Il collaboratore di giustizia depone sulle stragi del '93: "Graviano mi disse che con quei due avevamo il Paese in mano" Poi chiede perdono alla città a Firenze: "Sono arrivato da terrorista, dopo 18 anni torno da uomo pentito" FIRENZE - Gaspare Spatuzza ha deposto oggi nell'aula bunker di Firenze, dove si svolge il processo a Francesco Tagliavia per le stragi del '93. Il collaboratore era scortato da 7 agenti coperti da 'mefisto' per motivi di sicurezza. Lui stesso è stato fatto accomodare su una sedia circondata da paraventi. Tra gli spettatori anche una scolaresca dell'Istituto tecnico per il turismo Marco Polo di Firenze, accompagnata dagli insegnanti. A fare le riprese anche uno studente dell'Università di Firenze per un sito di informazione studentesca autorizzato dal presidente della Corte di Assise Nicola Pisano. In collegamento dal carcere di Viterbo c'era l'imputato Francesco Tagliavia. "L'ho visto per la prima volta nell'86-87 - ha detto Spatuzza - periodo in cui eravamo partecipi per spingere il Partito socialista. C'è stato un incontro politico in Sant'Erasmo, in un ristorantino in via del Tiro a segno. Non era una persona comune, l'ho capito subito, quel giorno era tutto vestito di nero, non so se gli era morto il fratello. Negli anni seguenti abbiamo poi fatto degli omicidi insieme".
LE SCUSE. "Io mi sono inginocchiato davanti allo Stato e ho chiesto perdono. Devo dire che io giuridicamente ho sbagliato, ed è giusto che lo Stato mi punisca. Moralmente ho agito convinto di fare la scelta più giusta in quella circostanza". "Nel marzo 2008 chiesi un colloquio con il procuratore antimafia Piero Grasso per via D'Amelio. Avevo tanta paura a collaborare, venni trasferito in un altro penitenziario più sicuro. Ma sono entrato in conflitto con questioni di politica, con questioni di polizia, di servizi segreti, di magistratura, rispetto a processi già chiusi con condanne definitive, ed ero chiuso in una cella. Non è stato facile trovarsi da solo contro davanti a tutto questo. Lo Stato, quello che conosco io, la protezione non me l'ha fatta mancare. Ma io conduco una vita peggio del 41 bis". "Sono arrivato in questa città, a Firenze, da terrorista, il nostro obbiettivo era colpirla nel cuore e ci siamo riusciti", ha poi aggiunto Spatuzza. "Oggi dopo 18 anni vengo come uomo e soprattutto come pentito e intendo chiedere perdono che può non essere accettato, che può essere strumentalizzato ma dovevo farlo".
LE STRAGI. Nella villetta in cui si svolse l'incontro per organizzare l'attentato a Firenze, ha raccontato, c'erano Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Matteo Messina Denaro, Barranca e Giuliano. "Graviano mi comunica che siamo lì per mettere a punto un attentato. Sul tavolo ci sono dei libri con figure artistiche, dei monumenti, delle fotografie. Per quello che ho capito loro avevano già fatto sopralluoghi a Firenze, parlavano di quei posti come se fossero già a conoscenza". Su richiesta di precisare da parte del presidente Nicola Pisano, Spatuzza ha confermato che in quella riunione i boss stavano studiano "monumenti di Firenze".
"NON CI APPARTENGONO". Spatuzza nella sua deposizione ha riferito di aver confidato a Graviano e Lo Nigro alcune morti di quelle stragi che "non gli appartengono". "Per quello che mi riguarda, nell' ottica criminale, Capaci ci appartiene, via D'Amelio ci appartiene. Ma su Firenze, Milano e Roma entriamo in una storia diversa, è un terreno che non ci appartiene. Cosa Nostra non è così imbecille da andare in guerra senza le spalle coperte". Spatuzza, sempre ricordando quelle confidenze con Cosimo Lo Nigro e Giuseppe Graviano, ha ribadito rispondendo al pm Alessandro Crini che "Giuseppe Graviano disse che era meglio che ci portassimo dietro un pò di morti, così diamo una smossa, così chi si deve muovere si muove". "In realtà Giuseppe Graviano aveva capito la mia debolezza di esprimere dei dubbi sulle stragi che avevamo fatto. Per me, Graviano rappresentava mio padre, altrimenti sarei stato zitto perchè nei rapporti tra mafiosi queste cose non si possono dire tanto più se sono state fatte o decise dai boss". E spiega: "Era un padre nel senso che io gli ho dato la mia vita, l'ho messa nelle sue mani anche se solo un pazzo può pensare di andare dietro a Graviano. Per noi lui era paragonabile a "madre natura", era il signore nel suo carisma, pensate quindi che mente perversa abbiamo avuto".
IL NOME DI BERLUSCONI. Il pentito racconta anche quando Giuseppe Graviano "menziona" Berlusconi, in un incontro, dopo le stragi, in cui lo stesso Graviano avrebbe detto: "abbiamo ottenuto tutto". "Lui era gioioso - racconta Spatuzza, riferendosi a Graviano - mi disse che avevamo ottenuto tutto grazie alla serietà di queste persone che non erano come quei quattro socialisti che ci avevano venduto nel 1988. Lui menziona nello specifico la persona di Berlusconi. Io gli dissi se era la persona di Canale 5 e lui me lo confermò e mi disse che c'era anche un suo compaesano, Marcello Dell'Utri". "Giuseppe Graviano mi disse: Berlusconi e Dell'Utri sono gli interlocutori, attraverso queste persone ci siamo messi il Paese nelle mani".
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