di Salvatore Parlagreco
Pino Maniaci, proprietario di una piccola emittente di Partinico, è diventato “il caso Maniaci” quando è stato picchiato dal figlio minorenne di un boss mafioso dopo una lite per il parcheggio di un’autovettura. L’incendio di una delle auto dell’emittente, attribuito a una volontà mafiosa, ha consegnato alla cronaca regionale TeleJato. La rappresentazione dell’emittente su You tube e sulla rete l’ha incoronata come “una sorta di Cnn amatoriale e in miniatura, che fa del giornalismo d’inchiesta e di denuncia la propria bandiera”. Ma a differenza della Cnn, si legge nel sito di Telejato, l’emittente di Paretinico trasmette “il telegiornale più lungo del mondo, due ore di servizi dalle 14.30 alle 16.30 seguiti da quasi tutto il suo bacino di utenza, le 150mila persone in venticinque comuni della provincia di Palermo raggiunte dal segnale della tv di Partinico”.
Una città, quest’ultima che ha ospitato (e ospita) boss di prima e seconda grandezza dando gran daffare alle forze dell’ordine ed alla magistratura. Il caso Maniaci, per queste ragioni, ha attraversato lo Stretto ed è diventato nazionale, in Sicilia si trova nelle pagine dei giornali e sulla rete un giorno sì ed uno no, per le minacce subite (e denunciate) da Pino Maniaci, e per un procedimento giudiziario per esercizio abusivo della professione giornalistica a carico dello stesso Maniaci. A riprova della considerazione guadagnata da Telejato, un articolo recente del quotidiano Terra, che riferisce di altre minacce e “dell'ordine di zittire Maniaci venuto dal territorio di Cinisi”. Le armi della mafia, a quanto pare, hanno fatto cilecca. All’indomani di ogni minaccia subita e denunciata, il proprietario di Telejato, fa prontamente sapere di essere “molto tranquillo”.
Coraggio, passione civile? Probabilmente tutte e due le cose. “Facendo informazione antimafia avevo messo in conto anche una reazione del genere”, spiega Pino Maniaci. E avverte: “Non mi lascerò condizionare dal mio lavoro perché ho fiducia nell'azione delle forze dell'ordine". Possiamo stare sicuri, dunque, Telejato non si piegherà mai al dispotismo mafioso, Pino Maniaci sarà una trincea antimafia. Ma il nostro campione dell’antimafia ha dovuto affrontare altri problemi accanto a quelli di una convivenza forzata con i boss nella sua città difficile. Il più grave di questi problemi è dovuto al fatto che Pino Maniaci non è un giornalista: né un giornalista professionista, né un giornalista pubblicista. Informa senza avere l’autorizzazione ad esercitare la professione. Perché possa esercitarla, al pari di ogni altra professione, ha bisogno di essere abilitato (se giornalista professionista) o autorizzato (se pubblicista). Maniaci non è né abilitato né autorizzato. Un guaio, perché l’informazione antimafia di Partinico, a quanto pare, non può fare a meno di lui. Chiunque ne venga a conoscenza, in Alaska o Sud Africa, a Voghera o a Catania, di questa vicenda, non può che chiedersi perché mai un uomo così coraggioso ed un professionista così tenace debba subire a causa delle “solite scartoffie” un procedimento penale per esercizio abusivo della professione. Invece che tutelarlo e premiarlo, lo Stato e l’Ordine dei giornalisti gli rendono la vita difficile? Oltre che con i boss deve vedersela con giudici e giornalisti? L'infaticabile attività antimafia della piccola Cnn siciliana correrebbe il rischio di chiudere battenti per ragioni burocratiche. Solo burocratiche o c’è qualcosa sotto? Essendoci di mezzo la mafia, tutto è possibile. È questa l’opinione prevalente. Il “caso Maniaci” perciò fa vibrare di passione civile, obbligando più d’uno a sospettare che si voglia impedire all’antimafia di Telejato di informare sulle malefatte dei mafiosi, e lasciare il povero Pino Maniaci nelle grinfie di Cosa nostra, facendone una vittima dei boss. Ben sette giornalisti in Sicilia ci hanno lasciato la pelle, adoperarsi perché Pino Maniaci sia autorizzato a informare costituirebbe una concreta manifestazione di solidarietà ed uno schiaffo ai mafiosi. Le carte per ottenere l’autorizzazione sono state mandate al consiglio dell’Ordine affinché si pronunci; in considerazione del rilievo assunto dall’episodio, in più, un autorevole rappresentante dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, è venuto a Partinico. Un modo per confermare la solidarietà a Maniaci. Il Consiglio si è riunito giovedì e ha però deciso di ascoltare Pino Maniaci e di chiedere il certificato dei carichi pendenti.
Perché mai? La legge dell’Ordine pretende che un giornalista abbia una condotta irreprensibile, il documento tuttavia non viene chiesto frequentemente, di conseguenza la richiesta avvalorerebbe il sospetto che il Consiglio stia trattando malamente un campione dell’antimafia. Se non ci si trovasse in Sicilia, nessuno avrebbe alcunché da obiettare ma qui è diverso, la cautela diventa sospetta se a subirla è un professionista che si è guadagnato la fama di un nemico della mafia. Il 26 giugno prossimo, a Partinico, Maniaci sarà processato per esercizio abusivo della professione e potrebbe subire la condanna a meno che non arrivi l’attesa iscrizione all’albo dei giornalisti pubblicisti. Non si può che tifare per lui. Ma chi ha in gran considerazione la legalità, il rispetto delle leggi e la verità dei fatti, ha l’obbligo di capire che cosa stia succedendo. Il caso Maniaci ha “inquinato” l’immagine dell’Ordine dei giornalisti. Perché? I giornalisti, ed il loro Ordine, sono generalmente pronti a esprimere solidarietà a chiunque, anche quando non sarebbe necessario, e invece stanno mettendo il bastone fra le ruote al proprietario di Telejato? Nei giorni scorsi si è addirittura sparsa la voce che l’Ordine potesse costituirsi parte civile nel processo contro Piano Maniaci, una eventualità che ha fatto vibrare d’indignazione quelli che già vibravano di passione civile. Benzina sul fuoco. La zona grigia si allarga agli operatori dell’informazione?“Abbiamo ritenuto doveroso schierarci al fianco di Pino Maniaci” – ha detto Iacopino, segretario nazionale dell’Ordine – “Da anni conduce un lavoro preziosissimo nella lotta alla criminalità. Il suo importante contributo stride con l’incomprensibile silenzio dell’organismo regionale di rappresentanza della nostra categoria. Il lavoro antimafia che svolge Telejato – ha aggiunto il segretario nazionale – è sotto gli occhi di tutti, così come sono sotto gli occhi di tutti i tanti discorsi dei professionisti dell’antimafia parolaia”.
Una difesa appassionata e non solo, una riflessione durissima su come va il mondo dell’antimafia. “Mi riferisco a coloro i quali ritengono che sia sufficiente scrivere un libro o partecipare a una trasmissione televisiva per fare la lotta alla criminalità. L’Ordine nazionale è accanto a Pino Maniaci non per un atto di affetto, non per un gesto di solidarietà, ma per un dovere morale nei confronti di chi, con o senza tesserino, è testimone di una battaglia di riscatto sociale di una terra tormentata”. L’Ordine nazionale, non quello regionale. Una vistosa lacerazione, forse senza precedenti, sul terreno minato dell’antimafia. L’episodio merita di essere analizzato con grande cautela. Abbiamo fatto, dunque, ciò che chiunque fa in queste circostanze, cercare qualcosa che ci faccia capire. Abbiamo trovato senza troppa fatica (nonostante il riserbo del Consiglio dell’Ordine, che sulla questione tace) notizie documentate su episodi che fanni di Pino Maniaci, il protagonista, per usare un eufemismo, di una vita spericolata: per ben venti anni, dal 1982 al 2002, Pino Maniaci non ha combattuto contro la mafia, ma contro giudici e polizia. Ha collezionato una sfilza di condanne penali (tutte passate in giudicato): emissione di assegni a vuoto, furti, abuso d’ufficio, truffa, ricettazione. Le vicissitudini giudiziarie hanno costretto Pino Maniaci a subire una pena detentiva e a svolgere servizio civile (come pena alternativa) in affidamento. Nella maggior parte dei casi non ha pagato i suoi debiti con la giustizia, avendo usufruito di indulto, amnistia e pene alternative, anche di carattere pecuniario. Fosse finito sui giornali per un banale fatto di cronaca – come capita a tanta gente comune – accanto al nome e cognome avrebbero aggiunto “pregiudicato”, abitudine incivile del giornalismo di casa nostra. Ma è diventato protagonista dell’informazione antimafia, e la sua sorte è diventata altra. I suoi venti anni difficili non possono essere cancellati con il bianchetto perché ha scelto di informare e di ingaggiare una battaglia per ottenere l’autorizzazione di informare. È diventato un caso di cronaca.
L’Ordine regionale, nel mirino di quello nazionale, vuole ora sapere come si è comportato Pino Maniaci dopo il 2002. Ha fatto male? Non amiamo gli ordini professionali e riteniamo che la professione di giornalista debba essere svolta per scelta di chi la decida, avendo i requisiti idonei, e non debba invece essere decisa dagli editori. È bene comunque che chi informa, non abbia una fedina penale lunga tre pagine. Crediamo altresì che anche chi ha avuto una vita difficile ed abbia fatto errori, possa cambiare vita e svolgere ruoli sociali importanti ed utili, ed esercitare la professione di giornalista se si è lasciato alle spalle il passato. Ciò che è insopportabile, in questa storia – e lascia l’amaro in bocca - è la superficialità con la quale si affrontano i fatti, tanto più quanto riguardano proprio i giornalisti. La superficialità e l’ignoranza sono la causa di pregiudizi e rendono un pessimo servizio alla convivenza civile, figuriamoci alla lotta contro la mafia, che è una cosa terribilmente seria. La superficialità e l’ignoranza sono incompatibili, dunque, con un'onesta informazione.
SiciliaInformazioni, 09 maggio 2009
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