di Giorgio Petta
«E' una piaga, ma l'eccessivo costo della manodopera e degli oneri danneggia le aziende». Palermo. Tra l'incudine e il martello. Da un lato, la crisi economica; dall'altro, l'intermediazione parassitaria, come dimostra la protesta dei produttori agricoli che si sono incatenati al mercato ortofrutticolo di Vittoria. In mezzo la concorrenza sleale di chi utilizza e sfrutta il lavoro in nero, compreso quello degli immigrati regolari e clandestini. Non c'è speranza per chi in Sicilia vuole occuparsi di agricoltura nella trasparenza e nella legalità. Perché tutto diventa enormemente complesso mentre i margini di sopravvivenza aziendale si riducono – complici le esposizioni bancarie e previdenziali, i danni del maltempo in attesa di risarcimento, i ritardi delle erogazioni comunitarie – con una progressività inarrestabile.
Il «caso Rosarno» ha fatto esplodere il bubbone. Da Nord a Sud è cominciata la conta – pressoché impossibile – degli immigrati clandestini occupati in agricoltura. E tuttavia c'è un dato, sulla base delle ricerche e delle analisi dei sindacati, davvero indicativo e che divide ancora una volta l'Italia in due: nell'area centro-settentrionale le condizioni degli immigrati sono progressivamente migliorate fino a ridurre la forbice degli stipendi al 2% rispetto agli italiani. Non solo, ma il 26,3% delle imprese, più o meno 7 mila aziende, sono a conduzione extracomunitaria. Indicativo – anche se riguarda un'altra fascia di lavoratori – il numero dei voucher, i buoni-lavoro, venduti. Nel periodo compreso tra l'1 agosto 2008 e il 13 agosto 2009 (dati Inps) sono stati il Veneto (309.254), l'Emilia Romagna (181.080), il Piemonte (159.412), la Toscana (122.536) e la Lombardia (100.301) ad avere acquistato il maggior numero dei circa due milioni di buoni-lavoro venduti e di cui il 51,9% è stato utilizzato nel settore agricolo. Sul fronte opposto, è la Sicilia ad avere il primato, con 12.718 voucher, rispetto alle restanti regioni meridionali e insulari: Puglia (9.145), Sardegna (8.549), Campania (6.438), Basilicata (5.024), Calabria (1.393), Molise (1.120). Ma i controlli svolti nelle province dell'Isola, nei primi quattro mesi del 2009, dagli ispettori del lavoro e dai carabinieri del Nil, offrono dati sconfortanti: nel settore agricolo un lavoratore su tre è in nero.
Le cose potrebbero andare in meglio se il mercato sviluppasse le proprie dinamiche in modo corretto e non condizionato dall'intermediazione. Proprio quella che all'agrumicoltore paga le arance appena 7 centesimi al chilo e il consumatore 1,5 euro, quando per produrle ne sono stati necessari 22-23 e quindi dovrebbero essere vendute a 25-30 per coprire almeno i costi. Perché alla fine, per mandare avanti l'azienda, per chi retribuisce i raccoglitori secondo legge, non bastano i contributi dell'Ue ed è una mazzata l'eliminazione dell'Iva di compensazione per i contributi Inps. Dai prezzi falsati nei mercati ortofrutticoli all'intermediazione che strangola i produttori, al caporalato e al lavoro nero, tutto – nonostante le denunce dei sindacati e delle associazioni di categoria – si svolge alla luce del sole e nell'indifferenza di chi dovrebbe combatterlo. Basterà, in queste condizioni, il “bollino etico” proposto dal ministro Luca Zaia a garanzia dei prodotti agricoli? «Gli immigrati - sostiene Alfredo Mulé, presidente di Coldiretti Sicilia - sono una risorsa importante per il lavoro in agricoltura e il loro sfruttamento va combattuto senza tregua perché umilia non solo chi lo subisce, ma anche le migliaia di aziende sane che operano nella legalità e nel rispetto di tutte le regole. Pagare pochi euro ore ed ore di lavoro determina delle distorsioni aziendali che vanno a discapito di tutti».
«Il ricorso alla manodopea irregolare e al caporalato, una piaga che lo Stato non è riuscito a debellare nel Sud - dice Angela Sciortino, vicepresidente regionale della Cia - è lesivo della leale concorrenza. Il rischio che si corre è che in assenza di riduzione dei contributi agricoli per le zone più marginali e svantaggiate, sarà sempre più difficile avere un lavoro regolare. Oggi le aziende agricole non riescono a competere per l'eccessivo costo della manodopera e degli oneri connessi, oltre che per deficienze strutturali e marginalità geografica». Posizioni condivise da Gerardo Diana, presidente di Confagricoltura Sicilia: «Il lavoro sommerso, senza distinzione di cittadinanza - afferma - rappresenta un problema per lo Stato ma principalmente per le imprese agricole in regola. Il fenomeno creare concorrenza sleale e incide negativamente sui lavoratori dipendenti non denunciati, perché privi di coperture assistenziali ed antinfortunistiche. Sul fronte del lavoro agricolo occasionale, per rimuovere qualsiasi ingiustificata resistenza alla regolarizzazione delle assunzioni - aggiunge Diana - bisognerebbe snellire le procedure per le autorizzazioni al lavoro, specialmente per i cittadini extracomunitari, tra cui il permesso di soggiorno stagionale pluriennale; la proroga, fermo restando il limite di 9 mesi, della durata dell'autorizzazione al lavoro stagionale già concessa, in caso di lavoro nella stessa azienda o in un'altra; la presentazione delle richieste di autorizzazione al lavoro all'inizio dell'anno di riferimento, a prescindere dall'emanazione del decreto sui flussi d'ingresso».
La Sicilia, 12 gennaio 2010
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