ll primario radiologo, impegnato a lungo in politica, è stato deputato regionale di Forza Italia: era accusato da tre collaboratori di giustizia. Antonino Giuffrè aveva detto: "E' una creatura di Bernardo Provenzano". Contro di lui anche alcune intercettazioni che avevano svelato rapporti e frequentazioni con altri mafiosi, di Palermo e Corleone. Il politico era agli arresti domiciliari dal 2007, dopo essere rimasto un anno in carcere, con l'accusa di associazione mafiosa
Tre mesi dopo la cattura di Bernardo Provenzano, nel luglio 2006, era finito in manette con l’accusa infamante di essere "una creatura del capo di Cosa nostra". Questo diceva di lui il pentito Antonino Giuffrè, un tempo braccio destro del padrino di Corleone. Giovanni Mercadante, notissimo primario radiologo del Maurizio Ascoli ed ex deputato regionale di Forza Italia, era stato condannato a 10 anni e 8 mesi in primo grado, per associazione mafiosa. Era il 28 luglio 2009. Ieri sera, dopo 9 ore di camera di consiglio, la sesta sezione della corte d’appello presieduta da Biagio Insacco (a latere Roberto Murgia e Gaetano La Barbera) ha assolto Mercadante, "perché il fatto non sussiste". E ha ordinato la sua immediata scarcerazione. L’ex esponente politico era ai domiciliari dal 2007, dopo aver scontato un anno in carcere.
Esultano i legali di Mercadante: Nino Caleca, Grazia Volo, Leo Mercurio e Francesca Li Vecchi. Il procuratore Francesco Messineo commenta: "Solo dalla lettura delle motivazioni della sentenza corte potremo capire quali sono le ragioni che hanno portato la corte a riformare la sentenza di condanna". Molto più esplicito il sostituto Nino Di Matteo, uno dei pm che ha rappresentato l’accusa nel processo di primo grado: "Sono veramente sorpreso per la decisione della corte — dice — il quadro probatorio a carico di Mercadante era stato ritenuto molto solido sia dal tribunale, al termine di una istruttoria dibattimentale molto accurata e complessa, sia in sede cautelare da più collegi del riesame e dalla stessa Cassazione".
Contro Mercadante c’erano le dichiarazioni di tre pentiti. Oltre a Giuffrè, Angelo Siino ("Mercadante è uno dei più grossi favoreggiatori di Provenzano"), e Giovanni Brusca ("È molto vicino a Tommaso Cannella, capomafia di Prizzi, di cui è cugino"). Dopo i pentiti erano arrivate le intercettazioni. Il 28 luglio 2005, i poliziotti della squadra mobile avevano ascoltato il medico di Riina e Provenzano, il boss Antonino Cinà, mentre diceva a Nino Rotolo, capomandamento di Pagliarelli: "Mi sono visto con Giovanni Mercadante. Gli ho fatto una premessa: Sono finiti i tempi che ci potevate prendere per fessi, qua non si esce... tu mi dai e io ti do, anche perché ti ho eletto". Il 14 ottobre 2005, i poliziotti seguirono Cinà fino alla segreteria di Mercadante. Secondo la ricostruzione dell’accusa, Cinà aveva chiesto aiuto al politico per fare assumere il figlio all’Ismett, ma anche per raccomandare un medico milanese alla Neurochirurgia del Civico.
Un’altra microspia aveva sorpreso Mercadante a Corleone, mentre parlava con Leoluca Di Miceli, uno dei cassieri di Riina e Provenzano. L’imputato ha sempre respinto tutte le accuse, spiegando che Di Miceli era per lui solo il suocero di un sostenitore elettorale. In tribunale, il politico si è difeso piazzando anche qualche affondo nei confronti dei suoi compagni di partito: "Nel 1996, Di Miceli sostenne Misuraca e Schifani". Mercadante non ha utilizzato mezzi termini. L’autodifesa è proseguita negando che "Angelo" citato nella conversazione con Di Miceli, a proposito di una visita medica "per la madre", fosse il figlio di Provenzano. Ma in primo grado, i giudici non avevano creduto a Mercadante, anche perché in una lettera di Angelo Provenzano, sequestrata nel 2001, c’era proprio il nome "Givanni Mercadante", celato da un codice numerico.
Nulla di tutto questo è stato ritenuto rilevante dalla corte d’appello. Neanche le ultime dichiarazioni di Massimo Ciancimino: in tribunale, l’ultimo testimone della Procura aveva raccontato di una mediazione particolare fatta dal padre Vito. "Mercadante aveva chiesto una punizione per l’amante della moglie — spiegò — ma era un parente del boss Pino Lipari, così fu risparmiato. Dovette solo allontanarsi per qualche tempo da Palermo". Mercadante ha sempre bollato come "falsa" questa storia.
Esulta per l’assoluzione Gianfranco Micciché, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: "Questa sentenza mi riempie di gioia e lascia dentro di me tanta amarezza: Mercadante è stato condannato a patire le pene dell’inferno ancor prima di ricevere una vera sentenza di condanna".
La Repubblica, 22 febbraio 2011
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