Sono circa 25 mila, secondo le stime della Cgil, le persone scese in piazza a Palermo per lo sciopero generale; 70 mila la cifra complessiva dei partecipanti ai cortei che si sono svolti nelle nove province dell'isola. "Una partecipazione massiccia nonostante le avverse condizioni meteo in molte città", rilevano alla Cgil regionale. Questo il dettaglio diffuso dalla Cgil: oltre ai 25 mila di Palermo, 15 mila a Catania; 3 mila a Messina, dove il maltempo non ha consentito l'arrivo dei lavoratori dalla provincia; 4 mila a Siracusa; 3 mila a Caltanissetta; 2 mila a Trapani, 700 ad Enna, dove nevicava; 3.000 a Ragusa e oltre un migliaio ad Agrigento, dove la manifestazione è stata al chiuso e non in piazza come inizialmente previsto a causa del maltempo. Tutti i comizi che si sono svolti in Sicilia in occasione dello sciopero generale della Cgil sono stati preceduti da un minuto di silenzio per ricordare i morti sul lavoro. Secondo la Cgil siciliana, nell'agroindustria hanno scioperato a Ragusa il 100% dei lavoratori della latte Sole, dell'Apofruit e della Libretti; nel palermitano tutti i dipendenti della Coalma, della Ciprogest, della Puccio srl, il 70% di quelli della Vini Corvo; a Catania braccia incrociate per l'80% dei dipendenti della Latte Sole; a Trapani hanno scioperato tutti all'industria conserviera ittica Castiglione; ad Agrigento sciopero per il 70% dei dipendenti della Settesoli. Inoltre,a Siracusa hanno scioperato il 60% dei lavoratori dell'azienda agricola Giardina (230 su 600 dipendenti), a Messina il 100 % dei dipendenti ex Heineken. A Siracusa la Cgil ha fatto la media dell'adesione per categoria, 95% edilizia, 60% trasporti, 70% industria, 35 terziario e servizi, 35% pubblica istruzione. Al Comune di Caltanissetta ha scioperato il 50% dei lavoratori. Nella stessa città l'80% degli addetti ai settori produttivi e dei lavoratori del reddito minimo di inserimento. Nel settore edile, inoltre, a Palermo ha scioperato il 50% del Sis, il cantiere del passante ferroviario, il 100% della laterizi. Ancora a Messina sciopero del 100% a Messina ambiente. Di nuovo a Ragusa sciopero riuscito al 99% all'Almer Metra, all'88 % alla Sma. Nei trasporti l'adesione è stata del 70%.
"Dalla piazza - commenta Italo Tripi, segretario generale della Cgil siciliana - è venuta una grande dimostrazione di consenso e adesione alla protesta e alle proposte della Cgil. Dopo oggi è opportuno che i sindacati confederali riflettano sul disagio che vivono i lavoratori, i precari, i pensionati e valutino le iniziative da mettere in campo".
"In Sicilia, alta la partecipazione dei metalmecanici allo sciopero". Lo dice la Fiom-Cgil. Secondo il sindacato, "a Palermo è stato bloccato il cantiere navale di Fincantieri. All'Ansaldo Breda di Carini, l'adesione è stata del 60% e alla Keller del 65%. Alla Galileo Avionica il 55% delle lavoratrici e dei lavoratori ha scioperato. A Catania, le sale produttive di STMicroelectronics, svuotate. Nel comparto metalmeccanico catanese, la media di adesione allo sciopero è del 70%, con punte raggiunte del 100% nelle Acciaierie di Sicilia". "Stessa situazione anche a Siracusa - prosegue il sindacato - nelle aziende di servizio-appalti della raffineria e della chimica, hanno incrociato le braccia l'80% dei metalmeccanici. A Messina l'adesione, nel'industria metalmeccanica è stata del 50%, mentre nell'area industriale di Milazzo, tra i metalmeccanici che lavorano nell'indotto della raffineria è stata del 70%. A Gela, i metalmeccanici che operano nel petrolchimico, hanno aderito allo sciopero con una media del 70%, Alla Smim, hanno incrociato le braccia il 50% dei lavoratori, e alla Comeco sono scesi in piazza l'80% dei lavoratori". "A Ragusa - conclude la Fiom - alla Metra, l'adesione allo sciopero è dell'80%. Infine a Trapani, nei cantieri navali si é registrata un'adesione del 50%, mentre all'Ausonia di Marsala il 100% ha scioperato".
12 dicembre 2008
"BUON ANNO A TUTTI... meno che a uno, anzi mezzo"!
RispondiEliminaCome sarà il 2009? Non c’è nessuno - ma per chi ci crede ci sono i soliti oroscopi - che abbia le carte in regola per formulare previsioni attendibili circa il nostro futuro prossimo. Non sappiamo se ci sarà un collasso dell’economia. Non sappiamo se la crisi durerà uno o più anni. Non sappiamo se il prezzo del petrolio salirà o scenderà. Non sappiamo se ci sarà inflazione o deflazione, se l’euro si rafforzerà o si indebolirà. Non sappiamo se gli Usa del nuovo-Presidente saranno diversi da quelli del Presidente-guerrafondaio. Non sappiamo se Istraele e Palestina continueranno a scannarsi per tutta la vita. Non sappiamo nada de nada! La stampa, i politici, i sindacati, tacciono! Stra-parlano soltanto di federalismo, riforma della giustizia, cambiamento della forma dello Stato, grandi temi utopici che vengono quotidianamente gettati ad una stampa famelica di pseudo-notizie, mentre i veri cambiamenti si stanno preparando, silenziosamente, nelle segrete stanze. Comunque, anche se i prossimi anni non ci riservassero scenari drammatici, e la crisi dovesse riassorbirsi nel giro di un paio d’anni, non è detto che l’Italia cambierà davvero sotto la spinta delle tre riforme di cui, peraltro, si fa fino ad oggi solo un gran parlare. Del resto, non ci vuole certo la palla di vetro per intuire che alla fine la riforma presidenzialista non si farà (e se si farà, verrà abrogata dall'ennesimo referendario di turno), mentre per quanto riguarda le altre due riforme - federalismo e giustizia - se si faranno, sarà in modo così... all'italiana che porteranno più svantaggi che vantaggi: dal federalismo è purtroppo lecito aspettarsi solo un aumento della pressione fiscale, perché l’aumento della spesa pubblica appare il solo modo per ottenere il consnenso di tutta "la casta", e poi dalla riforma della giustizia verrà soltanto una "comoda" tutela della privacy al prezzo di un'ulteriore aumento della compra-vendita di politici, amministratori e colletti bianchi. Resta difficile capire, infatti, come la magistratura potrà perseguire i reati contro la pubblica amministrazione se "la casta" la priverà del "fastidioso" strumento delle intercettazioni telefoniche. Così, mentre federalismo, giustizia, presidenzialismo, occuperanno le prime pagine, è probabile che altre riforme e altri problemi, certamente più importanti per la gente comune, incidano assai di più sulla nostra vita. Si pensi alla riforma della scuola e dell’università, a quella degli ammortizzatori sociali, a quella della Pubblica Amministrazione. Si tratta di tre riforme di cui si parla poco, ma che, se andranno in porto, avranno effetti molto più importanti di quelli prodotti dalle riforme cosiddette maggiori. Forse non a caso già oggi istruzione, mercato del lavoro e pubblica amministrazione sono i terreni su cui, sia pure sottobanco, l’opposizione sta collaborando più costruttivamente con il governo. Ma il lato nascosto dei processi politici che ci attendono non si limita alle riforme ingiustamente percepite come minori. Ci sono anche temi oggi sottovalutati ma presumibilmente destinati ad esplodere: il controllo dei flussi migratori, il sovraffollamento delle carceri e l'emergenza salari. Sono problemi di cui si parla relativamente poco non perché siano secondari, ma perché nessuno ha interesse a farlo. Il governo non ha interesse a parlarne perché dovrebbe riconoscere un fallimento: gli sbarchi sono raddoppiati, le carceri stanno scoppiando esattamente come ai tempi dell’indulto e gli stipendi degli italiani sono i più bassi d'europa. L'opposizione non può parlarne perché ormai sa che le sue soluzioni-demagogiche - libertà, tolleranza, integrazione, solidarietà - riscuotono consensi solo nei salotti intellettuali. Eppure è molto probabile che con l’aumento estivo degli sbarchi, le carceri stipate di detenuti, i centri di accoglienza saturi, ed il mondo del lavoro dipendente duramente provato da un caro prezzi che non accenna a deflazionare, il governo si trovi ad affrontare una drammatica emergenza. Intanto, in Italia prosegue la propaganda dell'ottimismo a tutti i costi: stampa, sindacati e politica ci fanno sapere solo ciò che fa più comodo ai loro giochi, e "noi"- a forza di guardare solo dove la politica ci chiede di guardare - rischiamo di farci fottere. Buon Anno!