domenica 29 agosto 2010

La borghesia mafiosa di Reggio Calabria

di ALBERTO CISTERNA*
A Reggio Calabria si sta consumando uno scontro dal quale potrebbero emergere indicazioni vincolanti per chi voglia veramente porsi il problema di cancellare le mafie. Cosa sta accadendo nella città dello Stretto? Uso immagini suggerite dal procuratore Pietro Grasso e da altri osservatori. Succede che un potere «altro» dalla ‘ndrangheta, e quindi «oltre» la mafia, utilizza per i propri obiettivi le cosche senza escludere, quando serve, la componente militare. Da più parti si sostiene che dietro l’ennesimo attentato, il più grave, contro il procuratore generale Di Landro, si dipanino le strategie di una ‘ndrangheta fortemente saldata a zone oscure della società calabrese e che la scelta di colpire a fondo il capo della magistratura inquirente sia il frutto di un convergente interesse delle cosche e di non meglio identificati poteri occulti. Che in Calabria massoni deviati, frammenti dei servizi segreti, altri interessi illegali abbiano agito in profondità, anche in collegamento con la ‘ndrangheta, non è seriamente discutibile; ma lo scenario reggino sembra evocare altri protagonisti.
Gruppi d’interesse che avvertono come una minaccia l’intenzione degli apparati giudiziari reggini di affondare il bisturi nei gangli di quella che viene ormai definita borghesia mafiosa. Si teme che quest’azione provochi il ribaltamento del sistema di potere che ha assicurato prestigio sociale usurpato, ricchezze poco trasparenti, relazioni equivoche con le istituzioni. Reggio, da questo punto di vista, si offre come una sorta di laboratorio a cielo aperto in cui lo Stato ha la possibilità di meglio comprendere e affinare le strategie che possono spazzare anche nel resto del Paese il groviglio tra mafia ed élite compromesse, ovunque in crescita come metastasi. Si può spezzare l’area in cui vengono stretti gli accordi e individuare le reciproche convenienze tra ‘ndrangheta e borghesia mafiosa da intendere non come marginali poteri oscuri, ma come una sottosocietà di professionisti, imprenditori, politici, uomini delle istituzioni che in una collettività virtuosa non avrebbero trovato spazio. Quest’area di libero scambio tra mafia e parte della società è la vera calamità che il Paese deve affrontare a Reggio e un po’ ovunque in Italia. Bisogna saperlo: non sarà facile.
La cecità colpevole, direbbero gli anglosassoni, di componenti delle classi dirigenti reggine è uno dei fattori che alimenta l’arroganza della ‘ndrangheta contro Di Landro e altri magistrati che operano in Calabria. Un giudice che vive in città da anni stimato e benvoluto, si trova improvvisamente al centro di una progressione criminale mai vista in quella terra. Quasi che si intenda punire in modo esemplare chiunque minaccia, con il solo ossequio ai propri doveri, il patto silenzioso con la ‘ndrangheta. Si badi bene, è un patto che non comporta necessariamente un diretto coinvolgimento della borghesia mafiosa nelle trame criminali intrecciate attorno a droga, sangue, tangenti. Si cammina in una terra di nessuno fatta di nebbie, miraggi e allucinazioni. Un territorio senza confini nel quale ciascuno ha inserito ciò che ha voluto: massoneria, servizi segreti, terzi livelli e grandi vecchi, non volendo riconoscere che in quell’acquitrino, a guardare bene, c’era soprattutto l’immagine di una parte non trascurabile dell’Italia dei cinici e dei mascalzoni.
* Sostituto procuratore Antimafia

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