ROSARIO GIUÈ
Dunque, è dal superamento dello scontro tra cattolici e laici, dal loro mettersi insieme in vista del bene comune, che può sorgere in Italia una robusta «religione civile». In questa prospettiva, suggerisce il teologoVito Mancuso, i cattolici italiani dovrebbero mettere la propria fede a servizio del Paese pensandosi, nello spirito di due parabole evangeliche, «come seme che marcisce nel campo o come lievito che scompare nella pasta» senza curarsi tanto di una identità da difendere dal nemico laico o laicista. Fin qui Mancuso. E in Sicilia? In Sicilia più che la parabola del seme che marcisce nel campo o del lievito che si perde nella pasta della società, sul piano teologico si potrebbe richiamare un´altra parabola: quella del sale che perde il suo sapore. Se il sale (i cattolici) perde il suo sapore non serve ad altro che a essere gettato via e ad essere ritenuto inutile dagli uomini (società). Sì, anche in Sicilia non è nata una «religione civile». Ma non perché icattolici hanno dovuto affrontare il «nemico» ghibellino, il «nemico» laico o laicista. In Sicilia, dove i cattolici sono maggioranza e hanno governato per sessanta anni, non c´è stata nessuna guerra tra guelfi e ghibellini, tra laici e cattolici. Da noi i cattolici si sono fatti la guerra, semmai, tra loro. Qui la domanda «perché devo essere giusto verso la società? Perché devo esserlo anche quando la mia convenienza mi porterebbe a non esserlo?» forse nemmeno è mai sorta o quasi. Altrimenti come avrebbe potuto attecchirecosì fortemente la mafia? Come avrebbe potuto avere campo aperto la corruzione, come ci dice ancora l´attualità di questi giorni? Ovviamente tra i cattolici siciliani vi sono state personalità del calibro di Piersanti Mattarella che hanno vissuto l´esperienza di fede spendendola al servizio del bene comune, nel senso indicato da Mancuso. Ma sono state minoranza. Per persone come Mattarella l´unica contrapposizione daaffrontare non veniva dai «ghibellini» laici. Veniva da altri cattolici. Da altri cattolici che hanno badato essenzialmente ad usare la religione per conservare il consenso elettorale, al di là dei risultati della loro azione amministrativa. Spesso con un sostanziale silenzio della leadership ecclesiale. In una regione dove tutti o quasi ci tengono a dirsi cattolici, mafiosi compresi, la dialettica tra il lievito (i cattolici) e la pasta (la società) non esiste. Perché qui tutto è cattolico. Ma cosa è cristiano? Una formazione cattolica tesa a salvarsi l´anima (attenta sul piano etico essenzialmente sul peccato individuale) che non a salvarsi come comunità e, quindi, attenta a mettere l´accento sui peccati strutturali e collettivi (mafia, corruzione, abusivismo) è, a mio parere, alla base della debolezza del cattolicesimo siciliano. Se è così, probabilmente è la consistenza dello stesso cattolicesimo siciliano la questione su cui aprire una discussione serena. È la separazione tra forma del cattolicesimo (uso e abuso dei simboli cristiani) e l´essenza dell´essere cristiani ciò su cui si potrebbe riflettere per contribuire al nascere anche in Sicilia di una «religione civile» popolare e di liberazione.
LA REPUBBLICA, SABATO, 17 GENNAIO 2009
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