sabato 13 giugno 2009

Chi è Vincenzo Tusa?

Nasce a Mistretta (ME) il 7 dicembre 1920. Nel 1944 si laurea in Lettere e Filosofia presso l'Università di Catania. Nel 1955 consegue il diploma di specializzazione in Archeologia presso la Scuola di Perfezionamento in Archeologia dell'Università di Roma La Sapienza. Nel 1947 è assunto nell'allora Amministrazione delle Antichità e Belle Arti, prestando servizio dapprima presso la Soprintendenza alle Antichità di Bologna per due anni, e successivamente presso la Soprintendenza alle Antichità di Palermo con giurisdizione sull'intera Sicilia Occidentale, come Ispettore a partire dal 1953, esplicando le funzioni di Soprintendente dal 1963 e reggendo la Soprintendenza stessa in qualità di Dirigente Superiore dal 1976 fino al collocamento in pensione avvenuto il 31 dicembre 1985. Nel corso della sua attività ha contestualmente diretto il Museo Archeologico di Palermo per circa un trentennio. Nel 1964 consegue la libera docenza ed insegna Antichità Puniche presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Palermo, dove presta servizio come professore associato fino al 31 Ottobre 1991. Nel 1968 è promotore della rivista “Sicilia Archeologica” edita dall'A.P.T. di Trapani, della quale è Direttore Responsabile dal 1971. Nel 1975 opera in prima persona alla creazione della Fondazione Culturale “G. Whitaker”, attuale proprietaria dell'isola di Mozia, della quale è Consigliere. Socio nazionale dell'Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo, membro ordinario dell'Istituto Archeologico Germanico, Presidente onorario della Società Siciliana di Storia Patria, socio nazionale dell'Accademia dei Lincei, beneficiario di numerosi premi e riconoscimenti tra cui il I premio “Zanotti Bianco” con medaglia d'oro, cittadino onorario dei Comuni di Campobello di Mazara, S. Flavia, Castelvetrano, V. Tusa è autore di quasi un migliaio di pubblicazioni comprendenti volumi, saggi su riviste scientifiche, articoli sulla stampa italiana ed estera che documentano parte della sua attività archeologica, sociale ed umana portando a conoscenza del pubblico, su basi scientifiche, le vicende storico-archeologiche che lo hanno visto come testimone e protagonista. Parallelamente alla sua attività scientifica,V. Tusa ha perseguito con costanza il dovere istituzionale di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio a lui affidato: per la salvaguardia definitiva della zona archeologica di Selinunte ha realizzato un parco archeologico di 270 ettari oggi di proprietà della Regione Siciliana. Muore a Palermo il 5 marzo 2009.

Pur nella oggettivamente difficile situazione scaturita in seguito alle vicende del secondo conflitto mondiale e del lungo periodo di assestamento successivo, V. Tusa riuscì a completare in maniera esaustiva e coerente la sua formazione archeologica grazie soprattutto alla sua spiccata e forte carica umana che lo portava ad interagire con i maestri dell'archeologia di allora travalicando il tradizionale rapporto accademico ed universitario. Fu così che, grazie al suo contatto diretto con Guido Libertini e Paolo Enrico Arias, docenti presso l'Università di Catania, impostò la sua concezione dell'archeologia come approfondimento delle vicende del passato intimamente basato sulla centralità dell'uomo come diretto artefice di fatti e reperti. Nella formazione di questa visione fortemente antropocentrica dell'archeologia, dove la storia ebbe sempre un ruolo preponderante, giocò un ruolo importantissimo la sua provenienza dal complesso e variegato mondo della campagna siciliana. Non è da sottovalutare infatti, nella formazione accademica del personaggio, l'influenza avuta dalla sua esperienza diretta del mondo contadino e pastorale siciliano dovuta alle origini ed all'attività della sua famiglia. Ma è indubbio che nel rendere questa formazione efficace anche al fine dell'acquisizione di un metodo di ricerca e di una capacità di sintesi fu fondamentale il suo approccio all'idealismo ed al liberalismo crociano maturato negli anni formativi del liceo a Catania dove ebbe l'opportunità di venire in contatto con figure eminenti di quell'ambito intellettuale, sia maestri che compagni di studi. Infine, per comprendere in pieno il personaggio è utile ricordare che fu quasi certamente la contiguità con la famiglia Libertini, di cui i Tusa erano affittuari di vasti appezzamenti di terreno nel territorio occidentale della pianura di Catania, a far scoccare in V. Tusa l'interesse per il passato e per la metodologia di indagine archeologica come strumento per ricostruirne le logiche e gli sviluppi.
Era evidente che l'ambiente siciliano, per quanto ricco di sollecitazioni e stimoli, non poteva soddisfare appieno le ansie e le curiosità del giovane studioso che si affacciava in questo mondo di studi in un Italia che risorgeva con grande vigore intellettuale dalle macerie e dalle tragedie della guerra. In tal senso fu estremamente formativa l'opportunità offerta dalla frequenza presso la Scuola di Specializzazione Archeologica di Roma, dove V. Tusa ebbe l'opportunità di forgiare quelle amicizie e quelle intense relazioni scientifiche ed umane sia con i maestri (Massimo Pallottino, Biagio Pace, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Pietro Romanelli) sia con i suoi compagni di studi che, come lui, sarebbero diventati i protagonisti dell'archeologia italiana degli anni a venire. In quel frangente fu certamente il contatto con Ranuccio Bianchi Bandinelli ad imprimere una sensibile sterzata verso l'approfondimento delle tematiche socio-economiche del passato ma anche il forte interesse verso i problemi della cultura contemporanea. Sono questi gli anni (fine anni '40, inizi anni '50 del secolo scorso) durante i quali V. Tusa elabora quel riuscito equilibrio tra interessi verso il mondo antico ed attenzione ai problemi dell'Italia contemporanea e soprattutto meridionale, gli anni durante i quali grazie all'impegno diretto nell'amministrazione statale delle allora denominate Antichità e Belle Arti V. Tusa riesce ad esprimere un efficace connubio tra ricerca scientifica ed efficiente tutela e valorizzazione delle testimonianze del passato.
In ambito squisitamente scientifico, pur essendosi formato ad una scuola ancora fortemente intrisa da una visione classicista dell'archeologia, fu grazie a due fattori fondamentali che egli, spinto anche dalla sua innata curiosità, si rivolse con attenzione al mondo antico mediterraneo aldilà dell'ambito greco-romano, anche se la sua attenzione verso questo mondo rimase sempre viva, basti pensare a due opere fondamentali sempre valide, rispettivamente sui sarcofagi romani in Sicilia e sulla scultura in pietra selinuntina. In primo luogo giocò un ruolo determinante l'intensa frequentazione con Biagio Pace, sfociata in sincera amicizia pur nel rispetto delle diametralmente opposte visioni politiche; una figura che lo indusse a misurare la sua ricerca con il mondo anellenico siciliano assumendo quasi sempre come paradigma teorico l'opera “Popoli e civiltà della Sicilia antica”. Ma fu anche la casuale assegnazione alla Soprintendenza alle Antichità e Belle Arti di Palermo a metterlo in diretto contatto con le articolate dinamiche etniche della Sicilia occidentale che egli seppe non soltanto analizzare e divulgare ma anche mettere sempre in relazione ad un quadro di riferimento storico ed archeologico di respiro mediterraneo.
Grazie a questi elementi formativi succintamente ricordati l'opera di V. Tusa ebbe sempre il carattere e la misura sia analitiche che di sintesi legate ad una concezione della storia nella quale l'uomo, concepito tanto come singolo, quanto nella sua dimensione sociale, fosse sempre presente. In ciò riaffiorano sempre sia la sua matrice “contadina” sia la sua attenzione ai problemi della società contemporanea che egli visse animato da una spiccata voglia di partecipazione. Non è, infatti, da sottovalutare il suo impegno in politica che lo portò a misurarsi con il consenso elettorale assumendo responsabilità istituzionali nell'ambito del Consiglio Provinciale di Palermo come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano. Non è da sottovalutare, inoltre, il suo operare in prima persona in quella stagione di rinascita e riscatto intellettuale e civile che attraversò le vicende politiche siciliane e nazionali negli anni '70 del secolo scorso. Egli fu in quel periodo protagonista, insieme ad altri intellettuali impegnati come Leonardo Sciascia, Renato Guttuso, Cesare Brandi, della vita politico-culturale nazionale che lo portò, tra l'altro, ad essere uno degli estensori delle leggi di tutela del settore dei beni culturali che segnarono il decentramento amministrativo delle Soprintendenze siciliane dallo Stato alla Regione.
Pur nell'intensità di un'attività che lo vedeva fortemente impegnato nella politica e nel dibattito culturale di quegli anni, seppe sempre coniugare questo impegno con la produzione scientifica e con la formazione di un'intensa schiera di allora giovani studiosi forgiatisi nell'orbita del suo insegnamento di Antichità Puniche presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Palermo. L'intensa attività di ricerca verso gli ambiti anellenici della Sicilia occidentale lo vide all'opera nella realizzazione di un sistema si esemplari collaborazioni con autorevolissimi personaggi ed istituzioni per le quali basti citare Sabatino Moscati per il mondo punico e Giuseppe Nenci per quello elimo. Una costante, infatti, della sua impostazione della ricerca scientifica fu l'assidua e riuscita capacità di costruire reti di collaborazioni nazionali ed internazionali, sempre convinto che i migliori risultati scaturissero dalla collaborazione scientifica di più istituzioni e relative scuole piuttosto che da isolati approcci accademici. Nel suo quasi privilegiare i mondi anellenici della Sicilia e del Mediterraneo non trascurò di continuare ad approfondire la conoscenza del mondo greco siceliota attraverso l'impegno diretto nella ricerca selinuntina ed indiretto in quella imerese, attivando e contribuendo in prima persona nell'attività di ricerca dell'allora Istituto di Archeologia dell'Università di Palermo. Il suo interesse ed il suo contributo forse più incisivo si concentrò su Selinunte, dove riuscì ad impostare un sistema si ricerca archeologica basato sulla cooperazione internazionale di istituzioni e personaggi quali Dieter Mertens, Juliette de la Geniere, Martin Fourmont, Roland Martin e Giorgio Gullini. I risultati di questa impostazione hanno portato alla conoscenza del sito non soltanto nelle sue caratteristiche intrinseche, ma anche nel suo ruolo interattivo sia con le realtà anelleniche della Sicilia che con l'ecumene greco. V. Tusa soggiornava spesso a Selinunte, che divenne in quel periodo un luogo di ritrovo per studiosi ed intellettuali, figure di spicco in vari campi della cultura come Renato Guttuso, i fisici Bruno Rossi e Marcello Carapezza, il compositore Luciano Berio, l'architetto Franco Minissi, lo storico delle religioni Karl Kerenyi, l'editore Giulio Einaudi, il musicologo Luigi Rognoni, il poeta Ignazio Buttitta, oltre agli archeologi Ranuccio Bianchi Bandinelli, Massimo Pallottino, Paolo Enrico Arias e tanti altri.
Diretta emanazione dell'impegno scientifico secondo quella che fu sempre la sua logica dove non esistevano quasi limiti tra ricerca e tutela, intesa come doveroso contributo alla divulgazione della scienza verso la società civile, fu la grande operazione esemplare che lo portò a realizzare uno dei primi e più significativi parchi archeologici al mondo. Fu un esperienza profonda e fortemente impegnativa per le difficoltà insite nella riluttante opposizione verso una nuova concezione che giustamente voleva preservare le testimonianze del passato non nell'ottica limitata di angusti steccati bensì in una dimensione ambientale di più vasto respiro e di spiccata contestualizzazione naturale. Fu osteggiato in quest'opera sia da chi, in buona fede, non ne percepiva il forte carattere innovativo, sia da chi, animato da volgari interessi speculativi, si faceva forte del supporto violento della mafia per intimidire o corrompere il personaggio inducendolo alla resa. Non mancarono per fortuna l'appoggio morale e l'incitamento da parte di amici ed intellettuali che avevano compreso l'importanza del progetto del costituendo parco archeologico: tra questi Cesare Brandi, allora titolare della cattedra di Storia dell'Arte presso l'Università di Palermo, che in un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” definì le rovine di Selinunte come “le più belle che esistano al mondo”.
Alla fine il parco si fece, ed oggi e nel futuro esso consentirà di leggere in un corretto rapporto ecosistemico i resti di una grande città e costituirà un esempio a venire per simili emergenze archeologiche.

Scritti principali di Tusa: I sarcofagi romani in Sicilia, Palermo 1957, II ed. Roma 1995; L'archeologia come fatto umano, in “Sicilia Archeologica”, IV, 15, 1971, 5-7; La civiltà punica in Italia?, Roma 1974; La scultura in pietra di Selinunte, Palermo 1983; Che cos'è l'Archeologia, in “Sicilia Archeologica”, XIX, 62, 1986, 69-70; Il Giovane di Mozia, in “Rivista di Studi Fenici”, XIV, 1986, 143-151; La funzione culturale dell'Archeologia, in “Sicilia Archeologica”, 1989, XXII, 105-108; Il Parco archeologico di Selinunte, Castelvetrano 1991; Selinunte nella mia vita, Palermo 1991; Greci e non Greci nella Sicilia Antica, Palermo 1997.
Scritti principali su Tusa: Studi sulla Sicilia Occidentale in onore di Vincenzo Tusa.

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