Accuse per Vizzini (Pdl) e gli udc Cuffaro, Cintola e Romano. Il figlio di «don Vito»: presero soldi per favorire gli affari di mio padre
ROMA — L’accusa è concorso in corruzione aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa. I senatori inquisiti Carlo Vizzini (Popolo della Libertà, presidente della commissione Affari costituzionali), Salvatore Cintola, Saverio Romano e Salvatore Cuffaro (Udc) saranno chiamati a risponderne nei prossimi giorni davanti ai magistrati della Procura di Palermo che indagano sul cosiddetto «tesoro » di Vito Ciancimino, l’ex sindaco della città condannato per mafia e morto nel 2002. L’inchiesta è scaturita dalle più recenti dichiarazioni dell’ultimogenito di Ciancimino, Massimo, già condannato in primo grado a 5 anni e 8 mesi di carcere per riciclaggio dei soldi del padre.
S’è definito una capro espiatorio, ha parlato di altri personaggi ben più importanti di lui coinvolti nella gestione dei soldi lasciati dal padre, compresi uomini politici. Di loro si occupava — ha riferito — il tributarista Giorgio Lapis, condannato anche lui nel processo per riciclaggio, distribuendo il denaro prelevato dal conto «Mignon Sa» presso la Banca di Ginevra, in Svizzera, da un altro imputato condannato: l’avvocato Giorgio Ghiron, titolare di studi a New York, Londra e Roma. Secondo quanto raccontato da Massimo Ciancimino, che gli inquirenti ritengono riscontrato da altri elementi di prova, tra gli «ingenti quantitativi di denaro» elargiti da Lapis per conto di Ciancimino una buona fetta sarebbe finita a Vizzini, ex leader socialdemocratico poi entrato in Forza Italia. Secondo i calcoli degli inquirenti, nel corso del tempo, avrebbe ricevuto almeno un milione di euro. Tramite la mediazione di Cintola (ex assessore regionale, già inquisito per concorso in associazione mafiosa in indagine archiviata nel settembre 2007, senatore dal 2008), altri soldi sarebbero finiti a Saverio Romano e Salvatore Cuffaro; il primo è stato appena eletto al Parlamento europeo, l’altro è l’ex presidente della Regione, dimessosi dopo una condanna in primo grado per favoreggiamento, approdato lo scorso anno a palazzo Madama.
I milioni del «tesoro» di Ciancimino, in parte già sequestrato nel 2005 perché considerato di «provenienza mafiosa» vista la condanna riportata da Vito e i suoi rapporti con capimafia del calibro di Bernardo Provenzano, stavano sul conto «Mignon » e sono serviti a liquidare i soci palesi e occulti della società «Gas», una sorta di contenitore creato dall’ex sindaco dopo la vendita a un gruppo spagnolo. Secondo Ciancimino jr., e ora anche secondo l’ipotesi accusatoria formulata dai pubblici ministeri Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, a una quota di liquidazione avrebbe avuto diritto anche il senatore Vizzini. Di qui i pagamenti a lui e ad altri politici che, nella storia raccontata dal figlio dell’ex sindaco, sono serviti negli anni passati a «oliare i meccanismi» delle concessione per la distribuzione del gas in Sicilia, un affare gestito proprio da Ciancimino attraverso le sue società. In pratica il denaro veniva dato ai capi-partito o ai capi-corrente dei partiti, che poi avevano il compito di agevolare l’aggiudicazione degli appalti e la concessione dei lavori nei vari centri dell’isola. A riscontro delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, ci sarebbero parziali ammissioni (seppure con giustificazioni diverse e molto meno compromettenti) dell’anziano tributarista Lapis, documenti e intercettazioni telefoniche che però, per essere contestate ai senatori indagati, dovranno prima essere trasmesse al Parlamento insieme alla richiesta di utilizzazione. Qualche mese fa, dopo la pubblicazione di indiscrezioni sul coinvolgimento di Vizzini nell’inchiesta, il senatore aveva replicato con una denuncia per calunnia contro il figlio dell’ex sindaco: «Non conosco il signor Massimo Ciancimino — disse Vizzini —, dal quale dunque non posso mai avere ricevuto nulla, così come non ho mai avuto rapporto alcuno con suo padre. Ho però dedicato buona parte della mia vita e della mia attività parlamentare prima a demolire il sistema politico-mafioso costruito dal signor Vito Ciancimino, e poi a combattere la mafia e tutti i detentori di patrimoni mafiosi». L’onorevole Romano parlò di «vicenda che non ha alcun fondamento».
Giovanni Bianconi
Corriere della sera, 11 giugno 2009
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