare sulla formazione professionale. I giovani del Meridione non devono sentirsi condannati a una perenne precarietà che ne penalizza la crescita umana e lavorativa". "La disoccupazione - sottolineano - non è frenata o alleggerita dal lavoro sommerso, che non è certo un sano ammortizzatore sociale e sconta talune palesi ingiustizie intrinseche (assenza di obblighi contrattuali e di contribuzioni assicurative, sfruttamento, controllo da parte della criminalità, ecc.)". "Il problema del lavoro - aggiungono - è attraversato da una 'zona grigia' che si dibatte tra il non lavoro, il 'lavoro nero' e quello precario; ciò causa delusione e frustrazione e allontana ancora di più il mercato del lavoro del Sud dagli standard delle altre aree europee". Di qui il "flusso migratorio dei giovani, soprattutto fra i venti e i trentacinque anni, verso il Centro-Nord e l'estero": un fenomeno che "cambia i connotati della società meridionale, privandola delle risorse più importanti e provocando un generale depauperamento di professionalità e competenze, soprattutto nei campi della sanità, della scuola, dell'impresa e dell'impegno politico".
(La Repubblica, 24 febbraio 2010)
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