di Agostino Spataro*
La vorace metamorfosi di “Forza Italia” siciliana
Per quanto ovattato da un certo contegno, non c’è dubbio che nel Pdl siciliano si è svolto uno scontro durissimo per le candidature alle europee e per la nomina de coordinatori regionali.
Alla fine, un armistizio è stato raggiunto, a Roma, (chissà perché mai a Palermo), ma si teme che la guerra ri-esploderà, violenta, fra candidati, correnti e componenti per le preferenze.
E’ noto infatti che la coperta del Pdl è troppo stretta per coprire tutte le aspirazioni in corsa.
Con la confluenza di An sono, infatti, cresciute le componenti mentre il numero dei seggi attribuibili al Pdl potrebbe rimanere invariato. Vedremo. Per intanto, un dato politico emerge, inequivocabile, dal pentolone del PdL siciliano: l’ulteriore emarginazione, il sostanziale isolamento di Gianfranco Miccichè. Il tipo di lista e la nomina a coordinatore di Giuseppe Castiglione, del gruppo Alfano- Schifani, (anche se in combine col sen. Nania) esaltano e rendono più pressante il senso di questa emarginazione politica che un po’ colpisce, se non altro per il fatto che Miccichè è stato il fondatore di “Forza Italia” siciliana. Colpa del destino cinico e baro? Il fato, ovviamente, non c’entra nulla. C’entrano, e molto, la natura orgiastica della creatura (in senso dionisiaco, s’intende) e l’eccessiva spinta concorrenziale delle sue componenti e personalità. Dalla fondazione ad oggi, questo partito ha subito una vera e propria metamorfosi: è cresciuto troppo in fretta e a dismisura, inglobando e divorando tutto quello che gli si è parato davanti. Una voracità sfrenata che oggi fa temere anche per il suo fondatore.
I frutti amari della vigna dell’on. Micciché
Forse, nell’intraprendere l’opera di fondazione, l’ex dirigente di Pubblitalia non tenne conto della metafora della vigna nuova che ogni contadino conosce a menadito: per impiantare un nuovo vigneto su uno vecchio bisogna arare il terreno in profondità (in gergo si chiama “scasso”) fino ad estirpare l’intero apparato radicale preesistente.Un’aratura superficiale, infatti, rischia di compromettere l’attecchimento dei nuovi vitigni che potrebbero essere addirittura soffocati dalle radici della vigna vecchia che conservano una forte capacità di germinazione, talvolta perfino soverchiante. Qualcosa del genere è accaduto con la fondazione del partito di Miccichè il quale, forse, non si è accorto di avere impiantato la sua vigna sopra un’altra molto più antica e radicata qual era, in Sicilia, la Democrazia cristiana. Basta guardarsi intorno, scorrere i nomi dei suoi più accesi concorrenti per accorgersi che egli si ritrova circondato, assediato, avviluppato da (ex) democristiani vecchi e soprattutto giovani, allevati in ottime scuole di formazione clientelare, che hanno tanta voglia di affermarsi senza troppo andare per il sottile. Insomma, i “berluscones” doc sono stati, in gran parte, estromessi dai più importanti ruoli di gestione del potere da un sedicente “nuovo personale politico” che ha costruito dentro l’involucro berlusconiano una macchina del consenso quasi perfetta che nel suo vortice stritola chiunque tenti di fermarla. Nulla di diabolico, per carità. Solo un mix fra la rodata efficienza elettorale democristiana e la gioiosa impudenza berlusconiana. Il PdL in Sicilia è la risultante di questi due elementi costituenti, con l’aggiunta, recente, del fervore, un po’ infantile, degli apprendisti di An che, volendo imitare i loro sodali, sono portati all’esagerazione. Come l’assessore regionale Incardona il quale, in sol colpo, voleva aumentare di oltre un centinaio gli enti della cosiddetta “formazione professionale” convenzionati con la regione.
Dove andrà a parare la diaspora democristiana?
Ma al di là di tali, discutibili comportamenti, il punto politico è un altro e riguarda l’incidenza di questa metamorfosi sul complesso della realtà politica siciliana. Pertanto, appare utile avviare una riflessione per capire dove potrebbe andare a parare. Le conseguenze di questa metamorfosi, che oggi sta pagando Miccichè in termini d’isolamento, domani potrebbero scaricarsi sull’intera situazione politica siciliana, attivando processi e dinamiche che potrebbero modificarla radicalmente. In Sicilia, infatti, il peso e il ruolo dei diversi gruppi che, in vario modo, si richiamano alla tradizione della Democrazia Cristiana stanno divenendo davvero preponderanti. Forse più di prima. Anche perché prima c’era la sinistra che li contrastava oggi quasi nessuno. Sotto sotto, tutti paventano la soverchiante influenza democristiana nel PdL, il peso di due forti partiti Udc e Mpa, entrambi d’emanazione e cultura democristiane, e – perché no- anche quello della componente “ex Margherita” presente nel PD. Provate a fare una somma e avrete un potenziale elettorale mai visto prima, nemmeno ai tempi d’oro della Dc. A ben guardare, vi sono più democristiani oggi che la Dc è morta che di quando era in vita. Certo, molte cose sono cambiate e le somme non sono facili a farsi. Tuttavia, le varie componenti della diaspora democristiana mostrano ancora forti affinità politiche e culturali e talvolta un malcelato orgoglio frammisto al disagio di doversi camuffare per sopravvivere. E come la storia insegna, il desiderio insopprimibile dei gruppi appartenenti a qualsiasi diaspora è quello di ritornare nella casa avita, specie quando- come nel nostro caso- c’è di mezzo la gestione del potere al cui richiamo i democristiani sono molto sensibili.
L’inizio della fine del berlusconismo
D’altra parte, in questa interminabile fase di transizione, nulla si può escludere a priori.
Sotto la scorza di ostentate certezze circolano, insistenti, un paio di domande, angoscianti o speranzose (secondo il punto di vista): che cosa ne sarà del PdL qualora il suo leader dovesse abbandonare “il campo” ? Chi potrà riempire quel vuoto enorme?
Credo che la galassia democristiana abbia le migliori chances. Tutto ciò è un bene o è un male?
In ogni caso, bisogna mettere nel conto un’eventualità del genere, senza strapparsi i capelli.
Nell’Isola potrebbe aprirsi una fase molto difficile per il berlusconismo che sembra aver raggiunto il punto critico della sua ascesa nel quale coincidono l’apice del successo e l’inizio del declino.
Vedremo. Comunque andranno le cose, notiamo che qui si stanno incubando diversi elementi e fattori che mettono in discussione l’asse di ferro esistente, da un ventennio a questa parte, fra Berlusconi e le forze fondamentali siciliane. La virata nordista e leghista e- perché no- “personalista” del Cavaliere, che pure attinge a piene mani nell’elettorato siciliano e meridionale, non piace a molti che cominciano a mordere il freno verso un’alleanza determinata più dalle circostanze che dalle convenienze. Perciò, visto come stanno andando le cose in Sicilia e in Italia, una ricomposizione del polo democristiano potrebbe risultare auspicabile, perfino desiderabile. Purché a competere vi sia una sinistra rinnovata, unitaria e motivata da una forte volontà di cambiamento. In fondo, un ri-assetto di questo tipo, a livello nazionale, potrebbe aiutare l’Italia a rimettersi in sintonia con l’Europa e con il mondo e con la sua più autentica tradizione democratica, popolare e antifascista.
Agostino Spataro
* giornalista, collaboratore “La Repubblica” Palermo
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