Sono accusati di aver favorito la latitanza del capo della "cupola"latitante ormai da sedici anni. Trecento uomini impegnati nell'operazione "Golem". Scoperti traffico di droga ed estorsioni. Sequestrati i beni degli arrestatiIl "tipografo" che gli forniva documenti falsi è residente a Roma
TRAPANI - 13 persone sono state arrestate dagli agenti del Servizio centrale operativo (Sco) e delle Squadre mobili di Trapani e Palermo perché favorivano i contatti fra il boss latitante trapanese, Matteo Messina Denaro, e alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra palermitana, fornendogli pure falsi documenti. Per l'accusa sono i componenti di una fitta rete di favoreggiatori che da anni copre il capomafia di Trapani, accusato di omicidi e stragi, ricercato da 16 anni, che avrebbe coperture anche a Roma. Le accuse. A richiedere i provvedimenti di custodia cautelare in carcere sono stati il procuratore aggiunto Teresa Principato e i sostituti della Dda, Paolo Guido, Roberto Scarpinato e Sara Micucci, e sono stati eseguiti nelle province di Trapani, Palermo, Roma e Piacenza. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di stupefacenti e trasferimento fraudolento di società e valori. I 13 in carcere. I provvedimenti cautelari riguardano uomini e donne, ma anche imprenditori caseari insospettabili e anche pregiudicati. I 13 finiti in carcere sono Vito Angelo, 45 anni, arrestato a Piacenza; Leonardo Bonafede, 77 anni, di Campobello di Mazara; Giuseppe Bonetto, 54, imprenditore di Castelvetrano; Lea Cataldo, 46 anni, di Campobello di Mazara; Salvatore Dell'Aquila, di 48; Leonardo Ferrante, 54 anni; Franco e Giuseppe Indelicato, di 40 e 36; Aldo e Francesco Luppino, rispettivamente 62 e 53 anni; Giovanni Salvatore Madonia, 44 anni; Mario Messina Denaro, 57 anni, imprenditore caseario, cugino del boss latitante Matteo, e Domenico Nardo, di 50, residente a Roma, considerato dagli inquirenti il "tipografo" che stampava i documenti falsi del boss. Nell'operazione, denominata "Golem" - in cui sono stati impegnati oltre 300 uomini della polizia -, sono stati colpiti i mandamenti mafiosi di Trapani e Castelvetrano, riconducibili a Matteo Messina Denaro. Colpiti anche i beni. Nella rete di favoreggiatori che avrebbe coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro vi è anche un cugino del boss trapanese ricercato da 16 anni. L'uomo, secondo gli inquirenti, avrebbe anche imposto il pagamento di tangenti ad imprenditori. Dall'inchiesta emerge inoltre la scoperta di un traffico di droga tra Roma e il territorio trapanese organizzato dalle famiglie mafiose, i cui componenti agivano in nome e per conto di Messina Denaro. La polizia sta provvedendo anche al sequestro di beni riconducibili all'organizzazione. Il racket delle olive. Dall'indagine emerge anche un forte interesse della mafia sulle olive e la produzione dell'olio, uno dei principali capitoli dell'economia della provincia di Trapani. A margine dell'attività di indagine riguardante la conduzione dell'oleificio "Fontane D'Oro", che è stato sequestrato, sono emersi chiari riferimenti al tentativo, da parte di due delle persone arrestate, Francesco Luppino e Franco Indelicato, di imporre i prezzi di mercato delle olive, la cui lavorazione costituisce uno dei settori imprenditoriali più importanti sia del Belice che a Castelvetrano, il paese di Messina Denaro, noto come "la città delle olive". I movimenti del boss. Le indagini hanno evidenziato come Messina Denaro si sia recato più volte all'estero: in Austria, in Svizzera, in Grecia, in Spagna e in Tunisia. In collaborazione con l'Interpol, la polizia di Stato ha svolto approfondimenti investigativi in diversi Paesi europei ed extraeuropei, e in questo contesto sono stati localizzati e catturati in Venezuela,"Paese dove risiede una nutrita schiera di trapanesi storicamente in rapporti con il latitante", ricordano gli inquirenti, due esponenti di spicco di Cosa nostra, legati a Matteo Messina Denaro: Vincenzo Spezia e Francesco Termine. Il primo, trapanese di 45 anni, killer ed elemento di vertice della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, è stato arrestato dalla polizia il 21 maggio 2007, dopo una latitanza iniziata nel 1996, e deve scontare una condanna a 21 anni di carcere; il secondo, 55 anni, di Ribera (Agrigento), trafficante internazionale di stupefacenti e ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di Ribera, è stato arrestato il 25 ottobre 2007, dopo una latitanza iniziata nel 1992, e deve scontare due condanne per complessivi 26 anni di carcere.
(La Repubblica, 16 giugno 2009)
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