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Perquisita la cella di Rebibbia dell'ex capomafia di San Giuseppe Jato. Perquisizioni nelle abitazioni di alcuni suoi prestanome, alla ricerca dei beni mai rivelati. Trovati 188 mila euro in contanti a casa della moglie. Il collaboratore è accusato pure di un tentativo di estorsione
I carabinieri del Gruppo di Monreale sono entrati nel carcere romano di Rebibbia nel cuore della notte, con un ordine di perquisizione firmato dalla Procura di Palermo. Destinazione, la cella super protetta del pentito Giovanni Brusca, l'ex capomafia di San Giuseppe Jato che ha confessato di avere azionato il telecomando dell'esplosivo per Giovanni Falcone e di avere ucciso più di 150 persone: adesso, uno dei più noti collaboratori di giustizia è accusato di riciclaggio, intestazione fittizia di beni e persino di tentata estorsione. Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Francesco Del Bene, Lia Sava e Roberta Buzzolani contestano a Brusca di aver taciuto su gran parte del suo patrimonio, che in questi anni avrebbe continuato a gestire fra il carcere e i permessi premio, concessi ogni 45 giorni. E' lo stesso pentito ad ammetterlo in una lettera inviata a un prestanome, fotocopiata dagli inquirenti prima che arrivasse a destinazione: "Ho mentito spudoratamente", questo scrive il collaboratore a proposito dei suoi beni. Brusca sarebbe arrivato anche a minacciare un suo ex prestanome per tornare a controllare un'azienda. Ecco perché adesso gli viene rivolta l'accusa di tentata estorsione, contestata con l'aggravante di avere commesso il reato col metodo mafioso. Le perquisizioni dei carabinieri sono scattate in contemporanea anche nella abitazioni dei familiari del collaboratore e di alcuni insospettabili prestanome, fra Palermo, Milano, Chieti, Rovigo e la località segreta dove abita la moglie di Brusca. A quanto ammontino le ricchezze del pentito non è ancora chiaro: da alcuni mesi, gli inquirenti indagano in gran segreto, anche attraverso alcune intercettazioni. Così, hanno ascoltato dalla viva voce di Brusca affari e trattative segrete per la gestione del suo patrimonio, in cui figurerebbe pure un'azienda di San Giuseppe Jato. Il pentito terrebbe nascoste in Sicilia persino delle opere d'arte, forse rubate: da questa mattina, i carabinieri del Gruppo di Monreale le stanno cercando in provincia di Palermo. Una prima perquisizione nella casa della moglie di Brusca ha portato al ritrovamento di 188 mila euro in contanti. Giovanni Brusca, 53 anni, è in carcere dal 20 maggio 1996. Già qualche giorno dopo, aveva accettato di parlare con i poliziotti della squadra mobile di Palermo: offrì spunti determinanti per l'arresto di due padrini latitanti, Carlo Greco e Pietro Aglieri. Per i magistrati, fu un segnale di disponibilità importante. Il 26 luglio, Brusca pronunciò le sue prime dichiarazioni a verbale. Ma erano infarcite di omissioni e di troppe bugie, per coprire alcuni complici. Ci vollero tre anni prima che il boia di Capaci fosse ammesso al programma di protezione. E ancora oggi, Giovanni Brusca è indicato come "reticente" nelle sentenze che hanno affrontato il delicato nodo dei rapporti fra mafia e politica in concomitanza con le stragi del 1992. Per la Procura di Palermo, ma anche per quella di Caltanissetta, Brusca resta comunque un testimone fondamentale: è stato lui, per primo, a svelare l'esistenza del papello e della trattativa durante la stagione degli eccidi Falcone e Borsellino. Per questa ragione, l'ex boss è stato citato dai pubblici ministeri al processo che vede imputato il generale Mario Mori di avere favorito la latitanza del capomafia Bernardo Provenzano. Il 22 maggio scorso, in aula, Brusca ha dichiarato: "Riina mi disse il nome dell'uomo delle istituzioni con il quale venne avviata, attraverso uomini delle forze dell'ordine, la trattativa con Cosa nostra". Ma ha subito precisato di non potere ripetere il nome pubblicamente, perché sarebbero in corso delle indagini sulle sue rivelazioni. Poi, il nome è trapelato comunque attraverso indiscrezioni di stampa. E' quello dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, che ha subito replicato: "Se Riina, nel natale 1992, parlava con i suoi complici di un messaggio, quel messaggio fu, tre settimane dopo, il suo arresto, da me più volte sollecitato anche pubblicamente alle forze dell'ordine". Giovanni Brusca rischia adesso di essere espulso dal programma di protezione e di perdere la possibilità della scarcerazione anticipata. I magistrati di Palermo, guidati dal procuratore Francesco Messineo, lo interrogheranno in carcere oggi pomeriggio, per chiedergli quale sia la verità che ancora nasconde.
(La Repubblica, 17 settembre 2010)
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