di SERGIO TROISI
La riscoperta. In un volume l'opera rivoluzionaria del pittore "nomade". Capofila nell´Isola del movimento di Marinetti mantenne sempre un registro riconoscibile nelle sue tele il tema dei falsi
NEL 1929, all´apice cioè della sua avventura futurista, Pippo Rizzo espose alla seconda Mostra sindacale siciliana "Il Nomade", una figura di viaggiatore moderno vestito secondo la moda del tempo con impermeabile e cappello, posa virile e sguardo rivolto al futuro, e sul fondo il treno in diagonale che lo stesso Rizzo, mutuandolo da Balla, aveva raffigurato in corsa notturna. Il dipinto è organizzato dalla scomposizione geometrica come da fasci luminosi, secondo i modi propri della grammatica futurista. Eppure qualcosa, in quest´opera, insospettì i commentatori, che nella sagoma squadrata e nella semplificazione monumentale scorsero gli indizi di un passaggio alla sponda novecentista. Ipotesi rivelatasi esatta nel giro di pochi mesi, quando Rizzo approdò al movimento, in verità già declinante, promosso da Margherita Sarfatti. In realtà, nel giocare di sponda tra le due correnti, Rizzo (1897 - 1964) rimaneva paradossalmente fedele a se stesso, e il suo nomadismo si rivelava più apparente che reale. Non a caso, nel testo introduttivo al volume "Pippo Rizzo. Un nomade nell´arte del Novecento siciliano" (Eidos, pagine 370, 75 euro, scritti di Davide Lacagnina, Eva Di Stefano, Mariny Guttilla, Gabriella Bologna, Antonio Di Lorenzo) la curatrice Anna Maria Ruta pospone a questa definizione un punto interrogativo, come a sottolineare, aldilà delle pratiche di attraversamento che scandiscono il suo percorso nell´arte della parte centrale del secolo, una sostanziale coerenza interna del pittore siciliano.Un giudizio, questo, che inevitabilmente investe la lettura del futurismo siciliano di cui Rizzo fu il capofila a stretto contatto con Marinetti quando questi, negli anni Venti, riorganizzava il movimento tentando di imporne l´egemonia. Investe cioè non tanto la valutazione sul rinnovamento indiscutibile operato da Rizzo (e dall´intero terzetto costituito con Vittorio Corona e Giovanni Varvaro) sull´ambiente locale, quanto il suo carattere organico, il suo procedere per linea retta invece che a zigzag, il suo sposare senza riserve la causa del movimento. Le tappe fondamentali del futurismo isolano sono del resto ben scandite: la Mostra Primaverile siciliana del 1925, le partecipazioni alle Biennali veneziane del ´26 e del ´28 tra le file futuriste, l´organizzazione dell´Esposizione nazionale futurista a Palermo nel 1927, la Mostra di Taormina di Arti decorative del 28 dove vennero presentati i manufatti (arredi, tappeti, oggetti, arazzi) che Rizzo e Corona aveva realizzato sull´esempio delle Case d´Arte di Balla e Depero. La fase di maggiore compattezza del drappello palermitano dura così circa un lustro, sebbene sia preceduta, all´inizio del decennio, da un gruppo di opere ("Figura - luce - atmosfera", "Lampi") dove Rizzo fa propri i procedimenti di scomposizione formale tipici del secondo futurismo intervallati però da dipinti condotti con una figurazione più convenzionale. Non ha giovato, a questa ricostruzione, la comparsa negli ultimi anni di un nutrito gruppo di dipinti di dubbia autenticità (nell´ultimo numero del "Giornale dell´arte" una autorità in materia come Enrico Crispolti mette in guardia contro l´improvvisa abbondanza di opere futuriste di Rizzo e Corona) che ha teso a spostare all´indietro una più convinta adesione al futurismo, invadendo il mercato di quadri divisionisti e futuristi dai colori squillanti come per un restauro troppo energico laddove, per dirne una, i supporti e i pigmenti non eccelsi usati da Rizzo hanno causato, nel corso del tempo, l´opacizzazione e l´ingiallimento della superficie pittorica.Una querelle aperta, insomma, che rischia di inquinare giudizi e valori. Quel che invece non è messo in discussione è la cifra stilistica di Rizzo, quel suo procedere per stilizzazioni, per strutture grafiche giustapposte, per forme semplici, squadrate e angolari che attraversa per intero la sua produzione indipendentemente dai riferimenti individuati nei contemporanei, si tratti di Balla o di Carrà; e quella intonazione scaltrita dei temi della cultura figurativa del suo tempo, tra insegna popolare e manifesto pubblicitario, che probabilmente è il tratto distintivo della sua declinazione moderna. Non soltanto nelle opere futuriste quindi, ma anche nella successiva fase novecentista quando, almeno nella fase iniziale degli anni Trenta, Rizzo alterna ad accenti arcaicizzanti vagamente sironiani (in una monumentale "Fuga dall´Etna" per esempio) una stilizzazione che ha il sapore d´epoca del déco prima di assimilare, nella seconda metà del decennio, alcune suggestioni della pittura tonale sia pure in forme ammorbidite dai passaggi luminosi. E anche nel dopoguerra, quando allentati in gran parte i contatti con i circuiti nazionali, adotta una figurazione di paesaggi e figure familiari con campiture di colore piatto e uniforme come in un puzzle. Sino all´ultimo periodo, quando Rizzo monta i teatrini dove carabinieri, suorine, preti, marinai e bersaglieri inquadrati di spalle simili a sagome ritagliate contemplano di volta in volta un cartellone di cantastorie, una pittura di carretto o alcune riproduzione dei maestri del Novecento - de Chirico, Picasso, Morandi, Léger, Mondrian - in una sfilata ironica e divertita che enuncia (e contemporaneamente mette in scena) l´equivoco di una modernità intesa come stile, codice e prontuario piuttosto che come problema espressivo in relazione al tempo storico. Anche se in quei bersaglieri con tanto di pennacchio approdati alle sale del museo è lecito leggere, originalmente declinato, quell´incrocio tra pratiche alte e popolari che è uno dei temi ricorrenti del Novecento.Se questa capacità di mantenere un registro riconoscibile pur in presenza di una indubbia attitudine prensile e persino mimetica è quindi il filo rosso dell´opera di Rizzo, è forse il caso di chiedersi quanto questo tratto sia il risultato della collocazione periferica della Sicilia in quei decenni, e quanto invece uno dei modi privilegiati con cui la cultura artistica isolana si è rapportata al dibattito e alle ricerche nazionali. Quanto cioè sia il frutto di una tattica di breve respiro, e quanto di una strategia accorta. In questo senso, l´itinerario del pittore di Corleone potrebbe essere assunta a paradigma (con le dovute, acclarate eccezioni) di una fase dell´arte in Sicilia, tra i Venti e i Sessanta, costantemente oscillante tra ansia d´aggiornamento e ripiegamento intimista, tra volontà di rinnovamento e moto di chiusura. Del resto, alcuni dipinti del periodo futurista fanno propria tale dissociazione in modo quasi programmatico, adottando il sistema delle linee - forze e la scomposizione dinamica per paesaggi rurali altrimenti immobili e assolati. Un nomadismo circolare, attirato da un percorso di ritorno piuttosto che dalla fuga in avanti.
La Repubblica, DOMENICA, 28 DICEMBRE 2008
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