Macina profitti, devasta città e campagne, corrompe i poteri. Lasciando dietro di sé una striscia di sangue che non si asciuga mai. Parliamo della Camorra, di cui il libro di Raffaele Sardo, che giovedì sera è stato presentato nel saloncino della Cgil di Corleone, ci consegna un ritratto sconvolgente della sua violenza, delle impunità e anche delle complicità quotidiane di cui gode. A parlarne con gli studenti, alcuni insegnanti, i soci lavoratori della coop “lavoro e non solo” e un gruppo di operai, è stato lo stesso Raffaele Sardo. «Qualche mese fa, a Casal di Principe – ha raccontato Sardo – eravamo in un ristorante con don Luigi Ciotti ed un gruppo di ragazzi di Libera del Piemonte. Ad un certo punto, sono entrati i carabinieri e ci hanno detto di andare via perché non erano in grado di garantire la nostra incolumità…». «Siamo andati via – ha aggiunto Sardo – e abbiamo accompagnato i ragazzi, che piangevano dalla rabbia, fino all’imbocco dell’autostrada…». Il racconto sconvolgente di uno Stato che in Campania non riesce ancora a controllare il territorio, di una criminalità organizzata più forte delle Istituzioni. Ma il racconto e il libro di sardo ci hanno offerto al tempo stesso un affresco denso di pietas del mondo delle vittime: tanti nomi e cognomi ingiustamente dimenticati. Uomini uccisi per punire, per intimidire o semplicemente per sbaglio. Come don Peppe Diana, sacerdote, Salvatore Nuvoletta, carabiniere, Federico Del Prete, sindacalista, Franco Imposimato, impiegato, Attilio Romanò, informatico, Alberto Varone, commerciante, Domenico Noviello, imprenditore. Sono questi i nomi simbolici a partire dai quali l’Autore ha raccontato la Camorra dell’ultimo quarto di secolo, la crescita del “Sistema” o più propriamente della “Bestia”. Un ritratto sconvolgente ma non rassegnato. Perché anche nella “Gomorra” assatanata di soldi e di potere arriva una sentenza giusta emessa “in nome del popolo italiano”; c´è qualcuno, un insegnante, un giornalista, una studentessa, un prete, che difende a testa alta i valori dell´Italia civile.
E il prossimo 21 marzo l’appuntamento dell’Italia civile è proprio a Napoli, dove si terrà la giornata nazionale della memoria e dell’impegno, per non dimenticare le vittime innocenti, per resistere alla criminalità mafiosa, per costruire le condizioni per batterla.Raffaele Sardo, giornalista, laureato in scienze della comunicazione, vive e lavora in provincia di Caserta. Attualmente collabora con il quotidiano la Repubblica. Ha pubblicato “Nogaro. Un vescovo di frontiera” (Alfredo Guida Editore, 1997) ed “È marzo la primavera sta per arrivare. Don Peppino Diana ucciso per amore del suo popolo” (Edizioni Università per la legalità e lo sviluppo di Casal di Principe, 2004).
venerdì 27 febbraio 2009
giovedì 26 febbraio 2009
Istat, la popolazione in Italia oltre il traguardo dei 60 milioni. La crescita grazie agli immigrati
Le stime anticipatorie dell'istituto sui principali indicatori demografici del 2008. La crescita grazie agli immigrati, ma ricompare anche la voglia di maternità tra le italiane. La speranza di vita diventa più alta. Aumentano i decessi ma anche le nascite: 12mila bambini in più rispetto al 2007
ROMA - Nel 2008, per la prima volta la popolazione residente in Italia potrebbe aver superato i 60 milioni. E' quanto rilevano le stime anticipatorie dell'Istat sui principali indicatori demografici relativi all'anno 2008. Un traguardo raggiunto soprattutto grazie agli immigrati. L'istituto statistico segnala che va avanti l'invecchiamento della popolazione, mano a mano che migliorano le speranza di vita. E se da un lato aumentano i decessi, dall'altro arrivano più "cicogne": nel 2008, infatti, sono nati 12mila bambini in più rispetto al 2007. E a fare figli non sono solo le immigrate: anche tra le italiane ricompare la voglia di maternità, soprattutto al Centro-nord. Italia più popolosa. Lo scorso anno la popolazione residente sul territorio nazionale sarebbe cresciuta di oltre 434mila unità, con un tasso pari a 7,3 per mille abitanti. La crescita, data dalla somma delle componenti del saldo naturale (-0,1 per mille) e del saldo migratorio (+7,3 per mille), è stimata positiva anche per il 2008 e "dipende per intero dalla dinamica migratoria", scrive l'istituto. L'Istat segnala che ci sono voluti 50 anni (dal 1959) per passare da 50 a 60 milioni di abitanti, mentre ne sono serviti solo 33 per fare il salto da 40 a 50 milioni, che si realizzò tra il 1926 e il 1959. Inoltre, a differenza delle epoche storiche precedenti, in cui la popolazione si incrementava soprattutto per effetto della dinamica naturale positiva, oggi lo scatto è avvenuto grazie agli stranieri. A conferma che da "Paese di emigrazione" siamo ormai diventati "Paese di immigrazione". Gli stranieri. Il loro numero aumenta: al primo gennaio 2009 ha raggiunto quota 3 milioni e 900mila circa. Un incremento di 462 mila unità, il 12,6% in più rispetto al primo gennaio 2008. La fetta degli stranieri corrisponde al 6,5% del totale della torta: un lieve aumento dal 2007, quando era del 5,8%. Nella classifica dei cittadini non italiani prevalgono i romeni (772 mila), seguiti dagli albanesi (438 mila) e marocchini (401 mila), che insieme costituiscono il 40% delle presenze. Difforme la distribuzione degli stranieri sul territorio nazionale. Le regioni del Nord sono più "multiculturali": lì risiede il 62% degli stranieri, il 23% nella sola Lombardia, contro il 25% di residenti del Centro e il 12% del Mezzogiorno.
OAS_RICH('Middle');Le nascite. La stima dell'Istat è pari a 576 mila unità, con un tasso di natalità pari a 9,6 per mille residenti. Sono, appunto, circa 12 mila nascite in più rispetto al 2007. Un trend positivo, quindi, e che non si vedeva da più di un decennio: per ritrovare una cifra analoga nel recente passato bisogna risalire al 1992. Due i fattori che hanno determinato l'aumento della natalità. Il primo - e più prevedibile - è il contributo, sempre più importante, dato dalle madri straniere: nel 2008 sono circa 88mila le nascite stimate (il 15,3% del totale, nel 1999 erano il 5,4%). Il 3,4% di loro ha un figlio da un partner italiano, il restante 11,9% da uno straniero. Il secondo fattore è la maggior propensione delle donne italiane ad avere figli. "Il fenomeno viene sostenuto in maniera sempre più significativa da madri residenti al Centro-nord", rileva l'istituto statistico. I decessi. In questo caso la stima sfiora le 580 mila unità, per un tasso di mortalità pari al 9,7 per mille. L'Istat osserva che "si tratta di una cifra ragguardevole tenuto conto che, non considerando il dato 'anomalo' del 2003 (586mila decessi per via delle avverse condizioni meteo invernali ed estive), ci si trova di fronte al più alto livello mai registrato dal secondo dopoguerra". La "dinamica naturale". Ad aumentare è stata anche la dinamica naturale, cioè la differenza tra nascite e morti, che registra un saldo negativo di 3mila 700 unità. Un dato preceduto dal segno meno, ma che sta comunque virando in positivo rispetto al 2007, quando era a meno 6mila 800 unità. Anche se la cifra è peggiore di quella del 2006,quando il saldo era positivo (2mila 100 unità). Più figli al Nord-est. Le regioni del Mezzogiorno mantengono il ruolo di serbatoio naturale del Paese perché hanno un saldo positivo (+0,7 per mille abitanti), mentre è negativo quello del Centro (-0,5%) e del Nord (-0,4%). Ma il Mezzogiorno perde il primato della natalità che va a vantaggio delle regioni del Nord e, in particolare, del Nord-est (9,8 per mille) dove, rispetto agli anni scorsi, più forte è stato il recupero di natalità delle donne italiane e più alta è l'incidenza delle nascite da madre straniera (oltre 1 su 5). Aumenta la speranza di vita. Cresce la vita media della popolazione italiana: la stima dell'Istat è pari a 78,8 anni per gli uomini, a 84,1 anni per le donne. Rispetto al 2006, l'ultimo dato osservato, la crescita è rispettivamente di 0,4 e 0,1 anni. Intanto continua ad assottigliarsi la differenza tra i generi: gli uomini si avvicinano alle donne, che invece in questo senso rallentano. I più longevi. L'istat rileva che, diversamente dal passato, la distribuzione dei più o meno longevi appare "a macchia di leopardo". Ovvero, non ci sono regioni in cui si ha un marcato record di vita. E' comunque possibile stilare una classifica: gli uomini vivono di più nelle Marche (79,6 Anni), nella provincia autonoma di Trento (79,4) e in Toscana (79,4); le donne nella provincia autonoma di Bolzano (85,2 anni), nelle Marche (85,1) e in Abruzzo-Molise (84,8). Su livelli minimi si trova, per entrambi i sessi, la Campania (rispettivamente 77,4 e 82,8 anni).
(La Repubblica, 26 febbraio 2009)
ROMA - Nel 2008, per la prima volta la popolazione residente in Italia potrebbe aver superato i 60 milioni. E' quanto rilevano le stime anticipatorie dell'Istat sui principali indicatori demografici relativi all'anno 2008. Un traguardo raggiunto soprattutto grazie agli immigrati. L'istituto statistico segnala che va avanti l'invecchiamento della popolazione, mano a mano che migliorano le speranza di vita. E se da un lato aumentano i decessi, dall'altro arrivano più "cicogne": nel 2008, infatti, sono nati 12mila bambini in più rispetto al 2007. E a fare figli non sono solo le immigrate: anche tra le italiane ricompare la voglia di maternità, soprattutto al Centro-nord. Italia più popolosa. Lo scorso anno la popolazione residente sul territorio nazionale sarebbe cresciuta di oltre 434mila unità, con un tasso pari a 7,3 per mille abitanti. La crescita, data dalla somma delle componenti del saldo naturale (-0,1 per mille) e del saldo migratorio (+7,3 per mille), è stimata positiva anche per il 2008 e "dipende per intero dalla dinamica migratoria", scrive l'istituto. L'Istat segnala che ci sono voluti 50 anni (dal 1959) per passare da 50 a 60 milioni di abitanti, mentre ne sono serviti solo 33 per fare il salto da 40 a 50 milioni, che si realizzò tra il 1926 e il 1959. Inoltre, a differenza delle epoche storiche precedenti, in cui la popolazione si incrementava soprattutto per effetto della dinamica naturale positiva, oggi lo scatto è avvenuto grazie agli stranieri. A conferma che da "Paese di emigrazione" siamo ormai diventati "Paese di immigrazione". Gli stranieri. Il loro numero aumenta: al primo gennaio 2009 ha raggiunto quota 3 milioni e 900mila circa. Un incremento di 462 mila unità, il 12,6% in più rispetto al primo gennaio 2008. La fetta degli stranieri corrisponde al 6,5% del totale della torta: un lieve aumento dal 2007, quando era del 5,8%. Nella classifica dei cittadini non italiani prevalgono i romeni (772 mila), seguiti dagli albanesi (438 mila) e marocchini (401 mila), che insieme costituiscono il 40% delle presenze. Difforme la distribuzione degli stranieri sul territorio nazionale. Le regioni del Nord sono più "multiculturali": lì risiede il 62% degli stranieri, il 23% nella sola Lombardia, contro il 25% di residenti del Centro e il 12% del Mezzogiorno.
OAS_RICH('Middle');Le nascite. La stima dell'Istat è pari a 576 mila unità, con un tasso di natalità pari a 9,6 per mille residenti. Sono, appunto, circa 12 mila nascite in più rispetto al 2007. Un trend positivo, quindi, e che non si vedeva da più di un decennio: per ritrovare una cifra analoga nel recente passato bisogna risalire al 1992. Due i fattori che hanno determinato l'aumento della natalità. Il primo - e più prevedibile - è il contributo, sempre più importante, dato dalle madri straniere: nel 2008 sono circa 88mila le nascite stimate (il 15,3% del totale, nel 1999 erano il 5,4%). Il 3,4% di loro ha un figlio da un partner italiano, il restante 11,9% da uno straniero. Il secondo fattore è la maggior propensione delle donne italiane ad avere figli. "Il fenomeno viene sostenuto in maniera sempre più significativa da madri residenti al Centro-nord", rileva l'istituto statistico. I decessi. In questo caso la stima sfiora le 580 mila unità, per un tasso di mortalità pari al 9,7 per mille. L'Istat osserva che "si tratta di una cifra ragguardevole tenuto conto che, non considerando il dato 'anomalo' del 2003 (586mila decessi per via delle avverse condizioni meteo invernali ed estive), ci si trova di fronte al più alto livello mai registrato dal secondo dopoguerra". La "dinamica naturale". Ad aumentare è stata anche la dinamica naturale, cioè la differenza tra nascite e morti, che registra un saldo negativo di 3mila 700 unità. Un dato preceduto dal segno meno, ma che sta comunque virando in positivo rispetto al 2007, quando era a meno 6mila 800 unità. Anche se la cifra è peggiore di quella del 2006,quando il saldo era positivo (2mila 100 unità). Più figli al Nord-est. Le regioni del Mezzogiorno mantengono il ruolo di serbatoio naturale del Paese perché hanno un saldo positivo (+0,7 per mille abitanti), mentre è negativo quello del Centro (-0,5%) e del Nord (-0,4%). Ma il Mezzogiorno perde il primato della natalità che va a vantaggio delle regioni del Nord e, in particolare, del Nord-est (9,8 per mille) dove, rispetto agli anni scorsi, più forte è stato il recupero di natalità delle donne italiane e più alta è l'incidenza delle nascite da madre straniera (oltre 1 su 5). Aumenta la speranza di vita. Cresce la vita media della popolazione italiana: la stima dell'Istat è pari a 78,8 anni per gli uomini, a 84,1 anni per le donne. Rispetto al 2006, l'ultimo dato osservato, la crescita è rispettivamente di 0,4 e 0,1 anni. Intanto continua ad assottigliarsi la differenza tra i generi: gli uomini si avvicinano alle donne, che invece in questo senso rallentano. I più longevi. L'istat rileva che, diversamente dal passato, la distribuzione dei più o meno longevi appare "a macchia di leopardo". Ovvero, non ci sono regioni in cui si ha un marcato record di vita. E' comunque possibile stilare una classifica: gli uomini vivono di più nelle Marche (79,6 Anni), nella provincia autonoma di Trento (79,4) e in Toscana (79,4); le donne nella provincia autonoma di Bolzano (85,2 anni), nelle Marche (85,1) e in Abruzzo-Molise (84,8). Su livelli minimi si trova, per entrambi i sessi, la Campania (rispettivamente 77,4 e 82,8 anni).
(La Repubblica, 26 febbraio 2009)
mercoledì 25 febbraio 2009
L'appello del prof. Ignazio Marino: "Bisogna difendere il nostro diritto costituzionale alla libertà di cura"
Carissima/o,
grazie per la tua adesione all'appello per il diritto alla libertà di curasul sito http//www.appellotestamentobiologico.it/, e grazie perché, anche con iltuo contributo, abbiamo già raggiunto quasi 100.000 firme! Ti scrivo per chiederti un ulteriore sforzo per questa importantissima causa. Nelle prossime settimane il testamento biologico sarà al centro del dibattito in Parlamento, e la maggioranza intende approvare una legge che limita la libertà di scelta del cittadino imponendo alcune terapie, come l'idratazione e l'alimentazione artificiale. Le dichiarazioni anticipate di trattamento non saranno vincolanti: spetterà sempre al medico l'ultima parola. Qual è allora l'utilità di questa legge, se non si garantisce al cittadino che la sua volontà sia rispettata? La verità è che il ddl della destra è stato scritto per rendere inapplicabile il ricorso al testamento biologico. Oltretutto, la dichiarazione dovrà essere stipulata davanti ad unnotaio, e rinnovata con cadenza triennale: vi immaginate cosa significa andare ogni tre anni davanti a un notaio accompagnati dal proprio medico di famiglia? Al contrario d ella nostra proposta poi, non è presente nemmeno un cenno alle cure palliative, all'assistenza ai disabili, alla terapia deldolore.Ti chiedo dunque di diffondere il più possibile l'appello, invitando tutti i tuoi contatti a sottoscriverlo: dobbiamo mobilitarci immediatamente per raccogliere centinaia di migliaia di adesioni e difendere il nostro diritto costituzionale alla libertà di cura. Se saremo tanti, il Parlamento non ci potrà ignorare. Nel prossimo dibattito in Senato il mio impegno personale è quello di dar voce alla vostra opinione, che credo coincida con quella della maggioranza degli italiani. Che vogliano utilizzare ogni risorsa della medicina o che intendano accettare la fine naturale della vita, i cittadini vogliono essere liberi di scegliere.Ti ringrazio infinitamente e conto su di te per far circolare il più possibile l'appello.
grazie per la tua adesione all'appello per il diritto alla libertà di curasul sito http//www.appellotestamentobiologico.it/, e grazie perché, anche con iltuo contributo, abbiamo già raggiunto quasi 100.000 firme! Ti scrivo per chiederti un ulteriore sforzo per questa importantissima causa. Nelle prossime settimane il testamento biologico sarà al centro del dibattito in Parlamento, e la maggioranza intende approvare una legge che limita la libertà di scelta del cittadino imponendo alcune terapie, come l'idratazione e l'alimentazione artificiale. Le dichiarazioni anticipate di trattamento non saranno vincolanti: spetterà sempre al medico l'ultima parola. Qual è allora l'utilità di questa legge, se non si garantisce al cittadino che la sua volontà sia rispettata? La verità è che il ddl della destra è stato scritto per rendere inapplicabile il ricorso al testamento biologico. Oltretutto, la dichiarazione dovrà essere stipulata davanti ad unnotaio, e rinnovata con cadenza triennale: vi immaginate cosa significa andare ogni tre anni davanti a un notaio accompagnati dal proprio medico di famiglia? Al contrario d ella nostra proposta poi, non è presente nemmeno un cenno alle cure palliative, all'assistenza ai disabili, alla terapia deldolore.Ti chiedo dunque di diffondere il più possibile l'appello, invitando tutti i tuoi contatti a sottoscriverlo: dobbiamo mobilitarci immediatamente per raccogliere centinaia di migliaia di adesioni e difendere il nostro diritto costituzionale alla libertà di cura. Se saremo tanti, il Parlamento non ci potrà ignorare. Nel prossimo dibattito in Senato il mio impegno personale è quello di dar voce alla vostra opinione, che credo coincida con quella della maggioranza degli italiani. Che vogliano utilizzare ogni risorsa della medicina o che intendano accettare la fine naturale della vita, i cittadini vogliono essere liberi di scegliere.Ti ringrazio infinitamente e conto su di te per far circolare il più possibile l'appello.
Ignazio Marino
martedì 24 febbraio 2009
“An Offer We Can’t Refuse”
By Aaron Schwindt
University of Southern California
On February 11, 2009 Syracuse University was honored to host the Consul General for the US in Florence, Mary Ellen Countryman, and the Vice President of the region of Tuscany, Federico Gelli, both here for Gelli’s discussion of his recent book, La legge e il sorriso. In addition, SUF director Barbara Deiming spoke briefly on the “Seeds of Legality” program, which allows students to volunteer in the fields of Corleone, Sicily as SUF continues to share this long commitment to addressing the issue of legality.
The American youth is commonly stereotyped around the world for being both ignorant and apathetic in regards to international issues. Countless Syracuse University students who attended the February 11th lecture admitted this foreign ignorance, citing American films such as Francis Ford Coppola’s The Godfather as their sole source of information in regards to the Mafia. Yet, as Gelli stressed, the issue of the Mafia is far from the mere entertainment that Hollywood depicts. In reality, the Mafia, along with Italy’s other large crime organizations (the Camorra in Napoli, the ‘Ndrangheta in Calabria and the Sacra Corona Unita in Puglia) have caused several “mafia wars” and helped strengthen a corrupt political system, which has plagued Italy’s culture throughout the 21st century.
Although La legge e il sorriso is not Gelli’s first and only published piece, he notes that the fight for legality is his main passion. Gelli argues that in Italy, many adults are disillusioned by the issue of legality, as they have witnessed a century of little respect for the rule of law. Many of them have watched as criminals continue to rise to power in public office and influence policy. This is partly why one of Gelli’s main goals is to energize the youth in regards to these issues, as they have comparably less pessimism than older generations. More importantly though, it is the youth that can really enact change and alter the national sentiment.
Another issue Gelli raised during his lecture was that of “otherness.” Italy currently faces a national debate in regards to immigration. This issue has lead to intense racism against non-Italian citizens and remains one issue to which SUF students can more closely relate. Nevertheless, this is the main issue that Italy will be forced to address in the near future. Hopefully, Italians will listen to the advice of Gelli and will be able to find a compromise between legality and solidarity, while also accommodating those who are different.
On the 50th Anniversary of Syracuse University in Firenze (1959-2009), the responsibility of students has never been greater. Finally, the United States has a President that the international community respects and admires. In addition, the abundance of resources made available by SUF, such as the “Seeds of Legality” program, makes it easy for students to learn and become immersed in the culture. Yet, merely becoming immersed and shedding our own ignorance is not enough. SUF students now have a larger responsibility to expand the influences of their experiences and educate friends and colleagues upon returning to the US. With this opportunity, there is no better time to help reform the image of Americans from ignorant and naive to aware and impassioned.
University of Southern California
On February 11, 2009 Syracuse University was honored to host the Consul General for the US in Florence, Mary Ellen Countryman, and the Vice President of the region of Tuscany, Federico Gelli, both here for Gelli’s discussion of his recent book, La legge e il sorriso. In addition, SUF director Barbara Deiming spoke briefly on the “Seeds of Legality” program, which allows students to volunteer in the fields of Corleone, Sicily as SUF continues to share this long commitment to addressing the issue of legality.
The American youth is commonly stereotyped around the world for being both ignorant and apathetic in regards to international issues. Countless Syracuse University students who attended the February 11th lecture admitted this foreign ignorance, citing American films such as Francis Ford Coppola’s The Godfather as their sole source of information in regards to the Mafia. Yet, as Gelli stressed, the issue of the Mafia is far from the mere entertainment that Hollywood depicts. In reality, the Mafia, along with Italy’s other large crime organizations (the Camorra in Napoli, the ‘Ndrangheta in Calabria and the Sacra Corona Unita in Puglia) have caused several “mafia wars” and helped strengthen a corrupt political system, which has plagued Italy’s culture throughout the 21st century.
Although La legge e il sorriso is not Gelli’s first and only published piece, he notes that the fight for legality is his main passion. Gelli argues that in Italy, many adults are disillusioned by the issue of legality, as they have witnessed a century of little respect for the rule of law. Many of them have watched as criminals continue to rise to power in public office and influence policy. This is partly why one of Gelli’s main goals is to energize the youth in regards to these issues, as they have comparably less pessimism than older generations. More importantly though, it is the youth that can really enact change and alter the national sentiment.
Another issue Gelli raised during his lecture was that of “otherness.” Italy currently faces a national debate in regards to immigration. This issue has lead to intense racism against non-Italian citizens and remains one issue to which SUF students can more closely relate. Nevertheless, this is the main issue that Italy will be forced to address in the near future. Hopefully, Italians will listen to the advice of Gelli and will be able to find a compromise between legality and solidarity, while also accommodating those who are different.
On the 50th Anniversary of Syracuse University in Firenze (1959-2009), the responsibility of students has never been greater. Finally, the United States has a President that the international community respects and admires. In addition, the abundance of resources made available by SUF, such as the “Seeds of Legality” program, makes it easy for students to learn and become immersed in the culture. Yet, merely becoming immersed and shedding our own ignorance is not enough. SUF students now have a larger responsibility to expand the influences of their experiences and educate friends and colleagues upon returning to the US. With this opportunity, there is no better time to help reform the image of Americans from ignorant and naive to aware and impassioned.
“Un’offerta che non possiamo rifiutare”
di Aaron Schwindt
University of Southern California
L’11 Febbraio 2009, la Syracuse University è stata onorata di ospitare il console generale degli Stati Uniti a Firenze, Mary Ellen Countryman, e il vice presidente della Regione Toscana, Federico Gelli, entrambi in occasione della presentazione del recente libro di Gelli, La legge e il sorriso. Inoltre, la direttrice della Syracuse University di Firenze, Barbara Deiming, ha parlato brevemente del programma “Seeds of Legality”, che permette agli studenti di fare del volontariato nei campi di Corleone, in Sicilia, permettendo all’università di esprimere il suo impegno per la legalità.
I giovani americani vengono spesso considerati all’estero secondo lo stereotipo che li vede ignoranti e apatici riguardo ai problemi internazionali. Numerosi studenti della Syracuse University che erano presenti all’evento dell’11 Febbraio hanno ammesso questa ignoranza riguardo agli affari internazionali citando, come uniche fonti di informazioni riguardo alla mafia, film americani come Il Padrino di Francis Ford Coppola. Certamente, come ha evidenziato Gelli, il significato del fenomeno mafia è molto lontano dal semplice intrattenimento che Hollywood propone. In realtà la mafia, così come le altre grandi forme di criminalità organizzata in Italia (la Camorra a Napoli, la ‘Ndrangheta in Calabria e la Sacra Corona Unita in Puglia) ha causato diverse “guerre mafiose” e aiutato a rafforzare un sistema politico corrotto, che ha afflitto la cultura italiana durante tutto il ventunesimo secolo.
La legge e il sorriso non è la prima né l’unica pubblicazione di Gelli, ciononostante egli fa notare come la lotta per la legalità rappresenti la sua principale passione. Gelli sottolinea come in Italia molti adulti siano disillusi rispetto al tema della legalità, essendo stati testimoni di un secolo che ha dimostrato ben poco rispetto per il ruolo della legge. Molti di loro hanno osservato criminali continuare a salire al potere in posizioni pubbliche e influenzare la politica. Questa è una delle ragioni che spingono Gelli a stimolare i giovani riguardo a queste problematiche, in quanto essi vedono le cose con meno pessimismo rispetto alle generazioni precedenti. Ciò che risulta essere ancora più importante è che la possibilità del reale cambiamento e di un nuovo sentimento nazionale risiede appunto nei giovani.
Un’altra questione sollevata da Gelli durante la sua presentazione è stata quella riguardante l’“alterità”. In Italia è attualmente in corso un dibattito nazionale sull’immigrazione. Questo argomento ha portato a un intenso razzismo contro coloro che non sono cittadini italiani ed è un fatto che gli studenti della Syracuse University possono sperimentare da vicino. Ciononostante, questo è il problema principale che l’Italia sarà costretta ad affrontare in un futuro non lontano. Si spera che gli italiani ascoltino il consiglio di Gelli e siano capaci di trovare un buon compromesso tra legalità e solidarietà, trovando spazio anche per coloro che sono diversi da loro.
Nel cinquantesimo anniversario della Syracuse University a Firenze (1959-2009), la responsabilità degli studenti non è mai stata più grande. Finalmente gli Stati Uniti hanno un presidente che la comunità internazionale rispetta e ammira. Inoltre, l’abbondanza di risorse rese disponibili dalla Syracuse University, come ad esempio il programma “Seeds of Legality”, rende facile agli studenti imparare immergendosi nella cultura del luogo. Comunque immergersi e sbarazzarsi della nostra ignoranza non è sufficiente. Gli studenti della Syracuse adesso hanno una maggiore responsabilità, quanto all’espandere l’influenza delle loro esperienze ed istruire amici e colleghi, una volta di ritorno negli U.S.A. Grazie a questa opportunità, non c’è momento migliore per lavorare alla trasformazione dell’immagine degli americani da ignoranti e infantili a consapevoli e appassionati.
University of Southern California
L’11 Febbraio 2009, la Syracuse University è stata onorata di ospitare il console generale degli Stati Uniti a Firenze, Mary Ellen Countryman, e il vice presidente della Regione Toscana, Federico Gelli, entrambi in occasione della presentazione del recente libro di Gelli, La legge e il sorriso. Inoltre, la direttrice della Syracuse University di Firenze, Barbara Deiming, ha parlato brevemente del programma “Seeds of Legality”, che permette agli studenti di fare del volontariato nei campi di Corleone, in Sicilia, permettendo all’università di esprimere il suo impegno per la legalità.
I giovani americani vengono spesso considerati all’estero secondo lo stereotipo che li vede ignoranti e apatici riguardo ai problemi internazionali. Numerosi studenti della Syracuse University che erano presenti all’evento dell’11 Febbraio hanno ammesso questa ignoranza riguardo agli affari internazionali citando, come uniche fonti di informazioni riguardo alla mafia, film americani come Il Padrino di Francis Ford Coppola. Certamente, come ha evidenziato Gelli, il significato del fenomeno mafia è molto lontano dal semplice intrattenimento che Hollywood propone. In realtà la mafia, così come le altre grandi forme di criminalità organizzata in Italia (la Camorra a Napoli, la ‘Ndrangheta in Calabria e la Sacra Corona Unita in Puglia) ha causato diverse “guerre mafiose” e aiutato a rafforzare un sistema politico corrotto, che ha afflitto la cultura italiana durante tutto il ventunesimo secolo.
La legge e il sorriso non è la prima né l’unica pubblicazione di Gelli, ciononostante egli fa notare come la lotta per la legalità rappresenti la sua principale passione. Gelli sottolinea come in Italia molti adulti siano disillusi rispetto al tema della legalità, essendo stati testimoni di un secolo che ha dimostrato ben poco rispetto per il ruolo della legge. Molti di loro hanno osservato criminali continuare a salire al potere in posizioni pubbliche e influenzare la politica. Questa è una delle ragioni che spingono Gelli a stimolare i giovani riguardo a queste problematiche, in quanto essi vedono le cose con meno pessimismo rispetto alle generazioni precedenti. Ciò che risulta essere ancora più importante è che la possibilità del reale cambiamento e di un nuovo sentimento nazionale risiede appunto nei giovani.
Un’altra questione sollevata da Gelli durante la sua presentazione è stata quella riguardante l’“alterità”. In Italia è attualmente in corso un dibattito nazionale sull’immigrazione. Questo argomento ha portato a un intenso razzismo contro coloro che non sono cittadini italiani ed è un fatto che gli studenti della Syracuse University possono sperimentare da vicino. Ciononostante, questo è il problema principale che l’Italia sarà costretta ad affrontare in un futuro non lontano. Si spera che gli italiani ascoltino il consiglio di Gelli e siano capaci di trovare un buon compromesso tra legalità e solidarietà, trovando spazio anche per coloro che sono diversi da loro.
Nel cinquantesimo anniversario della Syracuse University a Firenze (1959-2009), la responsabilità degli studenti non è mai stata più grande. Finalmente gli Stati Uniti hanno un presidente che la comunità internazionale rispetta e ammira. Inoltre, l’abbondanza di risorse rese disponibili dalla Syracuse University, come ad esempio il programma “Seeds of Legality”, rende facile agli studenti imparare immergendosi nella cultura del luogo. Comunque immergersi e sbarazzarsi della nostra ignoranza non è sufficiente. Gli studenti della Syracuse adesso hanno una maggiore responsabilità, quanto all’espandere l’influenza delle loro esperienze ed istruire amici e colleghi, una volta di ritorno negli U.S.A. Grazie a questa opportunità, non c’è momento migliore per lavorare alla trasformazione dell’immagine degli americani da ignoranti e infantili a consapevoli e appassionati.
lunedì 23 febbraio 2009
Ora ai mafiosi si dedicano targhe in chiesa
di Dora Quaranta
Palermo. Sta giustamente destando polemiche la presenza di una targa su un confessionale nella chiesa Regina Pacis di Palermo. "Dono di fede e d’amore di Giuseppa Puma e dei figli – recita la targa - in perpetua benedizione e memoria di Ignazio Salvo. Ad maiorem dei gloriam. 24 giugno 2004". Trattasi di un confessionale donato alla chiesa dalla famiglia Salvo che ricorda il nome di uno degli uomini più potenti della Sicilia condannato per mafia ed ucciso dai killer di Totò Riina il 17 settembre 1992. Piuttosto tiepida la posizione del parroco Aldo Nuvola: "La famiglia Salvo sostiene che il proprio congiunto fu vittima di una persecuzione giudiziaria. Cosa possiamo dire noi? La nostra posizione deve essere sempre equanime. Che fastidio può fare quella targhetta? Ormai Ignazio Salvo è morto". Il fastidio che quella targa genera ai cittadini onesti è presto detto: Ignazio Salvo fu arrestato insieme al cugino nel 1984, fu condannato per associazione mafiosa in primo grado ad una pena di sette anni, poi ridotta in appello a tre anni confermata dalla Cassazione. A ricordare poi la levatura criminale del personaggio è quanto scrisse il giudice Giovanni Falcone nella sentenza-ordinanza del maxiprocesso: "I Salvo si sono avvalsi della mafia per raggiungere posizioni di potere di assoluto rilievo e hanno costituito uno dei fattori maggiormente inquinanti delle istituzioni della Sicilia". Sui cugini Salvo ebbe ad esprimersi il pentito Buscetta quando disse: "Sono uomini d’onore della famiglia di Salemi, come tali mi sono stati presentati da Stefano Bontade". Altri pentiti su Ignazio Salvo hanno detto: "Era un altro dei politici legati a Cosa Nostra e anzi di lei facente parte che non era riuscito ad aggiustare il maxiprocesso". Quanto la magistratura italiana ha con dovizia accertato costituisce motivo fondante per la rimozione immediata del nome di Ignazio Salvo da una targa esposta in un luogo sacro.
Antimafia 2000, 11 settembre 2008
domenica 22 febbraio 2009
Corleone, il convegno sui tumori. Adele Traina: "A Corleone non si muore di più che in altri paesi della Provincia"
Dal convegno su tumori e malattie infettive, svoltosi venerdì mattina nel salone S. Chiara di Corleone, è arrivata una notizia, che tranquillizzerà un po’ tutti i corleonesi. A Corleone non c’è una maggiore incidenza tumorale nella popolazione rispetto ad altri paesi e ad altre città della Sicilia. L’ha sottolineato, dati alla mano, Adele Traina, responsabile del Registro tumori di Palermo e Provincia, sottolineando anzi che a Corleone si muore meno di tumore che a Palermo. Certo, quella per tumore è al secondo posto tra le cause di morte, ma questo è un dato allarmante che riguarda la Sicilia e l’intera Nazione.
Il convegno scientifico, organizzato dal Distretto Socio-Sanitario D40 e dall’Unione dei Comuni del corleonese, verteva su conoscenza, prevenzione formazione. Gli interventi sui diversi temi, coordinati da Cosmo Di Carlo, ha visto la partecipazione di tanti prestigiosi relatori. La responsabile del registro tumori di Palermo e Provincia, Adele Traina, ha posto l’accento sull’alimentazione e lo stile di vita quali fattori di rischio che influenzano l’insorgenza tumorale in maniera rilevante. Anna Barbera, presidente dell’associazione Arlenika, e Lisa Prosa, membro della direzione Centro Amazzone Palermo”, hanno posto l’attenzione sugli aspetti culturali e sociali della prevenzione globale, mettendo in risalto l’esperienza del progetto Amazzone, che, oltre ad evidenziare l’importanza della prevenzione del carcinoma alla mammella e quindi il sostegno della donna nella malattia, risalta anche l’importanza dello “spazio di cultura scientifica” e di “teatro-studio” (per eventuali informazioni consultare il sito http://www.progettoamazzone.it/). Il prof. Giuseppe Carrubba, direttore di Oncologia Sperimentale del Dipartimento Oncologico dell’ospedale M. Ascoli -Civico di Palermo, ha coinvolto tutta l’aula trattando il tema del rapporto tra l’ambiente, i geni e i tumori, con un’interessante successione di “slide” riguardanti principalmente le modificazioni genetiche cellulari spontanee e l’interazione dell’ambiente con le cellule già modificate ed evoluzione verso la cellula neoplastica matura. Infine, il prof. Biagio Agostara, direttore del Dipartimento di Oncologia Medica del Civico di Palermo, ha parlato del ruolo centrale della diagnosi precoce nella sconfitta del cancro, ponendo l’accento sulla diversità di diagnosi e di cura tra tumori diversi ed anche riguardo lo stesso tumore da persona a persona, avallando la tesi che bisogna personalizzare le cure e non basarsi, come si faceva agli inizi degli studi oncologici, su protocolli generali. Il prof. Agostara ha volto anche uno sguardo al futuro, trattando l’argomento “farmaci biologici” e quindi lo studio di nuove molecole, sconosciute prima, molto più efficaci e specifiche per la lotta al cancro, ed anche della grande efficacia e riuscita dei trattamenti chemioterapici.
Durante il convegno sono state rivolte delle domande agli addetti ai lavori sulla “salubrità” del ripetitore-centrale telefonica, posto dietro le scuole elementari, alle quali, purtroppo, per mancanza di tempo, non si è avuta una risposta. Comunque, una notizia che tranquillizzerà un po’ tutti i corleonesi è arrivata: a Corleone non c’è una maggiore incidenza tumorale nella popolazione rispetto ad altre città. L’ha sottolineato Adele Traina, responsabile del registro tumori di Palermo e Provincia, sottolineando anzi che a Corleone si muore meno di tumore che a Palermo. L’augurio è che convegni come questi possano essere più frequenti a Corleone, perché l’informazione e la prevenzione sono importanti per cercare di cambiare positivamente le nostre abitudini e la nostra mentalità.
Andrea Di Nino
Il convegno scientifico, organizzato dal Distretto Socio-Sanitario D40 e dall’Unione dei Comuni del corleonese, verteva su conoscenza, prevenzione formazione. Gli interventi sui diversi temi, coordinati da Cosmo Di Carlo, ha visto la partecipazione di tanti prestigiosi relatori. La responsabile del registro tumori di Palermo e Provincia, Adele Traina, ha posto l’accento sull’alimentazione e lo stile di vita quali fattori di rischio che influenzano l’insorgenza tumorale in maniera rilevante. Anna Barbera, presidente dell’associazione Arlenika, e Lisa Prosa, membro della direzione Centro Amazzone Palermo”, hanno posto l’attenzione sugli aspetti culturali e sociali della prevenzione globale, mettendo in risalto l’esperienza del progetto Amazzone, che, oltre ad evidenziare l’importanza della prevenzione del carcinoma alla mammella e quindi il sostegno della donna nella malattia, risalta anche l’importanza dello “spazio di cultura scientifica” e di “teatro-studio” (per eventuali informazioni consultare il sito http://www.progettoamazzone.it/). Il prof. Giuseppe Carrubba, direttore di Oncologia Sperimentale del Dipartimento Oncologico dell’ospedale M. Ascoli -Civico di Palermo, ha coinvolto tutta l’aula trattando il tema del rapporto tra l’ambiente, i geni e i tumori, con un’interessante successione di “slide” riguardanti principalmente le modificazioni genetiche cellulari spontanee e l’interazione dell’ambiente con le cellule già modificate ed evoluzione verso la cellula neoplastica matura. Infine, il prof. Biagio Agostara, direttore del Dipartimento di Oncologia Medica del Civico di Palermo, ha parlato del ruolo centrale della diagnosi precoce nella sconfitta del cancro, ponendo l’accento sulla diversità di diagnosi e di cura tra tumori diversi ed anche riguardo lo stesso tumore da persona a persona, avallando la tesi che bisogna personalizzare le cure e non basarsi, come si faceva agli inizi degli studi oncologici, su protocolli generali. Il prof. Agostara ha volto anche uno sguardo al futuro, trattando l’argomento “farmaci biologici” e quindi lo studio di nuove molecole, sconosciute prima, molto più efficaci e specifiche per la lotta al cancro, ed anche della grande efficacia e riuscita dei trattamenti chemioterapici.
Durante il convegno sono state rivolte delle domande agli addetti ai lavori sulla “salubrità” del ripetitore-centrale telefonica, posto dietro le scuole elementari, alle quali, purtroppo, per mancanza di tempo, non si è avuta una risposta. Comunque, una notizia che tranquillizzerà un po’ tutti i corleonesi è arrivata: a Corleone non c’è una maggiore incidenza tumorale nella popolazione rispetto ad altre città. L’ha sottolineato Adele Traina, responsabile del registro tumori di Palermo e Provincia, sottolineando anzi che a Corleone si muore meno di tumore che a Palermo. L’augurio è che convegni come questi possano essere più frequenti a Corleone, perché l’informazione e la prevenzione sono importanti per cercare di cambiare positivamente le nostre abitudini e la nostra mentalità.
Andrea Di Nino
Pantelleria, l’isola abbandonata
di Malcom Pagani
Uno scenario apocalittico. Un deserto di speranze che piove come un temporale eterno suoi abitanti di Pantelleria. L'isola che non c'è eppure esiste. Seimila abitanti, meraviglie naturali conosciute in tutto il mondo, paesaggi lunari. In abbandono. A Pantelleria manca l'essenziale. Nel piccolo porto le navi non attraccano, l'ospedale rischia di chiudere, i beni di prima necessità di non arrivare. E' arrabbiata la comunità pantesca. Indignata per il silenzio del governo centrale, per le promesse di quello regionale. Concessioni prima elargite e poi scomparse. Davanti un orizzonte che non promette nulla di buono. Hanno protestato gli isolani. Hanno viaggiato verso Roma, si sono incatenati davanti al ministero, urlando una solitudine oggettiva. Hanno fatto finta di ascoltarli ma in realtà nulla sta cambiando. Marco Cirinesi è un ragazzo di Milano. Va verso i quaranta e da sei, vive sull'isola. “Una scelta di vita. Piena di cose buone e lati oscuri”. Chiedergli di illuminarli è come aprire un rubinetto con la chiusura difettosa. Scorrono concetti, immagini, lamentele. La descrizione di un'esperienza surreale. Sconcertante. “Stiamo pensando di chiedere l'indipendenza”. Non scherza, Cirinesi. “Sono serissimo. La situazione è grave. La condizione dei trasporti ricorda quella di cinquanta anni fa. Le navi della Siremar, abituata ad operare in regime di sostanziale monopolio, sono vecchie. Pericolose. Sporche. Inadeguate. A dicembre, da Trapani, saranno arrivate tre volte in tutto. I vertici della compagni addebitano i mancati attracchi alle condizioni del porto ma è una scusa. La realtà è che al primo soffio di vento, per timore delle possibili conseguenze, rimangono in banchina. Tanto se viaggia o non viaggia, guadagna ugualmente. L'altra compagnia, la Cassira, con un comprensibile gap rispetto alla concorrente, fa quello che può. Però gettare le gomene in porto o meno, è una voce di bilancio. I soldi entrano solo se Cassira arriva e questa, è una differenza non di secondo piano”.
Lo sfogo è senza argini. “Quest'amministrazione (nata come lista civica di centrosinistra e poi allargatasi a contributi trasversali ndr) si sta battendo per ottenere ascolto dal Ministro Matteoli e dal governatore siciliano Lombardo. Fonti governative avevano promesso, solo per l'ordinaria amministrazione dell'anno in corso, quarantasei milioni di euro. Al momento di sbloccare i fondi però, qualcosa si è bloccato. Hanno dichiarato che gli emolumenti sono stand-by”. Formula anglofila che non promette nulla di buono. Da quarantasei a zero. “Siamo preoccupati perchè qui, giorno dopo giorno, l'esistente peggiora”. Cirinesi non è ottimista. “Siamo isolati in tutto e per tutto.La continuità territoriale non viene garantita. Se dobbiamo sottostare allo statuto speciale, dobbiamo sapere il perchè”. Il sindaco, Salvatore Gabriele, ha rimbalzato tra i dammusi e la capitale un infinità di volte. Respinto, per ora. “Il sindaco è in gamba ma non si può pensare che su una sola persona poggino contraddizioni ataviche e inevase. Solo ora, la comunità capisce che per sperare di ottenere qualcosa c'è bisogno di unione. I giovani purtroppo, senza prospettive, cercano la fuga. Gli abitanti stanno diminuendo a vista d'occhio”. Hanno invaso Facebook, cercando di piegare gli strumenti della modernità a richieste primarie. D'inverno fa freddo anche a Pantelleria. “Andiamo avanti con i condizionatori” e d'estate, la doccia è un miraggio. Presto, temono, divenga tale anche l'ospedale. “So che sembra pazzesco ma è così. La status in cui devono operare i medici è agghiacciante. Sono professionisti straordinari, innamorati del proprio mestiere ma molti macchinari sono rotti, a iniziare dalla Tac. Se ne hai bisogno, devi emigrare a Trapani”. La regalò Giorgio Armani in persona. Ora è in disuso. “Abbiamo segnalato la cosa mille volte, è fuori uso da mesi”. Ricevendo in cambio, uno stizzito silenzio. “Una certa rassegnazione è endemica. Gli anziani dicono: “Se dobbiamo morire, moriremo”. In certe circostanze è difficile anche compiere esami semplici. Analisi banali”. La questione ospedaliera accomuna Pantelleria ad altre isole italiane. “Sognamo di essere una nuova malta”. Staccarsi per non morire. Dividersi per tornare a respirare.
L'Unità, 22.2.2009
FOTO. Il porto di Pantelleria
Uno scenario apocalittico. Un deserto di speranze che piove come un temporale eterno suoi abitanti di Pantelleria. L'isola che non c'è eppure esiste. Seimila abitanti, meraviglie naturali conosciute in tutto il mondo, paesaggi lunari. In abbandono. A Pantelleria manca l'essenziale. Nel piccolo porto le navi non attraccano, l'ospedale rischia di chiudere, i beni di prima necessità di non arrivare. E' arrabbiata la comunità pantesca. Indignata per il silenzio del governo centrale, per le promesse di quello regionale. Concessioni prima elargite e poi scomparse. Davanti un orizzonte che non promette nulla di buono. Hanno protestato gli isolani. Hanno viaggiato verso Roma, si sono incatenati davanti al ministero, urlando una solitudine oggettiva. Hanno fatto finta di ascoltarli ma in realtà nulla sta cambiando. Marco Cirinesi è un ragazzo di Milano. Va verso i quaranta e da sei, vive sull'isola. “Una scelta di vita. Piena di cose buone e lati oscuri”. Chiedergli di illuminarli è come aprire un rubinetto con la chiusura difettosa. Scorrono concetti, immagini, lamentele. La descrizione di un'esperienza surreale. Sconcertante. “Stiamo pensando di chiedere l'indipendenza”. Non scherza, Cirinesi. “Sono serissimo. La situazione è grave. La condizione dei trasporti ricorda quella di cinquanta anni fa. Le navi della Siremar, abituata ad operare in regime di sostanziale monopolio, sono vecchie. Pericolose. Sporche. Inadeguate. A dicembre, da Trapani, saranno arrivate tre volte in tutto. I vertici della compagni addebitano i mancati attracchi alle condizioni del porto ma è una scusa. La realtà è che al primo soffio di vento, per timore delle possibili conseguenze, rimangono in banchina. Tanto se viaggia o non viaggia, guadagna ugualmente. L'altra compagnia, la Cassira, con un comprensibile gap rispetto alla concorrente, fa quello che può. Però gettare le gomene in porto o meno, è una voce di bilancio. I soldi entrano solo se Cassira arriva e questa, è una differenza non di secondo piano”.
Lo sfogo è senza argini. “Quest'amministrazione (nata come lista civica di centrosinistra e poi allargatasi a contributi trasversali ndr) si sta battendo per ottenere ascolto dal Ministro Matteoli e dal governatore siciliano Lombardo. Fonti governative avevano promesso, solo per l'ordinaria amministrazione dell'anno in corso, quarantasei milioni di euro. Al momento di sbloccare i fondi però, qualcosa si è bloccato. Hanno dichiarato che gli emolumenti sono stand-by”. Formula anglofila che non promette nulla di buono. Da quarantasei a zero. “Siamo preoccupati perchè qui, giorno dopo giorno, l'esistente peggiora”. Cirinesi non è ottimista. “Siamo isolati in tutto e per tutto.La continuità territoriale non viene garantita. Se dobbiamo sottostare allo statuto speciale, dobbiamo sapere il perchè”. Il sindaco, Salvatore Gabriele, ha rimbalzato tra i dammusi e la capitale un infinità di volte. Respinto, per ora. “Il sindaco è in gamba ma non si può pensare che su una sola persona poggino contraddizioni ataviche e inevase. Solo ora, la comunità capisce che per sperare di ottenere qualcosa c'è bisogno di unione. I giovani purtroppo, senza prospettive, cercano la fuga. Gli abitanti stanno diminuendo a vista d'occhio”. Hanno invaso Facebook, cercando di piegare gli strumenti della modernità a richieste primarie. D'inverno fa freddo anche a Pantelleria. “Andiamo avanti con i condizionatori” e d'estate, la doccia è un miraggio. Presto, temono, divenga tale anche l'ospedale. “So che sembra pazzesco ma è così. La status in cui devono operare i medici è agghiacciante. Sono professionisti straordinari, innamorati del proprio mestiere ma molti macchinari sono rotti, a iniziare dalla Tac. Se ne hai bisogno, devi emigrare a Trapani”. La regalò Giorgio Armani in persona. Ora è in disuso. “Abbiamo segnalato la cosa mille volte, è fuori uso da mesi”. Ricevendo in cambio, uno stizzito silenzio. “Una certa rassegnazione è endemica. Gli anziani dicono: “Se dobbiamo morire, moriremo”. In certe circostanze è difficile anche compiere esami semplici. Analisi banali”. La questione ospedaliera accomuna Pantelleria ad altre isole italiane. “Sognamo di essere una nuova malta”. Staccarsi per non morire. Dividersi per tornare a respirare.
L'Unità, 22.2.2009
FOTO. Il porto di Pantelleria
venerdì 20 febbraio 2009
Corleone, i Carabinieri scoprono una discarica abusiva in contrada San Marco
Cosmo Di Carlo
Corleone - Scoperta dai Carabinieri della Stazione di Corleone,una discarica abusiva con amianto, sfabbricidi, materiale plastico, rifiuti speciali ferrosi in prossimità della Chiesa di San Marco uno dei monumenti storici ed architettonici più belli e degradati della città. La discarica è stata individuata dai militari dell’Arma nell’ambito di specifici servizi di controllo del territorio disposti dal Comando Provinciale di Palermo, finalizzati a prevenire e reprimere reati contro il degrado ed a tutela dell’ambiente. L’area interessata al sequestro si estende per un centinaio di metri quadrati e sorge alla periferia sud della città a poche centinaia di metri dagli edifici delle case popolari di contrada: “Poggio” dove abitano oltre 200 nuclei familiari. L’area individuata ieri dai carabinieri è di pertinenza della Regione. Nei mesi passati l’amministrazione comunale aveva provveduto a recintare la parte confinante con le mura perimetrali della Chiesa di San Marco in parte crollati. Nel sito i militari dell’Arma hanno riscontrato la presenza di lastre e tubi di amianto. L’area, è stata circoscritta e sottoposta a sequestro ed è quindi scattata la segnalazione alle autorità competenti affinché provvedano alla immediata rimozione. Apprezzamento per l’operazione dei carabinieri è stato espresso dal sindaco Nino Iannazzo, che già nei giorni scorsi aveva adottato un provvedimento per la dichiarazione dello stato di emergenza igienico sanitaria. “Proprio il sito oggetto del sequestro era stato segnalato nei giorni scorsi alla società che gestisce la raccolta dei rifiuti solidi urbani a Corleone – spiega il primo cittadino – ed era stato effettuato un primo intervento di bonifica con la rimozione di suppellettili, materassi, lavatrici. Nei prossimi giorni effettueremo la bonifica definitiva dei sito con la rimozione dell’amianto e degli sfabbricidi”.
Corleone - Scoperta dai Carabinieri della Stazione di Corleone,una discarica abusiva con amianto, sfabbricidi, materiale plastico, rifiuti speciali ferrosi in prossimità della Chiesa di San Marco uno dei monumenti storici ed architettonici più belli e degradati della città. La discarica è stata individuata dai militari dell’Arma nell’ambito di specifici servizi di controllo del territorio disposti dal Comando Provinciale di Palermo, finalizzati a prevenire e reprimere reati contro il degrado ed a tutela dell’ambiente. L’area interessata al sequestro si estende per un centinaio di metri quadrati e sorge alla periferia sud della città a poche centinaia di metri dagli edifici delle case popolari di contrada: “Poggio” dove abitano oltre 200 nuclei familiari. L’area individuata ieri dai carabinieri è di pertinenza della Regione. Nei mesi passati l’amministrazione comunale aveva provveduto a recintare la parte confinante con le mura perimetrali della Chiesa di San Marco in parte crollati. Nel sito i militari dell’Arma hanno riscontrato la presenza di lastre e tubi di amianto. L’area, è stata circoscritta e sottoposta a sequestro ed è quindi scattata la segnalazione alle autorità competenti affinché provvedano alla immediata rimozione. Apprezzamento per l’operazione dei carabinieri è stato espresso dal sindaco Nino Iannazzo, che già nei giorni scorsi aveva adottato un provvedimento per la dichiarazione dello stato di emergenza igienico sanitaria. “Proprio il sito oggetto del sequestro era stato segnalato nei giorni scorsi alla società che gestisce la raccolta dei rifiuti solidi urbani a Corleone – spiega il primo cittadino – ed era stato effettuato un primo intervento di bonifica con la rimozione di suppellettili, materassi, lavatrici. Nei prossimi giorni effettueremo la bonifica definitiva dei sito con la rimozione dell’amianto e degli sfabbricidi”.
mercoledì 18 febbraio 2009
Interrogazione sul canone di depurazione
Al Signor Presidente del Consiglio comunale
Al Signor Sindaco del Comune di Corleone
L O R O S E D I
Il sottoscritto consigliere comunale
- PREMESSO CHE la quota relativa alla depurazione, richiesta finora a tutti gli utenti del servizio idrico del Comune di Corleone, non si configura come una tassa ma come il corrispettivo per un servizio reso;
- CONSIDERATO CHE, come stabilito da una recente sentenza della Corte costituzionale, se detto servizio non viene reso ai cittadini, perchè manca l’impianto di depurazione o non è funzionante, il corrispettivo non deve essere pagato e la richiesta di pagamento è illegittima;
S’INTERROGA LA S.V. PER SAPERE
1. Se tutti gli scarichi fognari del Comune di Corleone sono collegati al depuratore comunale;
2. Se anche agli utenti di eventuali scarichi fognari non collegati al depuratore è stata fatta pagare la quota relativa alla depurazione;
3. Nel caso di risposta affermativa, se e quando l’amministrazione intende provvedere al rimborso delle somme illegittimamente riscosse.
Si prega di rispondere nella prossima seduta del Consiglio comunale.
Corleone, 18 febbraio 2009
F I R M A
Dino Paternostro
Al Signor Sindaco del Comune di Corleone
L O R O S E D I
Il sottoscritto consigliere comunale
- PREMESSO CHE la quota relativa alla depurazione, richiesta finora a tutti gli utenti del servizio idrico del Comune di Corleone, non si configura come una tassa ma come il corrispettivo per un servizio reso;
- CONSIDERATO CHE, come stabilito da una recente sentenza della Corte costituzionale, se detto servizio non viene reso ai cittadini, perchè manca l’impianto di depurazione o non è funzionante, il corrispettivo non deve essere pagato e la richiesta di pagamento è illegittima;
S’INTERROGA LA S.V. PER SAPERE
1. Se tutti gli scarichi fognari del Comune di Corleone sono collegati al depuratore comunale;
2. Se anche agli utenti di eventuali scarichi fognari non collegati al depuratore è stata fatta pagare la quota relativa alla depurazione;
3. Nel caso di risposta affermativa, se e quando l’amministrazione intende provvedere al rimborso delle somme illegittimamente riscosse.
Si prega di rispondere nella prossima seduta del Consiglio comunale.
Corleone, 18 febbraio 2009
F I R M A
Dino Paternostro
Interrogazione sui parcheggi nel centro storico
Al signor Sindaco del Comune di Corleone
All’Assessore al Ramo
Al Presidente del Consiglio Comunale
S E D E
OGGETTO: Interrogazione sui parcheggi nel centro storico.
I sottoscritti consiglieri comunali
- PREMESSO CHE da anni questo comune dibatte sulla necessità di dotarsi di un piano-parcheggi, specie nel centro storico, senza nessun risultato apprezzabile;
- CONSIDERATO CHE il problema parcheggi si è ulteriormente aggravato da quando una parte dell’Ufficio Tecnico comunale è stato riportato nei locali di piazza Garibaldi e che si aggraverà ulteriormente non appena saranno consegnati i locali del complesso Sant’Agostino;
- RITENUTO CHE appare sempre più urgente fare delle scelte che consentano, se non di risolvere, almeno di alleviare il problema;
Interrogano le SS.LL. per sapere:
1. Se l’Amministrazione comunale e gli Uffici abbiano provveduto ad elaborare un organico piano-parcheggi, con particolare riferimento all’area del centro storico;
2. Se l’Amministrazione comunale intenda prendere in considerazione l’ipotesi di istituire dei parcheggi a pagamento nella zona nevralgica del centro storico (piazza Garibaldi, via Bentivegna, via S. Martino, via B. Verro e vie limitrofe), come richiesto dagli operatori del commercio e da tanti cittadini, con una petizione consegnata recentemente;
3. Se, anche in via sperimentale, non pensa di valutare la possibilità di una parziale chiusura al traffico del centro storico.
Si prega di rispondere nella prossima seduta del consiglio comunale.
Corleone, 6 febbraio 2009
I Consiglieri Comunali
Dino Paternostro
Salvatore Schillaci
Franco di Giorgio
Calogero Di Miceli
Leo Colletto
All’Assessore al Ramo
Al Presidente del Consiglio Comunale
S E D E
OGGETTO: Interrogazione sui parcheggi nel centro storico.
I sottoscritti consiglieri comunali
- PREMESSO CHE da anni questo comune dibatte sulla necessità di dotarsi di un piano-parcheggi, specie nel centro storico, senza nessun risultato apprezzabile;
- CONSIDERATO CHE il problema parcheggi si è ulteriormente aggravato da quando una parte dell’Ufficio Tecnico comunale è stato riportato nei locali di piazza Garibaldi e che si aggraverà ulteriormente non appena saranno consegnati i locali del complesso Sant’Agostino;
- RITENUTO CHE appare sempre più urgente fare delle scelte che consentano, se non di risolvere, almeno di alleviare il problema;
Interrogano le SS.LL. per sapere:
1. Se l’Amministrazione comunale e gli Uffici abbiano provveduto ad elaborare un organico piano-parcheggi, con particolare riferimento all’area del centro storico;
2. Se l’Amministrazione comunale intenda prendere in considerazione l’ipotesi di istituire dei parcheggi a pagamento nella zona nevralgica del centro storico (piazza Garibaldi, via Bentivegna, via S. Martino, via B. Verro e vie limitrofe), come richiesto dagli operatori del commercio e da tanti cittadini, con una petizione consegnata recentemente;
3. Se, anche in via sperimentale, non pensa di valutare la possibilità di una parziale chiusura al traffico del centro storico.
Si prega di rispondere nella prossima seduta del consiglio comunale.
Corleone, 6 febbraio 2009
I Consiglieri Comunali
Dino Paternostro
Salvatore Schillaci
Franco di Giorgio
Calogero Di Miceli
Leo Colletto
L'interrogazione sulla crisi dei rapporti con i vertici burocratici
Al signor Sindaco del Comune di Corleone
Al Presidente del Consiglio Comunale
S E D E
OGGETTO: Interrogazione sui vertici burocratici del Comune.
I sottoscritti consiglieri comunali
Interrogano la S.V. per sapere:
1. Se risponde a verità la notizia che un Caposervizio del Comune di Corleone sia stato rimosso dall’incarico e denunciato alla Procura della Repubblica e, nel caso quanto sopra rispondesse a verità, quali sono i motivi che hanno portato ad una simile gravissima decisione;
2. Se risponde a verità che un Caposettore del Comune di Corleone sia stato rimosso dall’incarico e, nel caso fosse vero, quali sono le motivazioni che hanno portato ad una simile gravissima decisione;
3. Se risponde al vero che altri Capisettore siano stati diffidati dall’Amministrazione comunale e, qualora fosse vero, quali sono i motivi che hanno portato ad una simile decisione;
4. Nel caso fossero vere le notizie di cui sopra, se non ritiene allarmante dal punto di vista etico-istituzionale il crollo del rapporto di fiducia tra l’amministrazione comunale e i vertici burocratici del Comune.
Si prega di rispondere per iscritto e nella prossima seduta del consiglio comunale.
Corleone, 6 febbraio 2009
I Consiglieri Comunali
Dino Paternostro
Salvatore Schillaci
Franco di Giorgio
Calogero Di Miceli
Leo Colletto
Al Presidente del Consiglio Comunale
S E D E
OGGETTO: Interrogazione sui vertici burocratici del Comune.
I sottoscritti consiglieri comunali
Interrogano la S.V. per sapere:
1. Se risponde a verità la notizia che un Caposervizio del Comune di Corleone sia stato rimosso dall’incarico e denunciato alla Procura della Repubblica e, nel caso quanto sopra rispondesse a verità, quali sono i motivi che hanno portato ad una simile gravissima decisione;
2. Se risponde a verità che un Caposettore del Comune di Corleone sia stato rimosso dall’incarico e, nel caso fosse vero, quali sono le motivazioni che hanno portato ad una simile gravissima decisione;
3. Se risponde al vero che altri Capisettore siano stati diffidati dall’Amministrazione comunale e, qualora fosse vero, quali sono i motivi che hanno portato ad una simile decisione;
4. Nel caso fossero vere le notizie di cui sopra, se non ritiene allarmante dal punto di vista etico-istituzionale il crollo del rapporto di fiducia tra l’amministrazione comunale e i vertici burocratici del Comune.
Si prega di rispondere per iscritto e nella prossima seduta del consiglio comunale.
Corleone, 6 febbraio 2009
I Consiglieri Comunali
Dino Paternostro
Salvatore Schillaci
Franco di Giorgio
Calogero Di Miceli
Leo Colletto
Da Tavarnelle Val di Pesa un carrello per la coop sociale “Lavoro e non solo” di Corleone
Non è mai facile parlare di Legalità; di certo non è mai scontato. Ancora più difficile è lottare perché questa parola possa ancora avere un significato. E’ fondamentale parlarne, conoscere la realtà. Per questo qualche anno fa ci siamo avvicinati al Progetto Liberarci dalle Spine. In particolare con l'ARCI e la Sinistra Giovanile di Tavarnelle V.P. abbiamo aderito alla campagna “LET'Sgo” incentrata sulla discussione sul tema della Legalità e che aveva come obiettivo l’acquisto di una trattore per la cooperativa “Lavoro e non solo”. Fino ad allora la parola Legalità ci suonava fredda e forse troppo autoritaria…non ne capivamo il vero significato. Non conoscevamo le storie di ha lottato o lotta ancora per difenderlo questo significato. Poco sapevamo di chi ha sacrificato la vita per permettere che la parola Legalità avesse un senso. Con i nostri piccoli mezzi abbiamo deciso di aderire alla campagna per l’acquisto del trattore per la cooperativa “Lavoro e non solo”; questa cooperativa, di cui nulla conoscevamo in modo diretto ci era sembrata un emblema di quello che è lavorare per un idea.
Col tempo ci siamo convinti che il nostro paese, sull’onda del grande impegno toscano, doveva continuare a dare il suo contributo. Il trattore era appena stato acquistato e da Tavarnelle ci siamo impegnati per l’acquisto di un carrello agricolo. La raccolta fondi è stata lunga ed ha richiesto il lavoro di molti volontari ed, alla fine, è stato molto bello vedere tanta gente interessarsi al nostro lavoro. La cultura della Legalità si fonda sull’impegno e la nostra attività ha voluto percorrere (con tutti i limiti del caso) questa strada. Arrivare ad acquistare il carrello è stata per noi la soddisfazione di raggiungere un obiettivo ambizioso. Speriamo che questo vada a dare un aiuto concreto alla cooperativa anche se sappiamo che le difficoltà da affrontare restano tante. Fondamentale è che tutti facciano qualcosa per promuovere il significato ed il valore della Legalità come strumento di emancipazione per una società diversa. A Tavarnelle la sensibilità è stata certamente stimolata, tant’è che il prossimo primo Maggio una nutrita delegazione partirà alla volta di Corleone per visitare i luoghi della cooperativa assieme ai rappresentanti istituzionali del comune. Sarà il modo di vedere e magari capire più a fondo ciò che significa lavorare per un’idea. Saranno con noi il Sindaco di Tavarnelle Val di Pesa Stefano Fusi e l'Assessore David Baroncelli. Crediamo infatti che sia dovere nostro e delle nostre istituzioni promuovere verso tutta la collettività la cultura e i valori della legalità e, dove questa è oggi in crisi, come nel caso delle terre soggette alla piaga mafiosa, sviluppare politiche perché nessuno sia solo nell'affrontare questa battaglia. Questo vuol dire per noi impegnarsi a fondo anche localmente mettendo in atto politiche di informazione e formazione della cultura della legalità e impegnarsi attivamente assieme alle nostre istituzioni nell'essere vicini a coloro che ogni giorno lottano contro il fenomeno mafioso.
Un gruppo di giovani di Tavarnelle Val di Pesa
Col tempo ci siamo convinti che il nostro paese, sull’onda del grande impegno toscano, doveva continuare a dare il suo contributo. Il trattore era appena stato acquistato e da Tavarnelle ci siamo impegnati per l’acquisto di un carrello agricolo. La raccolta fondi è stata lunga ed ha richiesto il lavoro di molti volontari ed, alla fine, è stato molto bello vedere tanta gente interessarsi al nostro lavoro. La cultura della Legalità si fonda sull’impegno e la nostra attività ha voluto percorrere (con tutti i limiti del caso) questa strada. Arrivare ad acquistare il carrello è stata per noi la soddisfazione di raggiungere un obiettivo ambizioso. Speriamo che questo vada a dare un aiuto concreto alla cooperativa anche se sappiamo che le difficoltà da affrontare restano tante. Fondamentale è che tutti facciano qualcosa per promuovere il significato ed il valore della Legalità come strumento di emancipazione per una società diversa. A Tavarnelle la sensibilità è stata certamente stimolata, tant’è che il prossimo primo Maggio una nutrita delegazione partirà alla volta di Corleone per visitare i luoghi della cooperativa assieme ai rappresentanti istituzionali del comune. Sarà il modo di vedere e magari capire più a fondo ciò che significa lavorare per un’idea. Saranno con noi il Sindaco di Tavarnelle Val di Pesa Stefano Fusi e l'Assessore David Baroncelli. Crediamo infatti che sia dovere nostro e delle nostre istituzioni promuovere verso tutta la collettività la cultura e i valori della legalità e, dove questa è oggi in crisi, come nel caso delle terre soggette alla piaga mafiosa, sviluppare politiche perché nessuno sia solo nell'affrontare questa battaglia. Questo vuol dire per noi impegnarsi a fondo anche localmente mettendo in atto politiche di informazione e formazione della cultura della legalità e impegnarsi attivamente assieme alle nostre istituzioni nell'essere vicini a coloro che ogni giorno lottano contro il fenomeno mafioso.
Un gruppo di giovani di Tavarnelle Val di Pesa
IN SIILIA, LA MODERNA SCHIAVITU’
di Agostino Spataro
Seguendo i giornali, i telegiornali e le truculente dichiarazioni dei rappresentanti del governo, sembra che lo stupro sia divenuto la prima emergenza nazionale. Più degli effetti della crisi economica e morale, delle efferatezze della criminalità organizzata. L’allarme, seguito da severi provvedimenti, scattano soprattutto quando lo stupro è commesso da giovani immigrati. Se commesso da un connazionale al massimo diventa bullismo, disadattamento o cosucce del genere. Con ciò non si vuol negare la necessità di misure adeguate di prevenzione e di repressione per scoraggiare e punire gli autori di tali episodi obbrobriosi, ma rilevare l’enfasi eccessiva che si è voluto dare a questi episodi che, per altro, porta a trascurare fenomeni ben più gravi e diffusi. Qual è la riduzione in schiavitù che, anche in Italia, tormenta l’esistenza di decine di migliaia di donne e di bambini. L’ultimo caso, l’altro giorno, ad Alcamo: una ragazza rumena, con l’aiuto della polizia, è riuscita a liberarsi, speriamo per sempre, dalle grinfie dei suoi aguzzini i quali per costringerla a prostituirsi la tenevano praticamente in condizioni di vera e propria schiavitù. Eppure, consumata la notizia, non è successo nulla. Nessuno ha proposto un decreto contro gli schiavisti italiani e stranieri che controllano un traffico enorme di uomini e donne. Non è scattata nemmeno quell’indignazione istintiva che è (era?) la controprova della sanità morale di un popolo, di una nazione che, per altro, si professa cattolicissima e devota. Come se in queste nostre società “opulente” anche il sentimento della pietà umana si stia spegnendo nelle nostre menti alienate e terrorizzate da certa propaganda, a contatto con l’arido deserto creato intorno a noi da egoismi sfrenati e devastanti. E questo un’altro aspetto, forse il più inquietante, di questo nuovo ciclo mondiale delle migrazioni che, oltre a creare nuovi dissesti sociali e morali nelle società d’origine e di destinazione, produce forme diverse di schiavitù che, abolita ufficialmente dalla convenzione di Ginevra del 1926, oggi ritorna e si afferma anche nelle nostre civilissime contrade.
Chi pensava che fosse definitivamente scomparsa deve ricredersi alla luce di quanto avviene nei mercati del lavoro e dell’emigrazione clandestina che è una variante tragica del primo. Secondo tali meccanismi, gli individui, soprattutto i più emarginati e discriminati, non sono più esseri umani, ma merce da acquistare e da vendere per pochi euro, bestie da sfruttare e spedire su camion piombati, da traghettare su battelli precari verso i paesi di questo Occidente immemore ed ipocrita. Una condizione drammatica che i nostri occhi non vedono forse perché abbagliati dal luccichio che promana il dio-mercato che sta stravolgendo il sistema delle relazioni umane e portando il mondo sull’orlo della catastrofe. Una logica folle che - nel migliore dei casi- considera le persone “capitale umano”, “risorsa umana”. Una fraseologia “moderna” che, in realtà, serve per edulcorare una concezione abietta che giunge a giustificare, a tollerare, anche la tratta, su vasta scala, di uomini, donne e bambini. Un commercio turpe, lucroso e criminale che non potrebbe continuare a svolgersi senza la complicità di settori importanti preposti ai controlli e il beneplacito dei grandi utilizzatori finali della “merce”. Una moderna schiavitù che si diffonde in barba alle leggi nazionali e alle convenzioni internazionali e in aperto spregio dei valori umanitari e di libertà che stanno alla base delle nostre Costituzioni e società. Tutti lo sanno, ma nessuno fa nulla, sul serio. Lo sa anche il Parlamento italiano che, negli anni scorsi, ha promosso un’interessante indagine sulla “Tratta degli esseri umani” che documenta l’estensione e l’abiezione del fenomeno e contribuisce a ridefinire il concetto stesso di schiavitù alla luce della citata Convenzione di Ginevra e della più recente normativa europea: “La schiavitù è il possesso in un uomo e l’esercizio da parte di questo, sopra un altro uomo, di tutti o di alcuni degli attributi della proprietà. In tal modo, dunque, la schiavitù è identificata come l’espressione suprema della reificazione umana.”
Non so quanti dei nostri parlamentari, ministri, alti funzionari, imprenditori, amministratori locali, operatori del diritto, giusvaloristi, abbiano letto le risultanze di questa indagine. Non molti, visto che non ha avuto alcun seguito. Tuttavia, il documento parla chiaro e nessuno può chiamarsi fuori. La tratta, infatti, esiste e colpisce diverse categorie di persone ridotte in stato di schiavitù. In Italia, in Europa non nella repubblica centro-africana di Bokassa! A cominciare dal mercato del sesso, per l’appunto, che - secondo le stime dell’Interpol - solo in Italia supera le 50.000 unità “tutte trattate come schiave.” In Europa, sono almeno mezzo milione le donne, di diversa nazionalità, avviate al mercato della prostituzione che (cito dal documento conclusivo) “si traduce in un vero e proprio business del valore oscillante fra i 5-7 miliardi di dollari l’anno e ciascuna donna “trattata” vale 120-150 mila dollari l’anno. Questo denaro- continua il citato documento- nelle mani della criminalità organizzata, alimenta la corruzione e consente- ed allo stesso tempo impone- una capillare gestione di questo mercato”.
Il triste fenomeno non riguarda soltanto decine di migliaia di donne immigrate (africane, asiatiche, sudamericane ed anche europee) in gran parte minorenni, ma anche migliaia di schiavi-bambini costretti ad elemosinare, a rubare, quando non sottoposti all’espianto di organi da trapiantare. Queste ed altre pratiche rientrano perfettamente nella tipologia della schiavitù come definita dalle leggi e dalle convenzioni internazionali vigenti. Eppure nessuno si scandalizza, interviene adeguatamente. Quasi per il (falso) pudore di dover ammettere di convivere con una realtà così tragica che invece di affrontare si preferisce occultare, rimuovere. Esattamente il contrario di quanto avviene per i casi di stupro enfatizzati al massimo per deviare contro gli immigrati l’esasperazione dei cittadini e la violenza indiscriminata di gruppi di giustizieri metropolitani.
Agostino Spataro
Seguendo i giornali, i telegiornali e le truculente dichiarazioni dei rappresentanti del governo, sembra che lo stupro sia divenuto la prima emergenza nazionale. Più degli effetti della crisi economica e morale, delle efferatezze della criminalità organizzata. L’allarme, seguito da severi provvedimenti, scattano soprattutto quando lo stupro è commesso da giovani immigrati. Se commesso da un connazionale al massimo diventa bullismo, disadattamento o cosucce del genere. Con ciò non si vuol negare la necessità di misure adeguate di prevenzione e di repressione per scoraggiare e punire gli autori di tali episodi obbrobriosi, ma rilevare l’enfasi eccessiva che si è voluto dare a questi episodi che, per altro, porta a trascurare fenomeni ben più gravi e diffusi. Qual è la riduzione in schiavitù che, anche in Italia, tormenta l’esistenza di decine di migliaia di donne e di bambini. L’ultimo caso, l’altro giorno, ad Alcamo: una ragazza rumena, con l’aiuto della polizia, è riuscita a liberarsi, speriamo per sempre, dalle grinfie dei suoi aguzzini i quali per costringerla a prostituirsi la tenevano praticamente in condizioni di vera e propria schiavitù. Eppure, consumata la notizia, non è successo nulla. Nessuno ha proposto un decreto contro gli schiavisti italiani e stranieri che controllano un traffico enorme di uomini e donne. Non è scattata nemmeno quell’indignazione istintiva che è (era?) la controprova della sanità morale di un popolo, di una nazione che, per altro, si professa cattolicissima e devota. Come se in queste nostre società “opulente” anche il sentimento della pietà umana si stia spegnendo nelle nostre menti alienate e terrorizzate da certa propaganda, a contatto con l’arido deserto creato intorno a noi da egoismi sfrenati e devastanti. E questo un’altro aspetto, forse il più inquietante, di questo nuovo ciclo mondiale delle migrazioni che, oltre a creare nuovi dissesti sociali e morali nelle società d’origine e di destinazione, produce forme diverse di schiavitù che, abolita ufficialmente dalla convenzione di Ginevra del 1926, oggi ritorna e si afferma anche nelle nostre civilissime contrade.
Chi pensava che fosse definitivamente scomparsa deve ricredersi alla luce di quanto avviene nei mercati del lavoro e dell’emigrazione clandestina che è una variante tragica del primo. Secondo tali meccanismi, gli individui, soprattutto i più emarginati e discriminati, non sono più esseri umani, ma merce da acquistare e da vendere per pochi euro, bestie da sfruttare e spedire su camion piombati, da traghettare su battelli precari verso i paesi di questo Occidente immemore ed ipocrita. Una condizione drammatica che i nostri occhi non vedono forse perché abbagliati dal luccichio che promana il dio-mercato che sta stravolgendo il sistema delle relazioni umane e portando il mondo sull’orlo della catastrofe. Una logica folle che - nel migliore dei casi- considera le persone “capitale umano”, “risorsa umana”. Una fraseologia “moderna” che, in realtà, serve per edulcorare una concezione abietta che giunge a giustificare, a tollerare, anche la tratta, su vasta scala, di uomini, donne e bambini. Un commercio turpe, lucroso e criminale che non potrebbe continuare a svolgersi senza la complicità di settori importanti preposti ai controlli e il beneplacito dei grandi utilizzatori finali della “merce”. Una moderna schiavitù che si diffonde in barba alle leggi nazionali e alle convenzioni internazionali e in aperto spregio dei valori umanitari e di libertà che stanno alla base delle nostre Costituzioni e società. Tutti lo sanno, ma nessuno fa nulla, sul serio. Lo sa anche il Parlamento italiano che, negli anni scorsi, ha promosso un’interessante indagine sulla “Tratta degli esseri umani” che documenta l’estensione e l’abiezione del fenomeno e contribuisce a ridefinire il concetto stesso di schiavitù alla luce della citata Convenzione di Ginevra e della più recente normativa europea: “La schiavitù è il possesso in un uomo e l’esercizio da parte di questo, sopra un altro uomo, di tutti o di alcuni degli attributi della proprietà. In tal modo, dunque, la schiavitù è identificata come l’espressione suprema della reificazione umana.”
Non so quanti dei nostri parlamentari, ministri, alti funzionari, imprenditori, amministratori locali, operatori del diritto, giusvaloristi, abbiano letto le risultanze di questa indagine. Non molti, visto che non ha avuto alcun seguito. Tuttavia, il documento parla chiaro e nessuno può chiamarsi fuori. La tratta, infatti, esiste e colpisce diverse categorie di persone ridotte in stato di schiavitù. In Italia, in Europa non nella repubblica centro-africana di Bokassa! A cominciare dal mercato del sesso, per l’appunto, che - secondo le stime dell’Interpol - solo in Italia supera le 50.000 unità “tutte trattate come schiave.” In Europa, sono almeno mezzo milione le donne, di diversa nazionalità, avviate al mercato della prostituzione che (cito dal documento conclusivo) “si traduce in un vero e proprio business del valore oscillante fra i 5-7 miliardi di dollari l’anno e ciascuna donna “trattata” vale 120-150 mila dollari l’anno. Questo denaro- continua il citato documento- nelle mani della criminalità organizzata, alimenta la corruzione e consente- ed allo stesso tempo impone- una capillare gestione di questo mercato”.
Il triste fenomeno non riguarda soltanto decine di migliaia di donne immigrate (africane, asiatiche, sudamericane ed anche europee) in gran parte minorenni, ma anche migliaia di schiavi-bambini costretti ad elemosinare, a rubare, quando non sottoposti all’espianto di organi da trapiantare. Queste ed altre pratiche rientrano perfettamente nella tipologia della schiavitù come definita dalle leggi e dalle convenzioni internazionali vigenti. Eppure nessuno si scandalizza, interviene adeguatamente. Quasi per il (falso) pudore di dover ammettere di convivere con una realtà così tragica che invece di affrontare si preferisce occultare, rimuovere. Esattamente il contrario di quanto avviene per i casi di stupro enfatizzati al massimo per deviare contro gli immigrati l’esasperazione dei cittadini e la violenza indiscriminata di gruppi di giustizieri metropolitani.
Agostino Spataro
martedì 17 febbraio 2009
Trapani, le mani dei boss sull'eolico: otto arresti, anche politici e imprenditori
Inchiesta della Procura antimafia sul business dell'energia pulita in Sicilia. Un "affaire" che coinvolge i fedelissimi del superlatitante Matteo Messina Denaro. Un impresario campano, uno trentino e persone legate alla famiglia mafiosa di Mazara del Vallo. Gli indagati accusati di aver consentito a Cosa nostra il controllo di autorizzazioni e appalti
TRAPANI - Le mani della mafia sul business dell'energia pulita. E' quanto emerge dall'inchiesta che stamattina all'alba ha portato all'arresto di otto tra imprenditori e politici, accusati di speculare sulla realizzazione dei "parchi eolici" in Sicilia per conto di Cosa nostra. Un intreccio che coinvolge burocrati locali della provincia di Trapani, ma anche impresari campani e trentini. Sullo sfondo, il boss latitante Matteo Messina Denaro. Le otto ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal gip di Palermo su richiesta della Procura antimafia. Tra le persone finite in manette nell'operazione "Eolo", che ha coinvolto più di cento carabinieri e agenti di polizia, ci sono: il consigliere ed ex assessore comunale di Mazara del Vallo, Vito Martino (Pdl); Giovan Battista Agate, pregiudicato di Mazara e fratello del boss Mariano Agate; Giuseppe Sucameli, attualmente detenuto per associazione mafiosa; Melchiorre Saladino, imprenditore ritenuto vicino a Messina Denaro. Secondo i pm era attraverso Saladino che il capomafia controllava il business "verde". L'indagine, partita dalla provincia di Trapani (Mazara del Vallo, Marsala, Trapani e Castelvetrano), si è estesa anche alla provincia di Salerno, dove è stato arrestato l'imprenditore Antonio Aquara, e a quella di Trento, dove è finito in manette un altro imprenditore, Luigi Franzinelli, socio della Sud Wind e accusato di corruzione aggravata per aver favorito la mafia nella realizzazione delle centrali eoliche. La Sud Wind, secondo quanto emerge dall'inchiesta, era costantemente favorita negli appalti grazie ai maneggi dell'imprenditore Saladino, di Martino e di altri pubblici ufficiali al momento non identificati. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di aver consentito a Cosa nostra, e in particolare alla famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, il controllo di attività economiche, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici nel settore della produzione di energia eolica. A loro è contestato anche lo scambio di voti politico-mafioso.
Nei mesi passati Vittorio Sgarbi - sindaco di Salemi, nel Trapanese, e fermo oppositore delle "pale" per via del loro impatto ambientale - aveva paventato l'esistenza di interessi di Cosa nostra nella gestione dell'eolico. Un'ipotesi ripetuta anche la scorsa settimana durante un incontro con il procuratore di Marsala, Alberto Di Pisa. E' un allarme condiviso anche dalla Coldiretti, preoccupata degli abusi legati a questo tipo di energia pulita. Un settore, afferma l'organizzazione, che è "terreno fertile" per la criminalità, attirata dai "forti incentivi economici e dalla mancanza di corrette procedure di individuazione dei territori e di assegnazione dei finanziamenti". Mimmo Fontana, presidente di Legambiente Sicilia, osserva che "l'interesse della mafia per questo settore non stupisce": "A rendere il gioco più facile in Sicilia - spiega Fontana - è il contesto particolarmente privo di regole, legato in massima parte alla discrezionalità degli amministratori".
(17 febbraio 2009)
TRAPANI - Le mani della mafia sul business dell'energia pulita. E' quanto emerge dall'inchiesta che stamattina all'alba ha portato all'arresto di otto tra imprenditori e politici, accusati di speculare sulla realizzazione dei "parchi eolici" in Sicilia per conto di Cosa nostra. Un intreccio che coinvolge burocrati locali della provincia di Trapani, ma anche impresari campani e trentini. Sullo sfondo, il boss latitante Matteo Messina Denaro. Le otto ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal gip di Palermo su richiesta della Procura antimafia. Tra le persone finite in manette nell'operazione "Eolo", che ha coinvolto più di cento carabinieri e agenti di polizia, ci sono: il consigliere ed ex assessore comunale di Mazara del Vallo, Vito Martino (Pdl); Giovan Battista Agate, pregiudicato di Mazara e fratello del boss Mariano Agate; Giuseppe Sucameli, attualmente detenuto per associazione mafiosa; Melchiorre Saladino, imprenditore ritenuto vicino a Messina Denaro. Secondo i pm era attraverso Saladino che il capomafia controllava il business "verde". L'indagine, partita dalla provincia di Trapani (Mazara del Vallo, Marsala, Trapani e Castelvetrano), si è estesa anche alla provincia di Salerno, dove è stato arrestato l'imprenditore Antonio Aquara, e a quella di Trento, dove è finito in manette un altro imprenditore, Luigi Franzinelli, socio della Sud Wind e accusato di corruzione aggravata per aver favorito la mafia nella realizzazione delle centrali eoliche. La Sud Wind, secondo quanto emerge dall'inchiesta, era costantemente favorita negli appalti grazie ai maneggi dell'imprenditore Saladino, di Martino e di altri pubblici ufficiali al momento non identificati. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di aver consentito a Cosa nostra, e in particolare alla famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, il controllo di attività economiche, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici nel settore della produzione di energia eolica. A loro è contestato anche lo scambio di voti politico-mafioso.
Nei mesi passati Vittorio Sgarbi - sindaco di Salemi, nel Trapanese, e fermo oppositore delle "pale" per via del loro impatto ambientale - aveva paventato l'esistenza di interessi di Cosa nostra nella gestione dell'eolico. Un'ipotesi ripetuta anche la scorsa settimana durante un incontro con il procuratore di Marsala, Alberto Di Pisa. E' un allarme condiviso anche dalla Coldiretti, preoccupata degli abusi legati a questo tipo di energia pulita. Un settore, afferma l'organizzazione, che è "terreno fertile" per la criminalità, attirata dai "forti incentivi economici e dalla mancanza di corrette procedure di individuazione dei territori e di assegnazione dei finanziamenti". Mimmo Fontana, presidente di Legambiente Sicilia, osserva che "l'interesse della mafia per questo settore non stupisce": "A rendere il gioco più facile in Sicilia - spiega Fontana - è il contesto particolarmente privo di regole, legato in massima parte alla discrezionalità degli amministratori".
(17 febbraio 2009)
L'antimafia sociale di "Liberarci delle spine" viaggia nelle scuole
Stamattina ho partecipato ad un incontro nella scuola media Granacci di Bagno a Ripoli (FI) in cui erano presenti, oltre a me, la Nonna Betta (vedova Caponnetto) che noi tutti conosciamo, il Giudice Squillace ed un rappresentante della Fondazione Caponnetto. L’incontro verteva sulla legalità, all’interno di un progetto che i ragazzi della scuola stanno facendo in classe, per cercare di far capire loro che la cultura della legalità, da applicare ogni giorno nella vita, significa prima di tutto rispetto delle regole, rispetto per gli altri, non essere omertosi, avere valori forti come quelli di dignità e giustizia, e per ribadire loro che anche i gesti quotidiani sono importanti, che anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare molto.
La Nonna Betta ha raccontato di Nonno Nino, e ha parlato della sua convinzione dell’importanza dei giovani nel nostro presente e nel nostro futuro per creare quell’importante rete sociale di antimafia e legalità con cui possiamo sperare di diffondere una coscienza diffusa di giustizia; Squillace, con la sua esperienza di magistrato, ha parlato del pool, del lavoro che affrontano ogni giorno i giudici, ma ha battuto molto sui problemi correlati alla mafia che abbiamo tutt’oggi ed anche nelle nostre regioni ( lavoro nero, lavoro minorile, usura, riciclaggio, omertà etc), spronando i ragazzi ad essere sempre integri ed a seguire la propria morale..
Io ero andata per portare la mia testimonianza della mia esperienza sui Campi di Lavoro a Corleone e nella Carovana antimafie, come esempio dell’aiuto e dell’azione concreta che si può fare nella lotta alla mafia, alle mafie, sia in loco che da “lontano”, ed ho puntato sulla mia convinzione dell’importanza del sostegno che la nostra presenza a Corleone (all’interno del progetto Liberarci dalle Spine) dà ai ragazzi della Cooperativa.. perché legittima il loro lavoro, li rende più forti, fa vedere che esiste una rete sociale dietro di loro che li appoggia, che li supporta e che crede in ciò che fanno.. ho parlato della bellezza dell’esperienza, della soddisfazione che dà il lavoro nei campi, dei colori della Sicilia che ti riempiono gli occhi.. ma ho parlato anche dei problemi che abbiamo qui, in Toscana, vicino casa nostra, e che spesso ci vengono taciuti..
Insomma, è stata una bella mattinata, credo molto utile per l’obiettivo di arrivare capillarmente a più giovani possibile.. ed ho avuto la conferma di quanto sia importante sia per il progetto che per i ragazzi stessi la TESTIMONIANZA di giovani come loro che hanno fatto un’esperienza del genere.
Elisa Bolognini
La Nonna Betta ha raccontato di Nonno Nino, e ha parlato della sua convinzione dell’importanza dei giovani nel nostro presente e nel nostro futuro per creare quell’importante rete sociale di antimafia e legalità con cui possiamo sperare di diffondere una coscienza diffusa di giustizia; Squillace, con la sua esperienza di magistrato, ha parlato del pool, del lavoro che affrontano ogni giorno i giudici, ma ha battuto molto sui problemi correlati alla mafia che abbiamo tutt’oggi ed anche nelle nostre regioni ( lavoro nero, lavoro minorile, usura, riciclaggio, omertà etc), spronando i ragazzi ad essere sempre integri ed a seguire la propria morale..
Io ero andata per portare la mia testimonianza della mia esperienza sui Campi di Lavoro a Corleone e nella Carovana antimafie, come esempio dell’aiuto e dell’azione concreta che si può fare nella lotta alla mafia, alle mafie, sia in loco che da “lontano”, ed ho puntato sulla mia convinzione dell’importanza del sostegno che la nostra presenza a Corleone (all’interno del progetto Liberarci dalle Spine) dà ai ragazzi della Cooperativa.. perché legittima il loro lavoro, li rende più forti, fa vedere che esiste una rete sociale dietro di loro che li appoggia, che li supporta e che crede in ciò che fanno.. ho parlato della bellezza dell’esperienza, della soddisfazione che dà il lavoro nei campi, dei colori della Sicilia che ti riempiono gli occhi.. ma ho parlato anche dei problemi che abbiamo qui, in Toscana, vicino casa nostra, e che spesso ci vengono taciuti..
Insomma, è stata una bella mattinata, credo molto utile per l’obiettivo di arrivare capillarmente a più giovani possibile.. ed ho avuto la conferma di quanto sia importante sia per il progetto che per i ragazzi stessi la TESTIMONIANZA di giovani come loro che hanno fatto un’esperienza del genere.
Elisa Bolognini
16 Febbraio 2009
FOTO: Un momento dell'incontro
Polizia al verde, ferme 140 macchine. Corleone controlla il territorio con una sola volante
di Romina Marceca
Centoquaranta auto della polizia guaste e ferme in garage. Le riparazioni non si possono fare, mancano i fondi. È la conseguenza del taglio dei fondi sulla sicurezza deciso dal governo. Il questore corre ai ripari con una sorta di Risiko delle volanti, spostando dieci auto da un ufficio all'altro
Centoquaranta auto della polizia guaste e ferme in garage. Le riparazioni non si possono fare, mancano i fondi. I commissariati sono al collasso, con una sola volante a disposizione. A rischio è la sicurezza dei cittadini. Alcuni poliziotti anticipano di tasca propria i soldi per piccole riparazioni alle vetture, pur di evitare di doverle lasciare in officina. Il questore corre ai ripari con una sorta di Risiko delle volanti, spostando dieci auto da un ufficio all´altro. Ma non basta. È la conseguenza del taglio dei fondi sulla sicurezza deciso dal governo. Il ministero dell´Interno ha bloccato la riparazione degli automezzi della polizia, e gli stanziamenti previsti per il 2009 bastano appena per il carburante. «È una situazione che abbiamo denunciato oltre sei mesi fa, quando il governo Berlusconi tagliò tre milioni di euro sul comparto difesa e sicurezza», dice Vittorio Costantini, segretario generale del Siulp.
Dopo l´inchiesta di Repubblica su Roma e Napoli (500 auto ferme in garage), il Siulp ieri ha avviato un´indagine conoscitiva sul parco auto di Palermo. Il dato è allarmante: su 530 tra autovetture e moto assegnate alla questura, 140 sono ferme alla caserma Lungaro, nella sezione Motorizzazione. Dal guasto di pochi euro per una frizione fuori uso si passa anche a spese da mille euro per motori sui quali gravano migliaia di chilometri.Le maggiori ripercussioni hanno investito i commissariati, che in media dovrebbero disporre di sette-dieci auto, a seconda dell´importanza dell´ufficio. Invece il 60 per cento delle macchine sono ferme. «L´altro 40 per cento è inefficiente per un adeguato servizio a causa dell´alto chilometraggio», denuncia Costantini.Il 13 febbraio il questore Alessandro Marangoni ha prelevato dieci Fiat Marea dall´ufficio Prevenzione generale per smistarle ai commissariati in emergenza. «È un provvedimento tampone apprezzabile, che non può però risolvere il problema», dice il Siulp. E allora? «Il governo deve stanziare al più presto i soldi per l´acquisto di nuove autovetture, per la loro riparazione e manutenzione e per il rinnovo del contratto e riordino delle carriere».
Nel frattempo, a ogni turno dai commissariati esce sempre la stessa auto, con il risultato che i mezzi fuori uso alla Lungaro sono destinati ad aumentare, perché «tenere per mesi auto ferme - sottolinea Costantini - comporta ulteriori guasti». L´esempio più eclatante è quello di Mondello: su sette auto in commissariato solo due sono funzionanti, una delle quali usata come volante. Al commissariato Politeama ci sono una volante e altre tre auto per vari servizi. Porta Nuova ha una sola volante e un´altra auto di supporto, ma senza l´autoradio. Al commissariato San Lorenzo, che opera su un territorio ad alto tasso di delinquenza, c´è una sola volante per l´intero quartiere, oltre a due Fiat Tipo utilizzate per altri servizi ma già dichiarate fuori uso dal ministero dell´Interno. A Brancaccio, su quattro macchine in dotazione, solo una è efficiente.
Altri esempi sconfortanti arrivano dalla provincia. A Cefalù, solo a seguito del provvedimento del questore, è stata assegnata un´auto in prestito. Termini Imerese sembrerebbe messo bene con le sue tre Marea, ma a una manca la chiusura centralizzata, a una la sirena e a un´altra le luci d´emergenza, senza dimenticare che tutte e tre hanno già macinato oltre 200 mila chilometri. Corleone controlla il territorio con una sola volante. Anche al reparto scorte non c´è da stare allegri: su ventidue autoblindo dieci sono in officina, e su tredici auto non blindate sette sono ferme.
(La repubblica, 17 febbraio 2009)
Dopo l´inchiesta di Repubblica su Roma e Napoli (500 auto ferme in garage), il Siulp ieri ha avviato un´indagine conoscitiva sul parco auto di Palermo. Il dato è allarmante: su 530 tra autovetture e moto assegnate alla questura, 140 sono ferme alla caserma Lungaro, nella sezione Motorizzazione. Dal guasto di pochi euro per una frizione fuori uso si passa anche a spese da mille euro per motori sui quali gravano migliaia di chilometri.Le maggiori ripercussioni hanno investito i commissariati, che in media dovrebbero disporre di sette-dieci auto, a seconda dell´importanza dell´ufficio. Invece il 60 per cento delle macchine sono ferme. «L´altro 40 per cento è inefficiente per un adeguato servizio a causa dell´alto chilometraggio», denuncia Costantini.Il 13 febbraio il questore Alessandro Marangoni ha prelevato dieci Fiat Marea dall´ufficio Prevenzione generale per smistarle ai commissariati in emergenza. «È un provvedimento tampone apprezzabile, che non può però risolvere il problema», dice il Siulp. E allora? «Il governo deve stanziare al più presto i soldi per l´acquisto di nuove autovetture, per la loro riparazione e manutenzione e per il rinnovo del contratto e riordino delle carriere».
Nel frattempo, a ogni turno dai commissariati esce sempre la stessa auto, con il risultato che i mezzi fuori uso alla Lungaro sono destinati ad aumentare, perché «tenere per mesi auto ferme - sottolinea Costantini - comporta ulteriori guasti». L´esempio più eclatante è quello di Mondello: su sette auto in commissariato solo due sono funzionanti, una delle quali usata come volante. Al commissariato Politeama ci sono una volante e altre tre auto per vari servizi. Porta Nuova ha una sola volante e un´altra auto di supporto, ma senza l´autoradio. Al commissariato San Lorenzo, che opera su un territorio ad alto tasso di delinquenza, c´è una sola volante per l´intero quartiere, oltre a due Fiat Tipo utilizzate per altri servizi ma già dichiarate fuori uso dal ministero dell´Interno. A Brancaccio, su quattro macchine in dotazione, solo una è efficiente.
Altri esempi sconfortanti arrivano dalla provincia. A Cefalù, solo a seguito del provvedimento del questore, è stata assegnata un´auto in prestito. Termini Imerese sembrerebbe messo bene con le sue tre Marea, ma a una manca la chiusura centralizzata, a una la sirena e a un´altra le luci d´emergenza, senza dimenticare che tutte e tre hanno già macinato oltre 200 mila chilometri. Corleone controlla il territorio con una sola volante. Anche al reparto scorte non c´è da stare allegri: su ventidue autoblindo dieci sono in officina, e su tredici auto non blindate sette sono ferme.
(La repubblica, 17 febbraio 2009)
Pass, scontro fra consiglieri e sindaco a Palermo. Sì alla mozione: "Nessun divieto per gli eletti"
di Sara Scarafia
Il pass per circolare nelle corsie preferenziali campeggerà sul cruscotto delle auto private di consiglieri comunali e provinciali, deputati nazionali e regionali. Ma anche di presidenti e vice presidenti delle otto circoscrizioni. Il Consiglio comunale non ha perso tempo e mercoledì notte ha approvato la mozione che impegna l´amministrazione a rinnovare i tagliandi «alle cariche elettive». Dopo l´inchiesta di Repubblica sullo scandalo pass che svelò i nomi dei mille "furbetti del traffico", il sindaco Diego Cammarata bloccò il rinnovo dei lasciapassare che consentono di circolare contromano lungo le corsie preferenziali, di ignorare i divieti antismog e di posteggiare gratis nelle zone blu. Una decisione che ha scatenato la protesta degli inquilini di Sala delle Lapidi, i quali sono passati al contrattacco presentando una mozione, primo firmatario il capogruppo di Forza Italia Giulio Tantillo, che impegna il sindaco a ridare i permessi a consiglieri e deputati, considerato che «nell´adempimento delle proprie funzioni istituzionali - si legge nell´atto - svolgono funzioni di pubblico servizio e di pubblica utilità». La mozione è passata con il voto favorevole del centrodestra e con l´astensione del centrosinistra. Sono usciti dall´aula, al momento del voto, i consiglieri di Italia dei valori e Ninni Terminelli del Pd. Critico soprattutto il dipietrista Elio Bonfanti, che ha definito «vergognoso» un Consiglio comunale che vota un atto per se stesso «ignorando i veri problemi della città». Ma per la maggioranza la mozione era di importanza fondamentale. Troppe le multe prese per aver parcheggiato sulle strisce blu senza alcun tagliando, come ha raccontato un avvilito Pietro Vallone, di Forza Italia, e troppi i disagi per chi si è ritrovato costretto a dover rispettare l´ordinanza sulle targhe alterne. «Forse non si doveva arrivare a votare una mozione - dice Tantillo - ma, in attesa che si approvi un regolamento, era fondamentale restituire il pass alle cariche elettive che ne hanno necessità».
Con la mozione sono stati approvati anche alcuni emendamenti. Uno, presentato dal consigliere di An Leopoldo Piampiano, ha esteso il privilegio del permesso anche a presidenti e vice delle circoscrizioni. Un altro, di Rosario Filoramo del Pd, impegna l´aula ad approvare il regolamento entro sessanta giorni. Uno del gruppo udc, identico a un altro presentato da Nadia Spallitta di Un´Altra storia, chiede il rinnovo dei tagliandi anche per le associazioni che trasportano disabili. Il dirigente dell´ufficio Traffico, Renato Di Matteo, precisa però che, mozione o no, potrà rilasciare i tagliandi solo se lo avrà autorizzato il sindaco. Cammarata, come trapela dal suo staff, è rimasto non poco sorpreso e infastidito dal fatto che Sala delle Lapidi, che avrebbe tante questioni più urgenti di cui occuparsi, abbia deciso di impiegare il suo tempo discutendo una mozione che tutto era fuorché urgente. Toccherà al sindaco l´ultima parola. Su una questione che però almeno lui non ritiene affatto prioritaria. Oltre alla mozione, il Consiglio comunale ha approvato anche un ordine del giorno, presentato da Spallitta e Pellegrino, sulla pedonalizzazione delle piazze storiche e una modifica al regolamento sugli asili nido. Poi spazio al dibattito, chiesto dal centrosinistra, sul caso Amia. In aula il presidente Marcello Caruso, il direttore Orazio Colimberti e l´assessore alle Aziende e al Bilancio, Sebastiano Bavetta. I consiglieri Pellegrino, Bonfanti, Scavone e Spallitta, hanno sollevato tutti i nodi che hanno portato la società sull´orlo del crac, ma hanno solo incassato la disponibilità di Caruso ad avviare un nuovo corso: dal taglio degli sprechi allo stop dello scambio di posti tra padri e figli.
(La Repubblica, 13 febbraio 2009)
Il pass per circolare nelle corsie preferenziali campeggerà sul cruscotto delle auto private di consiglieri comunali e provinciali, deputati nazionali e regionali. Ma anche di presidenti e vice presidenti delle otto circoscrizioni. Il Consiglio comunale non ha perso tempo e mercoledì notte ha approvato la mozione che impegna l´amministrazione a rinnovare i tagliandi «alle cariche elettive». Dopo l´inchiesta di Repubblica sullo scandalo pass che svelò i nomi dei mille "furbetti del traffico", il sindaco Diego Cammarata bloccò il rinnovo dei lasciapassare che consentono di circolare contromano lungo le corsie preferenziali, di ignorare i divieti antismog e di posteggiare gratis nelle zone blu. Una decisione che ha scatenato la protesta degli inquilini di Sala delle Lapidi, i quali sono passati al contrattacco presentando una mozione, primo firmatario il capogruppo di Forza Italia Giulio Tantillo, che impegna il sindaco a ridare i permessi a consiglieri e deputati, considerato che «nell´adempimento delle proprie funzioni istituzionali - si legge nell´atto - svolgono funzioni di pubblico servizio e di pubblica utilità». La mozione è passata con il voto favorevole del centrodestra e con l´astensione del centrosinistra. Sono usciti dall´aula, al momento del voto, i consiglieri di Italia dei valori e Ninni Terminelli del Pd. Critico soprattutto il dipietrista Elio Bonfanti, che ha definito «vergognoso» un Consiglio comunale che vota un atto per se stesso «ignorando i veri problemi della città». Ma per la maggioranza la mozione era di importanza fondamentale. Troppe le multe prese per aver parcheggiato sulle strisce blu senza alcun tagliando, come ha raccontato un avvilito Pietro Vallone, di Forza Italia, e troppi i disagi per chi si è ritrovato costretto a dover rispettare l´ordinanza sulle targhe alterne. «Forse non si doveva arrivare a votare una mozione - dice Tantillo - ma, in attesa che si approvi un regolamento, era fondamentale restituire il pass alle cariche elettive che ne hanno necessità».
Con la mozione sono stati approvati anche alcuni emendamenti. Uno, presentato dal consigliere di An Leopoldo Piampiano, ha esteso il privilegio del permesso anche a presidenti e vice delle circoscrizioni. Un altro, di Rosario Filoramo del Pd, impegna l´aula ad approvare il regolamento entro sessanta giorni. Uno del gruppo udc, identico a un altro presentato da Nadia Spallitta di Un´Altra storia, chiede il rinnovo dei tagliandi anche per le associazioni che trasportano disabili. Il dirigente dell´ufficio Traffico, Renato Di Matteo, precisa però che, mozione o no, potrà rilasciare i tagliandi solo se lo avrà autorizzato il sindaco. Cammarata, come trapela dal suo staff, è rimasto non poco sorpreso e infastidito dal fatto che Sala delle Lapidi, che avrebbe tante questioni più urgenti di cui occuparsi, abbia deciso di impiegare il suo tempo discutendo una mozione che tutto era fuorché urgente. Toccherà al sindaco l´ultima parola. Su una questione che però almeno lui non ritiene affatto prioritaria. Oltre alla mozione, il Consiglio comunale ha approvato anche un ordine del giorno, presentato da Spallitta e Pellegrino, sulla pedonalizzazione delle piazze storiche e una modifica al regolamento sugli asili nido. Poi spazio al dibattito, chiesto dal centrosinistra, sul caso Amia. In aula il presidente Marcello Caruso, il direttore Orazio Colimberti e l´assessore alle Aziende e al Bilancio, Sebastiano Bavetta. I consiglieri Pellegrino, Bonfanti, Scavone e Spallitta, hanno sollevato tutti i nodi che hanno portato la società sull´orlo del crac, ma hanno solo incassato la disponibilità di Caruso ad avviare un nuovo corso: dal taglio degli sprechi allo stop dello scambio di posti tra padri e figli.
(La Repubblica, 13 febbraio 2009)
domenica 15 febbraio 2009
Palermo. Un posto all'Amia? La carica dei 3.900
di Michele Guccione
Il caso. Valanga di curricula, coop dietro la porta, pressioni politiche per assunzioni. E il presidente si oppone
Forse complice il cambio di guardia al vertice dell'Amia, in vista delle Europee le segreterie politiche hanno sponsorizzato la consegna in pochi giorni agli uffici aziendali di ben 900 curricula di persone che chiedono l'assunzione per chiamata diretta. Sempre i partiti starebbero pressando a favore di alcune coop che si occupano di ambiente, con circa 3.000 addetti, affinchè sia affidato loro il servizio di raccolta differenziata «porta a porta». La notizia ha del clamoroso. L'Amia è appena stata salvata dalla bancarotta da un intervento finanziario dello Stato e il Comune non ha i soldi per garantirne l'attività ordinaria. É evidente che la politica continua a considerare l'Amia un bacino di assunzioni clientelari e di voti, e che è disposta a prosciugarne il bilancio un'altra volta. Con la pretesa che i «buchi» siano sempre coperti dal governo Berlusconi.Il neo-presidente dell'Amia, Marcello Caruso, alza le braccia: «Non siamo nelle condizioni di fare una sola assunzione. Anzi dobbiamo tagliare le spese per cercare di fare funzionare l'azienda al meglio con le poche finanze che ci sono. Dovremo garantire il servizio valorizzando le risorse professionali interne, finora sottoutilizzate». La sortita dei partiti ha irritato i sindacati: «Siamo fortemente preoccupati per questa situazione – dice Dionisio Giordano della Fit-Cisl – e sarà uno degli argomenti della riunione di lunedì (domani per chi legge, ndr) con il Cda sul nuovo piano industriale». Infatti, questa valanga di pressioni arriva nel momento in cui l'azienda ha preparato il nuovo piano industriale che taglia le spese e armonizza il contratto di servizio con le nuove missioni di rilancio. Ma il piano dovrà passare dalle forche caudine del Consiglio comunale. Lo stesso Consiglio che decise la stabilizzazione in Amia di 900 Lsu senza assegnare i soldi per gli stipendi e che nell'ultimo bilancio ha tagliato circa 10 milioni dal capitolo dell'azienda, quando era sul punto di collassare. Forse i partiti puntano ad una trattativa fra l'esame del piano e le assunzioni. Ma non solo. Caruso ha accertato debiti per 140 milioni. L'unico modo per pagarli è che il Comune aumenti il contratto di servizio e che questa cifra, che si impegna a trasferire un giorno all'Amia, faccia da garanzia ad un mutuo trentennale destinato ai creditori. Solo così i trasferimenti mensili potranno servire per attività ordinaria e investimenti. Altrimenti si chiude. O si privatizza.
Forse complice il cambio di guardia al vertice dell'Amia, in vista delle Europee le segreterie politiche hanno sponsorizzato la consegna in pochi giorni agli uffici aziendali di ben 900 curricula di persone che chiedono l'assunzione per chiamata diretta. Sempre i partiti starebbero pressando a favore di alcune coop che si occupano di ambiente, con circa 3.000 addetti, affinchè sia affidato loro il servizio di raccolta differenziata «porta a porta». La notizia ha del clamoroso. L'Amia è appena stata salvata dalla bancarotta da un intervento finanziario dello Stato e il Comune non ha i soldi per garantirne l'attività ordinaria. É evidente che la politica continua a considerare l'Amia un bacino di assunzioni clientelari e di voti, e che è disposta a prosciugarne il bilancio un'altra volta. Con la pretesa che i «buchi» siano sempre coperti dal governo Berlusconi.Il neo-presidente dell'Amia, Marcello Caruso, alza le braccia: «Non siamo nelle condizioni di fare una sola assunzione. Anzi dobbiamo tagliare le spese per cercare di fare funzionare l'azienda al meglio con le poche finanze che ci sono. Dovremo garantire il servizio valorizzando le risorse professionali interne, finora sottoutilizzate». La sortita dei partiti ha irritato i sindacati: «Siamo fortemente preoccupati per questa situazione – dice Dionisio Giordano della Fit-Cisl – e sarà uno degli argomenti della riunione di lunedì (domani per chi legge, ndr) con il Cda sul nuovo piano industriale». Infatti, questa valanga di pressioni arriva nel momento in cui l'azienda ha preparato il nuovo piano industriale che taglia le spese e armonizza il contratto di servizio con le nuove missioni di rilancio. Ma il piano dovrà passare dalle forche caudine del Consiglio comunale. Lo stesso Consiglio che decise la stabilizzazione in Amia di 900 Lsu senza assegnare i soldi per gli stipendi e che nell'ultimo bilancio ha tagliato circa 10 milioni dal capitolo dell'azienda, quando era sul punto di collassare. Forse i partiti puntano ad una trattativa fra l'esame del piano e le assunzioni. Ma non solo. Caruso ha accertato debiti per 140 milioni. L'unico modo per pagarli è che il Comune aumenti il contratto di servizio e che questa cifra, che si impegna a trasferire un giorno all'Amia, faccia da garanzia ad un mutuo trentennale destinato ai creditori. Solo così i trasferimenti mensili potranno servire per attività ordinaria e investimenti. Altrimenti si chiude. O si privatizza.
La Sicilia, 15.2.09
FOTO. Il presidente dell'Amia, Marcello Caruso
sabato 14 febbraio 2009
Sicilia. Guerra senza quartiere all'Ars
di Agostino Spataro
Nella storia della Regione siciliana mai si era giunti ad un degrado come quello in atto che ha visto consumarsi, in meno di 24 ore e all’insegna della rappresaglia, due fatti politici gravissimi all'interno del centro-destra. Com’è noto, i fatti si sono svolti in una successione stucchevole: Udc e Pdl approvano, con 8 voti contro i 7 di Mpa e Pd, il “prelievo” dell’articolo-cardine del loro ddl sul riordino della sanità, per tutta risposta Lombardo da corso all’approvazione (con 4 assessori in fuga dalla seduta di giunta) delle minacciate nomine dei direttori generali. Segue la ritorsione di Udc e Pdl che, a tamburo battente, varano il “loro” progetto sulla sanità, mandando a quel paese Lombardo e, soprattutto, il suo assessore Russo. Quindi tutti volano a Roma, chi da Berlusconi, chi da Cuffaro, a cercare conforto e soprattutto una soluzione al brutto pasticciaccio combinato a Palermo. Sperando che con qualche assegnazione compensativa si possa sanare un conflitto che appare insanabile. Tutto ciò accade- se ci fate caso- a meno di un anno della strepitosa, facile, vittoria elettorale. E’ lecito domandarsi: come faranno a convivere, a co-governare, per altri quattro anni? Si tirerà a campare, ma fino a quando? Lombardo e soci non vogliono prendere atto che quest'alleanza è nata male e sta evolvendo al peggio. La coalizione di centro-destra, infatti, è stata assemblata in un clima di grave disorientamento, di panico persino, nell’urgenza di parare l’enorme falla che le dimissioni di Cuffaro avevano aperto nel blocco di potere dominante. Il risultato è stato un accordo ambiguo, raffazzonato, meramente elettorale e di potere, perché oltre tali orizzonti questi signori non sanno vedere. E lo dimostrano le furibonde risse di questi giorni per un direttore o per una Asl in più o in meno. Ma questo è solo l’aspetto esteriore di una guerriglia sorda, senza regole, combattuta fra consolidati gruppi di potere che si contendono, tramite i partiti, quanto resta delle risorse della regione. Quando di parla o si scrive di certe pittoresche rivalità fra Catania e Palermo o fra le due Sicilie si omette o s’ignora che in realtà lo scontro è fra due sistemi di potere simili per natura, ma diversi per strutturazione, dinamiche operative e oltre che per dislocazione territoriale. Non ci riferiamo alle “due Sicilie” della storia, formula bizzarra inventata dai regnanti di Napoli per risarcire con una facezia l’orgoglio ferito della nobiltà siciliana per il mancato insediamento della corte a Palermo, ma a quelle che, grosso modo, oggi s’identificano con la fascia orientale e occidentale dell’Isola. Il declino del sistema palermitano, stantio e più parassitario, ha indotto il gruppo di potere catanese e siculo-orientale a puntare sull’elezione di Raffaele Lombardo per tentare un riequilibrio a suo favore. Insomma, una sorta di “guerra di guerriglia” spietata che si combatte assessorato per assessorato, Asl per Asl, Ato per Ato, ecc. Credo che questo sia il filone da seguire per capire un po’ meglio quello che sta accadendo alla Regione. Non c’è dubbio che, in tale contesto, il partito che maggiormente può ostacolare questo disegno è l’Udc di Cuffaro insediata nei gangli vitali dell’amministrazione. Non a caso la scure di Lombardo si è accanita di più contro i rappresentanti di tale formazione. In gergo, la chiamano “decuffarizzazione”, ma per far cosa? Nel fare le nomine il governatore avrà avuto tante buone ragioni per escludere o far ruotare gli uomini di Cuffaro, tuttavia i neo-nominati non sono di vero cambiamento, ma di mera sostituzione. In sostanza, le scelte operate non fuoriescono dalla vecchia logica di potere clientelare, semmai denotano la necessità di esercitare un controllo diretto dei flussi di spesa. Soprattutto, in vista dei tagli prefigurati con il federalismo fiscale varato dal governo Berlusconi e, in generale, con le diverse misure di riduzione dei trasferimenti verso la regione e gli enti locali, molti dei quali, fra cui il comune di Palermo, sono con l’acqua alla gola. Insomma, mentre si offusca la prospettiva di sviluppo dell’Isola, questi signori si azzuffano per una poltrona di direttore, per una consulenza, per un appalto, per una fornitura, per un contributo per foraggiare feste e festini e sedicenti centri di studio, false accademie, sodalizi sportivi e quant’altro produce la fantasia malata degli architetti del sottogoverno diffuso. Uno scontro forsennato, tutto interno al centrodestra, che ha trasformato la politica in una giungla infernale, nella quale non si capisce cosa ci faccia il Partito democratico. Anche questo è un segno evidente di una crisi di fondo che, certo, non può essere risolta con ammiccamenti e sterili furbizie. La politica siciliana è come impazzita. Sarà il panico o la paura di non farcela, fatto sta che gira a vuoto mentre la tempesta s’annuncia, terribile, all’orizzonte prossimo venturo. In realtà, sotto la scorza di tale impazzimento si cela l’incapacità delle forze politiche (di governo e non solo) di progettare un nuovo futuro per i siciliani. Paralizzati dalle loro stesse incapacità, i partiti guardano con terrore alla crisi e alle scadenze elettorali imminenti (europee ed enti locali) e perciò ripiegano sulla spartizione dell’esistente. Questa non è strada che spunta. Bisogna cambiare seriamente metodi e indirizzo politico e programmatico. A cominciare da Lombardo che dovrebbe prendere atto della crisi del suo governo e della maggioranza che lo dovrebbe sostenere e trarne le dovute conseguenze. Per molto meno, Renato Soru si è dimesso da presidente della giunta di centro-sinistra sarda.
Ma in Sicilia l’istituto delle dimissioni sembra sia stato abolito. Per superare il problema, basta la benedizione di Berlusconi e la promessa di un nuovo accordo elettorale. Alla faccia della sbandierata Autonomia!
Agostino Spataro
14 febbraio 2009
Nella storia della Regione siciliana mai si era giunti ad un degrado come quello in atto che ha visto consumarsi, in meno di 24 ore e all’insegna della rappresaglia, due fatti politici gravissimi all'interno del centro-destra. Com’è noto, i fatti si sono svolti in una successione stucchevole: Udc e Pdl approvano, con 8 voti contro i 7 di Mpa e Pd, il “prelievo” dell’articolo-cardine del loro ddl sul riordino della sanità, per tutta risposta Lombardo da corso all’approvazione (con 4 assessori in fuga dalla seduta di giunta) delle minacciate nomine dei direttori generali. Segue la ritorsione di Udc e Pdl che, a tamburo battente, varano il “loro” progetto sulla sanità, mandando a quel paese Lombardo e, soprattutto, il suo assessore Russo. Quindi tutti volano a Roma, chi da Berlusconi, chi da Cuffaro, a cercare conforto e soprattutto una soluzione al brutto pasticciaccio combinato a Palermo. Sperando che con qualche assegnazione compensativa si possa sanare un conflitto che appare insanabile. Tutto ciò accade- se ci fate caso- a meno di un anno della strepitosa, facile, vittoria elettorale. E’ lecito domandarsi: come faranno a convivere, a co-governare, per altri quattro anni? Si tirerà a campare, ma fino a quando? Lombardo e soci non vogliono prendere atto che quest'alleanza è nata male e sta evolvendo al peggio. La coalizione di centro-destra, infatti, è stata assemblata in un clima di grave disorientamento, di panico persino, nell’urgenza di parare l’enorme falla che le dimissioni di Cuffaro avevano aperto nel blocco di potere dominante. Il risultato è stato un accordo ambiguo, raffazzonato, meramente elettorale e di potere, perché oltre tali orizzonti questi signori non sanno vedere. E lo dimostrano le furibonde risse di questi giorni per un direttore o per una Asl in più o in meno. Ma questo è solo l’aspetto esteriore di una guerriglia sorda, senza regole, combattuta fra consolidati gruppi di potere che si contendono, tramite i partiti, quanto resta delle risorse della regione. Quando di parla o si scrive di certe pittoresche rivalità fra Catania e Palermo o fra le due Sicilie si omette o s’ignora che in realtà lo scontro è fra due sistemi di potere simili per natura, ma diversi per strutturazione, dinamiche operative e oltre che per dislocazione territoriale. Non ci riferiamo alle “due Sicilie” della storia, formula bizzarra inventata dai regnanti di Napoli per risarcire con una facezia l’orgoglio ferito della nobiltà siciliana per il mancato insediamento della corte a Palermo, ma a quelle che, grosso modo, oggi s’identificano con la fascia orientale e occidentale dell’Isola. Il declino del sistema palermitano, stantio e più parassitario, ha indotto il gruppo di potere catanese e siculo-orientale a puntare sull’elezione di Raffaele Lombardo per tentare un riequilibrio a suo favore. Insomma, una sorta di “guerra di guerriglia” spietata che si combatte assessorato per assessorato, Asl per Asl, Ato per Ato, ecc. Credo che questo sia il filone da seguire per capire un po’ meglio quello che sta accadendo alla Regione. Non c’è dubbio che, in tale contesto, il partito che maggiormente può ostacolare questo disegno è l’Udc di Cuffaro insediata nei gangli vitali dell’amministrazione. Non a caso la scure di Lombardo si è accanita di più contro i rappresentanti di tale formazione. In gergo, la chiamano “decuffarizzazione”, ma per far cosa? Nel fare le nomine il governatore avrà avuto tante buone ragioni per escludere o far ruotare gli uomini di Cuffaro, tuttavia i neo-nominati non sono di vero cambiamento, ma di mera sostituzione. In sostanza, le scelte operate non fuoriescono dalla vecchia logica di potere clientelare, semmai denotano la necessità di esercitare un controllo diretto dei flussi di spesa. Soprattutto, in vista dei tagli prefigurati con il federalismo fiscale varato dal governo Berlusconi e, in generale, con le diverse misure di riduzione dei trasferimenti verso la regione e gli enti locali, molti dei quali, fra cui il comune di Palermo, sono con l’acqua alla gola. Insomma, mentre si offusca la prospettiva di sviluppo dell’Isola, questi signori si azzuffano per una poltrona di direttore, per una consulenza, per un appalto, per una fornitura, per un contributo per foraggiare feste e festini e sedicenti centri di studio, false accademie, sodalizi sportivi e quant’altro produce la fantasia malata degli architetti del sottogoverno diffuso. Uno scontro forsennato, tutto interno al centrodestra, che ha trasformato la politica in una giungla infernale, nella quale non si capisce cosa ci faccia il Partito democratico. Anche questo è un segno evidente di una crisi di fondo che, certo, non può essere risolta con ammiccamenti e sterili furbizie. La politica siciliana è come impazzita. Sarà il panico o la paura di non farcela, fatto sta che gira a vuoto mentre la tempesta s’annuncia, terribile, all’orizzonte prossimo venturo. In realtà, sotto la scorza di tale impazzimento si cela l’incapacità delle forze politiche (di governo e non solo) di progettare un nuovo futuro per i siciliani. Paralizzati dalle loro stesse incapacità, i partiti guardano con terrore alla crisi e alle scadenze elettorali imminenti (europee ed enti locali) e perciò ripiegano sulla spartizione dell’esistente. Questa non è strada che spunta. Bisogna cambiare seriamente metodi e indirizzo politico e programmatico. A cominciare da Lombardo che dovrebbe prendere atto della crisi del suo governo e della maggioranza che lo dovrebbe sostenere e trarne le dovute conseguenze. Per molto meno, Renato Soru si è dimesso da presidente della giunta di centro-sinistra sarda.
Ma in Sicilia l’istituto delle dimissioni sembra sia stato abolito. Per superare il problema, basta la benedizione di Berlusconi e la promessa di un nuovo accordo elettorale. Alla faccia della sbandierata Autonomia!
Agostino Spataro
14 febbraio 2009
La parola dei lavoratori
Una tramontana gelata non ha fermato i manifestanti chiamati a raccolta dalla Cgil da tutta Italia. 700.000 persone hanno invaso Roma, sciamando dalle tre stazioni più importanti della Capitale, per paralizzarla pacificamente, invadendone le arterie principali. A piazza dei Partigiani, davanti alla stazione Ostiense, migliaia di persone sventolano le loro bandiere aspettando, disciplinati e festanti, il momento di mettersi in marcia. C’è tutto il nord. C’è il Piemonte, l’Emilia Romagna, il Veneto e il Friuli. Metalmeccanici a braccetto con i colletti bianchi, una strana coppia soltanto ad uno sguardo superficiale, “perché le aziende private e il pubblico impiego sono interdipendenti le une dall’altro, soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo”, ci racconta Domenico, custode al museo estense di Modena. Un anziano pensionato di Biella, metalmeccanico su nell’alto piemontese da una vita, il volto rosso e scavato, la pelle dura, la barba ispida, fuma nel freddo intenso di questa limpida mattina romana e mi chiede, sorridendo, se qui fa sempre così freddo. Mi parla del treno delle undici, del lungo viaggio scandito da thermos di caffè bollente e sigarette fumate di fretta al finestrino, un occhio al controllore. Mi racconta di una vita in fabbrica, con gli occhi chiari e orgogliosi dei vecchi operai disorientati. Quello che mi colpisce è la consapevolezza delle persone che incontro. Snocciolano sicure le cifre che perderanno con l’accordo separato. Mi parlano di lievi aumenti nominali che sono soltanto specchietti per le allodole. Conoscono gli studi che il sindacato ha pubblicato a fine gennaio e che denunciano una forte perdita d’acquisto dei salari post-accordo. E non vedono l’ora di poter esprimere il proprio voto contrario in un referendum. Far sentire la loro voce. Ma soprattutto, in tanti mi chiedono, stupiti: “Come si fa a parlare di accordo separato? Tra chi? Cisl e Uil? Quanti lavoratori rappresenteranno mai?”. E’ difficile non credergli. Basta girare gli occhi o leggere le cifre dell’adesione allo sciopero. Regione per regione. Fabbrica per fabbrica. Per rendersi conto che oggi, più che mai, la Cgil rappresenta i lavoratori e le loro istanze. San Giovanni è lì a testimoniarlo. Con quel mare di bandiere rosse e quel concerto di dialetti. “Una splendida giornata di lotta – la definisce Marigia Maulucci –. Molti lavoratori. La giusta reazione a una politica sbagliata di governo. Una giusta scelta portare la protesta in piazza”. Cosa succede con l’accordo separato? “I lavoratori perderanno dei soldi, perché il contratto nazionale non tutela il potere d’acquisto e la contrattazione articolata non aumenta. Per cui è giusto protestare contro questo accordo”. Incontro un Carlo Podda, segretario della funzione pubblica Cgil, raggiante, che ha appena terminato il suo intervento dal palco. E’ uno dei due grandi protagonisti di questa manifestazione. Una giornata riuscita? “Direi di sì. E’ sotto gli occhi di tutti. Vediamo se riesce soprattutto a smuovere la posizione del governo, delle imprese. Ma rimane, comunque, una bella giornata, che aumenta la capacità di coesione della Sinistra. I compagni di Sinistra Democratica voglio dire: meglio sarebbe fare polemica con gli altri che tra noi. Il giorno in cui tutta la Sinistra torna in piazza, come ho detto nel comizio, è meglio tenerlo come patrimonio il fatto che si sia tornati tutti insieme e dare valore a quello che sta tornando a unirci piuttosto che a quello che ci ha separato o che potrebbe separarci”. – Anche se Veltroni ha scelto di non partecipare, anche solo a titolo individuale, a questa manifestazione e il Pd si mostra, ancora una volta, diviso –. Gianni Rinaldini, segretario Fiom, attacca dal palco Cisl e Uil: “Se i lavoratori e le lavoratrici ci diranno che quell’accordo gli va bene, anche contro il parere del sindacato, noi quell’accordo lo firmiamo, perché abbiamo un unico vincolo e siamo legittimati in un solo modo: la legittimazione deriva dal voto democratico di chi vogliamo rappresentare. Se un sindacalista si siede al tavolo di una trattativa da chi viene legittimato? Ci sono due possibilità: o la legittimazione che io ho a quel tavolo me la danno i lavoratori e le lavoratrici oppure, attenzione, che la legittimazione è quella che ti dà la controparte”. Al termine della giornata, Guglielmo Epifani ha dichiarato, rafforzando le speranze di tutti: “Sono convinto che sciopero dopo sciopero riusciremo a far cambiare politica economica a questo governo, che deve rispondere al Paese".
venerdì 13 febbraio 2009
La strana morte (per suicidio?) di un medico siciliano. Se questa non è mafia...
di Norma Ferrara
Cinque anni dopo “il suicidio” Manca i retroscena della latitanza di Provenzano nel messinese e lo stato delle indagini sulla morte del medico siciliano
«Se questa non è mafia, allora diteci cos’è». . Così Angelina Manca, madre dell’urologo Attilio Manca ha commentato lo scorso 11 febbraio, in un dibattito pubblico a Barcellona Pozzo di Gotto (Me) la situazione nella quale vive un’intera provincia soggiogata dal sistema politico mafioso. Sistema che i coniugi Manca ritengono responsabile della morte del figlio Attilio trovato senza vita nella sua abitazione di Viterbo la notte di cinque anni fa, ufficialmente suicida. Secondo i genitori pesanti indizi legano questo inscenato suicidio con la latitanza del boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano. Attilio Manca, medico urologo, sarebbe stato «ingaggiato» dalla mafia barcellonese (da sempre operativa sulle latitanze dei grandi boss siciliani) per visitare e operare il finto «Gaspare Troia» nella clinica di Marsiglia nell’ottobre del 2003. Attilio Manca era l’unico medico in Italia capace di operare tumori alla prostata in laparoscopia. Un fiore all’occhiello della medicina italiana, un giovane che si era fatto da se e dopo anni di specializzazione aveva raggiunto questo livello di eccellenza (unico in Europa, insieme ad un collega francese). Una carriera brillante, un presente sereno e molti progetti in cantiere, fra i quali una partenza verso l’estero. Nonostante tutto questo, secondo le prime indagini portate avanti dalla procura di Viterbo, questo giovane medico all’apice della sua carriera, una sera sarebbe tornato a casa dopo una giornata di lavoro, avrebbe preparato due siringhe con dentro un cocktail di droghe e sdraiatosi sul letto, avrebbe deciso di farla finita iniettandosi per ben due volte con la mano sinistra nel polso sinistro (ricordiamo solo che Attilio era mancino) questo mix di sostanze. Non si sa bene, inoltre, come il medico si sia procurato da solo dei lividi al volto (per gli inquirenti cadendo su un telecomando, che però verrà ritrovato lontano dal viso dell’uomo).
«Se questa non è mafia, allora diteci cos’è». . Così Angelina Manca, madre dell’urologo Attilio Manca ha commentato lo scorso 11 febbraio, in un dibattito pubblico a Barcellona Pozzo di Gotto (Me) la situazione nella quale vive un’intera provincia soggiogata dal sistema politico mafioso. Sistema che i coniugi Manca ritengono responsabile della morte del figlio Attilio trovato senza vita nella sua abitazione di Viterbo la notte di cinque anni fa, ufficialmente suicida. Secondo i genitori pesanti indizi legano questo inscenato suicidio con la latitanza del boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano. Attilio Manca, medico urologo, sarebbe stato «ingaggiato» dalla mafia barcellonese (da sempre operativa sulle latitanze dei grandi boss siciliani) per visitare e operare il finto «Gaspare Troia» nella clinica di Marsiglia nell’ottobre del 2003. Attilio Manca era l’unico medico in Italia capace di operare tumori alla prostata in laparoscopia. Un fiore all’occhiello della medicina italiana, un giovane che si era fatto da se e dopo anni di specializzazione aveva raggiunto questo livello di eccellenza (unico in Europa, insieme ad un collega francese). Una carriera brillante, un presente sereno e molti progetti in cantiere, fra i quali una partenza verso l’estero. Nonostante tutto questo, secondo le prime indagini portate avanti dalla procura di Viterbo, questo giovane medico all’apice della sua carriera, una sera sarebbe tornato a casa dopo una giornata di lavoro, avrebbe preparato due siringhe con dentro un cocktail di droghe e sdraiatosi sul letto, avrebbe deciso di farla finita iniettandosi per ben due volte con la mano sinistra nel polso sinistro (ricordiamo solo che Attilio era mancino) questo mix di sostanze. Non si sa bene, inoltre, come il medico si sia procurato da solo dei lividi al volto (per gli inquirenti cadendo su un telecomando, che però verrà ritrovato lontano dal viso dell’uomo).
LO STATO DELLE INDAGINI
«Le prime indagini sono state sbrigative, imprecise e traballati» ha ricordato nell’incontro del 11 febbraio a Barcellona Pozzo di Gotto, il legale della famiglia Manca, Fabio Repici. « Molte – dichiara Repici – sono le inerzie, le incongruenze e se vogliamo le incompetenze, che si sono riscontrate nelle indagini della procura sul caso Manca». A partire dall’omissione di alcune telefonate che invece risulteranno nei tabulati telefonici (compiute da e verso il cellulare del giovane medico) sino al dissequestro frettoloso dell’appartamento di Viterbo nel quale solo oggi dopo due archiviazioni, sono state effettuate le rilevazioni delle impronte digitali. Proprio l’incidente probatorio in corso, infatti, ha permesso di accertare alcune circostanze. La sera in cui il giovane medico avrebbe deciso di farla finita non era solo in casa. La scientifica ha rintracciato 19 impronte digitali: 14 risultano di Attilio Manca, 5 sono invece di altre persone ignote. Solo una di queste impronte si è potuta attribuire con certezza ad un parente del medico, il cugino Ugo Manca (imputato per traffico di droga nel processo Mare nostrum). Il cugino ha sempre fatto risalire la sua presenza nella casa del medico ad una visita compiuta due mesi prima della sua morte. Le ultime consulenze di periti però ritengono incompatibile le condizioni ambientali dell’ abitazione con la permanenza delle impronte e datano invece in un tempo successivo la presenza di «ignoti» nell’appartamento. Molte inoltre risultano le impronte che sembrerebbero essere state cancellate: come si fa dopo un delitto nel tentativo di togliere le tracce. Perché una procura ha fretta di chiudere un caso che di mafia, per lo meno nelle prime settimane, non sembrava parlare? perché una procura così lontana (almeno cinque anni fa) da fatti di mafia sul proprio territorio, agisce con molto fastidio – come commenta la madre Angelina Manca – «laddove il legale chiede i normali riscontri» sul caso?
BERNARDO PROVENZANO A MESSINA
La risposta a questa domanda la danno i pentiti, le carte giudiziarie, e le indagini che in questi ultimi anni stanno ricostruendo pezzo per pezzo la rete di connivenze e appoggi che ha garantito al boss numero uno di Cosa nostra una latitanza dorata per 43 lunghissimi anni. «Prima di Montagna dei cavalli (il luogo nel quale è stato ritrovato Provenzano) – dichiara l’avvocato Repici - abbiamo modo di credere che Provenzano sia stato latitante qui a Barcellona Pozzo di Gotto, il che non è una novità per questa provincia ». A sostegno di questa che ormai è più di una ipotesi alcuni fatti, per i quali l’avvocato Repici ha già ricevuto querele e non poche difficoltà. «Ci sono dei fatti circostanziati che da soli non accusano nessuno ma che sono organici a latitanze di questo calibro; a Barcellona per esempio c’è un convento che ospita dei frati; fra questi in un periodo ben preciso c’è stato frate Ferro, membro della famiglia che risulta essere stata organica alla latitanza di Bernardo Provenzano». Inoltre, alcune intercettazioni telefoniche fra boss locali confermerebbero la presenza del boss nel messinese ("ragione avevano i Manca a dire che “iddru” è stato qui" si legge nell'ordinanza dell'operazione Vivaio). Se non bastasse altri fatti: gli ultimi, recentissimi, arrivano dalle deposizioni dei boss Francesco Franzese e Gaspare Pastoia che confermerebbero con due diversi elementi la presenza del capo di Cosa nostra nei dintorni di Barcellona Pozzo di Gotto.
ISOLAMENTI E SILENZI
Riscontri più che sufficienti per riaprire il caso Manca e riprendere ad indagare su questa morte per la quale i genitori chiedono, nell’ isolamento pubblico della città, giustizia. « Non mi fermerò - ha concluso ieri Angelina Manca – non mi fermerete mai sinché non saprò chi e perché ha deciso che mio figlio doveva morire». «Me l’hanno ucciso due volte; da un lato la mafia – ha continuato - dall’altro il silenzio che su questo caso è calato, l’unico giornalista ad occuparsene, pensate un po’, è stato un giornalista spagnolo che ha scritto sul caso il libro “L’Enigma del caso Manca”. La casa editrice ha ricevuto già tante querele, il libro sta incontrando in Italia, censure e oscuramenti». E mentre al dibattito in memoria di Attilio Manca prendono la parola, Sonia Alfano, Biagio Parmaliana, Beppe Lumia, Felice Lima e altri relatori c’è anche chi trova il modo per dire che «parlare di queste cose in città vuol dire gettare fango sul paese». Una precisa regia, una tecnica vecchia gestisce questi interventi in favore dello status quo; (intervento identico infatti avvenne solo alcune settimane fa durante l’ incontro in memoria del cronista Beppe Alfano, ucciso dalla mafia a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1993). Solo una constatazione: per un giovane che qualche tempo fa ad Agrigento aveva osato urlare dinnanzi ad un pregiudicato « viva il pool antimafia, viva Caselli »sono scattate sei ore di interrogatorio in una stanza delle forze dell’ordine, mentre chi denigra familiari di vittime e magistrati, dall’altra parte della Sicilia non accade nulla. Se la gestione di appalti pubblici, la richiesta di pizzo, gli omicidi, la corruzione, i reati di ecomafie e la gestione delle discariche delle provincia, non sono mafia. «Allora – come commenta la madre di Attilio Manca - diteci cos’è ». Cos’è questa «cosa» che da queste parti non si può ancora chiamare con il nome «mafia».
Liberainformazione, 13.02.2009
Liberainformazione, 13.02.2009
FOTO: Attilio Manca
Casapesenna, tredici consiglieri comunali si dimettono con atto notarile
di Pietro Nardiello
Quando la magistratura bussa alle porte della politica l’imbarazzo, prima, e lo scompiglio, poi, iniziano a farla da padrona. Interrogativi, però, bisognerebbe porseli anche quando nessun uomo della procura si presenta all’anticamera della stessa. Siamo in terra di camorra, non dimentichiamolo e la zona grigia, dove si preferisce concludere gli affari, si allarga, senza controllo, proprio come se fosse una macchia d’olio. In queste ore nel comune di Casapesenna, uno dei tre che il fascismo raggruppò in quel di Albanova, gli altri erano Casal di Principe e San Cipriano D’Aversa, il consiglio comunale è stato sciolto perché tredici consiglieri su sedici hanno rassegnato le proprie dimissioni dalla carica dopo aver stipulato un atto pubblico sottoscritto presso uno studio notarile di Casal di Principe senza indicare, a quanto pare, una motivazione causando così la caduta della giunta guidata da Giovanni Zara.
Riavvolgiamo il nastro ritornando indietro di dieci mesi, all’elezioni dello scorso anno che hanno visto concorrere solo una lista di centro destra, “Democrazia e Libertà”, guidata dal futuro primo cittadino Giovanni Zara, e che annoverava tra le fila anche il sindaco uscente Fortunato Zagaria, all’epoca già al secondo mandato, ed altri volti noti di quelle aule riconfermati dallo spoglio delle urne che assegnò, agli unici partecipanti, i 16 seggi a fronte di 3.466 preferenze. Nessuna lista a contendersi la giuda della Casa Comunale, solo una coalizione e nessuna sorpresa, chissà poi perché. Questo è il terzo scioglimento anticipato in soli dieci anni, senza contare, poi, i due per infiltrazione camorristica. A Casapesenna, dunque, nonostante ci si trovi in un Comune che fa parte del Consorzio “Agrorinasce”, presieduto dalla Prefettura con la dott.ssa Immacolata Fedele, e del quale fanno parte anche i centri di Casal di Principe, San Marcellino, San Cipriano d’Acersa, Santa Maria la Fossa e Villa Literno, è difficile che la politica possa svolgere serenamente e senza pressioni la propria azione. Questo Giovanni Zara lo avrebbe dovuto sapere visto che in passato, per due anni e mezzo, è stato vice sindaco nella giunta guidata da Fortunato Zagaria. La politica però, spesso si regge con formule matematiche che si traducono nel semplice dare ed avere, spese, costi e ricavi, cioè potere. In questi dieci mesi Zara avebbe voluto avviare un nuovo percorso, a partire dal riutilizzo dei beni confiscati che, stranamente, proprio in questo comune che fa parte di Agrorinasce, o restano inutilizzati o impiegati per rimpinguare le casse comunali. Qui l’unica banca del paese paga l’affitto al Comune perché ospitata nella fabbricato confiscato a Michele Zagaria senza che nessuno si chieda, ancora una volta, e nemmeno dalla Prefettura, il perché di questa forzatura della legge. Adesso ci si avvierà verso nuove elezioni e chissà se sei ai nastri di partenza della prossima tornata elettorale l’avversario non sarà nuovamente e soltanto il quorum. L’attenzione degli inquirenti, però, non dovrebbe mancare anche in caso di lotta politica tra più liste. Sono i fatti che ci inducono a pensare che la democrazia in questo centro, così come in altri, non sia ancora un fatto compiuto.
Liberainformazione, 13.02.2009
Riavvolgiamo il nastro ritornando indietro di dieci mesi, all’elezioni dello scorso anno che hanno visto concorrere solo una lista di centro destra, “Democrazia e Libertà”, guidata dal futuro primo cittadino Giovanni Zara, e che annoverava tra le fila anche il sindaco uscente Fortunato Zagaria, all’epoca già al secondo mandato, ed altri volti noti di quelle aule riconfermati dallo spoglio delle urne che assegnò, agli unici partecipanti, i 16 seggi a fronte di 3.466 preferenze. Nessuna lista a contendersi la giuda della Casa Comunale, solo una coalizione e nessuna sorpresa, chissà poi perché. Questo è il terzo scioglimento anticipato in soli dieci anni, senza contare, poi, i due per infiltrazione camorristica. A Casapesenna, dunque, nonostante ci si trovi in un Comune che fa parte del Consorzio “Agrorinasce”, presieduto dalla Prefettura con la dott.ssa Immacolata Fedele, e del quale fanno parte anche i centri di Casal di Principe, San Marcellino, San Cipriano d’Acersa, Santa Maria la Fossa e Villa Literno, è difficile che la politica possa svolgere serenamente e senza pressioni la propria azione. Questo Giovanni Zara lo avrebbe dovuto sapere visto che in passato, per due anni e mezzo, è stato vice sindaco nella giunta guidata da Fortunato Zagaria. La politica però, spesso si regge con formule matematiche che si traducono nel semplice dare ed avere, spese, costi e ricavi, cioè potere. In questi dieci mesi Zara avebbe voluto avviare un nuovo percorso, a partire dal riutilizzo dei beni confiscati che, stranamente, proprio in questo comune che fa parte di Agrorinasce, o restano inutilizzati o impiegati per rimpinguare le casse comunali. Qui l’unica banca del paese paga l’affitto al Comune perché ospitata nella fabbricato confiscato a Michele Zagaria senza che nessuno si chieda, ancora una volta, e nemmeno dalla Prefettura, il perché di questa forzatura della legge. Adesso ci si avvierà verso nuove elezioni e chissà se sei ai nastri di partenza della prossima tornata elettorale l’avversario non sarà nuovamente e soltanto il quorum. L’attenzione degli inquirenti, però, non dovrebbe mancare anche in caso di lotta politica tra più liste. Sono i fatti che ci inducono a pensare che la democrazia in questo centro, così come in altri, non sia ancora un fatto compiuto.
Liberainformazione, 13.02.2009
giovedì 12 febbraio 2009
Storia e Tradizioni. L'antico culto di San Biagio a Corleone
I festeggiamenti in onore a san Biagio, che si svolgono nella chiesa madre di San Martino, vengono menzionati a partire dagli inizi del 1600. In data anteriore questo santo era titolare di una chiesetta ubicata presso la contrada di “portella del vento”, che sicuramente dovette essere molto antica trovandosene legati a partire dal 1400. L’antica chiesa di campagna, probabilmente per incuria, o forse per qualche movimento tellurico, andò in rovina, la dichiarazione di morte fu decretata dal Cardinale Torres nel corso della sacra visita del 1581: “Per la chiesa di san Biagio, si disponga che tutti gli oggetti e i legati di essa, vengano trasferiti alla chiesa di San Martino, nel sito dove trovasi la chiesa venga posta una croce, e il resto venga venduto e con il ricavato si facci una buona sistemazione nella chiesa parrocchiale di S. Martino".
La secentesca statua, di pregevole fattura, si conserva all’interno della chiesa madre, dove venne sistemata agli inizi del XVII secolo, essendo che la chiesa al santo dedicata, ancor prima andò in rovina. Qui, inizialmente, venne collocata sul lato sinistro dell’entrata del portone principale, in una cappella pressappoco situata ove adesso trovasi la porta collaterale al portone centrale, essendo che nella cappella del fianco destro eravi la gigantesca statua di santa Oliva, proveniente dall’omonima chiesa. Lo storico Costantino Bruno, nella sua relazione scritta del 1787, ci dona ulteriori elementi di chiarezza: “La statua di San Biagio fu trasferita nel mese di marzo p.p. alla chiesa di S. Rosalia per cura del signor D. Carmelo Marullo devoto di questo santo, perche la chiesa si stava demolendo per la nuova fabbrica. L’antica chiesa di S. Biagio era alla portella del vento ed ancor oggi se ne distinguono gli avanzi.”
Il trasferimento della statua alla chiesa di S. Rosalia e dovuto ai grandi lavori di ristrutturazioni che si sono fatti alla chiesa di S. Martino nella seconda metà del XVIII secolo.
La committenza per la realizzazione della preziosa opera, è stata di recente portata alla luce dal Dott. Bruno De Marco Spata, risultando la statua commissionata, da tali Giovanni Filippo Renda, mastro Domenico Rocchetto (o Zucchetto) e mastro Vincenzo De Renda; allo scultore Nicola Milazzo da Corleone, che si obbligò a realizzare la statua: “facere et sculpire inmaginem divi Martiris Blasij”con quattro angeli per “cantonera e lo “scannello”. Il prezzo fu pattuito in16 onze, con atto pubblico redatto il 12 febbraio 1603, presso il notaio Giovanni Pietro Giudice, ( archiv. di stato di Palermo vol.1445, c. 3).
E noto pure, chi ne realizzò la tintura e la doratura, grazie alla committenza portata alla luce dallo storico Antonino G. Marchese, che nella sua opera “tra i Gagini e i Ferraro” così riporta:
Lo Monaco Filippo,1609, febbraio 08 ,Corleone. Si obbliga con Mastro Domenico Zucchetto di Corleone “ut dicitur deorare et graffiare bene et magistribiliter ut decet immagine Sancti Blasij et dittam deoraturam ponerebeneet magistribiliter videndas pm.ros(sic) in similibus expertos illamque compilere ad altius per totum mensem iunij… (A.S.PA, notaio Ottaviano Barbara, stanza V, I numerazione, vol. 1222, c.306rv).
Sul finire del XVII secolo, il simulacro trovò definitiva collocazione all’interno della cappella ove attualmente si trova. Fu dotata di un legato di tarì tredici annuali ad opera, come riferisce Costantino Bruno nella sua relazione, di Domenico Rocchetto che altro non è che il surriferito committente Domenico Zucchetto. Il simulacro, anche se non aveva una confraternita propria, partecipava alla famosa processione del Corpus Domini,dove sfilavano circa ottanta statue. .
Quest’anno, la festività di san Biagio assume un significato particolare, grazie all’impegno dell’arciprete decano mons. Vincenzo Pizzitola che ha disposto il restauro della statua (eseguito dal maestro Concetto Mazzaglia ), e grazie alla ditta Cipolla di Corleone che, con certosino lavoro e sapiente maestria ci restituisce la cappella nel suo antico splendore. Ancor più meritoria l’opera di ristrutturazione dei fratelli Cipolla, se si pensa che la prestazione d’opera , a titolo gratuito, è il coronamento della fede che gli stessi nutrono per san Biagio.
Questo restauro è l’ultimo episodio in ordine di tempo, di un risveglio culturale di cui si sta rendendo protagonista la comunità corleonese, una presa di coscienza dell’importanza che riveste il patrimonio artistico conservato dentro queste mura cittadine, una sorta di rinascimento nostrano che sembra aver innescato una gara fra singoli cittadini, associazioni, enti pubblici, istituzioni ecclesiastiche che, attraverso l’impiego di risorse economiche spesso consistenti, consegnano all’antico splendore opere d’arte che altrimenti rischierebbero di cadere nell’oblio, e consumarsi per effetto dell’usura del tempo.
Diverse risultano le tele recuperate in questi ultimi anni, fra queste ricordiamo il san Domenico opera seicentesca di Filippo Paladino, la crocifissione di Filippo Randazzo, la discesa dello spirito santo sugli apostoli di Carmelo Salpietra nostro concittadino, e altre ancora.
Anche in campo scultoreo si è fatto tanto, visto che si è proceduto al restauro di pregevoli opere quali, san Francesco di Paola, La Madonna Dell’Itria, la Madonna della Neve, la madonna del Carmelo, san Filippo e san Sebastiano, e quel san Ludovico, opera di notevolissima fattura, per interessamento della liceale III E del 1972.
In corso di restauro sono inoltre le seguenti statue: santi Cosmo e Damiano, l’ Addolorata, san Giovanni Battista. Un’importante cantiere è aperto e certamente non mancherà di dare ancora tanti bei risultati.
Francesco Marsalisi
VITA DI SAN BIAGIO
San Biagio visse tra il III e il IV secolo d.C. in Turchia. Nato da famiglia nobile ed educato al cristianesimo divenne, si racconta, esperto nell’arte della medicina, che mise al servizio del suo popolo; considerato uomo retto e probo, rivestì la carica di vescovo di Sebaste, l'odierna città di Sivas, nella Turchia orientale che al tempo di San Biagio fu provincia romana chiamata Armenia Minor. Sebaste (o Megalopolis), capitale della Armenia bizantina.. A quel tempo in Oriente la persecuzione fu molto più severa rispetto alle regioni occidentali dell'impero.
Molte testimonianze dell'epoca ci descrivono la barbarie dei carnefici e il coraggio delle vittime. Quando cominciò la persecuzione di Licinio, prima larvata, poi sempre più violenta, egli fuggì dalla città, rifugiandosi in una grotta sui monti e vivendo da eremita.
Secondo la leggenda guariva con il segno della croce ed anche in prigione, dove dimorò per un certo periodo, continuò ad operare guarigioni sugli ammalati. Il santo subì il martirio per decapitazione, dopo orrende torture. L'iconografia popolare lo rappresenta a figura intera o a mezzobusto, con le insegne vescovili e l"elemento che lo identifica, il pettine, che è lo strumento col quale venne torturato.
Uno dei suoi miracoli più noti risale a quando salvò un bambino che stava rischiando di morire soffocato a causa di una lisca di pesce conficcataglisi in gola. Questo miracolo ha dato origine al suo patrocinio speciale contro le malattie della gola.
Le leggendarie gesta del santo hanno determinato una larga diffusione del suo culto, che si esprime in una serie di atti devozionali caratteristici della sua festa. Nella cultura contadina il santo è molto amato perché protegge la semina. Infatti, anticamente, prima della semina, si usava andare in chiesa con un sacchetto di cereali affinché fossero benedetti dal parroco. Per la festa di san Biagio, che viene celebrata il 3 febbraio in chiesa, vi è l"usanza di preparare dei pani votivi.per poi distribuirli, benedetti, ai devoti. Si tratta, in questo caso, della prima festa dei pani, con cui si apre un ciclo di ricorrenze che copre l"intero arco dell"anno. E un antico rito di origine pagana, dall’evidente significato propiziatorio, entrato successivamente a far parte del culto cristiano, sempre rinnovandosi nei secoli.
Questa usanza, collegata alla tradizione del santo protettore dei mali che affliggono la gola, consiste nella preparazione di due forme tipiche di pani: li cudduredda, la cui forma rappresenta la gola; e a forma di mano, la manu di san Brasi, portante un bastone fiorito , simbolo di fertilità.
F.M.
La secentesca statua, di pregevole fattura, si conserva all’interno della chiesa madre, dove venne sistemata agli inizi del XVII secolo, essendo che la chiesa al santo dedicata, ancor prima andò in rovina. Qui, inizialmente, venne collocata sul lato sinistro dell’entrata del portone principale, in una cappella pressappoco situata ove adesso trovasi la porta collaterale al portone centrale, essendo che nella cappella del fianco destro eravi la gigantesca statua di santa Oliva, proveniente dall’omonima chiesa. Lo storico Costantino Bruno, nella sua relazione scritta del 1787, ci dona ulteriori elementi di chiarezza: “La statua di San Biagio fu trasferita nel mese di marzo p.p. alla chiesa di S. Rosalia per cura del signor D. Carmelo Marullo devoto di questo santo, perche la chiesa si stava demolendo per la nuova fabbrica. L’antica chiesa di S. Biagio era alla portella del vento ed ancor oggi se ne distinguono gli avanzi.”
Il trasferimento della statua alla chiesa di S. Rosalia e dovuto ai grandi lavori di ristrutturazioni che si sono fatti alla chiesa di S. Martino nella seconda metà del XVIII secolo.
La committenza per la realizzazione della preziosa opera, è stata di recente portata alla luce dal Dott. Bruno De Marco Spata, risultando la statua commissionata, da tali Giovanni Filippo Renda, mastro Domenico Rocchetto (o Zucchetto) e mastro Vincenzo De Renda; allo scultore Nicola Milazzo da Corleone, che si obbligò a realizzare la statua: “facere et sculpire inmaginem divi Martiris Blasij”con quattro angeli per “cantonera e lo “scannello”. Il prezzo fu pattuito in16 onze, con atto pubblico redatto il 12 febbraio 1603, presso il notaio Giovanni Pietro Giudice, ( archiv. di stato di Palermo vol.1445, c. 3).
E noto pure, chi ne realizzò la tintura e la doratura, grazie alla committenza portata alla luce dallo storico Antonino G. Marchese, che nella sua opera “tra i Gagini e i Ferraro” così riporta:
Lo Monaco Filippo,1609, febbraio 08 ,Corleone. Si obbliga con Mastro Domenico Zucchetto di Corleone “ut dicitur deorare et graffiare bene et magistribiliter ut decet immagine Sancti Blasij et dittam deoraturam ponerebeneet magistribiliter videndas pm.ros(sic) in similibus expertos illamque compilere ad altius per totum mensem iunij… (A.S.PA, notaio Ottaviano Barbara, stanza V, I numerazione, vol. 1222, c.306rv).
Sul finire del XVII secolo, il simulacro trovò definitiva collocazione all’interno della cappella ove attualmente si trova. Fu dotata di un legato di tarì tredici annuali ad opera, come riferisce Costantino Bruno nella sua relazione, di Domenico Rocchetto che altro non è che il surriferito committente Domenico Zucchetto. Il simulacro, anche se non aveva una confraternita propria, partecipava alla famosa processione del Corpus Domini,dove sfilavano circa ottanta statue. .
Quest’anno, la festività di san Biagio assume un significato particolare, grazie all’impegno dell’arciprete decano mons. Vincenzo Pizzitola che ha disposto il restauro della statua (eseguito dal maestro Concetto Mazzaglia ), e grazie alla ditta Cipolla di Corleone che, con certosino lavoro e sapiente maestria ci restituisce la cappella nel suo antico splendore. Ancor più meritoria l’opera di ristrutturazione dei fratelli Cipolla, se si pensa che la prestazione d’opera , a titolo gratuito, è il coronamento della fede che gli stessi nutrono per san Biagio.
Questo restauro è l’ultimo episodio in ordine di tempo, di un risveglio culturale di cui si sta rendendo protagonista la comunità corleonese, una presa di coscienza dell’importanza che riveste il patrimonio artistico conservato dentro queste mura cittadine, una sorta di rinascimento nostrano che sembra aver innescato una gara fra singoli cittadini, associazioni, enti pubblici, istituzioni ecclesiastiche che, attraverso l’impiego di risorse economiche spesso consistenti, consegnano all’antico splendore opere d’arte che altrimenti rischierebbero di cadere nell’oblio, e consumarsi per effetto dell’usura del tempo.
Diverse risultano le tele recuperate in questi ultimi anni, fra queste ricordiamo il san Domenico opera seicentesca di Filippo Paladino, la crocifissione di Filippo Randazzo, la discesa dello spirito santo sugli apostoli di Carmelo Salpietra nostro concittadino, e altre ancora.
Anche in campo scultoreo si è fatto tanto, visto che si è proceduto al restauro di pregevoli opere quali, san Francesco di Paola, La Madonna Dell’Itria, la Madonna della Neve, la madonna del Carmelo, san Filippo e san Sebastiano, e quel san Ludovico, opera di notevolissima fattura, per interessamento della liceale III E del 1972.
In corso di restauro sono inoltre le seguenti statue: santi Cosmo e Damiano, l’ Addolorata, san Giovanni Battista. Un’importante cantiere è aperto e certamente non mancherà di dare ancora tanti bei risultati.
Francesco Marsalisi
VITA DI SAN BIAGIO
San Biagio visse tra il III e il IV secolo d.C. in Turchia. Nato da famiglia nobile ed educato al cristianesimo divenne, si racconta, esperto nell’arte della medicina, che mise al servizio del suo popolo; considerato uomo retto e probo, rivestì la carica di vescovo di Sebaste, l'odierna città di Sivas, nella Turchia orientale che al tempo di San Biagio fu provincia romana chiamata Armenia Minor. Sebaste (o Megalopolis), capitale della Armenia bizantina.. A quel tempo in Oriente la persecuzione fu molto più severa rispetto alle regioni occidentali dell'impero.
Molte testimonianze dell'epoca ci descrivono la barbarie dei carnefici e il coraggio delle vittime. Quando cominciò la persecuzione di Licinio, prima larvata, poi sempre più violenta, egli fuggì dalla città, rifugiandosi in una grotta sui monti e vivendo da eremita.
Secondo la leggenda guariva con il segno della croce ed anche in prigione, dove dimorò per un certo periodo, continuò ad operare guarigioni sugli ammalati. Il santo subì il martirio per decapitazione, dopo orrende torture. L'iconografia popolare lo rappresenta a figura intera o a mezzobusto, con le insegne vescovili e l"elemento che lo identifica, il pettine, che è lo strumento col quale venne torturato.
Uno dei suoi miracoli più noti risale a quando salvò un bambino che stava rischiando di morire soffocato a causa di una lisca di pesce conficcataglisi in gola. Questo miracolo ha dato origine al suo patrocinio speciale contro le malattie della gola.
Le leggendarie gesta del santo hanno determinato una larga diffusione del suo culto, che si esprime in una serie di atti devozionali caratteristici della sua festa. Nella cultura contadina il santo è molto amato perché protegge la semina. Infatti, anticamente, prima della semina, si usava andare in chiesa con un sacchetto di cereali affinché fossero benedetti dal parroco. Per la festa di san Biagio, che viene celebrata il 3 febbraio in chiesa, vi è l"usanza di preparare dei pani votivi.per poi distribuirli, benedetti, ai devoti. Si tratta, in questo caso, della prima festa dei pani, con cui si apre un ciclo di ricorrenze che copre l"intero arco dell"anno. E un antico rito di origine pagana, dall’evidente significato propiziatorio, entrato successivamente a far parte del culto cristiano, sempre rinnovandosi nei secoli.
Questa usanza, collegata alla tradizione del santo protettore dei mali che affliggono la gola, consiste nella preparazione di due forme tipiche di pani: li cudduredda, la cui forma rappresenta la gola; e a forma di mano, la manu di san Brasi, portante un bastone fiorito , simbolo di fertilità.
F.M.
Corleone 11.02.2009