martedì 30 dicembre 2008

Gaza, fermare il sanguinoso massacro elettorale

di Agostino Spataro
Sventurato quel popolo che si affida a leader i quali, per vincere le elezioni, gareggiano a chi si mostra più spietato nel massacrare il popolo limitrofo. Ma ancor più sventurato, disgraziato direi, è quel popolo che, per ironia della storia, si trova a vivere in contiguità del primo e quindi a subire un’oppressione pluri decennale, la concentrazione obbligata nei nuovi lager della miseria e della disperazione (come sono Gaza e i tanti campi profughi palestinesi)
e, di tanto in tanto, le ire funeste di governanti miopi che non riescono a vedere oltre la canna del fucile o, se si preferisce, del mirino di un F16. Avrete capito che stiamo parlando degli israeliani e del popolo martire palestinese, ancora una volta vittima della democrazia bellicista d’Israele e delle sue bombe criminali che mietono vittime a centinaia fra la popolazione civile ossia bambini, madri e padri e vecchi. Uomini e donne in carne ed ossa, come lo siamo noi che assistiamo impotenti e sgomenti alla carneficina programmata e deliberata per esigenze di campagna elettorale. Come dire: non solo strade, servizi, pensioni, nuovi ospedali, ma anche bombe, a volontà, contro i palestinesi. Chi più ne sgancia più voti prenderà. E’ questa la vera novità del confronto elettorale israeliano che si svolge fra un’accozzaglia di partiti che tirano a destra: movimenti integralisti religiosi e formazioni nate dalle ceneri del vecchio Likud. La sinistra laburista, moderata e, talvolta, equivoca, è stata scientemente atrofizzata, disarticolata, liquidata dai suoi stessi dirigenti che si sono lasciati fagocitare in cambio di qualche poltrona. Chi oggi tira le fila, anzi le bombe, di questa carneficina è un autorevole esponente laburista: il ministro della difesa Ehud Barak. Quando una “democrazia” ricorre a tali metodi per attirare il consenso di elettori, evidentemente disponibili a concederlo, vuol dire che c’è qualcosa di patologico che la consuma dall’interno e l’ha spinge sulla via dell’avventura guerresca.
S’apre, cioè, una prospettiva grave, inquietante, per Israele, per i popoli della regione ed in generale per l’Europa che, seppur con qualche distinguo diplomatista, continua a sostenere i governanti israeliani in questa sanguinosa aggressione. Il gioco è sempre lo stesso: mettere sullo stesso piano le responsabilità di Hamas e quelle storiche, e ben più gravi, dei governi israeliani, senza mai chiarire chi sono gli occupanti e chi gli occupati, le enormi differenze tecnologiche e di difesa fra le parti in conflitti. Nemmeno si vuol fare la conta dei morti, dei feriti, delle distruzioni giacché i totali sarebbero davvero imbarazzanti per Israele e per i suoi sostenitori. Certo, Hamas ha le sue responsabilità, ma bisognerebbe ricordare agli smemorati che la nascita di questa organizzazione islamista, oggi definita “terrorista”, è stata auspicata e favorita da settori dei governi e dei servizi israeliani per usarla in funzione anti Arafat e poi magari liquidarla, in un modo o nell’altro. Un giochetto rischioso, riuscito solo in parte. Arafat, alla fine, è stato messo fuori gioco e così Israele si è scelto il “nemico” col quale trattare, ma Hamas c’è ancora, anzi è divenuta padrone del campo, confortata da un’ampia legittimità popolare ed elettorale. Così come quando si parla, e si scrive, di “Territori” è utile sottolineare che sono palestinesi ed occupati, non da schiere di angeli giulivi calati dal cielo, ma da poderosi eserciti israeliani che dal 1967 (da oltre 40 anni!) sono là a sfidare l’odio delle popolazioni sottomesse e le numerose risoluzioni delle Nazioni Unite che ne chiedono lo sgombero. Quando ancora potrà durare questo tira e molla? Quali conseguenze ne potranno derivare per la stabilità della regione, del Mediterraneo e della stessa Europa? Non basta la tregua, per quanto necessaria per fermare il massacro. La soluzione vera, ragionevole è la pace equa e globale. Per raggiungerla bisogna, però, parlar chiaro e non fare sconti a nessuno. In primo luogo, i governanti europei ed Usa che non possono continuare ad agire contro il punto di vista prevalente nelle rispettive opinioni pubbliche le quali- è notorio- stanno dalla parte delle vittime non degli aggressori. E’ questa la verità, anche statistica, ma non si può dire perché si rischia d’incorrere nell’anatema dell’intolleranza, di essere bollati come “antisemiti”. Comodo, troppo comodo ricorrere a questo epiteto per evitare di entrare nel merito. Per quanto mi riguarda, tale, eventuale accusa non mi tange. La nostra esperienza politica e parlamentare, la nostra cultura di sinistra certamente superiore ad ogni bassezza di tipo razzista, sono lì a dimostrare esattamente il contrario. E se non dovessero bastare aggiungo che sono figlio di un operaio siciliano il quale, per non rinnegare la sua dignità di soldato non fascista, fu internato, per più di due anni, in un campo di concentramento nazista. Quindi, per favore, si lascino da parte gli anatemi e si vada al concreto.
Agostino Spataro
Direttore di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it)
Già parlamentare Pci , membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati

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