di Mario Di Caro
Il libro di Gian Mauro Costa e Salvatore Cusimano racconta un'avventura iniziata nel 1931 attraverso le testimonianze di registi e giornalisti. I messaggi di Radio Palermo, la notizia del terremoto e gli anni dei programmi
In via Cerda non c'erano "rumoristi" e quindi bisognava arrangiarsi: per creare il suono della pioggia battente si registrava quello prodotto dall'acqua del bagno, ma riprodurre un "cavallo con carrozza dell'Ottocento", necessario per un programma sulla belle époque, era un problema. Piccole memorie che riemergono da quel pozzo sterminato che è la Rai siciliana, saccheggiato e raccontato da Gian Mauro Costa e Salvatore Cusimano nel libro "L'isola in onda". Edito dalla Eri con il sostegno della Fondazione Banco di Sicilia, il volume ha fatto polemica ancor prima di uscire, dato che l'ex capostruttura della Programmazione Vittorio Lo Bianco ne ha chiesto il ritiro lamentando l'assenza del suo contributo. Il bello della diretta, si potrebbe dire, ma intanto linea alla regia per sprofondare in questo pozzo di ricordi attraverso le tante testimonianze dei protagonisti, i registi, gli autori, i giornalisti, i tecnici, i pionieri di un'avventura iniziata nel 1931 e vissuta tra piccoli incidenti a microfoni aperti, eroismi quotidiani e l'indispensabile dose di passione e incoscienza.
E allora, signore e signori, dagli studi di piazza Bellini ecco a voi l'Eiar di Palermo: era il decimo anno dell'era fascista, il 1931 appunto, quando venne inaugurata la stazione radiofonica della città. Palermo faceva capo al Centro territoriale di Napoli, da dove veniva trasmesso il giornale radio per il meridione. Raccontano Gian Mauro Costa e Franco Nicastro che nel ‘43 la voce della Sicilia liberata dagli angloamericani era Radio Palermo, diretta dal capo del servizio informazioni alleato Misha Kamenetsky, noto più tardi col nome di Ugo Stille, futuro direttore del "Corriere della sera". Da piazza Bellini partivano i messaggi in codice, tipo "le ciliegie sono mature", dirette ai partigiani, ma venivano irradiati anche notiziari, musica e canzoni americane e la trasmissione "L'Italia combatte". Le notizie da mandare in onda venivano captate con apparecchi riceventi da tutte le stazioni radio del mondo e poi tradotte dagli interpreti. Da quel macrocosmo misterioso che è l'etere arrivò anche il messaggio diffuso dal generale Eisenhower da Radio Algeri che annunciava la resa delle Forze armate italiane e l'armistizio di Badoglio.
La guerra è finita, dunque, e si può tornare a sorridere. E allora ecco che tra i lettori del Gazzettino di Sicilia spunta un attor giovane di grande talento, Turi Ferro, futuro mattatore dello Stabile di Catania e protagonista di due trasmissione di successo, "Il calabrone" e l'indimenticato "Il ficodindia" di Mario Giusti e Eugenio Franzitta. Ricorda Piero Fagone che Turi Ferro era solito far precedere la lettura della notizia dal luogo di provenienza, recitato con intonazione grave. E pazienza se una volta Pachino diventò Pechino. Succedeva di peggio: che all'annunciatrice Nina Nicosia qualche buontempone incendiasse i fogli del notiziario, che Luigi Tripiasciano non si accorgesse di essere in onda quando doveva condurre il primo tg regionale, anno 1979, e soprattutto che Rita Calapso fosse assalita da un attacco di risate per la notizia "Tira gli escrementi dal balcone e rimane ferito".
Erano anni in cui al Gazzettino la parola "mafia" era tabù, così come il sesso, gli abusi sulle donne e i manicomi, mentre sulla politica, ieri come oggi, bisognava essere prudenti. E niente processi in corso di istruzione né suicidi. Ma se il terremoto strapazzava la valle del Belice, si approntava subito una diretta da piazza Massimo per il telegiornale nazionale con Aldo Scimè davanti alla telecamera, mentre Enzo Aprea, sul luogo del disastro, iniziava il suo servizio con l'audio di un carabiniere tra le rovine di una casa che chiedeva «C'è nessuno qui dentro?». Sempre la Calapso ricorda gli anni formidabili della struttura di Programmazione, quando la Rai si aprì alle intelligenze siciliane per portare una ventata di creatività lungo quattordici ore settimanali. E così Rai Sicilia incrociò il suo percorso con Michele Perriera e Gabriello Montemagno, Giuseppe Fava e Renato Guttuso, Rosario La Duca e Turi Ferro, Piero Violante e Pino Caruso, Pippo Spicuzza e Bertino Parisi, Michele Guardì ed Enzo Di Pisa, Enzo Randisi e Giuseppe Tornatore.
Nascevano così programmi come "Domenica con noi", un rotocalco radiofonico curato da Mario Giusti, fondatore dello Stabile di Catania, con Montemagno e la Calapso ai microfoni, "L'altosparlante", a cura di Biagio Scrimizzi, che lanciò la coppia Guardì-Di Pisa, il radiodramma di Perriera "Il signor X"; e poi le ventotto puntate de "I Beati Paoli" con Giorgio Albertazzi voce narrante, "I Vespri siciliani" con i testi di Salvo Licata e Nino Giaramidaro, i venticinque "Gialli di mezzanotte", ancora di Perriera. Pino Valenti, uno scenografo e regista che veniva da Napoli, firmò un adattamento televisivo da "Occhi di cane azzurro" di Garcia Marquez, che proprio in quell'anno, il 1982, vinceva il Nobel. Gli attori erano il palermitano Adriano Giammanco ed Enrica Bonaccorti, non ancora padrona di casa di "Domenica in".
Fu un'impennata straordinaria che venne chiusa in un cassetto nel 1992, dopo che Rai Sicilia si era trasferita in viale Strasburgo, nella mega sede da 40 miliardi di soldi pubblici. Nel mare d'incenso riemergono brandelli che hanno fatto storia, come il drammatico «È finito tutto» di Antonino Caponnetto raccolto da Gianfranco D'Anna dopo la strage di via D'Amelio, lo sfogo al teatro Biondo di Salvo Randone, registrato da Roberto Alajmo, costretto a recitare ultraottantenne per sopravvivere, e la prima udienza del maxiprocesso commentata da Bianca Cordaro.
Scorrono i titoli di coda sulla cavalcata storica, e il bianco e nero diventa colore: gentili telespettatori, il presente è la coproduzione internazionale di "Mediterraneo", è "Riva Sud", è "Rai Med", gli ultimogeniti della programmazione. L'isola, insomma, va ancora in onda.
(La Repubblica, 18 dicembre 2009)
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