Moussa stringe la mano al prefetto Mario Morcone. Poi lo fa Yakouba. E infine Godwin. Sorridono i tre giovani immigrati. Reduci dagli scontri di Rosarno del 7 gennaio, prima sfruttati da caporali e imprenditori agricoli, poi feriti dalla manovalanza della 'ndrangheta, da oggi lavorano sui campi della cooperativa Valle del Marro, che coltiva terreni confiscati alle cosche. Dal lavoro nero al lavoro doppiamente pulito. Davvero una bella giornata. E, fortunata coincidenza, proprio oggi su questi terreni è in visita il prefetto Morcone, da pochi giorni direttore dell'Agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati e confiscati, dopo essere stato per quattro anni Capo del Dipartimento per l'immigrazione del ministero dell'Interno. È il suo primo incontro con le realtà che gestiscono i beni strappati alle mafie e ha scelto proprio la cooperativa, nata nel 2004 dalla collaborazione tra la Diocesi di Oppido-Palmi e l'associazione Libera di don Luigi Ciotti, e sostenuta dal Progetto Policoro della Cei, per l'imprenditorialità giovanile al Sud. E trova anche questa bella sorpresa. "Buon lavoro ragazzi", dice ai tre giovani africani che rispondono con un sorriso. Quel sorriso che finalmente accompagna la loro giornata lavorativa da quando questa mattina alle 7 hanno firmato il registro delle presenze, come tutti gli altri lavoratori della cooperativa. Non lo avevano mai fatto. Eppure sono in Italia da 2-3 anni. Provenienti dalla Libia, sbarcati a Lampedusa, poi lavoro nero tra Sicilia, Puglia e Campania, prima di giungere a Rosarno, e finire negli scontri. Moussa, del Burkina Faso, ci fa vedere le lunghe cicatrici delle coltellate sulla schiena. Gli altri due i lividi delle bastonate. Ma Yakuoba, della Guinea, ricorda anche lo sfruttamento. "A Foggia mi davano 3 euro per riempire di pomodori quello là", e ci indica una grande cassone che contiene circa 4-5 quintali. E quanti ne riempivi in un giorno? "Tre o quattro". Cioè 9-12 euro al giorno. Da oggi, invece, lavora, come da contratto agricolo, per 900 euro al mese. Il primo mese grazie a una borsa lavoro finanziata dalla parrocchia di Santa Marina di Polistena, il cui parroco, don Pino De Masi, oltre ad essere vicario generale della Diocesi e responsabile di Libera della Piana di Gioia Tauro, è un po' il "papà" della cooperativa. Poi gli stipendi saranno sostenuti dalla cooperativa oltre che dal volontariato, per arrivare almeno a dicembre. Un vero lavoro di squadra che comprende anche la casa e lezioni di italiano nel pomeriggio. "Li seguivamo anche quando erano a Rosarno - dicono Giacomo Zappia e Domenico Fazari, presidente e vicepresidente della Valle del Marro -. Portavamo cibo, coperte e vestiti. Ma quella era solo carità, oggi è giustizia, è lavoro vero. Lo abbiamo fatto perché siamo in debito con loro. Non solo per lo sfruttamento che hanno subito ma perché hanno avuto il coraggio di ribellarsi alla 'ndrangheta. Qui nessuno lo fa. Loro ci hanno insegnato che è possibile farlo". Il prefetto Morcone approva. Spiega che è qui per conoscere la cooperativa, la sua attività e soprattutto i suoi problemi, per aiutare a risolverli. "C'è ostilità della gente?". "No, anche grazie a noi ha riacquistato il gusto di amare il proprio territorio". "Ha riacquistato coraggio. Ma ha dato coraggio anche a noi. La gente ci è vicina. Anzi qui è un continuo via vai di giovani che ci chiedono lavoro". Piuttosto il problema sono le amministrazioni comunali, spesso condizionate dalla 'ndrangheta, se non di peggio. Il prefetto lo tocca con mano nella sua visita. Infatti dopo una prima tappa in località Ponte Vecchio dove si coltivano peperoncini e melanzane, si sale nei bellissimi uliveti di Castellace, nel comune di Oppido Mamertina. Ed è proprio qui che i giovani della Valle del Marro fanno vedere a Morcone un caso gravissimo. È un terreno confiscato ai Mammoliti e assegnato alla cooperativa. Malgrado questo il potente e violento clan ci ha costruito una strada con alte mura per raggiungere le proprie ville. Tutto abusivo, ma nessuno in questi anni è mai intervenuto. Tantomeno il comune che dell'uliveto è diventato proprietario dopo la confisca. Inoltre i mafiosi prima di abbandonare l'uliveto lo hanno in parte tagliato, hanno vandalizzato una piccola casa e riempito di detriti un pozzo artesiano profondo 60 metri. Ma oggi su questa strada passano, finalmente, le auto delle istituzioni. Il prefetto scende, vuole vedere di persona. Si informa su tutto. Anche questo non era mai successo. Da oggi, su questo difficile fronte, i giovani della cooperativa sono meno soli. Lo Stato, chi lo rappresenta, è al loro fianco. Davvero è una gran bella giornata.
Da: L'avvenire del 6 maggio 2010
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