Paolo Pollichieni |
«Se questa fosse una partita, da sportivo non avrei difficoltà a dire che il potere ha vinto, almeno per il momento. Uno a zero e palla al centro.» Forse è proprio questa la morale delle dimissioni di Paolo Pollichieni dalla direzione di Calabria Ora. Con lui se ne sono andati il caporedattore centrale e altri sei fra capiredattori, capiservizio e responsabili di redazione. Sette giornalisti, al quale oggi se n’è aggiunto un altro. Otto in tutto, l’ossatura del quotidiano: un terremoto. Le metafore calcistiche, quelle che usa il direttore nel suo ultimo editoriale, non sono utili a spiegare la complessità degli avvenimenti, di sicuro però aiutano a condensare il vero senso di ciò che accade. Il potere ha vinto, dice Pollichieni. Ma quale potere? Lo vedremo. Prima vediamo di raccontare la partita, di capire cosa è accaduto. È accaduto che il direttore se n’è andato nel giorno in cui in prima pagina il titolo strilla: «E Peppe incontrò il mafioso. A Milano Scopelliti vide più volte Martino, “ambasciatore” del clan De Stefano».
Pollichieni ha lasciato mentre il giornale ha picchi di vendita di quindicimila copie (quando lo prese, tre anni fa, non arrivava a quattromila). Ha lasciato al culmine di una campagna di stampa che da alcune settimane scava incessantemente nelle pieghe del potere politico mafioso calabrese. In un momento in cui sono sul piatto due inchieste della magistratura, “Meta” e “Crimine”, che hanno avuto un impatto devastante sul tessuto criminale di Reggio città. E Scopelliti, l’attuale governatore della Calabria, a Reggio città è stato sindaco per sette anni, rieletto nel 2007 col 70% dei voti.
E così si scopre, e si pubblica, che il 15 ottobre del 2006 il presidente partecipò, assieme a ‘ndranghetisti del calibro di Cosimo Alvaro, alle nozze d’oro dei genitori di compare Mimmo Barbieri, imprenditore arricchitosi con i pubblici appalti, arrestato per mafia lo scorso 23 giugno. E così si scopre, e si pubblica, che l’allora sindaco Scopelliti avrebbe ripetutamente incontrato a Milano Paolo Martino, «cugino dei De Stefano e a loro legatissimo al punto di essere arrestato e condannato per associazione mafiosa, traffico di armi e riciclaggio.» «Al centro delle indagini – pubblicava Calabria Ora – il vorticoso giro di appalti che alcune imprese reggine vicino ai clan avrebbero ottenuto in Lombardia grazie all’intermediazione di grossi esponenti politici lombardi del centrodestra attivati dai loro colleghi reggini».
«La cosa incredibile – ci dice l’ex direttore – è la fretta con cui si è sviluppata questa rottura. Da settimane ormai seguivamo questo filone senza ricevere nessun tipo di avvertimento, né smentite, né minacce di querele. Gli editori sapevano che ieri saremmo usciti con questa notizia e hanno cercato il pretesto. Uno di loro, Pietro Citrigno (condannato in secondo grado per usura, ndr), mi ha chiesto di avere rapporti più frequenti con la redazione. Un’ingerenza che non potevo accettare e per questo mi sono dimesso.» Un pretesto, dice Pollichieni, «il vero motivo è scritto nero su bianco nel mio editoriale».
«Sapevo – c’è scritto – che raccontando le inchieste giudiziarie delle ultime settimane, che scrivendo dei rapporti tra la mafia e la politica, raccontando anche i retroscena più inquietanti di quella zona grigia che è il vero capitale sociale della ‘ndrangheta, avremmo pagato dei prezzi altissimi. Sapevamo che il potere avrebbe esercitato tutte le pressioni possibili per chiedere la testa del direttore di questo giornale, per normalizzare, per avere un giornale meno impiccione che anche quando parla di mafia non lo fa riempiendo le pagine della mafia folk, quella di Osso, Matrosso e Carcagnosso.»
Quell’editoriale (e il pezzo su Scopelliti) in edicola lo hanno trovato in pochi. Calabria ora è arrivata puntuale solo a Cosenza, a Reggio dopo le undici, in tutte le altre province non è mai arrivato. Guasti alle rotative, si sono giustificati gli editori. Oggi il giornale l’ha firmato uno di loro, Fausto Aquino. Dell’inchiesta sulle frequentazioni “pericolose” nemmeno l’ombra. Ai calabresi non è dato sapere. E però, una lunga intervista a Giuseppe Scopelliti sui fondi europei che è riuscito a far arrivare in Calabria apre pagina 4. Il segno chiaro ed esplicito della normalizzazione.
Il potere ha vinto. Ma quale potere? Ce lo spiega Vincenzo Macrì, procuratore nazionale antimafia aggiunto, mentre commenta queste dimissioni: «Un segnale sicuramente negativo, che dimostra la forza di intimidazione e di condizionamento che la ‘ndrangheta sa esercitare non solo direttamente (come dimostrano le numerose minacce dirette ai redattori del giornale ed allo stesso direttore), ma anche attraverso i suoi esponenti e referenti politici e istituzionali.» E aggiunge, c’è da sperare che torni al suo posto, «altrimenti la ‘ndrangheta avrà collezionato una ulteriore vittoria.» Eccolo il potere che ha vinto.
P.S. Questa non è solo la storia di un giornale a cui si è voluto mettere il bavaglio mentre si profilava lo sviluppo di un’inchiesta assai pericolosa per la tenuta dell’attuale forza di governo regionale. Questa è anche la storia di giornalisti sfiniti. Di uomini e donne con un solo stipendio, delle loro famiglie tenute sotto la tutela delle forze dell’ordine. Perché in questi tre anni “Calabria Ora” ha pagato un prezzo altissimo in termini di serenità dei suoi collaboratori: una decina di cronisti sono stati pesantemente minacciati dalla ‘ndrangheta. Uno di loro, Pietro Comito, cui sono state promesse due fucilate lo scorso 5 luglio, mentre decide di dare le dimissioni dall’unica fonte di reddito della sua famiglia, ci dice : «Ho i carabinieri sotto casa che ci tengono a vista, e sto per mettere in strada la mia famiglia.»
Da Liberainformazioni, 22.07.2010
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