di Agostino Spataro
Che la Sicilia e il Sud stiano affondando nel vortice della crisi è cosa evidente e accettata. Che ai siciliani siano rimasti soltanto “gli occhi per piangere” sulle loro sventure e tradimenti, nel vedere i loro paesi allagati, franati, crollati, le poche fabbriche chiuse, i contadini esasperati per i loro prodotti rubati, i loro figli emigrare é cosa arcinota e inoppugnabile. Che la Regione sia vicina al collasso amministrativo e finanziario, al limite estremo della sopravvivenza, è cosa certa e lampante. Che ci sia la necessità, e l’urgenza, di fare qualcosa di straordinario per bloccare la caduta e invertire la pericolosa tendenza è cosa altrettanto certa, ma non da tutti accettata.
Poiché la crisi non è uguale per tutti. Anzi, taluni gruppi, soprattutto quelli più legati al malaffare, nella crisi ci guazzano e stanno realizzando fortune colossali. A partire dalla spesa regionale e dal sistema di contributi statali e europei. Ma cosa fare? Date le dimensioni e la complessità della crisi, per la Sicilia, come per il mezzogiorno “residuo” (giacché alcune regioni sono uscite dal sottosviluppo), il problema è di promuovere ed organizzare le idee e le risorse disponibili per un progetto politico di cambiamento vero, capace di favorire un nuovo assetto produttivo e di esplorare nuovi orizzonti di mercato, in primo luogo sul fronte euro-mediterraneo. Invece, vediamo i ceti politici dominanti siciliani tutti presi a inventare stravaganti soluzioni di governo e partiti nuovi di zecca per armare il sud contro il nord in una guerra improbabile quanto disastrosa, per il meridione. Ecco, dunque, uscire dal cappello del mago di turno il “partito del o per il Sud” le cui ambizioni oscillano fra il fascino e la minaccia nei confronti della Lega di Bossi, considerata un modello da imitare e non un’anomalia destinata a sparire, prima o poi, dallo scenario italiano e europeo. Poiché un Paese moderno e una classe dirigente illuminata non possono, davvero, sopportare a lungo la spada di Damocle della secessione, dichiarata o camuffata, e il ricatto continuo ai suoi governi e istituzioni. Pena il caos, la dissoluzione dello Stato e dell’unità politica della nazione. Eppure, Lombardo e Micciché (che, nelle ultime ore, appare molto innervosito, forse pentito) invocano il “partito del sud” contro la Lega con la quale, per altro, sono entrambi ufficialmente alleati sul piano elettorale e dell’attuale maggioranza che governa l’Italia. Già questa vistosa, e irrisolta, contraddizione dovrebbe far riflettere un po’ tutti e raffreddare certi entusiasmi (anche in buona fede) per una sigla vuota di idee e di progetti che, viepiù, si configura come una avventurosa velleità, basata su una sorta d’inciucio alla grande, da “contrapporre” ad un Nord dominante e pigliatutto. Abbiamo cercato di chiarire, in altri momenti, che l’unione di più debolezze non fa la forza, ma solo una più grande debolezza di cui, certamente, profitterebbe la “trimafia” ossia il principale potere economico e illegale del Meridione. In assenza di un progetto politico e programmatico, quel che si coglie nel “partito del sud” è un rivendicazionismo indistinto, quantitativo, mirato a strappare qualche finanziamento in più verso l’Isola per placare le ire di un sistema di potere in affanno che recalcitra e minaccia di fare “la rivoluzione”. I finanziamenti ci vogliono, ma per fare cosa? Nel passato la Sicilia ha ricevuto fiumi di finanziamenti senza nulla di buono per i siciliani, poiché i soldi andavano ad alimentare i soliti giri affaristici e clientelari. Ma torniamo al dibattito, verticistico e altalenante, fra Lombardo e Micciché (il resto non conta o non esiste in MPA e PDL-Sicilia) per capire dove è arrivato e dove potrebbe andare a parare. A parte la confusione e l’assenza di un vero progetto politico, quel che più si nota sono le loro sbandate, i colpi di coda, il clima d’intrigo, i sospetti. Ingredienti che, certo, non sono propedeutici alla creazione di un’unione politica duratura e così ambiziosa. Insomma, basta un nonnulla, un’arrabbiatura di questo o di quello o una tiratina d’orecchi da Arcore, perché il castello di carta vada alla malora. Chissà cosa ne pensino di tutto ciò quegli esponenti del Pd che hanno esultato all’annuncio di Villa Igea? Spiace rilevarlo, ma questi dirigenti, immemori di quel che rappresenta il Pd (per il passato e per il futuro della Sicilia), forse s’illudono di stare giocando un ruolo strategico in questa partita. In realtà, mi pare, che al massimo possono aspirare a un ruolo di comprimari. O, peggio, essere considerati (vedi dichiarazioni dell’on. Micciché) una sorta di legione straniera, da tollerare e da tenere a bada, che finita la “guerra” contro il Nord sarà congedata o sciolta d’ufficio. In conclusione, mi sembra che questo “partito del sud” tanto assomigli a un espediente per sopravvivere in una circostanza sfavorevole e magari avviare la transizione verso l’incombente dopo - Berlusconi e, al contempo, deviare il più lontano possibile i malumori dei siciliani.
Agostino Spataro
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