di Saverio Lodato
Ci sono malattie tropicali dalle quali non si guarisce mai definitivamente, ma che vanno tenute sotto cura e osservazione, se con esse si vuole tranquillamente convivere. Questa malattia tropicale, se così si può dire, per Silvio Berlusconi è rappresentata dalla lotta alla mafia, e da tutto quello che le ruota attorno.
E così, a ondate ricorrenti, Silvio Berlusconi si ricorda che con la mafia deve scendere a patti, come diceva quel Pietro Lunardi, ministro di un suo dei suoi tanti governi, che ammise papale papale: «Con la mafia bisogna convivere». A periodi lo assale la preoccupazione che i suoi personalissimi “eroi”, i mafiosi, possano assestare un brutto colpo di coda, magari perché non soddisfatti da quelle promesse elettorali che, come è risaputo, non si negano a nessuno. Non si spiega altrimenti che il premier non perda occasione di tirar fuori l’artiglio, sollevando tempeste mediatiche per mettersi al riparo dalla critica che non sa, non vuole, non riesce a governare. Mai che abbia detto «se trovo quei delinquenti mafiosi che hanno ucciso centinaia di poliziotti, carabinieri e magistrati li strozzo con le mie mani». Ci mancherebbe. Lui vuole strozzare con le sue mani autori di romanzi e fiction tv, scrittori e registi, gente per bene, insomma. Rita Borsellino, oggi europarlamentare, in anni assai lontani, forse qualcuno lo ricorderà, non fece entrare Berlusconi a casa sua, per la semplicissima ragione che, in lui, già si manifestano i primi segni della malattia tropicale. E con eccellente occhio diagnostico, vide molto lontano.
Rita, gli anni passano, ma il nostro premier non guarisce.
«Il nostro premier non guarisce perché ci sono malattie croniche e che restano sempre latenti. Le sue, purtroppo, non sono frasi occasionali, ma l’ espressione di una convinzione profonda e che viene da lontano. È proprio così: soffre di una malattia cronica. Hai ricordato quando, nel 1994, in occasione del suo primo governo, io non volli avere il piacere di incontrarlo, nella mia casa di via d’Amelio. Non so se la mia decisione fu profetica. So di certo che la sua richiesta di vedermi, giunta all’improvviso, senza nessun rispetto di un minimo di privacy-passò con la sua scorta, scese e citofonò - mi lasciò sconcertata e infastidita».
Rita, ma che voleva?
«Me lo disse per citofono: “signora, cosa possiamo fare contro la mafia?”. E io: “tutto, perché siete al governo”».
E lui?
«Grazie, signora. La richiamerò da Roma. Ma non mi ha mai richiamato».
Secondo te, come mai Berlusconi sente il bisogno, ancora oggi, di pronunciare parole tanto sconnesse su una questione che sta a cuore alla maggioranza degli italiani, tantissimi dei quali, per altro, lo votano?
«Cominciamo col dire che la mafia non si può nascondere sotto il tappeto come la polvere. Non è parlando di mafia che si denigra il Paese. Fiction come “La Piovra”, romanzi come “Gomorra”, non fanno altro che denunciare una realtà drammaticamente esistente. E’ l’esistenza, la persistenza, la visibilità in tutto il mondo della mafia di casa nostra il vero bubbone da estirpare. Il silenzio è uno strumento che la mafia gradisce. Prova ne sia che per oltre un secolo i mafiosi hanno fatto dell’omertà un totem intangibile. Intitolare l’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino non è , come ha detto Gianfranco Miccichè, una scelta che allontana i turisti, bensì il riconoscimento di un percorso di liberazione dalla mafia portato avanti spesso da uomini soli e isolati. Vale l’identico discorso per Pio La Torre e Peppino Impastato i cui nomi si pretenderebbe di cancellare da un aeroporto e da una piazza. Mi sembra che la società mostri più maturità nell’affrontare il problema di quanto non abbiano mostrato di saper fare certe istituzioni».
Rita, sei proprio su un altro pianeta. Berlusconi e il suo governo, sono convinti di stare conducendo una guerra epocale contro Cosa Nostra.
«Mi sembra un miracolo che le forze dell’ ordine e la magistratura riescano ancora a ottenere risultati così importanti nonostante i continui tagli economici e di organico e la delegittimazione, di cui il nostro premier gratifica, un giorno sì e l’altro pure, i magistrati stessi. E poi, un’altra riflessione: se analogo risultato fosse ottenuto per quanto riguarda i mafiosi che fanno politica, o i politici che sono mafiosi, la musica sarebbe tutt’altra».
In che senso?
«Solo quando il governo deciderà di tagliare i rami delle complicità istituzionali, politiche, economiche, potremo dire che la sconfitta di Cosa Nostra sarà a portata di mano. Sin quando ciò non accadrà, e il nostro premier non saprà resistere alla tentazione di aprire bocca su una materia che, evidentemente, non gli è congeniale, ci ritroveremo sempre al punto di partenza».
L'Unità, 18 aprile 2010
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