Nicola Alongi |
Il mio interesse per la tematica risale ad alcuni anni successivi alla pubblicazione di quest’opera, ai primi anni ottanta, quando da studentessa partecipai al convegno “Corleone capitale contadina”, al quale intervenne Francesco Renda, docente emerito dell’Università di Palermo.
Le lotte di questo periodo rappresentano - come sostiene fra gli altri lo storico Salvatore Vaiana in alcuni suoi originali saggi sul movimento contadino in alcuni paesi della Sicilia centrale (Prizzi, Canicattì, Barrafranca) - la seconda fase del lungo ciclo di lotte per la terra che, iniziato con i Fasci siciliani, prosegue con la lotta per le affittanza collettive e poi appunto con il biennio rosso, e termina con la riforma agraria del 1950.
La prima di queste fasi (per la quale rinviamo, fra i numerosi studi esistenti, al pregevole volume del prof. Marino “Il maligno orizzonte e l’utopia. La profonda Sicilia dai Fasci al fascismo”, edita nel 1998), ebbe proprio a Corleone il suo epicentro, nelle cui terre bruciate dal sole e assetate di giustizia l’8 Settembre 1892 fu fondato da Bernardino Verro uno dei primi e dei più importanti Fasci della Sicilia. In pochissimo tempo il fascio di Corleone poté contare su 6000 soci tra maschi e femmine.
E proprio a Corleone il 31 luglio 1893 si riunirono le delegazioni di numerosi altri fasci contadini. In questa occasione vennero sottoscritti i cosiddetti “Patti di Corleone”, primo contratto sindacale scritto nell’Italia post-risorgimentale. Sulla base di questo storico documento, che verte essenzialmente sull’aumento dei salari dei braccianti e sulla modifica dei vessatori “patti agrari” cui erano sottoposti i contadini, furono organizzati i primi scioperi agrari, che non nascevano quindi da proteste spontanee ma avevano un riferimento documentale ben preciso e chiaro nei suoi obiettivi.
La reazione del governo, sollecitato dai proprietari terrieri, non si fece attendere. Nel gennaio 1894, i Fasci del Lavoratori furono sciolti con la forza e repressi nel sangue per iniziativa del capo del governo, il siciliano Francesco Crispi, un ex democratico risorgimentale la cui famiglia proveniva da un comune del corleonese, Palazzo Adriano. Verro e gli altri capi contadini furono processati da tribunali militari e pesantemente condannati a decine di anni di carcere. Grazie ad una amnistia, egli fu scarcerato e poté così continuare, nonostante le numerose intimidazioni, la sua battaglia a favore dei contadini.
Nel 1914 egli venne eletto consigliere provinciale e alle elezioni amministrative di Corleone la lista socialista in cui era candidato ebbe la maggioranza. Bernardino Verro, con 1455 voti di preferenza su 2405 votanti, risultò il primo degli eletti e così il Consiglio Comunale lo nominò sindaco, il primo sindaco socialista di Corleone.
Purtroppo, dopo poco tempo, gli agrari si presero una dolorosa rivincita. Nel primo pomeriggio del 3 Novembre 1915, mentre si recava a casa dopo una riunione in municipio, fu ucciso da 11 colpi di pistola. L’eredità politica e sindacale di Verro fu raccolta nel primo dopoguerra dai suoi numerosi discepoli sparsi nei comuni dell’hinterland corleonese, Corleone, Prizzi, Palazzo Adriano, Bisacquino. La sua vicenda umana e politica è stata raccontata da Dino Paternostro, sindacalista, giornalista, autore di saggi sul movimento contadino e direttore di “Città Nuove Corleone”.
Al ritorno dal fronte i contadini trovarono una situazione economica disastrosa: i campi, durante la loro forzata assenza, erano abbandonati ed incolti; l’inflazione li aveva ridotti alla fame. Gli unici che si erano arricchiti, approfittando di tale situazione, furono gli agrari e i loro gabelloti. La tensione sociale cominciò a salire in tutto il paese, tanto che il governo temette che, contagiando le masse operaie e contadine, l’esperienza sovietica si potesse estendere all’Italia.
Per fronteggiare tale situazione, il governo Nitti varò, nel 1919, il “ decreto Visocchi” e l’anno successivo il “decreto Falcioni”, che permettevano la concessione di terre incolte e mal coltivate a cooperative formate da reduci di guerra. Nonostante le ambiguità e le lungaggini burocratiche, per la prima volta lo Stato dava ai contadini gli strumenti legislativi necessari per rivendicare il diritto alla terra.
In tutto il paese si formarono cooperative per richiedere le terre da coltivare. Anche a Corleone e a Prizzi si crearono cooperative grazie a dirigenti socialisti come Vincenzo Schillaci e Nicola Alongi, capo indiscusso del movimento contadino della zona del corleonese, degno erede di Bernardino Verro.
Durante i Fasci siciliani, Alongi era stato un collaboratore di Verro. Seguendo l’esempio del suo maestro, egli costituì a Prizzi (un paese dell’entroterra feudale dove era nato il 22 Gennaio 1863), insieme a Giuseppe Marò e Salvatore Tortorici, il Fascio locale. Dopo l’assassinio di Verro, diventò uno dei più prestigiosi e coraggiosi dirigenti del movimento contadino in Sicilia. Il Professore Giuseppe Carlo Marino mette in evidenza, nel suo libro ”Vita politica e martirio di Nicola Alongi, contadino socialista” (1997) l’originalità e la modernità del pensiero e dell’azione di Alongi; infatti, insieme a Giovanni Orcel, segretario del sindacato metallurgici di Palermo, realizzò concretamente quell’unità di classe tra contadini ed operai che Antonio Gramsci aveva iniziato a teorizzare sulle pagine del giornale “L’Ordine Nuovo”.
Come abbiamo accennato, dopo il varo dei decreti Visocchi e Falcioni si cominciarono a costituire una serie di cooperative di ex reduci della grande guerra. A Prizzi Alongi fu l’animatore della cooperativa ”La Proletaria”, alla quale si contrappose una finta cooperativa di reduci, il cui ispiratore fu don Silvestre Gristina, detto “Sisì”, fratello del sindaco “socialista” Epifanio (che, dopo la marcia su Roma, avrebbe aderito al fascismo).
Il tentativo di Gristina era quello di bloccare le spinte di rinnovamento che Alongi e il suo gruppo portavano avanti intimidendo ed inquinando il movimento contadino.
Ma tale tentativo non riuscì, e allora gli agrari passarono alle maniere forti. Il 31 Gennaio 1919 a Corleone venne assassinato l’assessore socialista Giovanni Zangara; il 22 settembre dello stesso anno cade sotto il piombo mafioso Giuseppe Rumore, segretario della lega contadina di Prizzi e stretto collaboratore di Nicola Alongi.
Tale scia di sangue non fermò l’impegno di Alongi, né la spinta di rinnovamento delle masse contadine. Egli sapeva di essere il prossimo bersaglio, ma continuò a lavorare con la stessa passione di prima fino a quando la sera del 29 Febbraio 1920 due colpi di lupara lo fermarono per sempre.
La sua morte non fermò la mano assassina; infatti, il 14 Ottobre dello stesso anno fu ferito mortalmente il suo amico e compagno Giovanni Orcel, che si spense il giorno dopo all’ospedale “San Saverio” di Palermo.
Con l’uccisione di Orcel e di Alongi, capi indiscussi del movimento sindacale siciliano, si chiuse non solo il “biennio rosso”, ma anche una delle pagine più gloriose del movimento sindacale siciliano. L’avvento del fascismo ”normalizzò” definitivamente la situazione.
La vicenda degli omicidi di Alongi e Orcel ebbe il suo epilogo il 21 Gennaio 1921 con l’uccisione di colui che viene considerato, a torto o a ragione, il mandante di questi omicidi, don Silvestre “Sisì” Gristina. Il suo assassino rimane tuttora ignoto.
Prof.ssa Rosa Faragi
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