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Nino Agostino |
Fare memoria è un impegno, un dovere che sentiamo di dover rendere a quanti sono stati uccisi per mano delle mafie, un impegno verso i familiari delle vittime, verso la società tutta ma, prima ancora, verso le nostre coscienze di cittadini, di laici e di cristiani, di uomini e donne che vivono il proprio tempo senza rassegnazione. Per non darla vinta ai mafiosi e ai violenti di ogni risma, è necessario che nessuna vittima dell’ingiustizia diventi un nome senza storia. La storia dell'agente di polizia Nino Agostino, ucciso il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini insieme alla moglie Ida Castellucci, incinta di una bambina, è certamente una delle più drammatiche ed oscure vicende della storia di un'Italia retta, allora come adesso, da poteri deviati e da un antistato che troppo spesso diviene Stato. Sulla morte di Nino Agostino non è ancora stata fatta luce ed i suoi assassini, insieme ai mandanti, sono a tutt'oggi uomini liberi esattamente come qualsiasi altro onesto padre di famiglia. Sul fascicolo relativo alle indagini sul suo assassinio è stato apposto quello che non si può esitare a definire "il sigillo della vergogna" ovvero il Segreto di Stato. Nino e Ida, quel giorno, si trovavano davanti alla villa di famiglia per partecipare al compleanno della sorella di Nino. Furono crivellati di colpi da due sicari in motocicletta sotto gli occhi dei genitori Vincenzo ed Augusta. Suo padre, Vincenzo Agostino, un anziano uomo che ha percorso qualsiasi strada pur di ottenere giustizia da quello Stato per il quale suo figlio Nino ha consapevolmente sacrificato la vita, ha promesso di non tagliare più la propria barba bianca fino a che non otterrà quello che gli spetta: giustizia per suo figlio, per la sua famiglia, per la nuora Ida e per sua nipote mai nata. Di recente, nel registro degli indagati in merito all'inchiesta sulla morte di Nino Agostino e della moglie Ida Castellucci, è stato iscritto Guido Paolilli, poliziotto in pensione, indagato per favoreggiamento aggravato e continuato a Cosa Nostra. Il collega e amico di Nino Agostino che svolse le indagini immediatamente dopo la sua morte, fornì una pista che conduceva ad un "delitto passionale". In Sicilia questa è quasi una tradizione che, se non fosse perchè si tratta di omicidi, verrebbe a buon diritto inserita negli almanacchi di storia e cultura popolare; prima li ammazzano e poi li fanno passare per pazzi o puttanieri. L' iscrizione nel registro degli indagati è scattata in seguito ad una conversazione intercettata a marzo nella sua casa di Montesilvano a Pescara. Paolilli ed il figlio stavano ascoltando, su RAI UNO, Vincenzo Agostino, padre dell'agente, che in quel frangente citava le parole scritte su un biglietto trovato nel portafogli di Nino: "Se mi succede qualcosa andate a cercare nell’armadio di casa”. Il figlio di Paolilli, chiedendo al padre quale fosse il contenuto dell'armadio, si sentì rispondere: "Una freca di carte che ho distrutto". Sul conto di Paolilli anche Vincenzo Agostino ha rivelato elementi interessanti: "un giorno Guido Paolilli, che era amico di mio figlio, insistette per venire con noi al cimitero. Incalzato dalle nostre domande sulle indagini, disse che la scoperta della verità non avrebbe fatto piacere. Disse pure che avrebbe fatto il possibile per mostrarci sei fogli". I sei fogli non sono mai stati mostrati alla famiglia Agostino, né ve ne è più traccia. Paolilli ha dichiarato che i sei fogli vennero sequestrati durante la terza perquisizione nell'appartamento di Nino Agostino. Negli atti della Squadra Mobile risultano però solo due perquisizioni. Un'altra incongruenza di non poco conto nelle dichiarazioni di Paolilli è quella relativa alle mansioni svolte. Paolilli ha dichiarato di svolgere servizio presso il nucleo scorte ma diversi suoi colleghi hanno asserito, smentendolo, che l'indagato svolgeva attività antimafia. Paolilli era persona di fiducia di Bruno Contrada ed ha testimoniato a sua difesa nel processo a suo carico. Si riferiva proprio a Paolilli l’agente Agostino quando disse ad un collega: "Sto collaborando con un amico per la cattura di latitanti"?. Ad oggi esiste un solo pentito che ha raccontato di questo omicidio: Oreste Pagano, il quale ha affermato "Ero al matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada. C’era un rappresentante dei clan palermitani, Gaetano Scotto. Alfonso Caruana mi disse che aveva ucciso un poliziotto perché aveva scoperto i collegamenti fra le cosche ed alcuni componenti della Questura. Anche la moglie sapeva, per questo morì". I servizi segreti italiani hanno sempre negato che l'agente Agostino abbia svolto servizio presso il SISMI ma la recente riapertura delle indagini sarebbe giustificata dal ritrovamento di nuovi documenti nell'archivio della Squadra Mobile che attesterebbero l’attività di antimafia del poliziotto tra le fila dei servizi segreti. Inoltre, una nota riservata del 1993 a firma del capo del centro di controspionaggio di Palermo alla prima divisione Sismi di Roma, testimonia il grande interesse dei servizi nei confronti dell'operato dei giudici inquirenti sulla morte del poliziotto: "Centro controspionaggio di Palermo. Riservato. Oggetto: riapre l’indagine sul delitto Agostino. Data 5 marzo 1993. Secondo quanto è stato possibile apprendere il gip titolare dell’inchiesta sarebbe in possesso di due memoriali consegnati dai familiari dell’Agostino e del Piazza che avrebbero indotto il magistrato a riaprire i due casi, unificandoli. Nei memoriali di cui sopra, acquisiti dal gip, pare che siano contenute affermazioni di una certa gravità in merito al noto episodio del rinvenimento di un ordigno esplosivo nell’estate del 1989 presso la villa all’Addaura del dottor Falcone". In Italia ormai è prassi avere due VERITA’: la verità giuridica (determinata dalle sentenze) e la verità “storica” (determinata da fatti certi ma che, per varie ragioni, non hanno portato ad una sentenza di condanna dei colpevoli). In questa Nazione esistono le vittime innocenti di mafia di “serie B”, i cui familiari spesso non hanno nemmeno il “diritto” di conoscere la verità storica perché essa si può avere forse, soltanto, se a chiederla sono la maggioranza dei cittadini (“se l’Italia tutta chiederà la verità lo Stato non potrà sottrarsi a questa richiesta” A. INGROIA). La ricerca della verità, in uno Stato di diritto, dovrebbe chiamarsi “INTERESSE NAZIONALE”, qui invece, dove la giustizia è diventata un lusso per pochissimi eletti, l’OMERTA’ DI STATO è la realtà che fronteggiano giornalmente queste famiglie abbandonate e, che si vorrebbe, relegate al silenzio. A febbraio 2011 è partita una petizione per togliere il “segreto di stato” sul caso VOLTA A SCOPRIRE TUTTA LA VERITA’; ad oggi hanno firmato poco più di 1.500 persone.
Benedetto Randazzo
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