mercoledì 10 novembre 2010

I diari di chi partiva inseguendo la fortuna

Famiglia di emigrati
di TANO GULLO
Sabatino Basso attraversò le Ande a dorso di mulo per andare a vendere vestiti e patacche in Sudamerica mentre Santo Garofalo, uno che aveva fatto fortuna negli Usa, fece il viaggio inverso per rivedere la sua San Mauro Castelverde. E stavolta viaggiando in prima classe. Storie di emigrati partiti dalla Sicilia raccontate nel volume curato da Santo Lombino "Avendo trovato l'America", pubblicato dalla Fondazione Buttitta
Il mercante valica le Ande a dorso di mulo per andare a vendere vestiti e patacche nei paesi dell'America latina. Lo zio d'America carico di dollari gira in lungo e largo la Sicilia in un forsennato tour che tocca alberghi di lusso e parenti festanti. Santo Garofano e Sabatino Basso raccontano le loro peripezie di emigranti, ma anche i loro trionfi, in due diari che ora vengono assemblati in un unico libro "Avendo trovato l'America. Scritture di viaggio tra Sicilia e Nuovo Mondo" pubblicato, a cura di Santo Lombino, dalla Fondazione Buttitta con la prefazione di Tommaso Romano. Due storie molto diverse che cominciano a dispiegarsi in quel 1907 in cui si vanno spegnendo le luci della Belle epoque e si vanno addensando i nuvoloni neri di nuovi sommovimenti politici e sociali. Mettiamoci ora sulle tracce dei protagonisti.
Quattordicenne si imbarca per l'America in una carretta del mare, onde grosse e schiaffi di vento, un quarto di secolo dopo ritorna in Sicilia su un grande bastimento, stordito dal lusso, prima classe e servizio in camera. È la parabola di Santo Garofalo nato quasi povero nel 1893 a San Mauro Castelverde, baciato dalla fortuna del miracolo americano. L'inizio della sua storia di emigrante è comune a milioni di siciliani, il prosieguo no, visto che non tutti ce la fanno a diventare self made man. Agli inizi del Novecento il padre Domenico, come altri suoi milleseicento compaesani, getta per aria la zappa e parte per "la Merica". Poi quando si sente i piedi ben piantati per terra si fa raggiungere dalla moglie Maria e dal figlio Santo.
I due salpano sulla nave "Konig Albert" ammassati nella stiva come in un carro bestiame. Soffrono e vedono soffrire. Le peripezie del loro viaggio non sono poi così diverse dalle traversate di oggi dei disperati in fuga dalla miseria dei Sud. Due settimane d'inferno e poi le visite nei casermoni di Ellis Island, nella rada di fronte a Manhattan. Superano gli esami medici e ricomincia il viaggio per raggiungere il capofamiglia a Chicago. È un turbinio di smarrimento e speranze. Provenienti da un paesino di cinquemila abitanti arroccato sulle Madonne, si ritrovano in una delle zone più densamente abitate del pianeta.
Santo, che nel paesello natìo è garzone in una calzoleria, si adatta presto al nuovo mondo. Negli States i Garofano si inseriscono nel settore agroalimentare e diventano fornitori delle comunità siciliane. Importano ed esportano accumulando in breve tempo ingenti fortune. Facendo un salto nel tempo, eccoci in quel 1931 in cui Santo già ricco, padre di figli - come vuole il codice dell'emigrazione ha sposato una ragazza, Geneviève Grace Mattaliano, nata a Brooklin ma rigorosamente figlia di siciliani - decide di tornare nella terra natia da turista. La rivincita che cova per tutta la vita. Tornare da ricco per dimostrare a tutti di avercela fatta. Emblema di una sorta di fenomenologia dello zio d'America. Gli emigranti divisi dalle differenti sorti - gli arricchiti sono un'infinitesima parte di chi rimane al palo o di chi vive decorosamente sì, ma senza sciali - sono però accomunati dallo stesso desiderio di offrire un'immagine vincente ai paesani inchiodati nel luogo di nascita.
Sbarca dal "Conte Grande" nel porto di Palermo carico di dollari, spende e spande, e, dei tre mesi del tour (dopo la Sicilia altre città d'Italia e poi Parigi) annota ogni minuzia della sua giornata. Un elenco maniacale di persone, di alberghi, di menu, di oboli, di luoghi. Un diario, che pur non avendo alcuna qualità letteraria, diventa spia di un'epoca e di una mentalità. Comincia una girandola estenuante. I parenti, ma anche i parenti dei parenti, gli amici e gli amici degli amici se lo contendono, lo tirano per la giacca per annusare l'odore dei dollari. A San Mauro Castelverde ma anche in altri centri isolani dove si reca per portare i regali che gli hanno consegnato i congiunti d'oltreoceano.
Abbuffate, cavalcate, passeggiate e improvvisate nei luoghi dell'infanzia per riassaporare il sapore della quagliata, della ricotta calda, dei frutti della sua campagna. Sempre in mezzo, imbrigliato in una morsa mortale che però lo gratifica. Osserva e annota in una maniacalità geometrica. Si dice estimatore del fascismo, ma, come osserva Santo Lombino, scrive che nelle campagne è sempre la solita miserabile vita. Nel suo gran tour cerca di capitalizzare conoscenze e incontra i capitani d'industria del tempo: Auricchio, Berio, Costa, Locatelli, Bianchi, Lindner, Pelagatti e altri. Con qualcuno progetta affari. Il suo più grande affare è comunque la proiezione del suo ego. Morirà cinquantanovenne nel 1953.
Il suo diario viene inviato da Marc Garofano, manager nipote di Santo, alla scrittrice americana Mary Taylor Simeti, da tempo siciliana di adozione. Il quaderno, in formato tascabile tipo moleskine - 149 facciate più 39 in cui è annotata tutta la corrispondenza - finisce nelle mani di Santo Lombino, cacciatore di manoscritti, il quale come tanti altri di cui viene in possesso li invia al concorso di Pieve di Santo Stefano, dove con i diari della gente comune si sta riscrivendo una sorta di controstoria d'Italia (per restare in Sicilia ricordiamo il boom de "La Spartenza" di Tommaso Bordonaro e "Terra matta" di Vincenzo Rabito, due ex contadini che raccontano le loro piccole vite in balia della grande storia).
Dell'autobiografia di Sabatino Basso, nato a Secondigliano, Napoli, nel 1869 ma trapiantato fin da ragazzo in Sicilia, abbiamo già scritto due anni fa quando è stato premiata a Pieve. La Sicilia gli sta stretta ma il passo che fa è davvero spericolato. Spedisce un grosso stock di merce in Ecuador e si imbarca per l'Argentina. Ma è solo l'inizio. Deve attraversare anche il Perù per raggiungere le balle di vestiti. E le Ande non sono uno scherzo. Stenti, paure, neve, tormente e un'esperienza stordente a contatto con le altre culture. Finisce a lieto fine anche per questa controfigura del Melquìades della caraibica Macondo - venditore di merci e sogni - il viaggio gli frutta un bel gruzzoletto. Grazie anche ai 500 orologi introdotti in America Latina di contrabbando.
La Repubblica, 10.11.2010

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