Nuove rivelazioni di Ciancimino jr nell'aula bunker di Milano: "Dopo le stragi il super boss aveva una missione e si muoveva liberamente in Italia e all'estero, veniva spesso a trovare mio padre a Roma. Si presentò pure Riina". E il padrino di Corleone per la prima volta rinuncia al collegamento video
MILANO - "Mio padre era certo che ci fosse uno pseudo-accordo che riguardava Provenzano sul suo modo tranquillo e libero di muoversi, in Italia e all'estero. Provenzano aveva quasi una missione, un ruolo ben preciso dopo le stragi, e mio padre era sicuro che la presa del timone di Cosa nostra da parte sua fosse la cosa migliore". Così Massimo Ciancimino ha ricordato gli incontri fra suo padre Vito, morto nel 2002, e il vecchio padrino di Corleone, adombrando accordi dopo le stragi. Il dichiarante lo ha detto davanti ai giudici di Palermo deponendo nel processo nell'aula bunker di Milano, in trasferta per motivi di sicurezza, in cui sono imputati, fra gli altri, Bernardo Provenzano e l'ex deputato regionale Giovanni Mercadante. Rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo, Ciancimino ha detto che nel tempo il padre e il boss di Corleone si erano incontrati più volte: "Ricordo la presenza a casa mia di Provenzano, che mio padre chiamava ingegnere Lo Verde, fin da quando avevo nove anni; mio padre lo riceveva nella sua stanza da letto. Questi incontri riservati sono proseguiti fino a poco prima che mio padre morisse a Roma. Ma vennero a casa anche Totò Riina, Franco Bonura, i fratelli o cugini Buscemi, Pino Lipari, Tommaso Cannella. Prima che venisse arrestato, cosa che avvenne alla fine del 1984, mio padre aveva quattro linee telefoniche e una sola era quella riservata sulla quale riceveva le chiamate solo di quattro persone, una era l'ingegnere Lo Verde, alias Provenzano". Fra il 1999 e il 2002, ha aggiunto Ciancimino jr, "mio padre, che era agli arresti domiciliari a Roma, incontrò diverse volte Bernardo Provenzano". Il figlio dell'ex sindaco di Palermo ha sostenuto che del super boss suo padre "aveva grande stima", rivelando che il capomafia "non aveva grandi problemi a muoversi in Italia e all'estero. Mio padre si preoccupava di essere un elemento a rischio per Provenzano per via del fatto che era agli arresti domiciliari e poteva subire controlli. Ma nonostante ciò Provenzano arrivava a Roma". L'appartamento in cui avvenivano gli incontri era in via San Sebastianello, a pochi passi da piazza di Spagna. Il teste ha parlato anche di incontri con Totò Riina, del quale però Vito Ciancimino "non aveva grande stima". Massimo Ciancimino ha anche riferito ai giudici del tribunale di Palermo di avere ricevuto minacce. Ha fatto riferimento a proiettili e messaggi intimidatori che sono stati lasciati davanti alla sua abitazione dieci giorni fa. Già in passato era stato oggetto di altri episodi intimidatori, che si erano verificati a Palermo e che erano stati denunciati. Infine Ciancimino ha spiegato che il suo rapporto di collaborazione con la giustizia "nasce con il dottor Falcone. Ma adesso la mia volontà a rendere dichiarazioni è arrivata solo dopo aver rilasciato un'intervista, in seguito alla quale sono stato chiamato dai magistrati". Provenzano ha rinunciato, per la prima volta da quando è stato aperto il dibattimento, a presenziare al processo in video collegamento. Il vecchio padrino di Corleone, amico del padre del teste, ha preferito restare in cella e non ascoltare i retroscena descritti da Ciancimino. L'esame del teste, sentito come imputato di reato connesso, assistito dall'avvocato Francesca Russo, è durato quasi quattro ore, durante le quali ha risposto alle domande del pm Nino Di Matteo. Breve è stato il controesame della difesa: l'unico a far domande è stato l'avvocato Leo Mercurio, difensore del medico Giovanni Mercadante. Il dibattimento è stato chiuso e rinviato al 7 maggio a Palermo.
02/05/2009
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