Abbiamo rispettato questi tre impegni? Prima di chiedere conto agli altri, alle forze politiche, alle istituzioni e a chi le rappresenta, dobbiamo, in questi giorni di lavoro comune, guardarci dentro e interrogarci su ciò che abbiamo fatto. E’ vero, in questi tre anni l’azione della “società responsabile” contro le mafie si è diffusa nel nostro Paese. Ogni anno, il 21 di marzo, giornata della memoria e dell’impegno, siamo stati sempre più numerosi: a Napoli eravamo oltre 150mila. E’ cresciuto il numero delle scuole e delle università che partecipano ai progetti di educazione alla legalità e alla responsabilità. Sono nate nuove cooperative che gestiscono beni confiscati. Oltre duemila giovani provenienti da ogni parte del mondo hanno lavorato questa estate nei campi sottratti ai clan. E quegli stessi beni, in tutta Italia, hanno fatto da palcoscenico alla musica e al cinema, con i concerti dei Modena City Rambles e la rassegna Cinemovel.
Grazie a LiberaInformazione, animata con passione e competenza dal nostro Roberto Morrione, diritto di cronaca e libertà di stampa hanno una forte voce in più. Si è costituita la rete europea di Flare (Libera internazionale): un impegno condiviso da associazioni presenti in oltre 30 paesi e che travalica lingue, culture e confini. Continua da oltre quindici anni il cammino della Carovana antimafie. Noi siamo quello che facciamo. E siamo qui anche per verificare il nostro fare. Un lungo elenco di iniziative, di progetti concreti, frutto di un lavoro straordinario che vede impegnate tante realtà: associazioni antiracket e antiusura, movimenti, fondazioni, ognuna con la sua storia e il suo valore.
Ma se avvertiamo, oggi più di ieri, il rischio di una società rinchiusa nell’individualismo, ostile alle regole della convivenza civile e della legalità, sempre più povera di valori, è anche responsabilità nostra Dobbiamo sentire, davvero, il “morso del più” nella nostra vita quotidiana, quello che ci fa essere consapevoli dei nostri limiti, delle nostre inadeguatezze e ci spinge a cercare, insieme, risposte migliori, energie nuove. Cercare insieme: lo diciamo da sempre. E' il “noi” il soggetto della lotta alle mafie, “noi” il soggetto del cambiamento sociale.
Costruire insieme: per interrogarci e interrogare, nel rispetto reciproco, nell'attenzione alle parole. Le parole sono importanti. Possono avvicinare o allontanare, incoraggiare o ferire, accogliere o emarginare. E' importante allora parlare, anche denunciare, ma con rigore, competenza, spirito costruttivo. Non per colpire le persone ma per rafforzare la ricerca di verità. Guai ad alimentare il disorientamento, la rassegnazione. Nel nostro cammino contano anche lo stile e il metodo. La credibilità e l'autorevolezza di un progetto non vengono misurate dalla risonanza pubblica o dall'attenzione mediatica ma dalla capacità di lasciare un segno duraturo nel tempo.
C'è un'Italia che ha compreso come il fenomeno mafioso sia un problema nazionale, non solo: internazionale. Da affrontare certo con l’intervento dei magistrati e delle forze dell’ordine. Ma che pretende, per essere risolto, una mobilitazione collettiva, un investimento educativo e culturale. Ce lo ricordava sempre anche il caro Nino Caponnetto quando diceva: «La mafia teme la scuola più della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa». Educazione, cultura, informazione. Sono da sempre i pilastri del nostro impegno contro l’individualismo insofferente delle regole, l’indifferenza al bene comune, la crescita della corruzione, degli abusi, dell’illegalità. Le mafie sono forti in una società diseguale, dove i privilegi hanno preso il posto dei diritti e le persone più fragili vengono lasciate ai margini, quando non colpevolizzate e penalizzate. Essere contro le mafie significa soprattutto riaffermare la corresponsabilità, la centralità delle persone e del legame sociale. Significa esserci per riaffermare che l’io è per la vita, non la vita per l’io. Sono i valori della Dichiarazione universale dei diritti umani, della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, della Carta dei diritti del fanciullo. Sono i valori della nostra Costituzione.
Noi questo “dovere” lo abbiamo preso sul serio. Prima di essere difesa da chi vuole cambiarla e snaturarla, la nostra Costituzione va vissuta e fatta vivere. Quei doveri e quei diritti non possono restare sulla carta, devono diventare “carne”, vita concreta delle persone. «Una democrazia si fonda su buone leggi e buoni costumi» diceva un grande filosofo della politica, Norberto Bobbio. Noi abbiamo bisogno di buone leggi, quindi abbiamo bisogno di una buona politica. Una politica vicina ai bisogni fondamentali delle persone, capace di dare dignità e opportunità a tutti, di non lasciare indietro nessuno. Una politica consapevole che solo includendo – riconoscendo e valorizzando le diversità – si costruisce un mondo più sicuro, più giusto, più umano. Una politica che sappia incontrare la partecipazione dei cittadini e farsene arricchire. Nella cittadinanza ci deve essere sempre più politica e nella politica sempre più cittadinanza. Libera, per quanto ci riguarda, non ha appartenenze di partito ma “fa politica”: vuol dire cittadini che sentono la responsabilità della democrazia e si schierano dalla parte della giustizia e dei diritti, al di là dei riferimenti culturali, politici, spirituali di ciascuno. Sì', spirituali. Libera vuol dire anche persone delle Chiese, (lo dico in senso ecumenico, di tutte le Chiese presenti nelle nostre realtà) che non si sottraggono all’impegno. Nei tanti credenti che si sporcano le mani rivivono forti le parole di don Tonino Bello: «La Chiesa è per il mondo, non per se stessa». E risuona il parlare chiaro di don Peppe Diana. Il suo invito a «risalire sui tetti, a riannunciare la Parola di vita». Ancora troppa neutralità, troppi eccessi di prudenza. Dobbiamo ribadirla con forza l’incompatibilità tra Vangelo e crimine organizzato. Non può esistere una “mafia devota”: non si può appartenere alle mafie, o anche solo esserne complici o conniventi, e al tempo stesso ritenersi parte della comunità cristiana.
E' con questa consapevolezza che, senza generalizzare e senza fare sconti a nessuno, valuteremo insieme ciò che è stato fatto in questi tre anni. C'è consapevolezza che, tra mille difficoltà, non è mai venuto meno l’impegno delle forze della Polizia e della magistratura. Lo dimostrano i numeri: quelli dei boss arrestati e dei beni sequestrati e confiscati. La Commissione ed il Parlamento Europeo hanno riconosciuto l’importanza dell’uso sociale dei beni confiscati. Altri risultati positivi sono stati raggiunti grazie all’impegno di Regioni ed Enti Locali. Ma basta confrontare, senza pregiudizi, l’elenco delle proposte che formulammo nel Manifesto con la realtà di oggi per affermare, semplicemente, che ancora non ci siamo. Continuiamo a chiedere l’istituzione di un’Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati e l’approvazione di un testo unico in materia di legislazione antimafia. Alcune modifiche sono state introdotte, ma senza quell'organicità che è un requisito fondamentale perché la normativa sia davvero efficace. Continuiamo a sollecitare l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale; Un nuovo modello del sistema di protezione dei testimoni di giustizia ed una maggiore attenzione alle richieste dei familiari delle vittime delle mafie, richieste che ascolteremo tra poco; Continuiamo a proporre l’istituzione di un’autorità indipendente contro il riciclaggio Continuiamo a chiedere di rafforzare la rete di sostegno alle vittime della tratta di esseri umani Continuiamo a sostenere che non c’è magistratura senza indipendenza Continuiamo a chiedere che le norme in vigore, che hanno permesso di fare indagini e di intervenire nei casi di crimini ed infiltrazioni, non vengano modificate ma rafforzate e applicate; Continuiamo a chiedere che sia “veramente” applicata la norma della finanziaria del 2006 che stabiliva l’uso sociale dei beni confiscati ai corrotti Abbiamo bisogno di risposte chiare e convincenti.
Una cosa è certa: non si possono contrastare le mafie se, contestualmente, non si rafforza lo Stato sociale; se non vengono promosse forti politiche sul lavoro; se non vengono costruite opportunità per le persone più deboli, per le famiglie più bisognose, se non si dedica un'attenzione autentica ai giovani. Non si può fare lotta alle mafie senza veri interventi economici mirati alla diffusione e alla tutela dei diritti, senza un'efficace tutela dell'ambiente contro chi lo inquina e lo saccheggia.
Vorrei fosse chiaro che muoviamo questi rilievi non “contro” la politica ma per amore della politica. Perché intendiamo spenderci per una politica migliore insieme a chi la vive nel senso più alto del termine: come servizio agli altri, come contributo al bene comune, come doppia istanza etica che lega l’impegno verso la propria coscienza a quello verso la collettività, nella coerenza tra comportamenti pubblici e comportamenti privati.
Impegno e memoria, che vogliono dire innanzitutto essere sempre in cerca della verità. In questi giorni seguiamo tutti con trepidazione vicende che sono apparentemente lontane nel tempo. Leggiamo di trattative inconfessabili, di memorie smarrite e, finalmente, ritrovate. Noi, che della memoria abbiamo fatto una delle ragioni del nostro impegno, non possiamo che esserne lieti. E i familiari delle vittime delle mafie, che quell’impegno l'hanno fatto nascere dal dolore, chiedono verità e giustizia. E’ ancora senza nome la lapide di Rita Atria. Ma il nome di Rita – voglio rassicurare chi le ha voluto bene – è scritto dentro ciascuno di noi. Come sono dentro di noi i nomi che ripetiamo ogni 21 marzo. Loro non vogliono essere solo ricordati. Vogliono che continuiamo il loro impegno, che realizziamo le loro speranze. Ce lo ricordava proprio tre anni fa, qui, Giuseppina, compagna di Pio La Torre nella vita e nell'impegno, che ci ha “lasciato” lo scorso 30 settembre. Ce lo chiedono Francesco e Gabriele, agenti di polizia, morti nell’inseguimento di un’auto sospetta a Casapesenna, in provincia di Caserta. Ce lo chiedono Samuel, Alaj, Cristopher, Alex, Julius, Eric. Giovani immigrati uccisi a Castel Volturno, sempre nella terra schiacciata dalla camorra. In Italia cercavano la vita, hanno trovato la morte. Ce lo chiedono le oltre 40 vittime innocenti uccise in questi ultimi tre anni. Ce lo chiede don Cesare Boschin. Ucciso nel marzo 1995, denunciava l’ecomafia dei rifiuti nel Basso Lazio. La sua morte è rimasta senza colpevoli. Ce lo chiedono infine le speranze e la gioia di vivere di Domenico, detto Dodò. Una pallottola lo colpisce alla testa mentre durante una partita di calcio a Crotone. Dodò, 11 anni, muore il 20 settembre scorso dopo tre mesi di agonia. Voglio credere, con voi, che la sua giovane vita prosegua in quella di Antonino. Anche lui colpito da una pallottola indirizzata a un’altra persona a Melito Porto Salvo-Reggio Calabria. Dopo sette interventi chirurgici, Antonino è riuscito a salvarsi. Anche Antonino, un bimbo di soli 4 anni, ci chiede di non dimenticarlo, di costruire anche per lui un mondo migliore. Avremo modo in questi tre giorni, nei 17 gruppi di lavoro che si sono costituiti, di affrontare questioni e cercare risposte a interrogativi. Scriveremo insieme il nuovo "Manifesto" per un'Italia libera dalle mafie e glielo consegneremo nei prossimi giorni signor Presidente. Come vorremmo che fosse su tutti i tavoli di chi ha responsabilità politiche e istituzionali. Lo affliggeremo sui muri di tutte le città e lo faremo vivere nel nostro impegno quotidiano. Oggi ci vuole un nuovo impegno, ci vuole più forza, più coraggio. La forza per costruire un futuro diverso, capace di trasformare la paura, la fatica e la rabbia in speranza.
Roma, 24.10.2009
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