1° Quesito sull Acqua Pubblica
"Volete voi che sia abrogato l'art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n.133, come modificato dall'art.30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n.99 recante "Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia" e dall'art.15 del decreto legge 25 settembre 2009, n.135, recante "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea" convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n.166, nel testo risultante a seguito della sentenza n.325 del 2010 della Corte costituzionale?".
2° Quesito sull Acqua Pubblica
(Quesito promosso dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua)
"Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell'art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "Norme in materia ambientale",
Legittimo impedimento
"Volete voi che siano abrogati l'articolo 1, commi 1, 2, 3, 5, 6 nonchè l'articolo 2 della legge 7 aprile 2010 numero 51 recante "disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza?".
Energia Nucleare
«Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,
nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni
successive, recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico,
la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria", limitatamente alle
seguenti parti:
art. 7, comma 1, lettera d: "d) realizzazione nel territorio
nazionale di impianti di produzione di energia nucleare;";
nonche' la legge 23 luglio 2009, n. 99, nel testo risultante per
effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante
"Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle
imprese, nonche' in materia di energia", limitatamente alle seguenti
parti:
art. 25, comma 1, limitatamente alle parole: "della
localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di
energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del
combustibile nucleare,";
art. 25, comma 1, limitatamente alle parole: "Con i medesimi
decreti sono altresi' stabiliti le procedure autorizzative e i
requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attivita' di
costruzione, di esercizio e di disattivazione degli impianti di cui
al primo periodo.";
art. 25, comma 2, lettera c), limitatamente alle parole: ", con
oneri a carico delle imprese coinvolte nella costruzione o
nell'esercizio degli impianti e delle strutture, alle quali e' fatto
divieto di trasferire tali oneri a carico degli utenti finali";
art. 25, comma 2, lettera d), limitatamente alle parole: "che i
titolari di autorizzazioni di attivita' devono adottare";
art. 25, comma 2, lettera g), limitatamente alle parole: "la
costruzione e l'esercizio di impianti per la produzione di energia
elettrica nucleare e di impianti per";
art. 25, comma 2, lettera g), limitatamente alla particella "per"
che segue le parole "dei rifiuti radioattivi o";
art. 25, comma 2, lettera i): "i) previsione che le approvazioni
relative ai requisiti e alle specifiche tecniche degli impianti
nucleari, gia' concesse negli ultimi dieci anni dalle Autorita'
competenti di Paesi membri dell'Agenzia per l'energia nucleare
dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(AENOCSE) o dalle autorita' competenti di Paesi con i quali siano
definiti accordi bilaterali di cooperazione tecnologica e industriale
nel settore nucleare, siano considerate valide in Italia, previa
approvazione dell'Agenzia per la sicurezza nucleare;";
art. 25, comma 2, lettera l), limitatamente alle parole: "gli
oneri relativi ai";
art. 25, comma 2, lettera l), limitatamente alle parole: "a
titolo oneroso a carico degli esercenti le attivita' nucleari e
possano essere";
art. 25, comma 2, lettera n): "n) previsione delle modalita'
attraverso le quali i produttori di energia elettrica nucleare
dovranno provvedere alla costituzione di un fondo per il
«decommissioning»;";
art. 25, comma 2, lettera o), limitatamente alla virgola che segue
le parole "per le popolazioni";
art. 25, comma 2, lettera o), limitatamente alle parole: ", al
fine di creare le condizioni idonee per l'esecuzione degli interventi
e per la gestione degli impianti";
art. 25, comma 2, lettera q): "q) previsione, nell'ambito delle
risorse di bilancio disponibili allo scopo, di una opportuna campagna
di informazione alla popolazione italiana sull'energia nucleare, con
particolare riferimento alla sua sicurezza e alla sua economicita'.";
art. 25, comma 3: "Nei giudizi davanti agli organi di giustizia
amministrativa che comunque riguardino le procedure di progettazione,
approvazione e realizzazione delle opere, infrastrutture e
insediamenti produttivi concernenti il settore dell'energia nucleare
e relative attivita' di espropriazione, occupazione e asservimento si
applicano le disposizioni di cui all'art. 246 del codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.";
art. 25, comma 4: "4. Al comma 4 dell'articolo 11 del decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79, dopo le parole: «fonti energetiche
rinnovabili» sono inserite le seguenti: «, energia nucleare prodotta
sul territorio nazionale».";
art. 26;
art. 29, comma 1, limitatamente alle parole: "gli impieghi
pacifici dell'energia nucleare,";
art. 29, comma 1, limitatamente alle parole: "sia da impianti di
produzione di elettricita' sia";
art. 29, comma 1, limitatamente alle parole: "costruzione,
l'esercizio e la";
art. 29, comma 4, limitatamente alle parole: "nell'ambito di
priorita' e indirizzi di politica energetica nazionale e";
art. 29, comma 5, lettera c), limitatamente alle parole: "sugli
impianti nucleari nazionali e loro infrastrutture,";
art. 29, comma 5, lettera e), limitatamente alle parole: "del
progetto, della costruzione e dell'esercizio degli impianti nucleari,
nonche' delle infrastrutture pertinenziali,";
art. 29, comma 5, lettera g), limitatamente alle parole: ",
diffidare i titolari delle autorizzazioni";
art. 29, comma 5, lettera g), limitatamente alle parole: "da
parte dei medesimi soggetti";
art. 29, comma 5, lettera g), limitatamente alle parole: "di cui
alle autorizzazioni";
art. 29, comma 5, lettera g), limitatamente alla parola:
"medesime";
art. 29, comma 5, lettera h): "h) l'Agenzia informa il pubblico
con trasparenza circa gli effetti sulla popolazione e sull'ambiente
delle radiazioni ionizzanti dovuti alle operazioni degli impianti
nucleari ed all'utilizzo delle tecnologie nucleari, sia in situazioni
ordinarie che straordinarie;";
art. 29, comma 5, lettera i), limitatamente alle parole:
"all'esercizio o";
art. 41, comma 1, limitatamente alle parole: "la produzione di
energia elettrica da fonte nucleare,";
nonche' il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, nel testo
risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive,
recante "Disciplina della localizzazione, della realizzazione e
dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di
energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del
combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile
irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' misure compensative e
campagne informative al pubblico, a norma dell'art. 25 della legge 23
luglio 2009, n. 99″, limitatamente alle seguenti parti:
il titolo del decreto legislativo, limitatamente alle parole:
"della localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel
territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica
nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare,";
il titolo del decreto legislativo, limitatamente alle parole: "e
campagne informative al pubblico";
art. 1, comma 1, limitatamente alle parole: "della disciplina
della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di
produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di
fabbricazione del combustibile nucleare,";
art. 1, comma 1, lettera a): "a) le procedure autorizzative e i
requisiti soggettivi degli operatori per lo svolgimento nel
territorio nazionale delle attivita' di costruzione, di esercizio e
di disattivazione degli impianti di cui all'art. 2, comma 1, lettera
e), nonche' per l'esercizio delle strutture per lo stoccaggio del
combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi ubicate nello
stesso sito dei suddetti impianti e ad essi direttamente connesse;";
art. 1, comma 1, lettera b): "b) il Fondo per la disattivazione
degli impianti nucleari;";
art. 1, comma 1, lettera c): "c) le misure compensative relative
alle attivita' di costruzione e di esercizio degli impianti di cui
alla lettera a), da corrispondere in favore delle persone residenti,
delle imprese operanti nel territorio circostante il sito e degli
enti locali interessati;";
art. 1, comma 1, lettera d), limitatamente alle parole: "e
future";
art. 1, comma 1, lettera g): "g) un programma per la definizione
e la realizzazione di una «Campagna di informazione nazionale in
materia di produzione di energia elettrica da fonte nucleare»;";
art. 1, comma 1, lettera h): "h) le sanzioni irrogabili in caso
di violazione delle norme prescrittive di cui al presente decreto.";
art. 2, comma 1, lettera b): "b) «area idonea» e' la porzione di
territorio nazionale rispondente alle caratteristiche ambientali e
tecniche ed ai relativi parametri di riferimento che qualificano
l'idoneita' all'insediamento di impianti nucleari;";
art. 2, comma 1, lettera c): "c) «sito» e' la porzione dell'area
idonea che viene certificata per l'insediamento di uno o piu'
impianti nucleari;";
art. 2, comma 1, lettera e): "e) «impianti nucleari» sono gli
impianti di produzione di energia elettrica di origine nucleare e gli
impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, realizzati nei
siti, comprensivi delle opere connesse e delle relative pertinenze,
ivi comprese le strutture ubicate nello stesso sito per lo stoccaggio
del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi direttamente
connesse all'impianto nucleare, le infrastrutture indispensabili
all'esercizio degli stessi, le opere di sviluppo e adeguamento della
rete elettrica di trasmissione nazionale necessarie all'immissione in
rete dell'energia prodotta, le eventuali vie di accesso specifiche;";
art. 2, comma 1, lettera f): "f) «operatore» e' la persona fisica
o giuridica o il consorzio di persone fisiche o giuridiche che
manifesta l'interesse ovvero e' titolare di autorizzazione alla
realizzazione ed esercizio di un impianto nucleare;";
art. 2, comma 1, lettera i), limitatamente alle parole:
"dall'esercizio di impianti nucleari, compresi i rifiuti derivanti";
art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: ", con il quale sono
delineati gli obiettivi strategici in materia nucleare, tra i quali,
in via prioritaria, la protezione dalle radiazioni ionizzanti e la
sicurezza nucleare";
art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: "la potenza
complessiva ed i tempi attesi di costruzione e di messa in esercizio
degli impianti nucleari da realizzare,";
art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: "valuta il contributo
dell'energia nucleare in termini di sicurezza e diversificazione
energetica,";
art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: ", benefici economici
e sociali e delinea le linee guida del processo di realizzazione";
art. 3, comma 2: "2. La Strategia nucleare costituisce parte
integrante della strategia energetica nazionale di cui all'art. 7 del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.";
art. 3, comma 1, lettera a): "a) l'affidabilita' dell'energia
nucleare, in termini di sicurezza nucleare ambientale e degli
impianti, di eventuale impatto sulla radioprotezione della
popolazione e nei confronti dei rischi di proliferazione;";
art. 3, comma 3, lettera b): "b) i benefici, in termini di
sicurezza degli approvvigionamenti, derivanti dall'introduzione di
una quota significativa di energia nucleare nel contesto energetico
nazionale;";
art. 3, comma 3, lettera c): "e) gli obiettivi di capacita' di
potenza elettrica che si intende installare in rapporto ai fabbisogni
energetici nazionali ed i relativi archi temporali;";
art. 3, comma 3, lettera d): "d) il contributo che si intende
apportare, attraverso il ricorso all'energia nucleare, in quanto
tecnologia a basso tenore di carbonio, al raggiungimento degli
obiettivi ambientali assunti in sede europea nell'ambito del
pacchetto clima energia nonche' alla riduzione degli inquinanti
chimico-fisici;";
art. 3, comma 3, lettera e): "e) il sistema di alleanze e
cooperazioni internazionali e la capacita' dell'industria nazionale
ed internazionale di soddisfare gli obiettivi del programma;";
art. 3, comma 3, lettera f): "f) gli orientamenti sulle modalita'
realizzative tali da conseguire obiettivi di efficienza nei tempi e
nei costi e fornire strumenti di garanzia, anche attraverso la
formulazione o la previsione di emanazione di specifici indirizzi;";
art. 3, comma 3, lettera g), limitatamente alle parole: "impianti
a fine vita, per i nuovi insediamenti e per gli";
art. 3, comma 3, lettera h): "h) i benefici attesi per il sistema
industriale italiano e i parametri delle compensazioni per
popolazione e sistema delle imprese;";
art. 3, comma 3, lettera i): "i) la capacita' di trasmissione
della rete elettrica nazionale, con l'eventuale proposta di
adeguamenti della stessa al fine di soddisfare l'obiettivo prefissato
di potenza da installare;";
art. 3, comma 3, lettera 1): "1) gli obiettivi in materia di
approvvigionamento, trattamento e arricchimento del combustibile
nucleare.";
l'intero Titolo II, rubricato "Procedimento unico per la
localizzazione, la costruzione e l'esercizio degli impianti nucleari;
disposizioni sui benefici economici per le persone residenti, gli
enti locali e le imprese; disposizioni sulla disattivazione degli
impianti", contenente gli articoli da 4 a 24;
art. 26, comma 1, limitatamente alle parole: "della
disattivazione";
art. 26, comma 1, lettera d), limitatamente alle parole: "riceve
dagli operatori interessati al trattamento ed allo smaltimento dei
rifiuti radioattivi il corrispettivo per le attivita' di cui all'art.
27, con modalita' e secondo tariffe stabilite con decreto del
Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero
dell'economia e finanze, ed";
art. 26, comma 1, lettera d), limitatamente alle parole: ",
calcolate ai sensi dell'art. 29 del presente decreto legislativo";
art. 26, comma 1, lettera e), limitatamente alle parole: ", al
fine di creare le condizioni idonee per l'esecuzione degli interventi
e per la gestione degli impianti";
art. 27, comma 1, limitatamente alle parole: "e sulla base delle
valutazioni derivanti dal procedimento di Valutazione Ambientale
Strategica di cui all'art. 9″;
art. 27, comma 4, limitatamente alle parole: ", comma 2″;
art. 27, comma 10, limitatamente alle parole: "Si applica quanto
previsto dall'art. 12.";
art. 29;
art. 30, comma 1, limitatamente alle parole: "riferito ai rifiuti
radioattivi rinvenienti dalle attivita' disciplinate dal Titolo II
del presente decreto legislativo ed uno riferito ai rifiuti
radioattivi rinvenienti dalle attivita' disciplinate da norme
precedenti";
art. 30, comma 2: "2. Per quanto concerne i rifiuti radioattivi
derivanti dalle attivita' disciplinate dal Titolo II del presente
decreto legislativo, il contributo di cui al comma 1 e' posto a
carico della Sogin S.p.A. secondo criteri definiti con decreto del
Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro
dell'ambiente e la tutela del territorio e del mare e con il Ministro
dell'economia e finanze che tiene conto del volume complessivo e del
contenuto di radioattivita'. Tale contributo e' ripartito secondo
quanto previsto all'art. 23 comma 4.";
art. 30, comma 3: "3. La disposizione di cui al comma 2 non si
applica ai rifiuti radioattivi derivanti da attivita' gia' esaurite
al momento dell'entrata in vigore del presente decreto, per i quali
rimane ferma la disciplina di cui all'art. 4 del decreto-legge 14
novembre 2003, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 24
dicembre 2003, n. 368, cosi' come modificato dall'art. 7-ter del
decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con
modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n 13.";
l'intero Titolo IV, rubricato "Campagna di informazione",
contenente gli articoli 31 e 32;
art. 33;
art. 34;
art. 35, comma 1: "1. Sono abrogate le seguenti disposizioni di
legge: a) articolo l0 della legge 31 dicembre 1962, n. 1860; b)
articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 20, 22 e 23 della legge 2 agosto 1975,
n. 393."?».
martedì 26 aprile 2011
domenica 24 aprile 2011
Tranchina adesso collabora: "Ho comprato io i telecomandi per la strage di via D’Amelio. Per chi si votava? Per Forza Italia"
Fabio Tranchina |
venerdì 22 aprile 2011
Vogliono boicottare il referendum: rompiamo il silenzio
di Giuseppe Giulietti*
Non bisogna cadere nella trappola, bisogna comportarsi come se le votazioni fossero domattina
Ed ora ci riproveranno con i referendum sull'acqua, come per altro ha già annunciato il ministro Romani. Così, dopo aver imbrogliato le carte sul nucleare, cercheranno di fare lo stesso con gli altri quesiti, in modo da svuotare la consultazione e da impedire che il referendum sul legittimo impedimento, quello che turba i sonni del capo, sia affossato per mancanza di quorum. Siamo in presenza di una colossale truffa che dovrebbe trovare la risposta unitaria anche di chi non ha firmato i referendum, persino di chi non li condivide in parte o in tutto. Lo strappo democratico che si è già consumato non può essere archiviato, magari per non scontentare gli interessi di chi già si lecca i baffi ed il conto in banca al pensiero dei soldi che potrà ricavare dalle privatizzazioni degli acquedotti.
Quello che sta accadendo è un dichiarato imbroglio per far passare il tempo, per allentare la tensione, per impedire che ai cittadini sia fornita una adeguata informazione sui referendum. Non bisogna cadere nella trappola, bisogna comportarsi come se le votazioni fossero domattina. Per queste ragioni l'associazione Articolo 21, insieme a tanti altri comitati e movimenti che hanno dato vita alla grande manifestazione per la costituzione del 12 marzo scorso, ha deciso di promuovere sulle piazze virtuali e sulle piazze reali Il "referendum week", una settimana di campagna informativa per spiegare ai cittadini che i referendum ci saranno, che quello in atto è solo un imbroglio, che le supreme magistrature non potranno che respingere un simile trucco, anzi proprio a loro chiediamo di tutelare la legalità costituzionale e di impedire che l'interesse privato possa continuare a soffocare l'interesse generale.
A tutto il mondo della comunicazione, dell'informazione, della cultura chiediamo di aderire a questa campagna, di trovare il modo di rompere la consegna del silenzio, di usare loro stessi e i propri spettacoli o le proprie trasmissioni per invitare gli italiani a rifiutare il broglio perchè potrebbe essere la premessa di brogli ancora più gravi ed ancora più insidiosi per la vita pubblica. Il 25 aprile ed il primo maggio sono due date simboliche per l'Italia civile, usiamole anche per respingere l'assalto di chi, dopo aver regalato la prescrizione al capo, vorrebbe "proscrivere" il diritto degli italiani a pronunciarsi liberamente sui quesiti referendari.
NdR: a partire da oggi è stata avviata sul sito una raccolta firme all'appello "Cara Cassazione facci votare ai Referendum". Tra i primi firmatari Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, Federico Orlando, Presidente Articolo21, Vincenzo Vita, Senatore PD, Ottavia Piccolo, attrice teatrale, Roberto Morrione, direttore Libera Informazione
*Articolo21.org
Non bisogna cadere nella trappola, bisogna comportarsi come se le votazioni fossero domattina
Ed ora ci riproveranno con i referendum sull'acqua, come per altro ha già annunciato il ministro Romani. Così, dopo aver imbrogliato le carte sul nucleare, cercheranno di fare lo stesso con gli altri quesiti, in modo da svuotare la consultazione e da impedire che il referendum sul legittimo impedimento, quello che turba i sonni del capo, sia affossato per mancanza di quorum. Siamo in presenza di una colossale truffa che dovrebbe trovare la risposta unitaria anche di chi non ha firmato i referendum, persino di chi non li condivide in parte o in tutto. Lo strappo democratico che si è già consumato non può essere archiviato, magari per non scontentare gli interessi di chi già si lecca i baffi ed il conto in banca al pensiero dei soldi che potrà ricavare dalle privatizzazioni degli acquedotti.
Quello che sta accadendo è un dichiarato imbroglio per far passare il tempo, per allentare la tensione, per impedire che ai cittadini sia fornita una adeguata informazione sui referendum. Non bisogna cadere nella trappola, bisogna comportarsi come se le votazioni fossero domattina. Per queste ragioni l'associazione Articolo 21, insieme a tanti altri comitati e movimenti che hanno dato vita alla grande manifestazione per la costituzione del 12 marzo scorso, ha deciso di promuovere sulle piazze virtuali e sulle piazze reali Il "referendum week", una settimana di campagna informativa per spiegare ai cittadini che i referendum ci saranno, che quello in atto è solo un imbroglio, che le supreme magistrature non potranno che respingere un simile trucco, anzi proprio a loro chiediamo di tutelare la legalità costituzionale e di impedire che l'interesse privato possa continuare a soffocare l'interesse generale.
A tutto il mondo della comunicazione, dell'informazione, della cultura chiediamo di aderire a questa campagna, di trovare il modo di rompere la consegna del silenzio, di usare loro stessi e i propri spettacoli o le proprie trasmissioni per invitare gli italiani a rifiutare il broglio perchè potrebbe essere la premessa di brogli ancora più gravi ed ancora più insidiosi per la vita pubblica. Il 25 aprile ed il primo maggio sono due date simboliche per l'Italia civile, usiamole anche per respingere l'assalto di chi, dopo aver regalato la prescrizione al capo, vorrebbe "proscrivere" il diritto degli italiani a pronunciarsi liberamente sui quesiti referendari.
NdR: a partire da oggi è stata avviata sul sito una raccolta firme all'appello "Cara Cassazione facci votare ai Referendum". Tra i primi firmatari Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, Federico Orlando, Presidente Articolo21, Vincenzo Vita, Senatore PD, Ottavia Piccolo, attrice teatrale, Roberto Morrione, direttore Libera Informazione
*Articolo21.org
I cittadini calpestati
di STEFANO RODOTÀ
Ogni giorno ha la sua pena istituzionale. Davvero preoccupante è l'ultima trovata del governo: la fuga dai referendum. Mercoledì si è voluto cancellare quello sul nucleare. Ora si vuole fare lo stesso con i due quesiti che riguardano la privatizzazione dell'acqua. Le torsioni dell'ordinamento giuridico non finiscono mai, ed hanno sempre la stessa origine. È del tutto evidente la finalità strumentale dell'emendamento approvato dal Senato con il quale si vuole far cadere il referendum sul nucleare. Timoroso dell'"effetto Fukushima", che avrebbe indotto al voto un numero di cittadini sufficiente per raggiungere il quorum, il governo ha fatto approvare una modifica legislativa per azzerare quel referendum nella speranza che a questo punto non vi sarebbe stato il quorum per il temutissimo referendum sul legittimo impedimento e per gli scomodi referendum sull'acqua. Una volta di più si è usata disinvoltamente la legge per mettere il presidente del Consiglio al riparo dai rischi della democrazia.
Una ennesima contraddizione, un segno ulteriore dell'irrompere continuo della logica ad personam. L'uomo che ogni giorno invoca l'investitura popolare, come fonte di una sua indiscutibile legittimazione, fugge di fronte ad un voto dei cittadini.
Ma, fatta questa mossa, evidentemente gli strateghi della decostituzionalizzazione permanente devono essersi resi conto che i referendum sull'acqua hanno una autonoma e forte capacità di mobilitazione. Fanno appello a un dato di vita materiale, individuano bisogni, evocano il grande tema dei beni comuni, hanno già avuto un consenso senza precedenti nella storia della Repubblica, visto che quelle due richieste di referendum sono state firmate da 2 milioni di cittadini, senza alcun sostegno di grandi organizzazioni, senza visibilità nel sistema dei media. Pur in assenza del referendum sul nucleare, si devono esser detti i solerti curatori del benessere del presidente del Consiglio, rimane il rischio che il tema dell'acqua porti comunque i cittadini alle urne, renda possibile il raggiungimento del quorum e, quindi, trascini al successo anche il referendum sul legittimo impedimento. Per correre questo rischio? Via, allora, al bis dell'abrogazione, anche se così si fa sempre più sfacciata la manipolazione di un istituto chiave della nostra democrazia.
Caduti i referendum sul nucleare e sull'acqua, con le loro immediate visibili motivazioni, e ridotta la consultazione solo a quello sul legittimo impedimento, si spera che diminuisca la spinta al voto e Berlusconi sia salvo.
Quest'ultimo espediente ci dice quale prezzo si stia pagando per la salvezza di una persona. Travolto in più di un caso il fondamentale principio di eguaglianza, ora si vogliono espropriare i cittadini di un essenziale strumento di controllo, della loro funzione di "legislatore negativo".
L'aggressione alle istituzioni prosegue inarrestabile. Ridotto il Parlamento a ruolo di passacarte dei provvedimenti del governo, sotto tiro il Presidente della Repubblica, vilipesa la Corte costituzionale, ora è il turno del referendum. Forse la traballante maggioranza ha un timore e una motivazione che va oltre la stessa obbligata difesa di Berlusconi. Può darsi che qualcuno abbia memoria del 1974, di quel voto sul referendum sul divorzio che mise in discussione equilibri politici che sembravano solidissimi. E allora la maggioranza vuole blindarsi contro questo ulteriore rischio, contro la possibilità che i cittadini, prendendo direttamente la parola, sconfessino il governo e accelerino la dissoluzione della maggioranza.
È resistibile questa strategia? In attesa di conoscere i dettagli tecnici riguardanti i quesiti referendari sull'acqua è bene tornare per un momento sull'emendamento con il quale si è voluto cancellare il referendum sul nucleare. Questo è congegnato nel modo seguente: le parti dell'emendamento che prevedono l'abrogazione delle norme oggetto del quesito referendario, sono incastonate tra due commi con i quali il governo si riserva di tornare sulla questione, una volta acquisite "nuove evidenze scientifiche mediante il supporto dell'agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza, tenendo conto dello sviluppo tecnologico e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea". E lo farà entro dodici mesi adottando una "Strategia energetica nazionale", per la quale furbescamente non si nomina, ma neppure si esclude, il ricorso al nucleare. Si è giustamente ricordato che, fin dal 1978, la Corte costituzionale ha detto con chiarezza che, modificando le norme sottoposte a referendum, al Parlamento non è permesso di frustrare "gli intendimenti dei promotori e dei sottoscrittori delle richieste di referendum" e che il referendum non si tiene solo se sono stati del tutto abbandonati "i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente". Si può ragionevolmente dubitare che, vista la formulazione dell'emendamento sul nucleare, questo sia avvenuto. E questo precedente induce ad essere sospettosi sulla soluzione che sarà adottata per l'acqua. Di questo dovrà occuparsi l'ufficio centrale del referendum che, qualora accerti quella che sembra essere una vera frode del legislatore, trasferirà il referendum sulle nuove norme. La partita, dunque, non è chiusa.
Da questa vicenda può essere tratta una non indifferente morale politica. Alcuni esponenti dell'opposizione avrebbero dovuto manifestare maggiore sobrietà in occasione dell'approvazione dell'emendamento sul nucleare, senza abbandonarsi a grida di vittoria che assomigliano assai a un respiro di sollievo per essere stati liberati dall'obbligo di parlar chiaro su un tema così impegnativo e davvero determinante per il futuro dell'umanità.
Dubito che questa sarebbe la reazione dei promotori del referendum sull'acqua qualora si seguisse la stessa strada. Ma proprio l'aggressione al referendum e ai diritti dei cittadini promotori e votanti, la spregiudicata manipolazione degli istituti costituzionali fanno nascere per l'opposizione un vero e proprio obbligo. Agire attivamente, mobilitarsi perché il quorum sia raggiunto, si voti su uno, due, tre o quattro quesiti. Si tratta di difendere il diritto dei cittadini a far sentire la loro voce, quale che sia l'opinione di ciascuno. Altrimenti, dovremo malinconicamente registrare l'ennesimo scarto tra parole e comportamenti, che certo non ha giovato alla credibilità delle istituzioni.
(La Repubblica, 22 aprile 2011)
Stefano Rodotà |
Una ennesima contraddizione, un segno ulteriore dell'irrompere continuo della logica ad personam. L'uomo che ogni giorno invoca l'investitura popolare, come fonte di una sua indiscutibile legittimazione, fugge di fronte ad un voto dei cittadini.
Ma, fatta questa mossa, evidentemente gli strateghi della decostituzionalizzazione permanente devono essersi resi conto che i referendum sull'acqua hanno una autonoma e forte capacità di mobilitazione. Fanno appello a un dato di vita materiale, individuano bisogni, evocano il grande tema dei beni comuni, hanno già avuto un consenso senza precedenti nella storia della Repubblica, visto che quelle due richieste di referendum sono state firmate da 2 milioni di cittadini, senza alcun sostegno di grandi organizzazioni, senza visibilità nel sistema dei media. Pur in assenza del referendum sul nucleare, si devono esser detti i solerti curatori del benessere del presidente del Consiglio, rimane il rischio che il tema dell'acqua porti comunque i cittadini alle urne, renda possibile il raggiungimento del quorum e, quindi, trascini al successo anche il referendum sul legittimo impedimento. Per correre questo rischio? Via, allora, al bis dell'abrogazione, anche se così si fa sempre più sfacciata la manipolazione di un istituto chiave della nostra democrazia.
Caduti i referendum sul nucleare e sull'acqua, con le loro immediate visibili motivazioni, e ridotta la consultazione solo a quello sul legittimo impedimento, si spera che diminuisca la spinta al voto e Berlusconi sia salvo.
Quest'ultimo espediente ci dice quale prezzo si stia pagando per la salvezza di una persona. Travolto in più di un caso il fondamentale principio di eguaglianza, ora si vogliono espropriare i cittadini di un essenziale strumento di controllo, della loro funzione di "legislatore negativo".
L'aggressione alle istituzioni prosegue inarrestabile. Ridotto il Parlamento a ruolo di passacarte dei provvedimenti del governo, sotto tiro il Presidente della Repubblica, vilipesa la Corte costituzionale, ora è il turno del referendum. Forse la traballante maggioranza ha un timore e una motivazione che va oltre la stessa obbligata difesa di Berlusconi. Può darsi che qualcuno abbia memoria del 1974, di quel voto sul referendum sul divorzio che mise in discussione equilibri politici che sembravano solidissimi. E allora la maggioranza vuole blindarsi contro questo ulteriore rischio, contro la possibilità che i cittadini, prendendo direttamente la parola, sconfessino il governo e accelerino la dissoluzione della maggioranza.
È resistibile questa strategia? In attesa di conoscere i dettagli tecnici riguardanti i quesiti referendari sull'acqua è bene tornare per un momento sull'emendamento con il quale si è voluto cancellare il referendum sul nucleare. Questo è congegnato nel modo seguente: le parti dell'emendamento che prevedono l'abrogazione delle norme oggetto del quesito referendario, sono incastonate tra due commi con i quali il governo si riserva di tornare sulla questione, una volta acquisite "nuove evidenze scientifiche mediante il supporto dell'agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza, tenendo conto dello sviluppo tecnologico e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea". E lo farà entro dodici mesi adottando una "Strategia energetica nazionale", per la quale furbescamente non si nomina, ma neppure si esclude, il ricorso al nucleare. Si è giustamente ricordato che, fin dal 1978, la Corte costituzionale ha detto con chiarezza che, modificando le norme sottoposte a referendum, al Parlamento non è permesso di frustrare "gli intendimenti dei promotori e dei sottoscrittori delle richieste di referendum" e che il referendum non si tiene solo se sono stati del tutto abbandonati "i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente". Si può ragionevolmente dubitare che, vista la formulazione dell'emendamento sul nucleare, questo sia avvenuto. E questo precedente induce ad essere sospettosi sulla soluzione che sarà adottata per l'acqua. Di questo dovrà occuparsi l'ufficio centrale del referendum che, qualora accerti quella che sembra essere una vera frode del legislatore, trasferirà il referendum sulle nuove norme. La partita, dunque, non è chiusa.
Da questa vicenda può essere tratta una non indifferente morale politica. Alcuni esponenti dell'opposizione avrebbero dovuto manifestare maggiore sobrietà in occasione dell'approvazione dell'emendamento sul nucleare, senza abbandonarsi a grida di vittoria che assomigliano assai a un respiro di sollievo per essere stati liberati dall'obbligo di parlar chiaro su un tema così impegnativo e davvero determinante per il futuro dell'umanità.
Dubito che questa sarebbe la reazione dei promotori del referendum sull'acqua qualora si seguisse la stessa strada. Ma proprio l'aggressione al referendum e ai diritti dei cittadini promotori e votanti, la spregiudicata manipolazione degli istituti costituzionali fanno nascere per l'opposizione un vero e proprio obbligo. Agire attivamente, mobilitarsi perché il quorum sia raggiunto, si voti su uno, due, tre o quattro quesiti. Si tratta di difendere il diritto dei cittadini a far sentire la loro voce, quale che sia l'opinione di ciascuno. Altrimenti, dovremo malinconicamente registrare l'ennesimo scarto tra parole e comportamenti, che certo non ha giovato alla credibilità delle istituzioni.
(La Repubblica, 22 aprile 2011)
giovedì 14 aprile 2011
Delitto Rostagno: parla Chicca Roveri: «Ecco Mauro, il mio compagno»
Mauro Rostagno |
La sera del delitto: «Corsi verso l’auto e mi sono seduta quasi in braccio a Mauro, era già morto, ma gli parlai lo stesso»
«Mauro era il mio compagno, lo è stato per 17 anni e io sarei la sua compagna ancora oggi se non fosse morto». È cominciata così la deposizione davanti alla Corte di Assise di Trapani di Chicca Roveri, la compagna di Mauro Rostagno, il sociologo e giornalista ucciso a Lenzi di Valderice il 26 settembre del 1988. Ed è cominciata così non a caso: durante le precedenti udienze erano uscite vicende «personali» raccontate in modo tale che non facevano molto onore, nè a lei nè a Rostagno. Ed allora a scanso di equivoci, per sgombrare il campo che il delitto poteva essere stato originato da questione di «corna», ipotesi che gira ogni volta che la mafia commette un delitto in Sicilia, così che alla fine finisce con l'uccidere due, tre, quattro volte, Chicca Roveri ha voluto confermare che le storie personali fuori dal loro rapporto le hanno avute entrambi, perchè «si era deciso di vivere in piena libertà, ma la nostra vita veniva condotta come se fossimo stati marito e moglie». Le ragioni del delitto insomma cercatele altrove, verso dove le ha indicate la Procura di Palermo, e cioè in direzione di Cosa nostra.
Ci sono voluti 22 anni per arrivare al processo. Le udienze fin qui tenute hanno fatto emergere indagini malfatte, depistaggi, l’ombra dei servizi quando l’inchiesta sotto la guida del procuratore Garofalo a Trapani cominciò a toccare «fili scoperti». Ma per arrivare all’ipotesi del delitto di mafia si è dovuto attendere il 1998 con il trasferimento degli atti a Palermo, Procura antimafia, e poi il 2008 con le indagini della Squadra Mobile di Trapani quando l’inchiesta stava per andare in archivio. Lei, Chicca Roveri, in questo periodo conobbe anche l’arresto, accusata, prosicolta e archiviata, dall’accusa di favoreggiamento. Una donne forte, lo ha dimostrato ieri davanti ai giudici quando ha chiesto, lei, scusa ad un certo punto, perchè la foga del parlare l’aveva portato a dare del «cretino» a chi aveva indagato nella direzione sbagliata.
Lei che forse le scuse dovrebbe riceverle ogni giorno per quello che le è toccato subire. Tanti anni di indagini inutili per arrivare a quel punto di partenza, il delitto di mafia del quale si aveva precisa contezza sin da quella sera del settembre 1988: «Debbo pensare due cose: o in queste indagini c'è stato un concentrato di cretini, oppure un continuo tentativo di non arrivare mai alla verità». La Roveri ha poi definito «come un allontanamento voluto dalla verità», il tentativo dell'avvocato Luigi Ligotti (parte civile nel processo per l'uccisione del commissario Calabresi) di addossare a Lotta continua la responsabilità dell'omicidio Rostagno. Li Gotti fece quest'affermazione durante un'udienza del processo Calabresi. «Mi chiedo come mai un avvocato di Milano - ha detto la Roveri - fosse in possesso di notizie che dovevano essere coperte da segreto istruttorio».Una deposizione che non è finita e proseguirà il 20 aprile. Ha parlato del lavoro di Mauro, come giornalista, le denunce contro la mafia, la droga, il malaffare: «Un giorno esordì in un editoriale in questo modo – ha ricordato – qualche mio caro amico mi ha consigliato di abbassare i toni perchè questo lavoro rischia di fare male alla Sicilia e alla comunità, io continuo a pensare e a dire che la migliore pubblicità che si può fare alla Sicilia è quella di affermare che la mafia va abbattuta». E poi la storia della cassetta tv con registrate le riprese di un traffico di armi sulla pista di un aeroporto ufficialmente inattivo dal 1954, alle porte di Trapani.
«Sapevo che lui teneva una cassetta audio dove registrava le telefonate da quando riceveva minacce telefoniche». Di questa cassetta ne parlò Sergio Di Cori uno che nel ’96 dopo l'arresto si presentò come amico di Mauro, «ma io mai lo avevo nè visto nè sentito dire. Per telefono mi disse che sapeva chi aveva ucciso Mauro, io penso che se c’è qualcuno che sa di un delitto lo viene a raccontare subito e non aspetta otto anni. In quella occasione il suo racconto ogni volta che lo esprimeva si coloriva sempre di più, parlava male di Napolitano, diceva che Veltroni e Berlusconi erano d’accordo, non ci sembrò credibile».
Di cosa si occupò in ultimo Rostagno? «Di un grosso scandalo a Marsala, c’entrava il Psi che lì aveva la roccaforte. Ricordo che Cardella parlò a Martelli dopo il delitto, e questi gli disse che i socialisti non c’entravano, “ladri si ma assassini no”, così gli avrebbe risposto». E la sera del delitto? «Corsi verso l’auto e mi sono seduta quasi in braccio a Mauro, era già morto, ma gli parlai lo stesso».
Il pm Gaetano Paci ha prodotto ieri un rapporto dei carabinieri dello scorso 6 aprile che hanno documentato e descritto quanto c’è nei loro archivi degli atti inerenti Mauro Rostagno e la sua attività giornalistica. Sono stati trovati verbali di sommarie informazioni resi da Rostagno relativi allo scandalo della loggia massonica coperta Iside 2. Il pm Paci ha confermato che alcuni verbali in effetti non erano mai stati depositati nel fascicolo processuale, perchè non trasmessi dai carabinieri. Sono gli atti formati dall'allora brigadiere Cannas (oggi luogotenente e comandante della stazione di Buseto) che quando è stato sentito come teste nel processo non se ne era ricordato rispondendo alle domande della Corte e delle parti. Anche il suo ex comandante, l’odierno generale Nazareno Montanti, si era dimenticato rispondendo ai giudici di un suo rapporto del 22 giugno 1987 a proposito della loggia Iside 2 e di presenze del Gran maestro della P2 Licio Gelli a Trapani. Prende forma la realtà trapanese di quegli anni. Quella che Rostagno aveva percepito e per la quale forse è stato ucciso dalla mafia, per avere intuito molti segreti.
Il presidente della Corte, giudice Angelo Pellino, ha chiesto di avere conoscenza dei verbali di restituzione della borsa di Rostagno, quelli relativi al repertamento dei pezzi di fucile trovati sulla scena del delitto, dei verbali di acquisizione delle cassette presso l'emittente Rtc. Ad apertura di udienza l’avv. Galluffo ha tenuto a precisare di non avere sollevato alcuna denuncia a proposito di mancato deposito di atti. Il «caso» riguardava i faldoni (17 in tutto) dell’inchiesta denominata «Codice Rosso» (la pista interna finita archiviata), il pm Francesco Del Bene ha assicurato che i faldoni sono a disposizione delle parti, mai spariti. «I documenti ci sono – ha detto – basta cercarli che si trovano».
Intanto una novità arriva dagli Usa, ma riguarda il ricordo. Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato e Mauro Rostagno: i nomi di questi quattro giornalisti uccisi in Sicilia dalla mafia negli ultimi decenni sono stati aggiunti al «Journalist Memorial» del Newseum di Washington insieme a quelli di 59 giornalisti uccisi in vari Paesi nel 2010 mentre svolgevano il loro lavoro di cronisti. Lo ha reso noto l’osservatorio «Ossigeno per l’Informazione». Sono stati aggiunti, oltre ai quattro italiani, anche i nomi di altri 14 giornalisti che hanno perso la vita per ragioni legate al loro lavoro negli anni scorsi. Il «Journalist Memorial» del Newseum, inaugurato nel 2008, contiene adesso 2.084 nomi. Il prossimo 16 maggio, la lista aggiornata sarà presentata a Washington in una cerimonia ufficiale al Newseum.
Il «caso» ha voluto che la notizia sia diventata di dominio pubblico nella giornata forse più tesa del processo per il delitto Rostagno, da quando il dibattimento è cominciato davanti alla Corte di Assise di Trapani. La deposizione di Chicca Roveri ha suscitato continua emozione in chi l’ha ascoltata. «Per la prima volta – ha detto – mi viene offerta la possibilità di dire ciò che ho visto. La sera del delitto (26 settembre 1988 ndr) sono stata per tre ore nella caserma dei carabinieri di Napola (territorialmente competente rispetto al luogo del delitto, Lenzi di Valderice ndr), senza che nessuno mi rivolgesse alcuna domanda. Mi sono chiesta quale fosse il senso della mia presenza in caserma. Pensavo che mi avevano chiamato a fare la “bella statuina”».
La donna ha anche parlato di un «incontro informale» con l’allora procuratore capo di Trapani, Antonio Coci, «che non verbalizzò nulla - ha spiegato la Roveri - e mi chiese di non parlare con nessuno del nostro appuntamento, perchè sarebbe stato pericoloso per la sua e per la mia incolumità». All’incontro, secondo la Roveri, era presente il sottufficiale dei carabinieri, Beniamino Cannas, che è stato sentito come teste nelle scorse udienze, ma non ha riferito questo episodio. Così come Cannas fu presente tempo dopo in altra occasione quando la Roveri fu sentita dall’allora procuratore Sergio Lari e dal pm Massimo Palmeri. Il pm Paci ha chiesto di ascoltare nuovamente Cannas in una delle prossime udienze.
Toccante è stata la parte del racconto di Chicca Roveri sull’ultimo periodo di vita di Mauro Rostagno. «È come se nelle parole che lui ci diceva o pronunciava in tv voleva che si percepisse l’esistenza di altre parole, che voleva dire altro. Ci concedemmo una vacanza, noi che non potevamo, in una casa di Saman, alcuni giorni per stare da soli, e quella volta mi disse che lui “non aveva paura di morire”. Voleva forse dirmi qualcosa. Così come – ha proseguito – negli ultimi periodi mi faceva continui regali, portava Maddalena a cena fuori, come se volesse che la sua presenza tra di noi fosse consolidata, stava lasciandoci il suo segno dico oggi con il senno di poi».
Trapani, 14.04.2011
La favola del processo breve
Gian Carlo Caselli |
Noi italiani siamo convinti di essere molto furbi. Più furbi degli altri e orgogliosi di ciò. Non c’è barzelletta che abbia come protagonisti, per dire, un francese, un tedesco e un italiano che non ci veda prevalere alla grande. Ma forse siamo cambiati. Perché ormai ce le beviamo tutte con allegria. Da tempo, infatti, ci prendono in giro e siamo contenti. Ci ingannano e godiamo. Cadere in trappola ci inebria.
Formule come “riforma (epocale) della giustizia” e “processo breve” sono né più né meno che ipocrisie degne della peggior propaganda ingannevole. Se le parole avessero ancora un senso, e non fossero usate come conigli estratti da un cilindro, sarebbe chiaro che di riforma della giustizia si potrebbe parlare soltanto se si facesse qualcosa per accelerare la conclusione dei processi. Ma se non si fa niente in questa direzione, parlare a vanvera di riforma della giustizia equivale a sollevare spesse cortine fumogene intorno al vero obiettivo: che è quello di mettere la magistratura al guinzaglio della maggioranza politica del momento (oggi, domani e dopodomani), buttando nella spazzatura ogni prospettiva di legge uguale per tutti.
Quanto al sedicente “processo breve”, siamo al gioco di prestigio. La riforma, infatti, avrebbe come effetto non un processo breve ma un processo ammazzato a tradimento (con l’aggravante dei futili motivi). Ovviamente schierarsi contro il processo breve è da folli. Sarebbe come rifiutare una medicina efficace contro il cancro. Qui però non si tratta neanche dell’elisir di Dulcamara! Non basta urlare a squarciagola che il processo sarà breve. Occorre fare qualcosa di serio (procedure snellite; più mezzi agli uffici giudiziari) perché si possa arrivare a sentenza in tempi più rapidi. Se non si fa nulla è come proclamare ai quattro venti che la squadra di calcio del Portogruaro vincerà sicuramente la Champions, confidando nella disattenzione o dabbenaggine di chi ascolta.
Ora, come per vincere la Champions ci vuole una squadra attrezzata, così per avere un processo davvero breve ci vogliono interventi che il processo lo facciano finire prima: ma finire con una sentenza nel merito (innocente o colpevole), non con una dichiarazione di morte per non aver rispettato un termine stabilito ex novo, più o meno a capocchia. In verità la riforma ha un sapore di truffa (verbale), perché i tempi non saranno ridotti ma castrati, ed i processi non saranno abbreviati ma morti e sepolti. In parole povere: si fissa un termine che deve essere rispettato a pena di morte senza minimamente preoccuparsi del fatto che l’attuale sfascio del sistema non consentirà di rispettarlo in una infinità di processi. È come pretendere che un palombaro vestito da palombaro percorra i cento metri in pochissimi secondi, sennò muore. Assurdo, esattamente come il sedicente processo “breve”. Una mannaia che impedirà di accertare colpe e responsabilità e concluderà il processo con un’attestazione di decesso (estinzione) tanto burocratica quanto definitiva e tombale. Uno schiaffo alla fatica che le forze dell’ordine compiono per assicurare alla giustizia fior di delinquenti. Uno schiaffo al dolore e alla sofferenza delle vittime dei reati.
Uno schiaffo alla sicurezza dei cittadini. Proprio quella sicurezza su cui sono state costruite solide fortune elettorali. Sicurezza che ora diventa – di colpo – roba di scarto, rivelando con assoluta evidenza come il tema sia considerato un’opportunità da sfruttare biecamente, anche gabbando la povera gente, più che un problema da risolvere. E tutto questo perché? Per fare un favore a LUI, all’altissimo (ed ecco i futili motivi). Non sfugge a nessuno, difatti, che l’obiettivo vero non è tanto ammazzare migliaia di processi, quanto piuttosto sopprimere – nell’ammucchiata – anche quel paio di cosucce che appunto interessano a LUI. Con tripudio di un esercito di scippatori, borseggiatori, topi d’alloggio e ladri assortiti, truffatori, sfruttatori di donne, spacciatori di droga, corruttori, usurai, bancarottieri, estortori, ricattatori, appaltatori disonesti, pedofili, violenti d’ogni risma, operatori economici incuranti delle regole che vietano le frodi in commercio e tutelano la salute dei consumatori, imprenditori che spregiano la sicurezza sui posti di lavoro e via elencando...
Questo catalogo già sterminato di gentiluomini che la faranno franca, che si ritroveranno impuniti come se avessero vinto al totocalcio senza neppure giocare la schedina, si “arricchirà” all’infinito con la cosiddetta “prescrizione breve”: un’altra misura che sa di presa per il naso, l’ennesima leggina “ad personam” (meglio, la fotografia di LUI in persona) che fa a pugni col principio di buona fede legislativa. Sarebbe poco se fosse una di quelle barzellette che il premier usa raccontare in pubblico per il divertimento di chi ama l’ossequio servile. Invece si tratta di una bastonata in testa a una giustizia che già sta affogando. Una catastrofe per l’Italia, perché il feudo di Arcore possa continuare a svettare sulla palude nella quale annaspano i comuni mortali in cerca di giustizia.
il Fatto quotidiano, 13 aprile 2011
mercoledì 13 aprile 2011
Padre Alex Zanotelli: "Appello alle comunità cristiane per il referendum sull'acqua"
Padre Alex Zanotelli |
E allora, come mai le comunità cristiane non hanno protestato coralmente e alzato la voce, quando il nostro Parlamento (primo in Europa!) ha votato il 19 novembre 2009 la legge Ronchi, che dichiara l’acqua un bene di rilevanza economica?
Per noi cristiani l’acqua ha un enorme valore simbolico e sacramentale. E’ stato lo stesso Papa Benedetto XVI ad affermare nella sua enciclica sociale Caritas in veritate che l’acqua è un diritto fondamentale umano.. Per questo è ancora più sorprendente il silenzio dell’episcopato italiano sulla privatizzazione dell’acqua nel nostro paese. L’insegnamento papale è stato invece ripreso sull’Osservatore Romano, in un articolo per la Giornata Mondiale dell’Acqua ( 22 marzo 2011) di Gaetano Vallini, dal titolo :”Una ricchezza da sottrarre alle leggi del mercato”- “In Italia si voterà un referendum che chiede di evitare di intraprendere la strada verso la privatizzazione dell’acqua – afferma Gaetano Vallini. Un referendum che ha visto impegnate anche alcune realtà ecclesiali nel comitato promotore, segno dell’attenzione del mondo cattolico verso un tema delicato e cruciale. Si tratta di un’attenzione quasi insita nel DNA dei credenti.”
Di fatto, nel Comitato Promotore per il referendum ci sono settori ecclesiali:la diocesi di Termoli, gli istituti missionari italiani, le ACLI e l’Agesci. Ma anche la Rete Interdiocesana Nuovi Stili di Vita sta promuovendo una campagna per il tempo di Pasqua sull’acqua come dono di Dio e bene comune, firmato da 24 diocesi e 5 uffici diocesani, sottolineando “sarà importante, quindi, partecipare attivamente al dibattito legato al referendum sulla gestione dell’acqua, che mira a salvaguardarla come bene comune e diritto universale, evitando una merce privata e privatizzabile.”
Come cristiani non possiamo accettare la legge Ronchi, votata dal nostro Parlamento(primo in Europa)il 19 novembre 2009, che dichiara l’acqua come bene di rilevanza economica.
Per questo, alla vigilia del referendum, ci appelliamo a tutte le comunità cristiane perché si impegnino, insieme a tutti i cittadini, in questa fondamentale sfida referendaria.
Ci appelliamo nuovamente alla Conferenza Episcopale italiana perché aiuti i credenti a capire che l’acqua è un bene di non rilevanza economica, e che dobbiamo togliere il profitto dall’acqua. E su queste due domande si fonda il referendum del 12 e 13 giugno.
Ci appelliamo ai sacerdoti e ai catechisti perché proclamino nelle omelie, nelle celebrazioni e nelle catechesi il valore sacrale dell’acqua.
E ci appelliamo a tutti i cristiani perché si impegnino a difendere “sorella acqua” come diritto fondamentale umano e a far nascere una cultura di profondo rispetto e risparmio di un bene così prezioso e così scarso.
Inoltre, sollecitiamo tutte le comunità cristiane a promuovere momenti di incontro, di riflessione, di approfondimento sull’acqua come bene comune e diritto fondamentale, grande dono di Dio che non può mai diventare merce.
Pochi hanno espresso così bene questa visione cristiana sull’acqua come il vescovo cileno Luis Infanti della Mora nella sua lettera pastorale Dacci oggi la nostra acqua quotidiana.:”La crescente politica di privatizzazione è moralmente inaccettabile quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, creando una nuova categoria sociale: gli esclusi. Alcune imprese multinazionali che cercano di impadronirsi di alcuni beni della natura e soprattutto dell’acqua, possono essere padrone di questi beni e dei relativi diritti, ma non sono eticamente proprietarie di un bene da cui dipende la vita dell’umanità. E’ un’ingiustizia istituzionalizzata che crea ulteriore fame e povertà facendo sì che la natura sia la più sacrificata e la specie più minacciata sia quella umana, i più poveri , in particolare.”
Padre Alex Zanotelli
Napoli, 3 aprile 2011
lunedì 11 aprile 2011
Migrazioni: la Sicilia è il collo dell'imbuto
di Agostino Spataro
Col ritorno a Lampedusa di Silvio Berlusconi l’emergenza immigrati sparirà, come d’incanto. Seguendo la parola d’ordine della vigilia, tutti si son sbracciati per far trovare al premier l’isola ripulita dagli immigrati e perfino delle orme del loro passaggio. E. dunque, via alla festa, alle parate, a nuove promesse di rinascita per l’isola pelagica dove il premier ha comprato la sua 29° villa che taluni vedono come specchietto per attirare quel bizzarro mondo che gli gira intorno. Tutto risolto, dunque? Parrebbe proprio di no, visto che stanotte, sulla piccola isola, sono approdati altri barconi con un carico di oltre 600 disperati. Ma, davvero, si pensa d’affrontare con simili espedienti un dramma così grande e intricato come quello che, da anni, si sta svolgendo intorno e dentro Lampedusa? A me pare solo una trovata stravagante in contrasto con la dura realtà della posizione italiana, stretta fra una Francia “ostile” che chiude le frontiere, un’Europa scarsamente solidale e altre masse di disperati che premono per entrare. Perciò, la gente è preoccupata e vuol sapere quando durerà questo fenomeno, a dimensione addirittura intercontinentale, che quasi per intero transita attraverso le Pelagie e la Sicilia. Lo ha confermato alla Camera il ministro Maroni: nell’ultimo trimestre sono sbarcate in Italia (in verità in Sicilia) 25.867 persone delle quali circa 23.352 a Lampedusa e il resto su altre coste siciliane. Una vera esplosione di arrivi a conclusione di un periplo penoso di gente disperata che alimenta fenomeni laceranti di sradicamento, di travaso di masse umane da un continente a un altro di cui la Sicilia rappresenta il collo dell’imbuto. Credo che questa immagine renda di più l’idea del ruolo attuale della Sicilia come principale, unica via di sbocco dei migranti clandestini che dal grande raccoglitore nordafricano premono per passare nel contenitore - Europa che li dovrebbe accogliere. Dai porti tunisini e libici partono immigrati provenienti da vari Paesi africani della costa nord-orientale: Tunisia, Somalia, Eritrea, Abissinia, Egitto e da quella atlantica (Nigeria, Camerun, Ghana, Senegal, Marocco, ecc) e asiatici (Sri Lanka, Cina, Iraq, Palestina, Filippine, Indonesia, ecc). La situazione potrebbe aggravarsi nei prossimi giorni a causa del conflitto in Costa d’Avorio dove, grazie all’interventismo di Sarkozy (ancora lui!), si potrebbero creare un milione di profughi i quali, certo, non andranno a cercare pace e lavoro nel confinante poverissimo Burkina Faso, ma, come gli altri, saranno indotti a seguire la via contorta verso il nord-Africa e quindi a tentare lo sbarco in Sicilia. Prima i flussi andavano per rotte diverse, oggi convergono quasi tutti su Lampedusa. Perciò, sarebbe il caso che le autorità preposte cominciassero a indagarne le misteriose ragioni per offrire risposte rassicuranti alle tante domande della gente. Una prima: perché gli immigrati provenienti dai Paesi atlantici africani non intraprendono la via costiera, meno pericolosa, da dove potrebbero raggiungere agevolmente la Spagna o sbarcando sulle isole Canarie o attraversando lo stretto di Gibilterra (34 km di mare)? Invece, preferiscono sobbarcarsi diverse migliaia di km di arido deserto per giungere nella Libia del “feroce” Gheddafi e qui consegnarsi ai trafficanti di carne umana, ai quali pagano passaggi salatissimi, e sperare d’arrivare salvi a Lampedusa dopo circa 300 km di mare e/o oltre 400 km sulla costa siciliana. I barconi potrebbero approdare sulle isole di Malta (anche questa è Europa) che incontrano 100 km prima di quelle siciliane, ma non vi sbarcano quasi mai. L’ultima tragedia (si parla di almeno 150 vittime) è illuminante dell’assurdità di tali percorsi. Com’è noto, il barcone, era in acque territoriali maltesi (entro 18 km dalla costa) quando ha lanciato l’allarme captato dalle autorità maltesi. Queste, invece d’inviare i loro mezzi di soccorso, lo hanno smistato a quelle italiane che hanno spedito le motovedette da Lampedusa ossia da una distanza di 70 km dal luogo, perdendo tempo preziosissimo. Se i maltesi, invece di seguire questa contorta procedura, fossero intervenuti direttamente forse si sarebbe evitata la strage. Infine, un’altra stranezza: perché la gran parte d’immigrati provenienti dall’Africa orientale e dai vari Paesi asiatici vengono a sbarcare sulle coste siciliane e meridionali? Potrebbero approdare più agevolmente a Cipro, a Creta oppure sulla terraferma in Grecia e in Bulgaria? Anche questa è Europa. Se rischiano la vita per venire in Sicilia una ragione deve esserci o forse più d’una. Al governo la risposta e soprattutto la responsabilità di operare, con politiche nuove di cooperazione e di contenimento, per giungere a uno sforzo condiviso degli oneri e degli interventi sia sul piano nazionale sia europeo. Non si può continuare con la politica “dell’immigrato dove lo metto”. Un po’ di qua un po’ di là, mai nelle regioni del nord per non irritare il ministro leghista Bossi che li vuole “fora de bal”. Ma che razza di governo è questo? La Sicilia ha già fatto, continua a fare il suo dovere di solidarietà umana, ma non può, certo sopportare l’intero fardello, Sarebbe, oltretutto ingiusto e poco funzionale e si configurerebbe come un ripiego razzista inaccettabile. L’Italia e l’Europa darebbero, netta, l’impressione di volersi sbarazzare di un’emergenza così vasta e sconvolgente relegandola alla Sicilia e al Sud.
Agostino Spataro
Col ritorno a Lampedusa di Silvio Berlusconi l’emergenza immigrati sparirà, come d’incanto. Seguendo la parola d’ordine della vigilia, tutti si son sbracciati per far trovare al premier l’isola ripulita dagli immigrati e perfino delle orme del loro passaggio. E. dunque, via alla festa, alle parate, a nuove promesse di rinascita per l’isola pelagica dove il premier ha comprato la sua 29° villa che taluni vedono come specchietto per attirare quel bizzarro mondo che gli gira intorno. Tutto risolto, dunque? Parrebbe proprio di no, visto che stanotte, sulla piccola isola, sono approdati altri barconi con un carico di oltre 600 disperati. Ma, davvero, si pensa d’affrontare con simili espedienti un dramma così grande e intricato come quello che, da anni, si sta svolgendo intorno e dentro Lampedusa? A me pare solo una trovata stravagante in contrasto con la dura realtà della posizione italiana, stretta fra una Francia “ostile” che chiude le frontiere, un’Europa scarsamente solidale e altre masse di disperati che premono per entrare. Perciò, la gente è preoccupata e vuol sapere quando durerà questo fenomeno, a dimensione addirittura intercontinentale, che quasi per intero transita attraverso le Pelagie e la Sicilia. Lo ha confermato alla Camera il ministro Maroni: nell’ultimo trimestre sono sbarcate in Italia (in verità in Sicilia) 25.867 persone delle quali circa 23.352 a Lampedusa e il resto su altre coste siciliane. Una vera esplosione di arrivi a conclusione di un periplo penoso di gente disperata che alimenta fenomeni laceranti di sradicamento, di travaso di masse umane da un continente a un altro di cui la Sicilia rappresenta il collo dell’imbuto. Credo che questa immagine renda di più l’idea del ruolo attuale della Sicilia come principale, unica via di sbocco dei migranti clandestini che dal grande raccoglitore nordafricano premono per passare nel contenitore - Europa che li dovrebbe accogliere. Dai porti tunisini e libici partono immigrati provenienti da vari Paesi africani della costa nord-orientale: Tunisia, Somalia, Eritrea, Abissinia, Egitto e da quella atlantica (Nigeria, Camerun, Ghana, Senegal, Marocco, ecc) e asiatici (Sri Lanka, Cina, Iraq, Palestina, Filippine, Indonesia, ecc). La situazione potrebbe aggravarsi nei prossimi giorni a causa del conflitto in Costa d’Avorio dove, grazie all’interventismo di Sarkozy (ancora lui!), si potrebbero creare un milione di profughi i quali, certo, non andranno a cercare pace e lavoro nel confinante poverissimo Burkina Faso, ma, come gli altri, saranno indotti a seguire la via contorta verso il nord-Africa e quindi a tentare lo sbarco in Sicilia. Prima i flussi andavano per rotte diverse, oggi convergono quasi tutti su Lampedusa. Perciò, sarebbe il caso che le autorità preposte cominciassero a indagarne le misteriose ragioni per offrire risposte rassicuranti alle tante domande della gente. Una prima: perché gli immigrati provenienti dai Paesi atlantici africani non intraprendono la via costiera, meno pericolosa, da dove potrebbero raggiungere agevolmente la Spagna o sbarcando sulle isole Canarie o attraversando lo stretto di Gibilterra (34 km di mare)? Invece, preferiscono sobbarcarsi diverse migliaia di km di arido deserto per giungere nella Libia del “feroce” Gheddafi e qui consegnarsi ai trafficanti di carne umana, ai quali pagano passaggi salatissimi, e sperare d’arrivare salvi a Lampedusa dopo circa 300 km di mare e/o oltre 400 km sulla costa siciliana. I barconi potrebbero approdare sulle isole di Malta (anche questa è Europa) che incontrano 100 km prima di quelle siciliane, ma non vi sbarcano quasi mai. L’ultima tragedia (si parla di almeno 150 vittime) è illuminante dell’assurdità di tali percorsi. Com’è noto, il barcone, era in acque territoriali maltesi (entro 18 km dalla costa) quando ha lanciato l’allarme captato dalle autorità maltesi. Queste, invece d’inviare i loro mezzi di soccorso, lo hanno smistato a quelle italiane che hanno spedito le motovedette da Lampedusa ossia da una distanza di 70 km dal luogo, perdendo tempo preziosissimo. Se i maltesi, invece di seguire questa contorta procedura, fossero intervenuti direttamente forse si sarebbe evitata la strage. Infine, un’altra stranezza: perché la gran parte d’immigrati provenienti dall’Africa orientale e dai vari Paesi asiatici vengono a sbarcare sulle coste siciliane e meridionali? Potrebbero approdare più agevolmente a Cipro, a Creta oppure sulla terraferma in Grecia e in Bulgaria? Anche questa è Europa. Se rischiano la vita per venire in Sicilia una ragione deve esserci o forse più d’una. Al governo la risposta e soprattutto la responsabilità di operare, con politiche nuove di cooperazione e di contenimento, per giungere a uno sforzo condiviso degli oneri e degli interventi sia sul piano nazionale sia europeo. Non si può continuare con la politica “dell’immigrato dove lo metto”. Un po’ di qua un po’ di là, mai nelle regioni del nord per non irritare il ministro leghista Bossi che li vuole “fora de bal”. Ma che razza di governo è questo? La Sicilia ha già fatto, continua a fare il suo dovere di solidarietà umana, ma non può, certo sopportare l’intero fardello, Sarebbe, oltretutto ingiusto e poco funzionale e si configurerebbe come un ripiego razzista inaccettabile. L’Italia e l’Europa darebbero, netta, l’impressione di volersi sbarazzare di un’emergenza così vasta e sconvolgente relegandola alla Sicilia e al Sud.
Agostino Spataro
Intervista a Gaetano Alessi: "Un giornale contro la mafia per ridare dignità e futuro alla Sicilia"
di Giuseppe Rizzo Abita a Bologna ma vive a Raffadali. Lavora nella grande distribuzione ma fa il giornalista. Non ha una laurea ma tiene corsi di giornalismo all'Università. La vita di Gaetano Alessi, 34 anni, oscilla tra due estremi: da un lato le necessità quotidiane, che lo hanno portato nel capoluogo emiliano per lavoro, e dall'altra i sogni. E proprio inseguendone uno è nato ad AdEst, periodico fondato con il sostegno di Vittoria Giunti, partigiana e primo sindaco donna della Sicilia. Un giornale di denuncia che gli ha fatto vincere l'anno scorso il premio di giornalismo Pippo Fava, sezione giovani.
La prima cosa che si sente dire di te è che sei un gran rompiballe. La seconda è: “Ma chi glielo fa fare?” E allora: chi te lo fa fare?
Sinceramente la risposta non la so nemmeno io. Se ne dovessi scegliere una direi: la gente con cui ho avuto la fortuna di lavorare, la gente con cui abbiamo cercato di creare futuro. Perché il bello della mia vita è che è una storia d’insieme. Di gente che non si è rassegnata a chinare la testa al “potente” e che ha trovato nella solidarietà e nel concetto di libertà due ideali per combattere.
Com'è nato Ad Est?
Noi siamo stati la nemesi dell’ascesa al potere di Salvatore Cuffaro. Ci siamo opposti da ragazzini proprio in quella Raffadali che all’ex senatore aveva dato i natali. Un’intuizione della partigiana Vittoria Giunti ci diede anche il “mezzo”. Una storia che comincia nel febbraio del 2003 e che ancora oggi vive una delle sue stagioni più belle, nonostante da sempre il giornale viva esclusivamente di sottoscrizioni.
Che lezione ti ha trasmesso Vittoria Giunti?
Vittoria è stata per noi un dono. Ci ha insegnato che c’è sempre una via d’uscita, ci ha indicato, senza nasconderci che saremmo dovuti passare dal tritacarne delle intimidazioni, delle minacce, delle torture psicologiche ai nostri cari, la strada da seguire: quella della dignità. Ci ha insegnato che sacrificare un po’ di noi stessi ad un valore più alto, quello di creare per gli altri un futuro più degno del nostro presente, era un ottima ragione di vita. Riusciva a darci la forza anche sul letto di morte. La sua eredità è negli occhi delle decine di ragazzi che oggi scrivono su ad AdEst.
Com'è l'Italia vista dalla Sicilia?
Un grande bailamme di suoni stonati. Un paese che ha sempre trattato la Sicilia come una “provincia dell’impero”. Ma ogni tanto tra queste note stonate ne esce qualcuna straordinariamente intonata come la “Resistenza” a ricordarci che “siamo solo se stiamo insieme”.
E la Sicilia vista da fuori?
E' una terra che sa come farsi del male, che non impara dai suoi errori ed è un luogo che genera mostri ed eroi. La sentenza Cuffaro, che per la prima volta porta in carcere un bel pezzo del potere siciliano, poteva essere un punto di partenza per una “rinascita” siciliana ma è già stata dimenticata, perché quel meccanismo perfetto che da sempre lega nell’isola imprenditoria, massoneria, mafia, politica e giornalismo deviato ha ancora gli artigli ben piantati nel cuore dell’isola.
Cosa manca per liberarsi definitivamente di Cosa Nostra?
Serve una battaglia culturale della società per riprendersi il territorio, per far sentire alla mafia che in quella terra non c’è più spazio perché il lavoro si crea dalla solidarietà tra chi ci abita. Una battaglia fatta anche di simboli. Al loro vascello carico di soldi e potere, noi opponiamo la nostra piccola nave pirata carica di idee. Alla lunga la vinceremo noi, con AdEst alla fine è stato così.
Lo Stato, oggi, è presente o no?
Lo Stato sotto forma del Governo Berlusconi è presentissimo: scudo fiscale, federalismo demaniale, legge sulle intercettazioni sempre in discussione ad aiutare palesemente “cosa nostra”. Funzionari corrotti, politici venduti e incapaci e come ultima ciliegina Saverio Romano ministro della Repubblica. Più presente di così.
Cosa leggi negli occhi dei ragazzi che oggi si impegnano in questa lotta?
Leggo la voglia di contaminare e contaminarsi, leggo la voglia di riscattare l’apatia con cui i loro genitori li hanno costretti a vivere un presente di “precariato” perenne, leggo la voglia di “disobbedire”, ma soprattutto leggo la voglia trasformare parole come giustizia sociale, lotta alla mafia, emancipazione, da “manifesti” ad atti di tutti i giorni. Amo questa generazione perché ad ogni metro del suo cammino non solo conquista un presente più dignitoso in cui vivere ma crea un futuro migliore per chi verrà dopo. Come se i figli della “Resistenza” fossero nati con 50 anni di ritardo..
TRATTA DA L'UNITA' - RUBRICA "I NUOVI MILLE CHE FARANNO L'ITALIA"
La prima cosa che si sente dire di te è che sei un gran rompiballe. La seconda è: “Ma chi glielo fa fare?” E allora: chi te lo fa fare?
Sinceramente la risposta non la so nemmeno io. Se ne dovessi scegliere una direi: la gente con cui ho avuto la fortuna di lavorare, la gente con cui abbiamo cercato di creare futuro. Perché il bello della mia vita è che è una storia d’insieme. Di gente che non si è rassegnata a chinare la testa al “potente” e che ha trovato nella solidarietà e nel concetto di libertà due ideali per combattere.
Com'è nato Ad Est?
Noi siamo stati la nemesi dell’ascesa al potere di Salvatore Cuffaro. Ci siamo opposti da ragazzini proprio in quella Raffadali che all’ex senatore aveva dato i natali. Un’intuizione della partigiana Vittoria Giunti ci diede anche il “mezzo”. Una storia che comincia nel febbraio del 2003 e che ancora oggi vive una delle sue stagioni più belle, nonostante da sempre il giornale viva esclusivamente di sottoscrizioni.
Che lezione ti ha trasmesso Vittoria Giunti?
Vittoria è stata per noi un dono. Ci ha insegnato che c’è sempre una via d’uscita, ci ha indicato, senza nasconderci che saremmo dovuti passare dal tritacarne delle intimidazioni, delle minacce, delle torture psicologiche ai nostri cari, la strada da seguire: quella della dignità. Ci ha insegnato che sacrificare un po’ di noi stessi ad un valore più alto, quello di creare per gli altri un futuro più degno del nostro presente, era un ottima ragione di vita. Riusciva a darci la forza anche sul letto di morte. La sua eredità è negli occhi delle decine di ragazzi che oggi scrivono su ad AdEst.
Com'è l'Italia vista dalla Sicilia?
Un grande bailamme di suoni stonati. Un paese che ha sempre trattato la Sicilia come una “provincia dell’impero”. Ma ogni tanto tra queste note stonate ne esce qualcuna straordinariamente intonata come la “Resistenza” a ricordarci che “siamo solo se stiamo insieme”.
E la Sicilia vista da fuori?
E' una terra che sa come farsi del male, che non impara dai suoi errori ed è un luogo che genera mostri ed eroi. La sentenza Cuffaro, che per la prima volta porta in carcere un bel pezzo del potere siciliano, poteva essere un punto di partenza per una “rinascita” siciliana ma è già stata dimenticata, perché quel meccanismo perfetto che da sempre lega nell’isola imprenditoria, massoneria, mafia, politica e giornalismo deviato ha ancora gli artigli ben piantati nel cuore dell’isola.
Cosa manca per liberarsi definitivamente di Cosa Nostra?
Serve una battaglia culturale della società per riprendersi il territorio, per far sentire alla mafia che in quella terra non c’è più spazio perché il lavoro si crea dalla solidarietà tra chi ci abita. Una battaglia fatta anche di simboli. Al loro vascello carico di soldi e potere, noi opponiamo la nostra piccola nave pirata carica di idee. Alla lunga la vinceremo noi, con AdEst alla fine è stato così.
Lo Stato, oggi, è presente o no?
Lo Stato sotto forma del Governo Berlusconi è presentissimo: scudo fiscale, federalismo demaniale, legge sulle intercettazioni sempre in discussione ad aiutare palesemente “cosa nostra”. Funzionari corrotti, politici venduti e incapaci e come ultima ciliegina Saverio Romano ministro della Repubblica. Più presente di così.
Cosa leggi negli occhi dei ragazzi che oggi si impegnano in questa lotta?
Leggo la voglia di contaminare e contaminarsi, leggo la voglia di riscattare l’apatia con cui i loro genitori li hanno costretti a vivere un presente di “precariato” perenne, leggo la voglia di “disobbedire”, ma soprattutto leggo la voglia trasformare parole come giustizia sociale, lotta alla mafia, emancipazione, da “manifesti” ad atti di tutti i giorni. Amo questa generazione perché ad ogni metro del suo cammino non solo conquista un presente più dignitoso in cui vivere ma crea un futuro migliore per chi verrà dopo. Come se i figli della “Resistenza” fossero nati con 50 anni di ritardo..
TRATTA DA L'UNITA' - RUBRICA "I NUOVI MILLE CHE FARANNO L'ITALIA"
martedì 5 aprile 2011
L'assessore alla sanità Massimo Russo a Corleone: "L'ospedale sarà potenziato ed integrato con i servizi del Pta"
L'intervento dell'assessore Russo |
Durante l’incontro con le istituzioni locali (erano presenti Pio Siragusa, vice-sindaco di Corleone e presidente della conferenza dei sindaci della provincia di Palermo, Filippo Contorno, sindaco di Bisacquino, e Nino Garofalo, sindaco di Prizzi), con i sindacati (erano presenti Leo Cuppuleri, responsabile Fp-Cgil per il P.O., Dino Paternostro, segretario della Camera del lavoro, Beppe Musacchia, della Cisl-medici, Gino Salvaggio, della Fps-Cisl), con le associazioni (erano presenti Corleone Dialogos e Città Nuove) e con gli operatori, l’assessore ha comunicato tutto il suo disappunto per la manifestazione popolare del 29 novembre. «Qualcuno che ha cariche istituzionali – ha sottolineato Russo – ha voluto strumentalizzare i cittadini, sostenendo che noi volevamo chiudere l’ospedale. Una falsità, contraddetta dai nostri atti concreti». Al di là di qualche tentativo di strumentalizzazione, che probabilmente ci sarà stato, c’è da dire che la preoccupazione per il futuro dell’ospedale tra i cittadini era reale. Solo per questo tanta gente è scesa in piazza. Nessuna strumentalizzazione, infatti, può portare in piazza 5.000 persone. Il successivo confronto con il direttore generale dell’Asp, Salvatore Cirignotta, il sostegno del senatore Lumia e dell’on. Antonello Cracolici, capogruppo dei Ds all’Ars, hanno consentito quegli aggiustamenti, che adesso fanno tirare un sospiro di sollievo a tutti. Infatti, sono stati consolidati i 15 posti-letto della Psichiatria, col loro inserimento nella rete di rimodulazione ospedaliera, è stata modificata la pianta organica, che per l’ospedale di Corleone è stata portata da 203 a 223 unità, col potenziamento della cardiologia e del laboratorio di analisi. Saranno spesi 500 mila euro per l’acquisto di nuove attrezzature sanitarie. E, infine, sarà realizzato il nuovo pronto soccorso e i locali per il Pta. «Con la Legge 5 del 2009 – ha concluso Russo – abbiamo fatto una rivoluzione nella sanità siciliana, i cui effetti positivi già si cominciano a vedere: abbiamo eliminato sprechi e privilegi, tanto da passare tra le regioni virtuose d’Italia. Per questo, abbiamo potuto bandire i concorsi, abbiamo potuto allargare le fasce dei cittadini da esentare dal ticket, sono partiti i Cup (Centri unificati di prenotazione), che ci stanno consentendo l’abbattimento delle liste d’attesa per le prestazioni di specialistica ambulatoriale». Infine, la positiva sfida-proposta dell’assessore Russo: «Organizziamo per il prossimo 10 maggio una festa della sanità a Corleone, dove spiegare ai cittadini quello che si vuole fare per l’ospedale e per i servizi territoriali!».
lunedì 4 aprile 2011
Sull'abbigliamento "consono"...
Recentemente mio marito si è recato a Palazzo dei Normanni, sede del Parlamento regionale siciliano, per un incontro fra varie organizzazioni non governative e il presidente ed altri funzionari della Regione. In portineria gli sbarrano il passo perché è vestito con una (per altro decentissima) tuta da ginnastica blu, ritenendo il suo abbigliamento poco consono al luogo (?!?). E’ il suo abbigliamento abituale, vestito così è entrato pure nella basilica di S. Pietro (il che è quanto dire!) dove fu invece sbarrato il passo a nostro figlio di allora 10 anni perché indossava una canottiera!. Mio marito ha insistito garbatamente, chiedendo se ci fosse un regolamento della Regione e cosa dicesse. Chi lo ostacolava ha risposto “il regolamento sono io!”. Non volendo perdere la conferenza e, abitando per fortuna a Palermo, è tornato a casa a cambiarsi. Non posso non pensare che l’accesso alla Regione non è stato e non è sbarrato ai molteplici politici (in giacca e cravatta!) inquisiti per mafia & amenità similari.
Mi sovviene quando Lorenzo Barbera, nel suo libro “I ministri dal cielo” narra di quando una delegazione di terremotati del Belice si recò in Parlamento, a Roma, dove non le fu consentito l’accesso in quanto tutti erano sprovvisti di cravatta. Allora tutti se ne procurarono, non annodandosele però al collo, ma al braccio, attorno alla testa… senza che nessuno potesse loro vietarlo, in quanto il regolamento prescriveva che si portasse una cravatta, ma non dove e come.
Tornando ancora al viaggio a Roma compiuto qualche anno fa con la mia famiglia, volendo educare nostro figlio al rispetto per le diversità e quindi anche per le varie religioni, ci recammo in visita alla Sinagoga, per assistere alla funzione del sabato. Allora ci fu sbarrato il passo (a tutti e tre!) perché portavamo dei sandali! Io (che già provenivo dalla foga anti-canottiera precedente, alla basilica di S. Pietro) mi arrabbiai moltissimo, dicendo loro che avrebbero quindi vietato l’ingresso pure a Gesù, che non mi pare portasse mocassini. Sempre in quel viaggio andammo pure in visita alla grande Moschea progettata da Portoghesi, dove fu vietato l’ingresso a me (a dire il vero più gentilmente che nei due casi precedenti) perché portavo una gonna (non mini!) che lasciava però scoperte le gambe. Allora mio figlio fece un commento che non ritenemmo in quel frangente di correggere: “Sentite, a me questi qua di san Pietro, della Sinagoga e della Moschea mi sembrano solo dei cretini”. A me oggi anche quelli della Regione.
Maria Di Carlo
Un’ultima nota: il Ciss (Cooperazione Internazionale Sud-Sud), al termine di questo incontro fra le varie ong e il presidente della Regione, avrebbe voluto offrire un buffet e, dato il tema dell’incontro, (cooperazione, solidarietà internazionale: strumenti, pratiche ecc.) aveva incaricato dell’allestimento la cooperativa Macondo, che si occupa di commercio equo-solidale. Ma non è stato concesso il permesso per poter organizzare quel tipo di buffet in quanto la coop. Macondo avrebbe utilizzato posateria usa e getta, poco consona anche questa alla “sacralità” del luogo.
Mi sovviene quando Lorenzo Barbera, nel suo libro “I ministri dal cielo” narra di quando una delegazione di terremotati del Belice si recò in Parlamento, a Roma, dove non le fu consentito l’accesso in quanto tutti erano sprovvisti di cravatta. Allora tutti se ne procurarono, non annodandosele però al collo, ma al braccio, attorno alla testa… senza che nessuno potesse loro vietarlo, in quanto il regolamento prescriveva che si portasse una cravatta, ma non dove e come.
Tornando ancora al viaggio a Roma compiuto qualche anno fa con la mia famiglia, volendo educare nostro figlio al rispetto per le diversità e quindi anche per le varie religioni, ci recammo in visita alla Sinagoga, per assistere alla funzione del sabato. Allora ci fu sbarrato il passo (a tutti e tre!) perché portavamo dei sandali! Io (che già provenivo dalla foga anti-canottiera precedente, alla basilica di S. Pietro) mi arrabbiai moltissimo, dicendo loro che avrebbero quindi vietato l’ingresso pure a Gesù, che non mi pare portasse mocassini. Sempre in quel viaggio andammo pure in visita alla grande Moschea progettata da Portoghesi, dove fu vietato l’ingresso a me (a dire il vero più gentilmente che nei due casi precedenti) perché portavo una gonna (non mini!) che lasciava però scoperte le gambe. Allora mio figlio fece un commento che non ritenemmo in quel frangente di correggere: “Sentite, a me questi qua di san Pietro, della Sinagoga e della Moschea mi sembrano solo dei cretini”. A me oggi anche quelli della Regione.
Maria Di Carlo
Un’ultima nota: il Ciss (Cooperazione Internazionale Sud-Sud), al termine di questo incontro fra le varie ong e il presidente della Regione, avrebbe voluto offrire un buffet e, dato il tema dell’incontro, (cooperazione, solidarietà internazionale: strumenti, pratiche ecc.) aveva incaricato dell’allestimento la cooperativa Macondo, che si occupa di commercio equo-solidale. Ma non è stato concesso il permesso per poter organizzare quel tipo di buffet in quanto la coop. Macondo avrebbe utilizzato posateria usa e getta, poco consona anche questa alla “sacralità” del luogo.