di Anna Maria Ruta
MARINEO. Al Castello Beccadelli è visitabile la mostra del pittore Nicola Figlia su Francesco Bentivegna. Si tratta di 16 disegni (china e acquerello) e di un pannello centrale (olio su tela). Grafico più che pittore - anche se il suo impegno d'artista si esercita in entrambi gli ambiti -, a metà tra uso del fumetto ed arte popolare, Nicola Figlia attraversa per ora un felice momento creativo, visibile nei recenti disegni che hanno illustrato i Discorsi scritti e disegnati su alcuni proverbi siciliani. Tu ha raggiuni ma io tortu unn'haiu di Roberto Lopes, edito dall'Associazione culturale "Prospettive" e in questi acquarelli qui pubblicati, dedicati all'eroica e sfortunata vicenda politica e umana di Francesco Bentivegna, patriota antiborbonico fucilato a Mezzojuso nel dicembre del 1856.
A metà tra fumetto e arte popolare, si diceva, perché il racconto iconografico del tentativo di rivolta fallito del Bentivegna si snoda nelle immagini di Figlia con i ritmi propri di tanti cartelli dell'opera dei pupi, pur se con una traduzione segnica più icastica e raffinata, che guarda all'andamento più dotto del fumetto, specialmente nell'ironia che traspare qua e là nei volti e nelle scene di vita, colte con occhio divertito e attento ad una realtà talora penetrata anche nella sua valenza crudele e drammatica.
Questo privilegiare la narrazione e la figurazione, questa mistione di generi, a cui non sono estranei elementi del naif e della favola, perfino certa citazione latente di retaggi classici nella rappresentazione delle masse possono far collocare l'iconografìa di Nicola Figlia in piena post-modernità, con una scelta della sua particolare identità artistica più consapevole di quanto, a prima vista, non possa sembrare. Il suo impegno si svela nei modi con cui fa l'uomo assoluto protagonista delle sue immagini, nella sua individualità e nel suo rapporto con il sociale, nella sua solitudine esistenziale e intellettuale, come è qui il caso del Bentivegna, visto sempre con una profonda malinconia nello sguardo, assorto nei suoi pensieri e nelle sue speranze di libertà non condivise e poi tragicamente solo nel momento della sconfitta, del tradimento e della morte. Le scene della Confessione, del Testamento, della Fucilazione, ma anche le precedenti In attesa della rivolta, Controllato e poi dell'Abbandono, del Tradimento sono quadri pregni di un dramma solitario, che attinge a un delicato lirismo specialmente nel contatto contrastivo con la natura serena e limpida che contorna lo sfortunato eroe.
A fronte, la rappresentazione del popolo, pronto a difendere la propria incolumità e a tradire, rappresentazione attraversata da una sottile vena ironica, che si intravede in certe espressioni appena appena inclinanti al sorriso. Figlia ama disegnare volti su volti, assemblati e fittamente susseguentisi sugli sfondi, e qui il ricordo di tanta pittura classica del passato, rinascimentale e barocca, ma soprattutto bizantina è evidente. La ricerca fisiognomica lo attanaglia spesso con una particolare attenzione offerta allo sguardo, che può a volte apparire ingenuo e assente, ma è invece incredulo dinanzi allo svelamento dell'incomprensione e della distaccata indifferenza altrui. I volti sui volti si fanno popolo e folla, massa anonima, che talora si muove e sfila ordinatamente e dinamicamente, come nella riuscita scena della Traduzione a Mezzojuso e contorna con performances pittoresche singole inquadrature, partecipe sorprendente di grandi imprese e intensamente malinconica anch'essa. La mano di Figlia allora punta sugli occhi, veramente per lui specchio dell'anima, vivacizzati con pochi tratti, rapidamente, e quasi sempre percorsi da un profondo disagio interiore, anche se non sempre consapevole.
Figlia si pone con sapiente distacco, con straniamento di fronte alla vita, come dimostra il suo gusto per un cromatismo tenue e trasparente, per un tratteggio delicato e minuto, per un segno semplificato ma espressionista nella sua essenzialità. In questo omaggio a Francesco Bentivegna il soggetto tragico del suo narrare gli impone una attenzione più acuta, una precisione di percorsi segnici più marcata e realistica, ma altrove il suo penetrare dentro gli interni delle case a origliare e occhieggiare in un mondo più vario e superficiale, lo spinge ad antropomorfizzare edifìci ed elementi della natura, ad abbandonarsi ad una figurazione più espressionista e sorridente, che fa trapelare una carezzevole simpatia di fondo verso uomini e cose, e allora i suoi colori si accendono, i particolari si illuminano di ricordi naif, la rappresentazione del mondo popolare, specialmente nei proverbi appena pubblicati, si carica di energia primordiale e anche negli interni borghesi fa trapelare il gusto della vita e della gioia.
Siamo di fronte allora ad una particolare figura d'artista, veramente interessante, perché espressivo interprete del suo mondo, sia nella sostanza sia nella forma del suo rappresentare.
Le opere
FRANCESCO BENTIVEGNA
STAZIONI DI UNA PASSIONE CIVILE
(didascalie di Pippo Oddo)
1. Sotto il dominio borbonico
Prologo alla narrazione iconografica della Via Crucis di Francesco Bentivegna, la scena è un po’ lo spettro che incombe sull’intera vicenda umana e politica ricostruita da Nicola Figlia con una raffinata vena lirica, indulgente qua e là all’ironia e al pedagogismo del vecchio cantastorie
2. Credo mazziniano
Nel rendere omaggio al pensiero dell’Apostolo genovese, l’artista mostra di privilegiare la tecnica illustrativa della leggenda agiografica e una ricerca fisiognomica mirata a trasformare gli occhi dei discepoli, e quelli di Bentivegna in particolare, in fari puntati verso un futuro di libertà.
3. 1848 a Palermo
Prima stazione della passione civile del martire risorgimentale, l’insurrezione del 12 gennaio ‘48 lo consacrò antiborbonico a prova di bombe, eroe popolare e alfiere di un’utopia della libertà destinata a far proseliti ben oltre i limiti temporali della sua esistenza terrena.
4. Controllato
Da questa scena - che incornicia l’immagine di un uomo sereno, generoso e dotato di un carattere per nulla incline al melodramma (quale era l’eroe corleonese) - traspare, nondimeno, tutto il peso della solitudine con cui è costretto a convivere il perseguitato dalla giustizia borbonica.
5. In attesa della rivolta
Qui la solitudine di Bentivegna sembra apèrirsi alla speranza che il suo progetto di società, volto a liberare la Sicilia dai Borboni e a soddisfare i bisogni primari delle masse diseredate, possa esser presto fatto proprio dai contadini residenti oltre l’informe ammasso delle colline circostanti
6. Insurrezione
Con la scena dell’insurrezione popolare del 22 novembre 1856, i cui primi atti furono il disarmo degli agenti borbonici e la liberazione dei detenuti nel carcere di Mezzojuso, il pittore porta sul davanti della storia un’umanità varia, e non proprio conscia dell’avventura in cui si è imbarcata.
7. Abbandono
Come in certi cartelli dell’opera dei pupi, alla scena precedente (animata da una miriade di personaggi) succede questa, che tratteggia il dramma dell’Eroe lasciato solo, deluso dai facinorosi che avevano accettato il suo invito alla ribellione, senza coglierne la vera portata liberatoria.
8. Tradimento
Più che sul profilo lezioso del supposto Giuda corleonese - che a differenza dell’Iscariota non si accontenterà di soli trenta sicli d’argento - le pennellate di Figlia si concentrano, con tutta la delicatezza che il caso richiede, sui volti provati dei fratelli Francesco e Stefano Bentivegna.
9. Arresto
Ciò che colpisce in questa scena drammatica è il comportamento dignitoso e sereno dell’Eroe, appena catturato in un casolare delle campagne di Corleone. Il suo incedere rassegnato tra i gendarmi del tiranno napoletano la dice lunga sulla solidità delle proprie convinzioni politiche
10. Incontro con la madre
Nella rappresentazione di questa stazione del Calvario di Bentivegna, il tratteggio delicato e il cromatismo tenue di Figlia si caricano di un pessimismo lirico, che rimanda per contrapposizione all’atmosfera gioiosa dell’incontro processionale di Cristo Risorto con la Madre Celeste.
11. Processo
Gli sguardi attoniti della folla ammassata dietro la sbarra, su cui poggia fiero ambo le mani l’imputato, raccontano magistralmente lo sgomento dei contemporanei e la partecipazione emotiva dell’artista, che non riesce ad estraniarsi dalla sorte del destinatario delle sue attenzioni pittoriche
12. Traduzione a Mezzojuso
Il questa scena, tra le più riuscite e dense di pathos, il volto dell’Eroe non compare: può essere caso mai ricercato in una delle quattro ombre che attenuano la tetra monotonia del carrozzone in marcia, con numerosa scorta, sugli stretti e tortuosi sentieri che portano a Mezzojuso.
13. Confessione
Gli sguardi leali di entrambi i protagonisti di questa scena - evocativa della tradizione iconografica bizantina - rivelano la profonda religiosità del barone popolare, che sta per congedarsi da questo mondo con il solo rammarico di non avervi potuto piantare il vessillo della libertà.
14. Testamento
L’immagine di Bentivegna assistito dal notaio, mentre scrive il testamento olografo - vicino alla finestra che incornicia il campanile della chiesetta dove il papàs lo ha appena assolto da tutti i peccati -, immortala la serenità con cui l’Eroe si appresta ad affrontare il plotone d’esecuzione.
15. Fucilazione
La crudezza del linguaggio pittorico con cui di solito si raccontano le esecuzioni capitali, in questo caso, è stemperata dalla geniale trovata dell’artista, che ritaglia all’immagine del Martire non meno spazio di quanto ne copra quella di Cristo Pantocratore tra i mosaici delle chiese bizantine.
16. A memoria
In bilico tra il fumetto e l’arte popolare, l’ultima scena tratteggia, con disincantata ironia, la sconcertante irriverenza di tre giovani volti indifferenti sotto il medaglione marmoreo di De Lisi e la scritta di Mercantini, che eternano la memoria dell’Eroe corleonese moschettato a Mezzojuso
NICOLA FIGLIA
Nicola Figlia è nato a Mezzojuso (Pa) il 27 ottobre 1950. Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Palermo, è docente di discipline pittoriche al liceo artistico D. Almeyda di Palermo. Disegna a pennino, incide all’acquaforte e dipinge ad olio, lavora su tela e cartelloni. Nella sua pittura convivono in maniera dialettica neorealismo, espressionismo, metafisica, arte popolare, influenze bizantine. Il tutto si presenta attraverso l’ossessione del personaggio e del volto.
“Nicola Figlia è siciliano e la sua imagerie è profondamente legata alla sua terra. Egli infatti attinge all'arte bizantina ed al repertorio popolare, linguaggi ampiamente documentati in Sicilia. Ne scaturisce un sincretismo che perviene a livello estetico dopo una lunga e complessa rielaborazione personalissima, attraverso un linguaggio nuovo che mira a porsi come autoctono, immune da mode e modi tanto dell'oriente quanto dell'occidente. In realtà non si tratta di un linguaggio naif, al contrario si tratta di un recupero colto che si vuole porre come peculiare. Non è un caso se l'artista ha realizzato in prevalenza repertori religiosi essendo la religiosità profondamente radicata nell'isola. I celebri mosaici di Monreale si coniugano con il “racconto” dei cantastorie che trova spazio sui pannelli esplicativi per poi giungere nel teatro dei pupi e sui tipici carretti. A questa Sicilia immortalata da Verga riguarda Figlia, convinto che recuperare i valori della terra sia compito anche dell'arte, e nello specifico di quella figurativa. Non già arte di nostalgia o arte del passato ma arte del presente che si avvicina, per certi aspetti, agli esiti propri della pop art, ma non allineata al pop americano ma nell'ottica di un pop Siciliano”. (S. Severi)
Hanno scritto di lui: Giacomo Baragli, Ludmilla Bianco, Francesco Carbone, Bruno Caruso, Sofia Cuccia, Luca Di Martino, Pino Di Miceli, Riccardo Ferlazzo Ciano, Filippo Fiorino, Franco Grasso, Roberto Lopes, Roberto Lorenzetti, Sandro Miano, Enzo Patti, Lillo Pennacchio, Carmelo Pirrera, Anna Maria Ruta, Tonino Schillizzi, Stefania Severi, Franco Simoncini, Sergio Troisi, Angela Noya Villa.
Personali
1969 - Circolo Culturale “Silvio Pellico”, Mezzojuso.
1973 - Centro d'arte “il Paladino”, Palermo.
1977 - Centro d'arte “il Paladino”, Palermo
1983 - Il Mastro di Campo di Nicola Figlia, Galleria d'arte “la Persiana”, Palermo
1984 - Associazione Culturale “Prospettive”, Mezzojuso
1988 - Il Mastro di Campo, Centro Artistico “Velca”, Roma
1989 - Iconostasi, Chiesa di S. Maria, Altofonte
1991 - Nicola Figlia al Castello di Mezzojuso, retrospettiva, Comune di Mezzojuso
1992 - Cartelloni e personaggi del Mastro di Campo, Biblioteca Comunale, Mezzojuso
1995 - Primo Meeting della Pace, Godrano
1996 - Epi si Cheri, Chiesa di San Rocco, Mezzojuso
1996 - Omaggio a Nicola Figlia, Galleria d'Arte Moderna, Comune di Avezzano
1997 - BNL, Roma
1998 - Villa Niscemi, Comune di Palermo
1999 - Medioriente, “Qual'at”, Caltanissetta
1999 - Umanità e Religiosità, Chiesa San Francesco Saverio, Palermo
2001- Il Linguaggio del Sacro, seconda edizione, Chiostro di Sant'Antimo, Piombino
2004 - Il Mastro di Campo di Nicola Figlia, Associazione Pro Loco, Mezzojuso
2006 - I Confini del Sacro, Tabularium del Loggiato San Bartolomeo, Palermo
2007 - Francesco Bentivegna, stazioni di una passione civile, Comune di Mezzojuso
2008 - Francesco Bentivegna, stazioni di una passione civile, Comune di Corleone
2008 - Rivisti-Figlia, Associazione “Prospettive”, Castello, Mezzojuso
2010 - Tu ha raggiuni ma iò tortu unn’haiu, Biblioteca Comunale, Villalba (CL)
2010 - I colori del Campo, Associazione “Prospettive”, Castello, Mezzojuso
2010 - Il Volto, il Sacro, Convento Santa Maria di Gesù, Palermo
2010 - Il Mastro di Campo di Nicola Figlia, Palazzo Jung, Palermo
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