di Umberto Lucentini
«Non infanghi chi ha salvato l'Italia dal comunismo. Vada a vivere all'estero». Questo il messaggio (con proiettili acclusi) recapitato al figlio dell'ex sindaco di Palermo, che sta collaborando con le procure sui rapporti tra mafia e Stato. Nella lettera anche intimidazioni per Michele Santoro e Luciano Violante
«Signor Ciancimino, spero che questa lettera le sia recapitata, come da mie istruzioni, nella giornata del 2 aprile, lei sa a cosa mi riferisco. Consideri queste poche righe come un buon consiglio dato da una persona che anche suo padre ha saputo apprezzare e stimare, e che comunque oggi è a conoscenza di fatti e circostanze tali da poterle essere, forse, ancora di aiuto». E' una frase dell'ultima lettera arrivata a Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo legato alla mafia Vito Ciancimino, nato il 2 aprile 1924: ed è a lui, il padre, che evidentemente si riferisce il mittente parlando del 2 aprile. La lettera anonima è stata trovata da Ciancimino junior nella buca delle lettere della casa di Bologna dove vive da quando ha lasciato la Sicilia per le minacce ricevute all'inizio della sua collaborazione con le procure antimafia. Nella busta c'erano anche cinque proiettili di mitra kalashnikov. Con un'altalena di minacce e blandizie, l'anonimo continua usando solo lettere maiuscole e lanciando intimidazioni che dovrebbero convincere il figlio di don Vito a fermare la sua collaborazione con i magistrati antimafia: «Le assicuro che banali ed elementari tecniche di tutela civile a protezione di questi soggetti non costituiscono alcun ostacolo ai nostri scopi», spiega svelando chi sono i destinatari delle sue minacce: lo stesso Ciancimino, il mafioso pentito Gaspare Spatuzza, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari; il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia; il sostituto della Dda, Nino Di Matteo (cioè i magistrati che conducono le indagini sulle stragi e sulla trattativa Stato-mafia). A questi nomi seguono quelli del giornalista Michele Santoro e di due politici, Luciano Violante e Claudio Martelli, che di recente hanno parlato ai pubblici ministeri dei contatti avviati con Vito Ciancimino dall'allora capo dei Ros, Mario Mori, nel ?92. «Il dovere mi impone di avvisare chi come lei, ignaro del disegno altrui, oggi rappresenta uno strumento di lotta», continua la lettera. «Questo non solo per il mio ruolo svolto per il paese, ma sicuramente per l'esperienza accumulata in tanti anni di onorati servizi resi. Equilibri e democrazia costituiscono le basi per un nuovo percorso di globalizzazione ed integrazione che con molto sacrificio il paese sta attraversando. In questo momento molto difficile per la nostra democrazia non sono concessi ed ammessi ulteriori sbagli». Nella lettera a Ciancimino junior viene quindi aggiunta una spiegazione politica: «Oggi lei e le sue dichiarazioni contribuiscono ad infangare illustri personaggi che hanno lavorato per potere garantire una Italia libera ed anticomunista. Mentre oggi il nostro governo tenta di salvare posti di lavoro, milioni di euro di ignari contribuenti e numerosi servitori dello stato vengono impegnati in inutili inchieste che altro non fanno che mortificare l'immagine del nostro paese». Poi l'ultimo avvertimento: «Sappiamo tutto sul contenuto delle deposizioni fatte con i magistrati S. Lari e compagni ed A. Ingroia e compagni, ulteriore aggressione intrapresa col fine di coinvolgere e infangare illustri servitori dello Stato, uomini che a differenza di taluni magistrati hanno anteposto i più alti ed onorabili valori alla loro stessa esistenza. Un consiglio, vada via dall'Italia, taluni crediti non possono essere più posticipati. Sono state disposte più operazioni a garanzia della democrazia, tutte in attesa di essere eseguite. Un solo fine frutto di più azioni, cinque, un numero che dovrebbe farla riflettere, le mie credenziali in busta». Cinque come i proiettili di kalashnikov e i nomi dei cinque bersagli indicati nella lettera. Secondo chi indaga l'autore della lettera è un personaggio che gravita o gravitava in quella "zona grigia" tra Stato e mafia che avrebbe tentato di patteggiare con esponenti di Cosa nostra lo stop alle stragi del dopo Giovanni Falcone. Il figlio dell'ex sindaco di Palermo da mesi fa rivelazioni ai magistrati di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e Cosa nostra dopo il periodo stragista dei primi anni Novanta. Ciancimino junior sta rendendo dichiarazioni in merito a diverse procure italiane, tra le quali quella di Palermo.
(L’Espresso, 21 aprile 2010)
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