Dal piccolo villaggio di Kogelo all'Africa intera: "Un sogno si è avverato". E nel Paese dov'è parte della sua famiglia proclamata la festa nazionale
dal nostro inviato DANIELE MASTROGIACOMO
NAIROBI - L'urlo squarcia il silenzio dell'alba. Arriva dalle case, dai bar, dalle strade che inziano a riempirsi. E' ancora buio, ma le tv e le radio annunciano la vittoria di Barack Obama. La gente esulta, riparete la musica, apre le porte, si incontra sui pianerottoli. Così com'è: in pigiama, i capelli arruffati, gli sguardi stanchi, stravolti, segnati da una notte insonne. Ma felici, raggianti. L'impossibile è accaduto. Il sogno si è realizzato. Le prime parole del 44 presidente Usa, il primo presidente nero, si sentono in diretta da Chicago. Gli occhi della gente, che entra ed esce dalle case, che festeggia nei vicoli e nelle piazze del piccolo villaggio di Kogelo, a Kisumu e poi via via nel resto del paese, adesso sono lucidi, pieni di orgoglio, con le lacrime che iniziano a scendere, a rigare i visi. L'Africa intera è impazzita, stretta attorno ad un presidente che considera anche il suo. Barack Omana alla Casa Bianca qui significa più eguaglianza, più diritti, più certezze, più rispetto. E' un uomo di colore, è un afroamericano, ha quella sensibilità che centinaia di milioni di persone cercavano da tempo. Barack vuole dire speranza per nuovo lavoro, rilancio economico per lo sviluppo, impegni per nuovi rapportio internazionali. Chi è povero spera in un futuro più dignitoso; chi è ricco di continuare ad esserlo. Barack non fa paura, è il simbolo di un riscatto tanto atteso. E' il figlio dell'Africa e l'Africa oggi sente di contare di più. Di aver fornito l'uomo ora alla guida della più potente e influente nazione del mondo. La festa è esplosa subito a Kogelo, il piccolo villaggio dell'ovest del Kenya dove il nuovo presidente ha parte della sua famiglia. Lo spoglio delle schede è stato seguito per tutta la notte. Migliaia, forse decine di miglaiaia di persone, si sono radunate nella piazza principale e attraverso un mega schermo hanno visto le immagini che arrivavano dall'altra parte dell'Atlantico. Quando è stato annunciata ufficialmente la vittoria, quando è stato raggiunto il quorum, la folla ha iniziato ad abbracciarsi, a ballare, a muoversi in lungo in largo in danze, passi, ritmi che hanno finito per contagiare tutti. Il presidente del Kenya, Mwai Kibaki si è subito congratulato con Barack Obama con una telefonata fatta pochi minuti dopo la vittoria. Si è rivolto al popolo kenyota e ha annunciato che domani, venerdì, in tutto il paese ci sarà festa nazionale. Non si lavorerà, gli uffici resteranno chiusi, la gente avrà modo di festeggiare un elezione che Kibaki ha definito "storica". "Il presidente Obama", ha detto Kibaki, "è il nostro presidente. Dio ha risposto alle nostre preghiere. Questa vittoria ci fa del bene. Ne siamo orgogliosi. Obama ha qui parte delle sue radici, qui ha trovato parte del suo spirito, anche da qui ha ottenuto quella forza che lo ha portato verso un obiettivo che credevamo impossibile". Nel resto del Kenya, ma sappiamo anche in tanti altri paesi africani, la gente è come frastornata, fatica a credere quanto sia avvenuto. Sogna, pensa, immagina, si proietta in un futuro con nuove speranze, nuovi desideri, nuovi obiettivi. La vita scorre, uomini e donne vanno a lavorare, i ragazzi a scuola, gli albulanti nei mercati, gli impiegati nei ministeri, gli operai nelle fabbriche. Ma oggi è diverso. Si coglie negli sguardi sorridenti, bianchissimi, stampati sui visi neri, raggianti. Alzano le due dita in segno di vittoria, salutano, si muovono quasi ballando. Sorge il sole, la musica torna a rimepire strade e piazze. Barack Obama è salito sul podio più alto. Da stasera si festeggia davvero. Per due giorni consecutivi.
(La Repubblica, 5 novembre 2008)
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