di EUGENIO SCALFARI
L'ACCUSA che da sempre e ora più che mai viene lanciata contro Silvio Berlusconi è di essere populista. Non dico che non corrisponda a verità, ma dico che è soltanto una parte della verità anche perché c'è populismo e populismo. Mazzini - in ben altro modo - era un populista. Anche Garibaldi. Anche Bakunin. Ma a nessuno verrebbe in mente di paragonare Berlusconi a queste figure del passato. Per meglio definire il signore di Arcore è preferibile rifarsi a due grandi poeti romaneschi, Belli e Trilussa. Il primo, nel sonetto sull'"Editto" esordisce: "Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo / sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto". L'altro, ne "L'incontro de li sovrani" pone una domanda e dà una risposta del re: "E er popolo? Se gratta. E er resto? Va da sé". Il populismo del re (o del demagogo aspirante dittatore, affetto da bulimia del potere) è cosa del tutto diversa dal populismo del rivoluzionario. Berlusconi appartiene a questa categoria. Vellica gli istinti peggiori che ci sono in tutti gli esseri umani. Impastando insieme illusorie promesse, munificenza, bugie elette a sistema, tentazioni corruttrici, potere mediatico. Una miscela esplosiva, capace di manipolare e modificare in peggio l'antropologia d'un intero paese. Ottant'anni fa Mussolini fece altrettanto; non a caso il suo giornale, affidato alla direzione di suo fratello Arnaldo, fu chiamato "Il popolo d'Italia". Il popolo?: "Se gratta e guarda la fregata che sul mare scintilla" scrisse Trilussa. E purtroppo di quel suo grattarsi non pare abbia conservato sufficiente memoria.
Quest'atteggiamento del "boss" spiega tante cose, a cominciare da quel suo "vibrare" davanti alla platea radunata da Storace che lo accolse con le braccia levate nel saluto romano scandendo il "duce duce" d'infausta memoria. La sua operazione politica del nuovo partito è da questo punto di vista perfetta: lo sottrae ad una cocente sconfitta, realizza i bagni di folla di cui ha perenne bisogno come dell'aria che respira, aggancia la sua demagogia e il suo populismo alla destra fascista e alle sue pulsioni; infine scatena la sua vendetta contro i "traditori" che lui (sono parole sue) "ha tirato fuori dalle fogne e nelle fogne li rimanderà". Ineccepibile, non c'è che dire. * * * Veltroni lo incontrerà venerdì dopo aver visto domani Fini, poi Casini e per ultimi, lunedì 3 dicembre, quelli della Lega. Tema: una nuova legge elettorale, ma anche modifiche istituzionali e costituzionali, riforme dei regolamenti parlamentari, Senato federale. Berlusconi ha posto una condizione: la trattativa dovrà riguardare soltanto la legge elettorale, votata la quale la legislatura si chiude e il popolo è chiamato al voto che dovrà avvenire entro la primavera del 2008. Veltroni ha già risposto che questa condizione è inaccettabile, abbinare il negoziato alla caduta del governo Prodi non è nelle sue intenzioni oltre ad essere un accordo di natura anticostituzionale, quindi nessuna elezione politica fino a quando il governo sarà legittimamente in carica. Con queste premesse i due si incontreranno. Berlusconi punta ad una legge proporzionale (alla tedesca) come del resto vorrebbe anche Casini; Veltroni preferisce un proporzionale corretto in senso maggioritario, come vorrebbe anche Fini. Come finirà? Penso che Berlusconi accetterà di negoziare abbandonando la pregiudiziale della caduta del governo Prodi. Negoziato lungo. Tanto - pensa lui - Prodi cadrà egualmente, pugnalato da Bruto, cioè da Lamberto Dini. Questione di giorni. * * * Però, a pensarci bene, mandare Prodi a gambe levate non conviene al signore di Arcore. Il Quirinale a quel punto ha l'obbligo di cercare una nuova maggioranza. Ebbene, la nuova maggioranza per un governo "di scopo" che porti avanti la legislatura fino a quando le riforme istituzionali ed elettorali siano state realizzate ed attui la Finanziaria e i suoi collegati, è sulla carta disponibile: la maggioranza attuale più An e Udc. Per un governo "di scopo". Maggioranza di emergenza. Conviene a Berlusconi? Sarebbe di fatto una sua piena sconfitta. Se non ha del tutto perso la ragione, a lui conviene tenersi Prodi e andare avanti nella trattativa rinunciando all'appuntamento elettorale. Sarebbe una sconfitta anche questa ma almeno senza l'onta di vedere i suoi ex delfini traditori riprender confidenza con il potere. Dalla padella alla brace. Scelta difficile ma obbligata: la padella è meglio. Quanto a Dini, se il governo non gli offre un pretesto valido non può esser così scriteriato da fare la parte di Bruto che non ha mai portato fortuna a nessuno. Ma poi quale Bruto? Quali ideali? Quale prospettiva politica? Andrebbe a far compagnia a Schifani e a Cicchitto, a Dell'Utri e alla Brambilla; una compagnia già troppo numerosa per lasciare spazio ad un nuovo venuto, ex traditore anche lui. Non sembra credibile. Andrebbe forse con Casini mentre Casini tratta a sua volta con Veltroni? Sarebbe imbarazzante. Per un piatto, anzi un piattino di lenticchie e senza primogenitura. Dini può condizionare soltanto Prodi. Col risultato di rafforzarlo. Oppure di farlo cadere se la sinistra dovesse votargli contro sul voto di fiducia. Bertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio come Bruto? Mentre anche loro sono chiamati a negoziare sulle riforme? Tutto questo per ottenere qualche briciola sui lavori usuranti e sullo "staff leasing"? Ma siamo seri! * * * Quale legge elettorale? Alla fin fine sarà la proporzionale tedesca con qualche (modesta) correzione maggioritaria che favorisca i partiti di maggiori dimensioni. Entreranno in Parlamento sei partiti: il partito del popolo berlusconiano, il partito democratico, An, Udc, Lega, Sinistra radicale (Cosa rossa). Verdi, socialisti, radicali, dipietrini dovranno accasarsi a sinistra in qualche modo. A guardare le cose così - e non vedo in quale altro modo guardarle - non esisterebbe una maggioranza. A meno che i berlusconiani e/o il Pd non riescano a sfondare portandosi in vista del 40 per cento dei voti. È possibile un esito elettorale del genere? Possibile sì, probabile non direi. I berlusconiani al 40 per cento dovrebbero aver risucchiato almeno metà dei voti di An costringendo Fini a rientrare nei ranghi insieme alla Lega. E il Pd? * * * Qui si apre un discorso molto serio che va oltre le contingenze emergenziali dettate dall'attualità. Riguarda i tanti lavoratori e pensionati che hanno votato Berlusconi, i tanti giovani che non votano, i tanti delusi di sinistra che non votano più. I tanti imprenditori di piccola e media dimensione che stanno tra il leghismo e il riformismo. Le tante "casalinghe" che pensano al futuro dei loro figli. Insomma il paese spaesato che vuole onestà ed efficienza, innovazione e laicità religiosa. Che vuole fare da sé ma in un quadro politico che lo orienti e lo aiuti a fare da sé. Il Partito democratico ha la potenzialità per compiere questo miracolo se saprà esprimere, interpretare e dare concrete risposte ai bisogni, ai desideri e ai sogni di questo settore maggioritario del paese. Politologi e sondaggisti travestiti da politologi pensano che i voti fluttuanti capaci di cambiare partito tra un'elezione e l'altra siano un piccolo settore del corpo elettorale e questo è vero quando si fronteggino due solidi blocchi con solide appartenenze in mezzo ai quali si interponga uno strato sottile di elettori "centrali" che di volta in volta si muovano verso destra o verso sinistra. Ma non è più vero quando il quadro è frammentato, i blocchi e le appartenenze sono fragili e la politica cosiddetta dei due forni non è possibile. Non concordo con quanti sostengono che un ritorno al proporzionale significhi ritorno alla Prima Repubblica. Allora c'era un partito di centro - la Democrazia cristiana - largamente dominante. La politica dei due forni era lei a farla, scegliendo di volta in volta i suoi alleati. Il sistema proporzionale (come ha scritto giustamente Giovanni Sartori) funzionava di fatto come un sistema bipolare: Dc da una parte, Pci dall'altra. Bipolare ma senza alternanza. Oggi il problema è quello di costruire un partito di maggioranza sul quale convergano riformisti seri e liberali altrettanto seri. Ceti che abbiano capito il valore democratico delle istituzioni, il valore di agire in un quadro europeo, il valore di collocare l'Italia nel processo di globalizzazione cogliendone i vantaggi e limitandone i danni. Riconquistando la fiducia del Nord e rilanciando il Sud come investimento nazionale e internazionale. Questa mi sembra essere la vocazione del Partito democratico e ad essa dovranno dedicarsi quelli che l'hanno voluto e i tanti che hanno compreso e partecipato al progetto. Berlusconi ha detto l'altro ieri ai suoi ex alleati "Voi tenetevi il progetto, io mi prenderò i voti". Sembra una battuta più o meno felice, ma il dramma dell'ex centrodestra è che quella battuta corrisponde esattamente al pensiero e alla personalità del suo autore. Il quale vede gli italiani come un popolo da accalappiare a forza di battutacce, barzellette grevi e carisma personal-mediatico. Con questi ingredienti non si va da nessuna parte, il paese resta fermo o regredisce, come di fatto è avvenuto. Il centrosinistra ha anch'esso rilevanti responsabilità nello stallo in cui ci troviamo da anni. Ma - non scordiamolo mai - ha compiuto una riforma di inestimabile valore portando l'Italia in Europa e nell'area della moneta europea, senza la quale a quest'ora saremmo rimbalzati in una condizione da Terzo Mondo. Ora ci vuole uno scatto di qualità e di quantità, al quale sono chiamati tutti gli italiani. Riguarda infatti il Partito democratico ma anche la sinistra e i cittadini che sentono con maggiore sensibilità tradizioni liberali e moderate. Tutti sono interessati a far emergere le potenzialità delle quali l'Italia dispone. Questa è la vera maggioranza e questo dev'essere il progetto comune delle persone di buona volontà. I voti, quali che siano le battute della demagogia berlusconiana, verranno insieme al progetto, motivate dal progetto e con la volontà di attuarlo. * * * Non ho nulla da aggiungere a quanto ha già scritto il direttore di "Repubblica" sullo scandalo Rai-Mediaset, sull'operazione "Delta", sulla sua eccezionale gravità e sulla necessità di affrontarlo con appropriate terapie. Affrontarlo subito, perché è in gioco il mercato dell'informazione, la sua qualità e i suoi effetti sulla formazione della coscienza nazionale. Aggiungo a quanto hanno scritto Giovanni Valentini, Michele Serra e Giuseppe D'Avanzo due considerazioni. La prima riguarda la cosiddetta "fuga di notizie" a proposito delle intercettazioni telefoniche nel processo per bancarotta della società controllata dall'ex sondaggista di Berlusconi. La fase istruttoria è chiusa da tempo, tutti gli atti relativi sono stati depositati nella cancelleria del Tribunale di Milano a disposizione delle parti e quindi sono pubblici. La cosa stupefacente è che vi siano ancora recriminazioni sulla "fuga" di queste notizie che non sono più soggette ad alcun obbligo di secretazione. La seconda osservazione riguarda la terapia affinché la Rai cessi di essere un corpaccione dominato dai partiti e dalle camarille interne e divenga invece un'azienda indipendente, incaricata di compiere il servizio pubblico dell'informazione. Non parlo ovviamente della necessità di accertare i fatti e sanzionarne severamente gli autori: è un atto dovuto. Parlo della necessità di trasformare l'azienda scrostandola dalle camarille interne e dalla pressione esterna-interna dei partiti. C'è un solo modo per farlo: trasferire la proprietà dell'azienda dal governo ad una Fondazione i cui dirigenti siano designati dal Presidente della Repubblica e da altre Autorità indipendenti. La Commissione di vigilanza dev'essere a mio avviso abolita perché ha la sola funzione, non più accettabile, di tutelare i partiti. La Fondazione avrà il potere di nominare l'organo di amministrazione dell'azienda e questo nominerà i direttori delle reti e dei telegiornali oltre che gestire le risorse e gli investimenti. Non è cosa difficile e non richiede molto tempo ma soltanto volontà politica. E urgenza. Una volta che la Rai sia di proprietà d'una Fondazione indipendente dalla politica, anche il problema del conflitto d'interessi sarà risolto, almeno per questa parte che è poi quella essenziale. Non aspettate, per favore, neppure un minuto di più.
(La Repubblica, 25 novembre 2007)
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