di Giuseppe Cerasa*
Tutto cominciò con un camion polveroso, con dei ragazzi polverosi, con delle stalle polverose. Tutto cominciò con una raccolta di carta per autofinanziare il primo numero del Giornale del Corleonese. Ci toccò ripulire decine di cantine a Chiusa, Giuliana, Bisacquino, sotto gli occhi, a volte diffidenti, a volte affettuosamente compiaciuti, di chi vedeva quel drappello di matti, sicuramente comunisti, figli di piccoli borghesi o contadini agiati, rovistare nelle soffitte, nei garage. E poi pigiare su un camioncino grigio, polveroso, inguardabile, centinaia di chili di carta, di indecenze stampate e mai lette, per arrivare infine al macero e tirar fuori quelle 100 mila lire che sarebbero servite a finanziare un sogno. A far sbocciare l’idea che una piccola, agguerrita, informazione non omologata, potesse servire a cambiare il volto del Corleonese.
Con un giornale? Si, con un giornale. Noi volevamo contribuire a creare una nuova classe dirigente, capace di battere mafia e prepotenti, capace di portare luce e cultura in luoghi mai baciati dalla sorte, condannati al sottosviluppo e alla malversazione.
Progettualità, idee, consensi, indipendenza: parole d’ordine che si traducevano in voglia di libertà e di democrazia. E giù con i primi servizi, con le prime inchieste firmate da Franco, Maurizio, Nino, Pietro, Rosa, Michelangelo, Dino, Francesco, Anna Maria, Roberto, Ciro, Giuseppe e ancora Francesco. E giù con le assemblee per cercare di sensibilizzare la gente alla vigilia di elezioni amministrative apparentemente decisive (mai nulla é decisivo). Lo chiamammo il “giornale parlato” perché volevamo raccontare ai contadini, ai muratori, alle donne, agli studenti, agli impiegati, gli scenari di un sogno possibile.
A Prizzi fu un trionfo, a Giuliana anche, a Chiusa c’erano solo posti in piedi, a Bisacquino vennero anche i preti e qualche sciacallo politico che voleva provare a succhiare voti e consensi. Ebbe apparente fortuna, poi finì male e di lui si son perse, per fortuna, le tracce.
Poi arrivarono altri amici, il giornale si ingrandì, arrivò ad avere collaboratori a Bolognetta, Lercara, Marineo, Godrano. Si stampavano migliaia di copie. Il Giornale del Corleonese in edicola a Palermo (prezioso fu l’aiuto di Nicolò). Si puntò all’estero, provammo a far leva sui nostri emigrati che avevano voglia di sapere, che avevano bisogno di sperare. Nacque un ponte culturale e informativo con la Svizzera, con la Francia, la Germania, il Belgio, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, l’Australia, l’Olanda.
Si pensò ad un certo punto che il giornale potesse diventare quindicinale, poi anche settimanale. Noi continuammo a lavorarci senza beccare un soldo, ci buttavamo l’anima, discutevamo a volte anche animatamente, macinavamo serate ed esperienze irripetibili, dimostrando di essere uno sparuto nucleo di fanatici sognatori senza pudore.
Da una costola del giornale nacque finanche una cooperativa (quell’Alberobello nata per dimostrare come si possono saltare le intermediazioni e favorire dal basso lo sviluppo di contadini e campagne. Concetti di altre epoche. Purtroppo.
Per anni funzionò, e come se funzionò, e funziona ancora. Anni di gloria. Anni di speranze. Anni di vedrai che il mondo sta per cambiare. Poi accadde che il nostro sogno si infranse. Non ci furono litigi. Accadde che nuovi orizzonti si aprirono e alcune individualità decisero di esprimersi in modi differenti. E venne il tempo delle verifiche, dei bilanci, del buio. Ritornò a trionfare l’indifferenza. Venne il tempo della politica: qualcuno ci provò, qualcuno ci riuscì. Chissà se é servito.
La nostra vita nel frattempo é cambiata, quella del Corleonese non lo so. Ma la voglia di credere e lottare per un futuro migliore, per un futuro realmente libero, vi garantisco, non finirà mai.
* allora direttore responsabile del Giornale del Corleonese
FOTO. Il primo numero del giornale
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