Il giornalismo d’inchiesta non è finito, piaccia o no. Giovedì sera Annozero ha dato dimostrazione che esiste e può essere fatto egregiamente. Nel corso del programma sono venuti fuori risposte che gli inquirenti si facevano da tempo sulle stragi di Palermo. La prima, e sicuramente più importante, riguarda Paolo Borsellino e la trattativa che lo Stato aprì con la mafia all’indomani della strage di Via Capaci. Claudio Martelli, ministro della Giustizia nel 1992, ha raccontato che il capitano dei carabinieri De Donno informò il magistrato Liliana Ferraro, collaboratrice di Giovanni Falcone, quando era direttore degli affari penali, di avere ricevuto da Vito Ciancimino, tramite il figlio Massimo, la disponibilità a trattare con Cosa nostra a patto che ci fosse una copertura politica. La Ferraro, secondo Martelli, avrebbe esortato l’ufficiale dei carabinieri a informare il magistrato che si preoccupava dell’indagine sulla strage di Capaci, cioè Paolo Borsellino. La stessa Ferraro avrebbe incontrato Borsellino il 22 o il 23 giugno del 1992 in occasione del trigesimo della morte di Falcone e degli agenti della scorta ed in quella circostanza avrebbe riferito ciò che aveva saputo da De Donno, cioè della possibilità di una trattativa con la mafia per fermare lo stragi di Cosa Nostra. L’on. Antonio Di Pietro, ospite di Annozero, ha rivelato che una nota del Ros pervenne a lui all’indomani della strage di Via D’Amelio, secondo la quale nel mirino della mafia c’erano proprio Paolo Borsellino e Di Pietro. Purtroppo, l’informativa arrivò dopo la morte di Paolo Borsellino. L’ex magistrato di Milano ha raccontato che a causa di quella informativa fu costretto insieme con la moglie a lasciare in tutta fretta Milano, con un passaporto sotto falso nome (Marco Canale). Si recò in Costarica, ma una volta arrivato, fu riconosciuto e costretto a cambiare località. Sia De Donno quanto il colonnello Mori hanno spiegato le loro iniziative con il bisogno di fare luce sulla strage di Capaci ed a tal fine hanno fatto capire strumentalmente a Vito Ciancimino di volere instaurare una vera e propria trattativa che suggerì il cosiddetto papello, la carta con le richieste di Cosa nostra. Sono emersi altri inquietanti retroscena. Massimo Ciancimino, anch’egli ospite di Annozero, ha ribadito la sua versione sul papello, ha fatto i nomi di due parlamentari, uno del Pdl e l’altro dell’Udc. Secondo Massimo Ciancimino, il padre non potè essere garante della trattativa fino in fondo perché Cosa Nostra – e cioè Bernardo Provenzano e Totò Riina, pretesero che a svolgere tale ruolo, fosse il parlamentare del Pdl. E’ emerso dal racconto di Massimo Ciancimino che il padre, agli arresti domiciliari, incontrava a casa sua regolarmente sia Provenzano, nei pani di un fantomatico ing. Lo Verde, e Totò Riina, e che possedeva un passaporto che ngli avrebbe consentito di espatriare, grazie un tale “signor Franco”, appartenente ai servizi, vicino all’ex sindaco di Palermo in quel periodo. Un intreccio inquietante dal quale sono emersi particolari inediti, il più importante dei quale, è l’accertamento di una verità finora negata, che Paolo Borsellino fosse venuto a conoscenza della trattativa. Questa circostanza potrebbe costituire il movente dell’attentato, o meglio, il fatto che, a quanto pare, esso sarebbe stato “anticipato” proprio mentre era in corso la trattativa. A provocare l’uccisione del magistrato, dunque, sembrerebbe la sua contrarietà alla trattativa. Secondo Massimo Ciancimino, saputo dell’attentato, il padre avrebbe giudicato severamente l’operato della mafia in quella occasione, affermando che non si trattava più di mafia ma di terrorismo.
Da: SiciliaInformazioni, 09 ottobre 2009
NELLA FOTO: Massimo Ciancimino
Nessun commento:
Posta un commento