Dietro al palco, alla manifestazione di sabato, ci sarà un grande pannello con una frase di Vittorio Foa. «Pensare agli altri oltre che a se stessi, al futuro oltre che al presente». Perché Vittorio, dice il segretario del Partito democratico Walter Veltroni, «aveva voglia di modernità e paura del passato: il contrario di una certa classe dirigente di questo paese. Era agli antipodi di coloro a cui il Pd dà fastidio e sperano e lavorano perché si frantumi. Io sono molto ottimista, invece, come Vittorio lo era. Sento crescere il fastidio verso un governo neopopulista che baratta la libertà con la capacità di decidere, che alimenta e si alimenta dell'insicurezza sociale e delle paure individuali».
«Un governo che si scaglia contro una civile manifestazione di dissenso come la nostra dimenticando che nel 2006 gridava in piazza “Contro il regime, per la libertà”. Ecco. Io non credo ai sondaggi, non credo alla politica fatta di ciò che conviene. Credo alla capacità degli italiani di capire, di vedere, di reagire. Ne abbiamo abbastanza di quella politica stanca che parla solo di se stessa, delle dinamiche delle tattiche delle strategie trasformistiche, delle parole vuote che non dicono più niente a nessuno. Abbiamo bisogno di riappropriarci subito, adesso delle nostre vite e di occuparcene: di dire no al razzismo delle classi differenziali, alla precarietà e all’insicurezza, alla mortificazione di chi insegna e di chi studia, alla tutela dei forti e al disprezzo dei deboli. L’Italia è diversa da come vorrebbero disegnarla, da come la vorrebbero».
Veltroni, lei è al centro di un’offensiva che vuole il Partito democratico debole e incerto. Anche nel centrosinistra ogni volta che si tratta di decidere riemergono forze contrarie. Pensi a quel che succede ogni volta che c’è da decidere un candidato sindaco: a Bologna, a Firenze. La paura del rinnovamento sembra avere radici ovunque. Sente di combattere due battaglie, una contro la destra e una dentro il partito?
«Sono due battaglie, è vero, ma di segno e di intensità molto distinte. C’è un’offensiva contro il Pd che arriva da destra di cui i giornali, in larghissima parte, si fanno strumento. Esiste in Italia davvero il rischio di un pensiero unico, Berlusconi si atteggia verso il Pd come certa stampa: a sinistra basta un refolo che diventa un uragano, a destra si dà per scontato che i partiti siano a gestione monocratica. A me piace il rumore, non il silenzio. Però constato che quando Berlusconi parla attorno a lui c’è silenzio, da noi qualsiasi cosa uno dica si alimenta lo “spirito critico”. Che va benissimo, certo. Il tema non è libertà contro democrazia. Tuttavia c’è un momento in cui bisogna smettere di lamentarsi e passare alla proposta. All’opposizione e alla proposta. Noi facciamo le primarie, le secondarie e le terziarie. Loro no, mai, loro rispondono al capo. Allora dico: non possiamo spaventarci delle primarie per scegliere un candidato sindaco, davvero no. Facciamole. A Bologna, a Firenze, dove serve. Cofferati ha fatto una scelta che capisco e condivido. Guardiamo avanti, adesso. Non abdichiamo alla direzione politica dei processi, scegliamo quel che è più utile e poi facciamo le primarie se è il caso però subito dopo venga una scelta di sobrietà, abbassiamo i toni, pensiamo all’interesse generale. Inoltre: chi perde le primarie si mette al servizio degli altri. In America Hillary Clinton fa campagna e la chiude al fianco di Obama».
C’è per caso un difetto congenito anche tra i giovani del Pd? Si parla molto di primarie a gestione verticistica.
«Ho spinto i giovani a sentirsi più un movimento che un piccolo partito, ho consigliato loro di candidarsi senza bisogno di farlo “per liste”. Ho chiesto ai dirigenti locali di lasciarli fare, di non imbrigliare i movimenti giovanili del Pd in logiche da partito bonsai. Spero che accada. Conto sull’energia dei ragazzi perché accada».
Poi c’è Di Pietro, ormai alla sua sinistra, che attacca. Lei ha detto: è rottura.
«Io dico la stessa cosa da mesi solo che l’altro giorno era domenica e non c’era di meglio, si vede, per fare un titolo. Di Pietro ha stracciato l’impegno col Pd: ha detto cose di noi che io non mi permetterei di dire di lui. Che noi siamo “pappa e ciccia con Berlusconi” e che siamo indistinguibili dal Pdl. Con Di Pietro abbiamo fatto un’alleanza elettorale ma abbiamo due modi di fare opposizione diversi. Io non direi proprio che lui sia “più a sinistra”. Su molti temi, su quelli sociali e su quelli dell’immigrazione, non lo sento. Questo non vuol dire che dobbiamo diventare avversari. Convergeremo quando potremo. Lo abbiamo fatto in Trentino cerchiamo di farlo in Abruzzo: oggi ho fatto un appello per una coalizione larga. Sono sicuro che troveremo una soluzione».
Torniamo alla manifestazione di sabato. È solo contro questo governo o porta una proposta di governo?
«È tutte e due le cose, naturalmente. È contro un governo che considera le manifestazioni di piazza una provocazione. Berlusconi è l’uomo che non ha esitato ad abbandonare il Parlamento quando bisognava risanare i conti per entrare nell’euro, è un uomo che non conosce il principio di responsabilità politica. Il Pd, per loro, è una pericolosa anomalia. Perché vuole una politica diversa, vuole parlare alle persone comuni di quel che riguarda le loro vite: penso al mondo della scuola, ai piccoli e medi imprenditori che aspettavano le grandi opere e una politica fiscale che non è arrivata, a chi lavora nella sicurezza a ha votato a destra, ma oggi è deluso, ai clandestini cha aumentano, alla cultura ambientale che cola a picco, al disprezzo del nostro mondo, del mondo di tutti, ai diritti, alla laicità dei diritti. Torna il grande insegnamento di Foa: pensare agli altri, non lamentarsi, non avere paura. Sabato saremo a pochi giorni dalle elezioni americane: da lì verrà un segnale per il mondo. Vedremo se un’America impaurita e piegata dalla crisi avrà il coraggio di votare un nero di 46 anni o la destra della signora Palin».
È di nuovo un discorso generazionale.
«Guardi, io avevo 38 anni quando sono andato a dirigere l’Unità. Avevo l’età di mio padre quando morì. Favorire il ricambio è un obbligo. Il futuro è l’unico posto dove possiamo andare. Certo senza perdere la memoria, e difatti non è solo un discorso di generazioni, questo: parlo di culture, di idee. Parlo di chi, qualunque età abbia, è già espressione di una nuova cultura democratica: molti dirigenti della Margherita e dei Ds lo sono, moltissimi. I nostri elettori lo sono. Voglio tornare allo spirito delle elezioni del 14 aprile, ripartire da lì. Abbiamo vinto, non perso, una grande battaglia. Il Partito democratico è il più giovane di tutti: ha un anno. Deve consolidare le sue radici, ha bisogno dell’amore e della cura di tutti noi: di tutti. Nessuno può tirarsi indietro».
Quali saranno i simboli, in piazza?
«Avremo le nostre bandiere. I nostri slogan. Sarà una manifestazione civilissima, un esempio di civiltà. Abbiamo preparato poster coi volti di Vittorio Foa, di Ingrid Betancourt, di Obama e di Roberto Saviano. Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo. Noi e il mondo insieme, perché la politica non è quella del nostro ombelico. La politica è pensare agli altri oltre che a se stessi, al futuro oltre che al presente. Guardare fuori, guardare dentro. Stare con la gente, saperla ascoltare. La politica è non avere paura».
L'Unità, 22.10.08
L'Unità, 22.10.08
Nessun commento:
Posta un commento