La secentesca statua, di pregevole fattura, si conserva all’interno della chiesa madre, dove venne sistemata agli inizi del XVII secolo, essendo che la chiesa al santo dedicata, ancor prima andò in rovina. Qui, inizialmente, venne collocata sul lato sinistro dell’entrata del portone principale, in una cappella pressappoco situata ove adesso trovasi la porta collaterale al portone centrale, essendo che nella cappella del fianco destro eravi la gigantesca statua di santa Oliva, proveniente dall’omonima chiesa. Lo storico Costantino Bruno, nella sua relazione scritta del 1787, ci dona ulteriori elementi di chiarezza: “La statua di San Biagio fu trasferita nel mese di marzo p.p. alla chiesa di S. Rosalia per cura del signor D. Carmelo Marullo devoto di questo santo, perche la chiesa si stava demolendo per la nuova fabbrica. L’antica chiesa di S. Biagio era alla portella del vento ed ancor oggi se ne distinguono gli avanzi.”
Il trasferimento della statua alla chiesa di S. Rosalia e dovuto ai grandi lavori di ristrutturazioni che si sono fatti alla chiesa di S. Martino nella seconda metà del XVIII secolo.
La committenza per la realizzazione della preziosa opera, è stata di recente portata alla luce dal Dott. Bruno De Marco Spata, risultando la statua commissionata, da tali Giovanni Filippo Renda, mastro Domenico Rocchetto (o Zucchetto) e mastro Vincenzo De Renda; allo scultore Nicola Milazzo da Corleone, che si obbligò a realizzare la statua: “facere et sculpire inmaginem divi Martiris Blasij”con quattro angeli per “cantonera e lo “scannello”. Il prezzo fu pattuito in16 onze, con atto pubblico redatto il 12 febbraio 1603, presso il notaio Giovanni Pietro Giudice, ( archiv. di stato di Palermo vol.1445, c. 3).
E noto pure, chi ne realizzò la tintura e la doratura, grazie alla committenza portata alla luce dallo storico Antonino G. Marchese, che nella sua opera “tra i Gagini e i Ferraro” così riporta:
Lo Monaco Filippo,1609, febbraio 08 ,Corleone. Si obbliga con Mastro Domenico Zucchetto di Corleone “ut dicitur deorare et graffiare bene et magistribiliter ut decet immagine Sancti Blasij et dittam deoraturam ponerebeneet magistribiliter videndas pm.ros(sic) in similibus expertos illamque compilere ad altius per totum mensem iunij… (A.S.PA, notaio Ottaviano Barbara, stanza V, I numerazione, vol. 1222, c.306rv).
Sul finire del XVII secolo, il simulacro trovò definitiva collocazione all’interno della cappella ove attualmente si trova. Fu dotata di un legato di tarì tredici annuali ad opera, come riferisce Costantino Bruno nella sua relazione, di Domenico Rocchetto che altro non è che il surriferito committente Domenico Zucchetto. Il simulacro, anche se non aveva una confraternita propria, partecipava alla famosa processione del Corpus Domini,dove sfilavano circa ottanta statue. .
Quest’anno, la festività di san Biagio assume un significato particolare, grazie all’impegno dell’arciprete decano mons. Vincenzo Pizzitola che ha disposto il restauro della statua (eseguito dal maestro Concetto Mazzaglia ), e grazie alla ditta Cipolla di Corleone che, con certosino lavoro e sapiente maestria ci restituisce la cappella nel suo antico splendore. Ancor più meritoria l’opera di ristrutturazione dei fratelli Cipolla, se si pensa che la prestazione d’opera , a titolo gratuito, è il coronamento della fede che gli stessi nutrono per san Biagio.
Questo restauro è l’ultimo episodio in ordine di tempo, di un risveglio culturale di cui si sta rendendo protagonista la comunità corleonese, una presa di coscienza dell’importanza che riveste il patrimonio artistico conservato dentro queste mura cittadine, una sorta di rinascimento nostrano che sembra aver innescato una gara fra singoli cittadini, associazioni, enti pubblici, istituzioni ecclesiastiche che, attraverso l’impiego di risorse economiche spesso consistenti, consegnano all’antico splendore opere d’arte che altrimenti rischierebbero di cadere nell’oblio, e consumarsi per effetto dell’usura del tempo.
Diverse risultano le tele recuperate in questi ultimi anni, fra queste ricordiamo il san Domenico opera seicentesca di Filippo Paladino, la crocifissione di Filippo Randazzo, la discesa dello spirito santo sugli apostoli di Carmelo Salpietra nostro concittadino, e altre ancora.
Anche in campo scultoreo si è fatto tanto, visto che si è proceduto al restauro di pregevoli opere quali, san Francesco di Paola, La Madonna Dell’Itria, la Madonna della Neve, la madonna del Carmelo, san Filippo e san Sebastiano, e quel san Ludovico, opera di notevolissima fattura, per interessamento della liceale III E del 1972.
In corso di restauro sono inoltre le seguenti statue: santi Cosmo e Damiano, l’ Addolorata, san Giovanni Battista. Un’importante cantiere è aperto e certamente non mancherà di dare ancora tanti bei risultati.
Francesco Marsalisi
VITA DI SAN BIAGIO
San Biagio visse tra il III e il IV secolo d.C. in Turchia. Nato da famiglia nobile ed educato al cristianesimo divenne, si racconta, esperto nell’arte della medicina, che mise al servizio del suo popolo; considerato uomo retto e probo, rivestì la carica di vescovo di Sebaste, l'odierna città di Sivas, nella Turchia orientale che al tempo di San Biagio fu provincia romana chiamata Armenia Minor. Sebaste (o Megalopolis), capitale della Armenia bizantina.. A quel tempo in Oriente la persecuzione fu molto più severa rispetto alle regioni occidentali dell'impero.
Molte testimonianze dell'epoca ci descrivono la barbarie dei carnefici e il coraggio delle vittime. Quando cominciò la persecuzione di Licinio, prima larvata, poi sempre più violenta, egli fuggì dalla città, rifugiandosi in una grotta sui monti e vivendo da eremita.
Secondo la leggenda guariva con il segno della croce ed anche in prigione, dove dimorò per un certo periodo, continuò ad operare guarigioni sugli ammalati. Il santo subì il martirio per decapitazione, dopo orrende torture. L'iconografia popolare lo rappresenta a figura intera o a mezzobusto, con le insegne vescovili e l"elemento che lo identifica, il pettine, che è lo strumento col quale venne torturato.
Uno dei suoi miracoli più noti risale a quando salvò un bambino che stava rischiando di morire soffocato a causa di una lisca di pesce conficcataglisi in gola. Questo miracolo ha dato origine al suo patrocinio speciale contro le malattie della gola.
Le leggendarie gesta del santo hanno determinato una larga diffusione del suo culto, che si esprime in una serie di atti devozionali caratteristici della sua festa. Nella cultura contadina il santo è molto amato perché protegge la semina. Infatti, anticamente, prima della semina, si usava andare in chiesa con un sacchetto di cereali affinché fossero benedetti dal parroco. Per la festa di san Biagio, che viene celebrata il 3 febbraio in chiesa, vi è l"usanza di preparare dei pani votivi.per poi distribuirli, benedetti, ai devoti. Si tratta, in questo caso, della prima festa dei pani, con cui si apre un ciclo di ricorrenze che copre l"intero arco dell"anno. E un antico rito di origine pagana, dall’evidente significato propiziatorio, entrato successivamente a far parte del culto cristiano, sempre rinnovandosi nei secoli.
Questa usanza, collegata alla tradizione del santo protettore dei mali che affliggono la gola, consiste nella preparazione di due forme tipiche di pani: li cudduredda, la cui forma rappresenta la gola; e a forma di mano, la manu di san Brasi, portante un bastone fiorito , simbolo di fertilità.
F.M.
Corleone 11.02.2009
Caro Francesco, complimenti per l'articolo preciso e dettagliato.
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