di Guido Piccoli
Ingrid Betancourt libera. Pochi mesi fa non ci credeva più nessuno. Sembrava che stesse morendo, che avesse finito la riserva di speranza. Ed era anche prigioniera di un destino che sembrava fatale. Era stata condannata a stare ancora nella selva a pagare colpe non sue, per un conflitto diventato senza regole. Intanto nel mondo era diventata famosa, compatita, ammirata, trasformata in icona. Ma anche assurta ad una fama che avrebbe potuto ammazzarla. Ingrid era infatti il vero jolly nelle mani delle Farc, mentre gli altri sequestrati e i prigionieri di guerra erano importanti soltanto per i loro familiari.
E subito dopo Ingrid, gli assi nella manica erano i tre agenti statunitensi, abbattuti col loro aereo-spia cinque anni fa. Proprio i tre liberati ieri, insieme con lei - e acon altri 11 ostaggi colombinai. Dopo tante preghiere e tanti inviti, le Farc (che hanno rischiato che morisse di malattia, ma soprattutto d'inedia, nelle loro mani) hanno perso il loro jolly, senza ottenere nemmeno un po' di considerazione in più nel mondo. Probabilmente - le notizie da Bogotà sono ancora incerte - sono stati presi in giro. I media colombiani parlano di una falsa operazione umanitaria, in cui l'esercito sarebbe riuscito a convocare il gruppo guerrigliero che custodiva gli ostaggi nella jungla meridionale del Guaviare. ma invece del nuovo capo delle Farc, Alfonso Cano, all'appuntamento si sarebbe presentato un elicottero militare, che avrebbe catturato i guerriglieri e liberato gli ostaggi.
Fino a pochi mesi fa le Farc erano state dure, forse più del necessario, con Betancourt. Non le avevano concesso nemmeno l'agognato dizionario enciclopedico (come ricordò nella celebre e toccante lettera alla madre Yolanda). Poi, qualcosa è cambiato. Fino alla fine di marzo scorso erano comandate da Manuel marulanda «Tirofijo», vecchio e inflessibile capo della guerriglia comunista più forte del mondo. Poi, Tirofijo morì d'infarto nella selva e, dopo una lunga e difficile discussione, fu sostituito da Alfonso Cano, l'unico membro del Secretariado ribelle ad essere cresciuto a Bogotà, in una famiglia medio-borghese, prima di entrare in clandestinità in montagna. I gossip, che non hanno confini e frontiere, parlarono persino di una love-stroy proprio tra Cano e la stessa Betancourt. Una stupidaggine, come tante altre, come l'altra love-story inventata tra Chavez e Naomi Campbell. Fatto sta che negli ultimi mesi, qualcosa tra i dipartimenti del Meta e Guaviare, nella selva pre-amazzonica colombiana, si è mosso nella direzione giusta. E magari anche a Caracas, dove Hugo Chavez, generando sorpresa generale e anche sconcerto tra il popolo di sinistra latinoamericano, chiese alle Farc di liberare tutti i sequestrati «in cambio di niente».
E così, improvvisamente, Ingrid è tornata libera. Potrà abbracciare i suoi figli, diventati maturi chiedendo in ogni capitale del mondo la liberazione della loro «mamà», la madre Yolanda che non ha avuto timore a scontrarsi duramente con la logica bellicista del presidente Alvaro Uribe, il suo ex marito diplomatico e l'uomo che le era compagno di vita al momento del suo sequestro, che insieme hanno fatto l'impossibile per rivederla libera. Ma appena si sarà ripresa, rimessa in forze, c'è da scommettere che tornerà a rischiare la vita per il suo paese. Ingrid è la candidata ideale per sconfiggere nel 2010 Alvaro Uribe al suo terzo tentativo di insediarsi a Palacio Nariño. E per far uscire la sua Colombia dalla guerra senza fine. I sei anni trascorsi nella selva l'hanno indebolita fisicamente, ma certamente rafforzata nelle convinzioni che ha sempre avuto: la violenza non porta a nulla, né ad impedire un cambiamento, né ad attuarlo. I colombiani da oggi hanno una speranza in più che li accompagna.
da Il Manifesto
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