martedì 28 ottobre 2008

Voglio consegnarvi quattro considerazioni spurie. E grazie di r-esistere

Sono stata a Corleone, giorni fa, per assistere alla presentazione di un libro autobiografico di Nino Miceli, un commerciante di Gela che si è opposto al pizzo, in un’epoca in cui di gente come lui non se ne contava a palate (come del resto è ancora oggi, pur considerando i grandi passi avanti fatti in merito). Avevo già avuto l’opportunità di conoscerlo a Palermo, dove vivo. Ma l’idea che venisse a Corleone, e che parlasse della sua esperienza coi ragazzi della Cooperativa “Lavoro e non solo”, che opera su terreni confiscati alla mafia, mi gasava. All’incontro erano presenti anche un gruppo di ragazzi e ragazze provenienti da Avellino, accompagnati da due loro insegnanti, venuti appositamente per vivere una full immersion coi ragazzi della cooperativa corleonese, sia dal punto di vista della gestione della cooperativa, sia dal punto di vista del lavoro, alla lettera, “sul campo”. Già percorrendo il tragitto Palermo-Corleone mi sentivo, via via, sempre più elettrizzata. Sono corleonese anch’io e quanto si svolge a Corleone ha in me una risonanza particolare. Se la stessa situazione si fosse svolta, ad esempio, a Bagheria, mi avrebbe gasata, devo ammetterlo, molto meno. Manco da Corleone da oltre 30 anni ma, quando in qualche maniera ne sono stata coinvolta, ho sempre avuto a cuore il partecipare o anche solo l’assistere a certi eventi che si sono svolti in questo luogo che quindi, devo ammetterlo, mi è rimasto nel cuore anch’esso. Particolarissimo è stato per me, ad esempio, in tempi purtroppo andati, ritrovarmi assieme ai redattori de “Il Giornale del Corleonese” (diventato dopo “Città nuove”) che per me rappresentava soprattutto l’opportunità, unica, di conoscere quelle poche persone che, a Corleone e nei paesi del circondario, erano più disponibili a ritrovarsi attorno a un tavolo per discutere di una politica da intendersi in senso etimologico, e non degli “affari” con cui la si è stravolta.

Ritrovarmi quindi qualche giorno fa a Corleone, coi ragazzi della cooperativa, o anche i ragazzi e le ragazze ospiti di una struttura per affetti da disagio psichico (da me non previsti, e quindi immaginate la sorpresa a vedere là pure loro, e sapere che alcuni lavorano anch’essi nei campi confiscati ai mafiosi!), vedere alcuni miei coetanei, ex studenti del liceo dei miei tempi diventati intanto professori, rivedere Pino Governali, uguale a se stesso (lo dico come attestato a lui di coerenza) presente sempre dove c’è un alito di dibattito… insomma, sempre di meno stavo nella pelle. In quell’occasione Mimmo Cardella (ecco, un ex studente ora prof) m’invita ad assistere, l’indomani, alla proiezione di un video sulla mafia, fatto in collaborazione coi ragazzi dell’attuale liceo. Mi piacerebbe ma il “richiamo della foresta” (impegni familiari, di lavoro, di chiffàri che non mancano) mi faceva optare per l’andare via. Chiusa la casa a chiave, entro in auto, allaccio la cintura, metto in moto, mi avvio. Mi fermo. Mi dico che sono contenta di essere a Corleone, dell’incontro del pomeriggio, incuriosita di quello dell’indomani. Virata di bordo, decido di restare. L’indomani sono già sveglia prima dei galli del circondario, e prima delle 9 sono dietro il portone del liceo. I professori che hanno organizzato questo incontro mi spiegano che avrebbero potuto ideare una mega visione per tutti i licei e uscirsene così, in una mattinata, dall’incombenza di compiere il loro dovere antimafioso. Invece hanno preferito organizzare la visione per gruppi ristretti di un centinaio di studenti per volta perché in gruppi più piccoli ci si nasconde meno, la lingua si scioglie più facilmente, ci si sente più coinvolti, più indotti a partecipare. Una faticaccia per loro, non foss’altro per la ripetitività, ma come non condividere la loro scelta?

Il video si chiama “Il muro di carta”. Comincio a guardarlo con un minimo di scetticismo che via via si dipana. Mi era sembrato di intravedere un po’ la solita solfa che a Corleone non c’è mafia, medaglia antitetica ma non meno falsa di quella secondo cui, all’opposto, è tutta mafia.
La storia: un padre deve partire con la moglie, all’improvviso, per l’America, per un lungo periodo. Non sa a chi lasciare la figlia ragazzina, e ne parla concitato per telefono con una zia che si offre di ospitarla. Ma (ecco il busillis!) purtroppo gli zii abitano a Corleone, nome che riecheggia nella mente del padre della ragazza una vasta gamma di fantasmi, di facile intuizione. Basta, finisce che la ragazzina, evidentemente a corto di alternative, viene affidata agli zii e va a Corleone dove, come si evince da una mail che scrive ai genitori lontani, tutta ‘sta favola che Corleone è mafia le risulta essere una balla completa. Corleone, insospettabilmente, le pare un paese come altri. E anzi i suoi compagni di scuola, che stanno preparando una manifestazione contro la mafia in cui ergeranno un muro fatto di libri, portati da ciascuno di loro, le paiono una massa di perditempo. Per strada la ragazza vede spesso un pittore solitario, che le dicono essere un ex boss mafioso. Un giorno, fuori da scuola, lo vede entrare in una chiesa, e decide di entrarvi pure lei e sederglisi accanto. L’ex boss pare non aspettare altro, e nel giro di qualche secondo non gli pare vero di avere un possibile uditorio, lui che è sempre solo, e le racconta di sé, del suo passato, e di come ha cambiato rotta guardando un quadro esposto in quella chiesa, che lui attribuisce a Velasquez (ma che Pino Governali mi dice essere invece di un tale Velasco, da non confondere col molto più famoso “analogo” spagnolo). Durante il colloquio la ragazza dice di aver constatato, durante la sua permanenza a Corleone, che la mafia non esiste. L’ex boss la corregge e le fa un bignamino, a dire il vero politicamente corretto, sulla mafia, che esiste eccome, che non bisogna negarla, che travalica longitudini e latitudini, che permea ciascuno di noi, anche negli atteggiamenti minimi e quotidiani. E che solo la cultura può sconfiggere. Anche se trovo poco credibile la figura del boss illuminato sulla via di Damasco e ben disposto a elargire lezioni pret-à-porter sull’antimafia (avrei affidato questo ruolo a un altro personaggio, un artista solitario, un professore, un vecchio contadino…) la morale della favola mi pare comunque corretta nei contenuti. L’ex boss e la ragazza, facilmente persuasa dalle parole dell’ex boss, escono dalla chiesa e assieme (no, non mano nella mano, dai!) partecipano alla manifestazione, in programma per quella stessa mattina, e depongono anche loro i loro libri per contribuire a costruire un muro simbolico, quello della cultura, contro la mafia.

Il dibattito che segue è fitto e interessante, tanto che (alla faccia dei doveri) decido di restare anche per il secondo round, in cui, dopo le 11, il video sarà riproposto a un altro gruppo di studenti, che dibatteranno anch’essi. Diversi insegnanti prendono la parola. Mi dico che è bello vederli indaffarati su questi temi che, se l’esigenza non sorgesse da essi stessi, forse nessuno li indurrebbe a trattare. Un prof (che so essere di educazione fisica) parla di Bernardino Verro, dei Fasci siciliani… Chi glielo fa fare? mi chiedo retoricamente, compiaciuta del fatto che lo faccia. Quand’ero liceale io nessuno me ne parlò mai. Soltanto, fuori da scuola, un elemento spurio e malvisto come Nino Gennaro, la cui memoria mi porterebbe a scrivere ora un’altra storia, che al momento tralasceremo. Ma con cui ho avuto l’onore e il piacere di condividere mezza vita, metà dei 36 anni che avevo quando lui morì. Ma a parte Nino, allora, nessuno. Nessuno ci parlava del fatto che, se è vero che la mafia esiste, è vero anche che è sempre esistita un’antimafia, e che Corleone è stata uno degli epicentri delle lotte contadine di fine ‘800 e del II dopoguerra. Dopo Nino solo all’università, che frequentai da grande, ebbi modo di studiare questi pezzi di storia, importantissima e diventata (solo qualche decennio dopo!) così misconosciuta. Li appresi grazie a un vecchio, ora vecchissimo mio professore di storie varie, Francesco Renda. Oggi, in questa scuola, ne parla un prof di educazione fisica (e morale), pensavo, e non è bello?

Qualcuno dei ragazzi presenti dice, durante il dibattito, che sono i giovani di oggi, più scolarizzati di quelli di ieri, che possono ribellarsi alla mafia. Non poteva certo farlo una persona che magari oggi ha 75 anni (testuale), e che magari era cresciuto accanto a Totò Riina o altri suoi simili!
Ecco, penso, siamo ignoranti. E non lo dico per offendere nessuno, ma solo come constatazione di fatto delle nostre lacune. Quel giovane pensa che prima di ora ci sia stato solo il diluvio. Come me alla sua età, semplicemente ignora che i vecchi contadini, incolti, molto probabilmente analfabeti, molto prima e mooooolto più di ora, avevano praticato l’antimafia. Oltre cinquanta sindacalisti morti ammazzati, in Sicilia, nel biennio ’48-’50. Contadini, molti di loro alla fame, occupavano le terre dei latifondisti, pretendevano leggi che difendessero i loro diritti, e le ottenevano! Morivano, anche, di queste lotte. A decine di migliaia (non ho sbagliato a scrivere: a decine di migliaia), quasi tutti con le coppole in testa e qualcuno in groppa ai muli, andavano allo scontro diretto coi mafiosi. Con quei muli e quelle coppole, che oggi ripudiamo reputandoli, ignorantemente, solo simboli di mafiosità e di vecchiume, eradicati dai simboli moderni (e quindi innovativi?) di una moda massificata, sovrastata da marchi che ci fanno reputare, soprattutto i giovani, troppo giusti, troppo fighi. Troppo che?

La cultura per sconfiggere la mafia. Il muro di carta. Era il titolo del video ed è stato lo slogan più ribadito durante i due dibattiti. Lo sentivo anche oggi in tv, detto da don Ciotti, che riferiva parole, su questo stesso tema, di Nino Caponnetto, il “papà” di Falcone e Borsellino. Giusto, giustissimo. Mi trovo spesso a pensare che ne uccide più l’ignoranza che la spada, o tutt’e due. Ma attenzione: la cultura non è neutra. E’ come la scienza, come la politica, come la storia, come tutto. Le parole che usiamo, il nostro modo di vestirci, i libri che scegliamo, il nostro non leggere, il nostro modo di relazionarci agli altri… Niente è neutro. Essere colti non ci immunizza, per ciò stesso, dalla mafia. Come se la mafia fosse fatta solo di mammasantissima semianalfabeti, e non di schiere di avvocati, di politici da piccolo consiglio comunale come da aula di Montecitorio, capaci ognuno di spendere il proprio know-how a favore di cause mortifere, mafiose, di basso clientelismo locale, di familismo come di sfruttamento planetario. Capaci anch’essi, per parafrasare il famoso “adagio”, di agire localmente e pensare globalmente. La cultura non ci porta necessariamente da una parte. Può portarci nelle direzioni più opposte, a seconda del campo che scegliamo di percorrere. L’orgoglio di essere corleonesi. In contrasto con chi ci etichetta come “quelli della mafia” ecco che la retorica contrapposizionista ci fa dire ora di essere orgogliosi di essere siciliani, e corleonesi per giunta. A che serve, mi chiedo, questo campanilismo? Essere siciliani, e corleonesi, è solo frutto del caso, e non è motivo né di vergogna né di vanto. Scrissi questo diversi anni fa, a proposito della kermesse cittadina in cui il famoso fotografo Oliviero Toscani ritrasse alcuni giovani corleonesi per mostrare al mondo che erano uguali a quelli di ogni altra parte del mondo (del cosiddetto primo mondo, aggiungerei), specialmente se vestiti benetton. Scrissi anche quello che ho scritto poche righe fa a proposito di chi ha fatto le lotte contadine, scrissi della retorica su “i giovani i giovani i giovani” reputati, per ragioni anagrafiche (un po’ pochino, no?) il nuovo che avanza rispetto al vecchio che, finalmente, scompare. Sul giornale per cui scrivevo allora, “Città nuove”, si preferì pubblicare un pezzo in cui si vantava la bellezza e la biondezza dei ragazzi-anti-coppola-anti-mulo-e-uguali-agli-altri. Sarò ripetitiva ma, oggi come allora, mi viene di ripetere le stesse cose.
Dovrei essere, oggi, orgogliosa che un ministro della in-giustizia (siciliano, come me!) fra le primissime cose che ha fatto e a cui ha collegato onorabilmente il suo cognome, è stato quello di garantire la non punibilità per le quattro principali cariche dello Stato, non solo quindi immensamente più potenti di ciascuno di noi, ma anche immensamente più sottratte alle leggi rispetto a ciascuno di noi? Dovrei essere orgogliosa di avere avuto un presidente della Regione condannato per favoreggiamento alla mafia? Favoreggiamento semplice, però, non aggravato, in quanto ha favorito solo una parte della mafia, non la mafia nella sua interezza, per il semplice fatto di aver messo al corrente il boss di Brancaccio, il dott. Guttadauro (un medico, quindi una persona in qualche modo colta!) di essere sorvegliato tramite microspie. Ma neanche Riina o Provenzano avranno favorito la mafia nella sua interezza, penso, ma “solo” porzioni di essa! E dovrei essere orgogliosa del fatto che questo siciliano, reputato indegno di svolgere il ruolo di presidente della Regione siciliana, sia stato messo come capolista al senato, e siede ora in quegli scranni, da cui ha potere di legiferare? Quindi no, scusate, ma la retorica sicilianista non mi cala, e neanche quella corleonesista. Ma allora, come rispondi a chi ti dice che Corleone è mafia? Ammetti che è anche vero, e allìttrati per sapergli parlare anche dell’antimafia corleonese, che ha una storia antica quanto quella della mafia. Ma per saperlo dire agli altri devi saperlo prima tu, se no ti senti schiacciato da Corleone = mafia e per reazione uguale e contraria ti inorgoglisci, ma di che?
Durante il dibattito, uno dei ragazzi corleonesi chiede ai ragazzi di Avellino che cosa avevano provato venendo a Corleone, se l’intuibile pregiudizio riguardanti la nostra cittadina aveva colpito pure loro. Una ragazza avellinese dice che si, in verità, prima di venire a Corleone aveva un po’ paura, ma poi… Ecco, pensavo, il ragazzo corleonese si sente più “sud” del necessario, e la ragazza avellinese si sente “a nord” rispetto a lui, ma di che? La camorra non imperversa, forse, in Campania? Con uccisioni multiple e alla luce del sole compiute fino a qualche settimana fa? Con la sua fatwa a Saviano fresca fresca?
Nel video la ragazza affidata dai genitori agli zii che abitano a Corleone viene da… Catania! Anche qua, nella mente di chi ha ideato questa sceneggiatura, non è emerso che anche Catania ha i suoi boss Santapaola, i suoi morti ammazzati, i suoi famosi “cavalieri del lavoro”? Scambio qualche battuta con un ragazzo di Avellino che siede accanto a me. Gli chiedo che vuole fare da grande. Mi dice che vorrebbe fare il fisioterapista ma che, siccome in Campania si accede al corso coi sistemi che è facile intuire, lui andrà a fare il corso al nord. Dove? gli chiedo. “A Chieti”, mi risponde. Ecco, al nord, cioè a Chieti! C’è sempre qualcuno, quindi, che si sente più a sud degli altri: il corleonese rispetto al catanese e all’avellinese, e quest’ultimo rispetto a uno di Chieti, un abruzzese. Non possiamo imparare, a poco a poco, a sentirci a sud di nessun nord? E il nord, a nord di nessun sud?
Che si può fare per contrastare la mafia? Ce lo chiediamo in tanti. Forse anche “solo” piccoli grandi gesti, quotidiani, occasionali, periodici, di resistenza. Centinaia di ragazzi e ragazze, per lo più dalla Toscana, sono venuti a lavorare nei campi confiscati. E i ragazzi di Corleone? Per classi, per gruppi di amici, non potrebbero anch’essi dare un po’ del loro tempo e fare lo stesso? Non sarebbe un gesto concreto di aiuto e anche dal forte valore simbolico raccogliere pomodori, dissodare terreni, mietere frumento, togliere spine? Non sarebbe, come dice il nome stesso della cooperativa, un lavoro, ma non solo quello? Il nostro voto. Ma ci pensiamo? Ci pensiamo che prima si votava in base al censo? O che le donne non votavano? Tutto è stato conquistato palmo a palmo, il sistema democratico, il diritto dovere di voto per tutti, al di là di differenze di sesso, classe, religione. Per farne che? Per svendere il proprio prezioso voto al politico-prometti-qualcosa? Per votare per il parente o per l’amico o per il paesano, col solo criterio che è amico o parente o paesano, indipendentemente da quale sia la sua capacità di intendere la politica come servizio verso la comunità tutta e non solo verso la propria “cunfaffa”? O non votare? Trincerandoci dietro un “tanto sono tutti uguali”, ottimo alibi per non mettere a nudo la nostra ignoranza della politica?
Insomma, quattro considerazioni spurie che volevo consegnarvi, per farne ciò che volete. E grazie di r-esistere.
Maria Di Carlo
Palermo, 27.10.2008
FOTO. Dall'alto: il dibattito con Nino Miceli; Riina e Provenzano; Nino Gennaro; lotte contadine.

Palermo, occupata la facoltà di Scienze Politiche

di Claudia Brunetto
La protesta contro la riforma Gelmini fa la prima "vittima" a Palermo: il preside di Scienze politiche, Antonello Miranda, ha annunciato le sue dimissioni dopo che la sua facoltà - la prima a Palermo - è stata occupata dagli studenti.
E il grido contro i tagli alla scuola e all´istruzione previsti dal decreto del ministro della Pubblica istruzione si moltiplica in decine di iniziative promosse dalle scuole di ogni ordine e grado: manifestazioni, fiaccolate e lezioni in piazza. Si annuncia molto partecipata la fiaccolata di stasera alle 21 che prende il via da piazza Giovanni Paolo II davanti alla direzione didattica Alcide De Gasperi. Il comitato "Un esercito di maestri", nato spontaneamente per iniziativa di insegnanti, genitori e dirigenti scolastici, con questo corteo abbraccerà nel percorso tutte le scuole della zona: Collodi, Galileo Galilei, Antonino Pecoraro, Virgilio Marone, Trinacria e Vilfredo Pareto. Hanno aderito anche i quaranta bambini Rom che da anni frequentano regolarmente la scuola De Gasperi. Con le loro famiglie si muoveranno dal campo nomadi alle porte della Favorita con una candela accesa in mano. Ieri intanto la prima occupazione: gli studenti di Scienze politiche hanno occupato la sede della facoltà in via Maqueda. E il preside Antonello Miranda, che non ha dato seguito alla richiesta degli studenti di interrompere l´attività didattica, ha risposto con l´annuncio delle sue dimissioni: «Non riconosco più la mia facoltà e i miei studenti - dice Miranda - al primo consiglio di Facoltà utile, che io stesso chiederò di convocare, presenterò le mie dimissioni. Bloccare le attività didattiche non è una scelta democratica, fosse anche per uno solo degli studenti che vuole seguire le lezioni. Il diritto allo studio non può essere negato, soprattutto da un preside di Facoltà. E gli studenti di Scienze politiche dovrebbero sapere che l´occupazione è un atto illegittimo. Fino a questo momento ho dimostrato la mia totale disponibilità e quella del corpo docente concedendo le aule per i loro incontri e per le loro assemblee, ma l´occupazione è davvero troppo. Me ne tiro fuori. E non è una presa di posizione politica, dal momento che da quando ho compiuto diciotto anni ho la tessera del partito radicale».
E mentre Miranda si dimette, il preside di giurisprudenza Giuseppe Verde oggi alle 14 ha previsto una lezione aperta in piazza Pretoria. Anche in piazza Verdi, in piazza Politeama e nella piazzetta di via Generale Magliocco si svolgeranno simultaneamente, alle 15, le lezioni di altre facoltà: Ingegneria, Architettura, Agraria, Scienze, Lettere e Farmacia. Alla facoltà di Lettere e Filosofia in viale delle Scienze, invece, la protesta si trasforma in festa in nome dell´intercultura. Alle 18 è previsto un dibattito sulle classi di inserimento riservate agli alunni stranieri, a seguire danze e tradizioni della comunità dello Sri Lanka. Poi alle 19,30 un incontro sul romanzo "Senzaterra" di Evelina Santangelo e per concludere una cena con piatti della tradizione tamil, ivoriana e ghanese e uno spettacolo di capoeira del gruppo Zumbì. Ieri, con la facoltà di Scienze politiche occupata, Lorenzo Saltari, ricercatore di Diritto amministrativo, faceva lezione a un gruppo di studenti in un´aula del primo piano. «L´occupazione? È una forma di protesta datata - dice - io continuerò a fare lezione fin quando ci saranno studenti che me lo chiederanno». Nell´aula magna della Facoltà in cui si sono svolti cinque giorni di assemblea permanente c´è in bella mostra uno striscione "No alla 133" che i ragazzi affermano sia al di là di ogni schieramento politico. «Siamo stati i primi a occupare in città - dice Andrea Gattuso, iscritto al corso di laurea specialistica - Ma vogliamo un´occupazione costruttiva, con una didattica alternativa fino al 31 ottobre. Chiediamo ai professori lezioni su temi che spesso non si riescono a trattare in facoltà. Come la crisi economica mondiale, la globalizzazione, i movimenti studenteschi e ovviamente i decreti in discussione in questo momento. E anche seminari aperti sugli argomenti che più ci interessano. La nostra intenzione è quella di entrare in rete con le altre facoltà e gli altri corsi di laurea».
Nel corpo docente c´è anche chi la pensa come loro: «Da venticinque anni - dice Maximo Ghioldi, lettore di Lingua spagnola - insegno in questa facoltà. Questa volta la posta in gioco è troppo alta, bisogna andare fino in fondo. Questa generazione non ha futuro al di fuori della precarietà. Questa legge rappresenta la distruzione della cultura italiana. Io sono al fianco degli studenti». Già ieri pomeriggio in una nuova assemblea sono state decise le linea guida dell´occupazione. Per prima cosa stilare un regolamento di facoltà, poi calendarizzare le attività fino al 31 ottobre e stabilire un servizio d´ordine interno. «Faremo anche un cineforum - dice Giuseppe Pizzillo - in attesa di capire che fine farà questo decreto. Non abbiamo intenzione di arrenderci. Avevamo chiesto di sospendere le attività didattiche come è accaduto in altre facoltà, ma non ci è stato concesso. Così non abbiamo avuto altra scelta».
(La Repubblica, 28 ottobre 2008)

lunedì 27 ottobre 2008

Anche Famiglia Cristiana critica il ministro dell'Istruzione, la cattolica M. Stella Gelmini

«Non chiamiamo riforma un semplice taglio di spesa». È questo il titolo dell'editoriale d'apertura di Famiglia cristiana di questa settimana, nel quale si affronta il tema della scuola e del decreto Gelmini. «Nel mirino c'è una legge approvata di corsa, in piena estate», si legge nell'articolo, che sottolinea come «nonostante la dicitura sia roboante, "riforma della scuola", più prosaicamente», si dovrebbe parlare di «contenimento della spesa a colpi di decreti, senza dibattito e un progetto pedagogico condiviso da alunni e docenti. Non si garantisce così il diritto allo studio: prima si decide e poi, travolti dalle proteste, s'abbozza una farsa di dialogo». Il settimanale paolino sottolinea poi che «i tagli annunciati all'università sono pesanti e che nei prossimi cinque anni il fondo di finanziamento si ridurrà del 10 per cento». Come dire: «porte chiuse all'università per le nuove generazioni». «Studenti e professori - osserva la rivista, diffusa in tutte le parrocchie italiane - hanno seri motivi per protestare. E non per il voto in condotta o il grembiulino (che possono anche andar bene), ma per i tagli indiscriminati che "colpiscono il cuore pulsante di una nazione", come dice il filosofo Dario Antiseri». E di fronte alle proteste nelle scuole non «si potrà pensare di ricorrere a vie autoritarie o a forze di polizia. Un Paese che guarda al futuro investe nella scuola e nella formazione, razionalizzando la spesa, eliminando sprechi, privilegi e baronie, nonché le allegre e disinvolte gestioni». Per Famiglia cristiana, dunque, «il bene della scuola richiede la sospensione o il ritiro del decreto Gelmini, per senso di responsabilità». «Un Paese in crisi trova i soldi per Alitalia e banche: perchè non per la scuola? si richiedono sacrifici alle famiglie, ma costi e privilegi di onorevoli e senatori restano intatti. Quando una Finanziaria s'approva in nove minuti e mezzo, quando, furtivamente, si infilano emendamenti rilevanti tra le pieghe di decreti legge, il Parlamento si squalifica». Il giornale diretto da don Antonio Sciortino non è neppure contento delle false aperture al confronto del ministro Maria Stella Gelmini, che pure vanta più del curriculum da avvocato una sua militanza nelle fila dell'Azione Cattolica.
L’Unità, 27.10.08
FOTO: Il direttore di Famiglia Cristiana, padre Antonio Sciortino

Scuola, sale la tensione, proteste nelle piazze

ROMA - Si è aperta nelle scuole e nelle università una settimana con programma ancora denso di occupazioni, sit-in, agitazioni, in vista dell'approvazione al Senato (prevista mercoledì 29) del decreto Gelmini. "La mobilitazione percorre il paese come una grande “ola” e passerà per Roma nella più grande manifestazione per la scuola che la nostra memoria ricordi". La sintesi di quel che accadrà nei prossimi giorni è nelle parole del leader della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo. Una sola voce fra le mille che animano la protesta. E che si sono date appuntamento, a Roma, in occasione dello sciopero generale nazionale. Giovedì incroceranno le braccia gli aderenti alla Flc Cgil, Cisl e Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda degli insegnanti. Il mondo universitario e della ricerca, in aggiunta, ha già attivato le procedure per una giornata di sciopero il 14 novembre. Un raro sciopero di quasi tutte le organizzazioni sindacali, ancora più irritate dalla decisione di provare a dare il via libera alla legge proprio il giorno prima, senza risposte alle ripetute richieste di confronto (in particolare il segretario della Cisl Bonanni ha ripetuto più volte di essere pronto a fermare l'astensione dal lavoro in presenza di una convocazione al ministero). Da nord a sud proseguono le manifestazioni di protesta che ovviamente interessano le principali città italiane. Roma, Milano e Napoli le piazze più calde, ma le contestazioni si fanno sentire anche in Sicilia.Cortei, sit-in e iniziative di protesta contro la legge 133 sono in corso in diversi punti di Palermo. Davanti la sede della Rai, in viale Strasburgo, un gruppo di studenti di scuole medie superiori sta effettuando un sit-in, mentre altri studenti dopo un presidio in piazza Politeama, davanti al teatro, hanno sfilato in corteo per via Libertà, creando seri problemi alla circolazione.In piazza Castelnuovo gli studenti della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università hanno partecipato ad una lezione all'aperto; altre lezioni delle facoltà di Ingegneria, Architettura, Medicina, Farmacia e Giurisprudenza sono in programma domani mattina.Intanto, un gruppo di studenti di Scienze politiche ha occupato la sede della facoltà, lo storico collegio del San Rocco in via Maqueda. Si tratta della prima occupazione di strutture universitarie a Palermo da quando è scattata la protesta contro i provvedimenti del ministro Gelmini.
27 ottobre 2008

domenica 26 ottobre 2008

Dino Paternostro alla Carovana antimafie in Toscana

Dino Paternostro, direttore di “Città Nuove” e segretario della Camera del lavoro di Corleone, è stato invitato a partecipare a due tappe della Carovana Antimafie, che ha già preso il via in Toscana. Ecco in dettaglio il calendario delle iniziative a cui parteciperà nei giorni 30 e 31 ottobre:

30 ottobre 2008. Ore 19:45, Casa del Popolo ARCI di Coiano (Prato) per ricordare l’episodio da cui scaturì la prima sentenza della Corte Costituzionale ad opera del Presidente del Circolo Enzo Catani e dei soci del Circolo. Protagonista fu l’allora giovane magistrato con funzioni di Pretore Antonino Caponnetto, il fautore della lotta alle mafie con il pool della Procura di Palermo, insieme a Falcone e Borsellino. Saranno presenti Elisabetta Baldi Caponnetto, Andrea Mazzoni (Assessore Cultura-Giovani Comune di Prato), Franco Di Martino (Presidente Legambiente Prato), Enzo Catani (già presidente Casa del popolo di Coiano), Mario Bensi (presidente Casa del popolo di Coiano), Mario Barbacci (presidente Com. Cultura Cir. Nord). Dino Paternostro, Segretario della Camera del Lavoro di Corleone.

Ore 20:30, Vaiano, dove il Consiglio Comunale accoglierà la Carovana. Interventi dei giovani dei Campi di lavoro Liberarci dalle Spine, della Consulta Giovani di Vaiano, dell’Associazione Eccetera, dei Circoli ARCI del Vaianese. Saranno presenti Annalisa Marchi (Sindaco di Vaiano), Paolo Bianchi (Presidente Arci Prato), Anna Buti (Segretaria SPI Prato), Dino Paternostro, Segretario della Camera del Lavoro di Corleone, Sandra Ottanelli e Roberta Pieri (Associazione Eccetera). Al termine cena a buffet presso la Sartoria di Vaiano, con Auser, Eccetera, CircoloARCI “Rossi” di Vaiano, Circolo ARCI La Spola d’Oro La Briglia.

31 ott 2008, Empoli. Alle ore 10:00 presso il Cinema La Perla: ”Le scuole superiori incontrano la “Carovana”Introdurranno: Ettore Squillace, Greco Magistrato, Pierpaolo Romani - Coordinatore nazionale di Avviso Pubblico. Saluto di: Dino Paternostro, Segretario della Camera del Lavoro di Corleone, Cecilia Pezza, volontaria del progetto Liberarci dalle Spine, Fabio Ceseri, Libera, Alessandro Cobianchi, Responsabile Nazionale Legalità Arci.

Alle ore 13:00 pranzo della legalità al Centro Cottura di Empoli insieme ai ragazzi delle scuole medie, agli insegnanti e agli operatori del Centro. Durante il pranzo piccoli interventi collegati ai Prodotti di “Libera Terra”
A Castelfiorentino alle ore 15:00 presso il CIAF: “La carovana incontra il Ciaf”, ragazzi, educatori, genitori, giocano con il “Gioco dell’oca della legalità”. Alle ore 17:30 presso il CIRCOLO Arci Puppino tavola rotonda su “lavoro e legalità” con la partecipazione di Sergio Marzocchi, Presidente Arci Empolese-Valdelsa, Dino Paternostro, Segretario Camera del lavoro Corleone, Mario Battistini, Camera del lavoro Empolese Valdelsa, Alessandro Cobianchi, Responsabile Nazionale Legalità Arci, Fabio Ceseri, Libera, Spi Cgil, Auser, forze dell’ordine. Alle ore 20:00 circolo Arci Puppino: Cena della legalità con le consuete modalità: Dino Paternostro, Segretario della Camera del Lavoro di Corleone, Andrea Campinoti, Presidente Nazionale Avviso Pubblico.
Alle ore 22:30 Circolo Arci La Romola proiezione Film “Alla Luce del Sole”.

Zoomafia, Palermo: i Carabinieri scoprono corsa clandestina di cavalli e maneggi abusivi

Plauso della LAV che rivolge un appello al Procuratore Antimafia Piero Grasso: "Indagini specifiche contro la recrudescenza della zoomafia in Sicilia"
Nuovo intervento dell’Arma dei Carabinieri di Palermo contro le corse clandestine di cavalli: la Compagnia di Terrasini stamani, con l’ausilio anche di un mezzo del Nucleo Elicotteri di Bocca di Falco, ha interrotto una gara tra due cavalli dopati, denunciando quasi venti persone; le ipotesi di reato vanno dal maltrattamento di animali alle scommesse clandestine, alla violenza privata nei confronti dei soggetti a cui era stato interdetto il passaggio sulla pubblica via per non disturbare la “competizione”. Assieme ai NAS, inoltre, sono state controllate 5 stalle portando al rinvenimento di un ingente quantitativo di farmaci in assenza delle prescritte autorizzazioni sanitarie. A Palermo, i Carabinieri della Compagnia di San Lorenzo hanno effettuato controlli su alcune scuderie cittadine per fronteggiare “il dilagante fenomeno delle corse clandestine, sempre più diffuso nel capoluogo siciliano”: scoperte stalle e maneggi abusivi, nei quali vengono allevati equini destinati alle corse o alla macellazione abusiva. Denunciato il titolare di un maneggio per detenzione illegale di farmaci dopanti, mentre a Ficarazzi (PA) i Carabinieri della Compagnia di Bagheria hanno contestato ad un anziano di avere attivato una stalla senza autorizzazione ed altre 12 violazioni amministrative, ponendo sotto sequestro 8 cavalli.

“Al Comando provinciale di Palermo dei Carabinieri, alle sue articolazioni di Palermo San Lorenzo, Terrasini e Bagheria, ai NAS ed agli altri militari coinvolti, esprimiamo vivo apprezzamento e plauso per la brillante operazione - dichiara Marcella Porpora, coordinatrice regionale LAV Sicilia -; va dato atto della grande capacità di intelligence e dell'importante operatività messa in atto ormai con operazioni costanti e frequenti contro le corse di cavalli, che rappresentano una formidabile azione di contrasto alla Zoomafia. Nelle ultime settimane, solo nelle province di Palermo e Catania, tutte le Forze dell’Ordine (dai Carabinieri alla Polizia alla Guardia di Finanza) hanno condotto blitz e sequestri contro gare ippiche abusive con risultati eccezionali ma, nonostante questa benemerita e validissima attenzione delle Forze di Polizia, quella delle corse clandestine pare un realtà criminale destinata a non avere mai tregua”.

“Come testimoniano le numerose operazioni di polizia, negli ultimi anni in Sicilia si registra una recrudescenza esponenziale del fenomeno dell’ippica clandestina e del relativo giro d’affari delle scommesse gestito da organizzazioni malavitose. Si tratta ormai di un fenomeno di ampie proporzioni - denuncia Ciro Troiano, responsabile dell’Osservatorio nazionale Zoomafia della LAV - diffuso in ogni provincia dell’Isola, una realtà criminale che si è sviluppata a causa del ferreo controllo mafioso del territorio. Per questi motivi la LAV chiede al Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, di avviare specifiche indagini ed inchieste contro gli interessi criminali nelle corse ippiche clandestine e, in generale, gli altri aspetti della zoomafia. A partire dalla corsa bloccata oggi a Terrasini, inoltre, è necessario ed opportuno che si inizi ad orientare le indagini affinché possano essere individuati quegli elementi che consentano di applicare a tutti gli individui coinvolti (staffette, giovani in motorino, sentinelle ecc.) gli estremi dell’associazione per delinquere. In questo modo le pesanti sanzioni penali previste comporterebbero un ottimo effetto deterrente e sarebbero maggiormente colpite le organizzazioni criminali”.
25.10.2008

Il rettore e lo scandalo parentopoli: "All´ateneo serve un codice etico"

Palermo, nuovo regolamento contro i nepotismi in facoltà. Un figlio può seguire le orme del padre, ma non nella stessa struttura. Presto una norma per impedire ai parenti di primo grado di lavorare insieme
di EMANUELE LAURIA
PALERMO - Un codice etico per l´Università di Palermo. Investito dalle polemiche ancora prima di insediarsi, il nuovo rettore dice che c´è bisogno di regole nuove nell´ateneo delle cento famiglie. Nel capoluogo siciliano le proteste contro la riforma Gelmini si sono mescolate ieri ai commenti sull´ultima parentopoli accademica denunciata da Repubblica. E Roberto Lagalla, 53 anni, docente di diagnostica per immagini alla facoltà di Medicina ed ex assessore regionale della giunta Cuffaro, si impegna ad adottare un regolamento che impedisca almeno la presenza di parenti stretti in uno stesso dipartimento.Professore Lagalla, rettore di Palermo dal primo novembre. Lei ne ha parenti all´Università?«La sfido a trovarne uno. Ci provi pure, non ci riuscirà».Ma il suo è un caso raro. Cento famiglie hanno residenza fissa in facoltà e dipartimenti dell´ateneo.«Guardi, io non sono pregiudizialmente contrario al fatto che un padre accademico abbia un figlio che ne segue le orme e diventa un docente universitario. Ci mancherebbe altro. Succede, d´altronde, in tutti gli atenei, in minore o maggiore misura».A Palermo succede in modo evidente. Nella sua facoltà, Medicina, abbiamo contato 24 ceppi familiari e 58 docenti imparentati fra loro.«I medici non sono diversi dai registi o dagli attori. Si respira l´aria della professione, in famiglia, e si cerca di seguire le orme di papà. D´altronde, a Medicina, che conta 450 docenti, è statisticamente più facile trovare parentele. Detto ciò, il punto è un altro. L´importante è che chi arriva all´insegnamento ne abbia i titoli. E che a tutti siano date le stesse opportunità».Marito, moglie e figli nello stesso dipartimento: sono tanti i casi. Nell´ateneo di Bari, dopo gli scandali, è stato adottato un codice etico per limitare la presenza di parenti nelle stesse strutture di ricerca. A Palermo no.«Il fenomeno denunciato da Repubblica è sotto gli occhi di tutti. Io credo che per un fatto di opportunità, bisognerebbe evitare la presenza di congiunti stretti nello stesso dipartimento. Nel mio programma per il rettorato ho previsto l´adozione di codici di autoregolamentazione per l´ateneo. Vorrei introdurre una norma per impedire ai parenti di primo grado di svolgere la loro attività nella medesima struttura. Altre università, d´altronde, hanno adottato misure di questo tipo, più o meno stringenti. Mettendo da parte la demagogia si può pensare a un modello come quello della magistratura, che non ammette parentele strette negli stessi settori». La parentopoli palermitana si è formata anche in seguito a concorsi che hanno visto i baroni dell´ateneo favorirsi reciprocamente per far nominare i propri rampolli. Forse anche quello è un sistema da riformare.«Quello della selezione degli accademici è un problema antico che riguarda tutte le università. La soluzione è il concorso di idoneità nazionale, al termine del quale gli atenei possono chiamare chi vogliono, assumendosi la piena responsabilità della scelta. Ma bisogna adottare anche un sistema di verifica periodica della risposta didattica e della capacità scientifica del docente. Perché ciò che manca oggi è un vero sistema che sanzioni o premi i professori universitari. Si può fare una riforma seria dell´università. A patto che non cominci tagliando le risorse».

17 GIUGNO 1945: ANTONIO CANEPA, DELITTO E BUGIE

Cent´anni fa nasceva il capo dell´esercito indipendentista una delle vittime della strage di Randazzo. Lo scontro con i carabinieri e il giallo del sopravvissuto nella Sicilia inquieta degli anni Quaranta
di LINO BUSCEMI

Qual è, dunque, l´antefatto che portò alla tragedia di Murazzu Ruttu? Tutto cominciò il 16 giugno 1945, allorché Antonio Canepa giunse alle sei del mattino in località Bolo, nella casa del farmacista Schifani di Cesarò. Lo accompagnava un drappello di giovani studenti universitari catanesi: Carmelo Rosano (22 anni), Giuseppe Amato detto Pippo (21 anni), Antonio Velis (21), Armando Romano detto Nando (21), Giuseppe Lo Giudice (il più giovane del gruppo, studente liceale di appena 18 anni). Duplice lo scopo della visita: si doveva prelevare un motocarro Guzzi e poi effettuare un´azione persuasiva nei confronti dell´allora sindaco di Cesarò, dottor Samperi, ostile agli indipendentisti. Il gruppetto, stanco, si addormentò e il sindaco ne approfittò per cambiare aria.L´indomani, 17 giugno (erano quasi le 8) si diressero verso Francavilla per andare a recuperare armi, nascoste nella proprietà della duchessa zia di Canepa. Pippo Amato (uno dei superstiti, deceduto a fine anni Novanta), si mise alla guida dell´autocarro, dove nel cassone vi erano le armi di scorta. Descrisse così i fatti: «Al bivio per Randazzo, scorgemmo tre carabinieri (maresciallo Salvatore Rizzotto di 54 anni, vice brigadiere Rosario Cicciò di 48 anni, carabiniere Carmelo Calabrese di 40 anni, ndr.), almeno tanti ne vedemmo. Pensai di rallentare, dando l´impressione di voler fermare. Superando il posto di blocco avrei ridato tutto il gas, in maniera da poter guadagnare la curva a destra per prendere le armi (ed aver facile ragione dei militi. Per quanto veloce fosse stata la manovra, uno dei militari ebbe il tempo di sparare un colpo alle ruote. Canepa gridava gesticolando: perché sparate? Che motivo c´è di sparare? A questo punto dietro di me si cominciò a sparare. Chi avesse cominciato - scrive Amato - non saprei dirlo. Il motocarro partì a razzo e raggiunse subito la curva. Allora mi voltai. Il sangue mi si gelò! Nel cassone, lunghi distesi, c´erano solo Canepa e Carmelo Rosano e gli altri non c´erano più. Rosano con un filo di voce, mi disse: portaci all´ospedale».
Di ben altro tenore, il rapporto stilato dalla Prefettura di Catania. Quando i carabinieri videro che il motocarro accelerò, uno di loro «esplose un colpo di moschetto in aria a scopo di intimidazione ed il motociclo si fermò». Gli evisti non si mossero, ma uno di loro «sorridendo faceva vedere un pugno di biglietti da mille ammiccando. Il maresciallo Rizzotto, ordinò ai militari di non sparare, ma non aveva fatto in tempo a dirlo che un colpo, sparato da una delle persone a bordo lo feriva, mentre altri colpi, una decina circa, partivano dal motomezzo, attingendo gli altri due carabinieri. Il professor Canepa fu colpito alla coscia sinistra con il conseguente scoppio di una bomba che lo stesso deteneva, evidentemente in tasca. Intanto il motofurgone si fermava e il conducente e l´altro giovane si dileguarono». Nel resoconto prefettizio non c´è alcun accenno a Pippo Amato e al fatto che questi avesse trasportato con il Guzzi i feriti in paese. L´avvocato Michele Papa, separatista di sinistra, negò che ci fosse stata una "soffiata" ai carabinieri. Ed ancora che «non ci fu nessun agguato della destra separatista per liberarsi del comunista Canepa e non tutti quelli del Mis lo piansero». Papa ipotizza, però, un agguato dei carabinieri e si spiega così il massacro. Per Sandro Attanasio autore del volume "Gli anni della rabbia" (editore Mursia), i movimenti di Canepa e dei suoi giovani compagni erano sotto controllo delle forze di polizia, il servizio predisposto dai carabinieri doveva portare alla loro cattura e non alla loro uccisione. L´avvocato Nino Varvaro, esponente di spicco del Mis nel 1971, davanti alla Commissione antimafia riferì che Canepa morì «in un agguato non occasionale, ma combinato quasi certamente dagli stessi indipendentisti di destra; lui, infatti, aveva pubblicato un volumetto, La Sicilia ai siciliani, e aveva detto: «Quando faremo la repubblica sociale in Sicilia i feudatari ci dovranno dare le loro terre se non vorranno darci le loro teste; e quella frase gli costò la vita». Una ridda di supposizioni e versioni più o meno attendibili. Insomma, un guazzabuglio. Persino i processi si conclusero con sentenze superficiali e sbrigative.Con i feriti a bordo, Pippo Amato decide di recarsi verso l´ospedale di Randazzo. Arrivato in paese affidò i suoi compagni ad alcune persone e si allontanò di corsa. Che fine fecero Lo Giudice, Velis e Armando Romano? Il primo morì quasi subito. Nino Velis, si dileguò nella campagna non prima diaver visto Canepa che sparava contro una mitragliatrice nascosta dietro un muro. Velis, illeso, si salvò e, come afferma Amato, «questa è una colpa che si porterà dietro tutta la vita, come me del resto». Armando Romano, ferito, fu trasportato sopra un mulo all´ospedale di Randazzo dove intanto si spensero, dissanguati, Canepa e il suo vice Carmelo Rosano, privi di assistenza medica. Piantonato, perché in stato di arresto, il Romano accusava grossi problemi al femore e svenne. A questo punto, suo malgrado, diventa involontario attore di un episodio che oscilla tra la farsa e ilgrottesco. I carabinieri, mostrano fretta. Intendono sbarazzarsi al più presto dei cadaveri di Canepa, Rosano e Lo Giudice. Nell´impellenza di compiere la traslazione delle salme, commettono una grave scorrettezza. In gran segreto, all´alba del lunedì 18 giugno 1945, Nando Romano, in stato diincoscienza «venne prelevato e trasportato con un camion militare, scortato, su una barella, assieme ai cadaveri dei suoi compagni al cimitero di Giarre, per essere seppelliti». Il giudice Salvatore Riggio Scaduto, sulla rivista dei Lions Club di Caltanissetta, sostenne che i defunti vennero, invece, sistemati in tre bare e nella quarta fu collocato, assopito, il Romano. Giunti a Giarre, i militari imposero al custode del cimitero, Isidoro Privitera, di chiudere i cancelli mentre venivano depositate le casse (o barelle). Il custode eccepì che mancavano i certificati di morte. I carabinieri si giustificarono dicendo che «si trattava di banditi morti in conflitto» da seppellire subito. Il Privitera, tergiversò e insistette almeno perché gli declinassero i nomi degli sfortunati. Fu in questo frangente che si accorse, per puro caso, che uno dei quattro non era morto ed anzi respirava e lo seguiva conlo sguardo. Il custode «credendo ad un fenomeno di rinvenimento da morte apparente», mise in salvo il "morto vivo" Romano, evitandogli di essere calato nella tomba. Oggi questi è un anziano signore di 84 anni che abita in un piccolo capoluogo di provincia. L´incredibile caso del vivo dato per morto, nel 1969, ad iniziativa del regista Giuseppe Ferrara, fu raccontato nel film "Il sasso in bocca". Chi ordinò il suo (e quello degli altri) frettoloso trasferimento nel lontano cimitero di Giarre anziché in quello locale di Randazzo? Per Romano, passato lo spavento, si aprirono le porte del carcere. Subì un processo, fu condannato e poi amnistiato. Preferì lasciare la Sicilia e si arruolò nella Legione straniera. Dopo alcuni anni rientrò in Italia e prestò servizio presso un ente regionale. Rimase sempre fedele all´ideale separatista. Oggi è un anziano pensionato che ha "rimosso" i fatti che lo coinvolsero. Preferisce, in coerenza con il suo conosciuto lungo silenzio, non parlare con nessuno. La strage di Randazzo segna, per l´indipendentismo siciliano, l´inizio del declino che si sarebbe concluso due anni dopo. Nel 1955, calmatesi le acque, i corpi di Canepa, Rosano e Lo Giudice sono stati trasferiti nel cimitero di Catania. A Murazzu Ruttu, i separatisti hanno eretto un cippo in memoria di coloro che «caddero per la Sicilia vittime del puro ideale di patria».
La Repubblica, SABATO, 25 OTTOBRE 2008
NELLA FOTO: Il capo separatista Antonio Canepa

sabato 25 ottobre 2008

L'Italia è migliore della destra che la governa

Discorso Integrale, di Walter Veltroni, Roma Circo Massimo 25 ottobre 2008.
Quella di oggi, diciamocelo con orgoglio, è la prima grande manifestazione di massa del riformismo italiano, finalmente unito. E lo è perché il Partito Democratico è il più grande partito riformista che la storia d’Italia abbia mai conosciuto. Un italiano su tre si riconosce, crede nel disegno di un riformismo moderno. E’ un fatto inedito nella lunga vicenda nazionale. E oggi, in questo luogo splendido e immenso, siamo qui, in tanti, perché vogliamo bene all’Italia, perché amiamo il nostro Paese.Con lo stesso amore, il 14 ottobre di un anno fa, il Partito Democratico nasceva da un grande evento di popolo.L’Italia è un Paese migliore della destra che lo governa in questo momento. Migliore della destra che nel tempo recente lo ha già governato, anche se qualcuno troppo spesso finge di dimenticarlo, per sette lunghi e improduttivi anni.L’Italia è un grande Paese democratico, è un Paese che ama la democrazia.Perché l’Italia non dimentica, non potrà mai dimenticare quanti hanno sofferto, quanti hanno dato la vita per la sua libertà.Lunedì scorso ci ha lasciati un grande amico, un padre della Repubblica, un maestro di vita per tutti noi. Aveva venticinque anni, Vittorio Foa, quando fu condannato e messo in galera: perché era antifascista, perché pensava diversamente da chi era al potere.E per chi crede che fino ad un certo punto ci sia stato un fascismo in fondo non troppo cattivo, va ricordato che era il 1935. Non era ancora arrivata la vergogna delle leggi razziali. Ma il regime aveva già fatto in tempo a sopprimere la libertà di stampa e quella di associazione, a chiudere partiti e sindacati, a calpestare il Parlamento e a incarcerare, mandare in esilio o uccidere chi non si piegava alla dittatura: Don Minzoni, Giacomo Matteotti, Piero Gobetti. E due anni dopo la stessa sorte sarebbe stara di Carlo e Nello Rosselli e di Antonio Gramsci.L’Italia, signor Presidente del Consiglio, è un Paese antifascista.A chi le chiedeva se anche lei potesse definirsi così, “antifascista”, lei ha risposto con fastidio che non ha tempo da perdere, che ha cose più importanti di cui occuparsi, rispetto all’antifascismo e alla Resistenza.Il presidente Sarkozy non avrebbe risposto così, non avrebbe detto questo della Resistenza animata dal generale De Gaulle, non avrebbe messo in dubbio che ogni francese è figlio orgoglioso della Parigi liberata dai nazisti.E né Barack Obama, né John McCain risponderebbero con un’alzata di spalle ad una domanda sulla decisione del presidente Roosevelt di mandare a combattere e a morire migliaia di ragazzi americani. Quei ragazzi americani che sono morti per noi, per restituirci la libertà e la democrazia.Nessuno avrebbe risposto come il nostro Presidente del Consiglio, perché non c’è nulla di più importante, per un grande Paese, della sua memoria storica. Un Paese senza memoria è un Paese senza identità. E chi non ha identità non ha futuro. E l’Italia ha bisogno di futuro.Coltivare la memoria dell’antifascismo non è solo un atto di riconoscenza. Come ci ha ricordato un altro grande italiano, un uomo mite e rigoroso come Leopoldo Elia, se la democrazia viene coltivata e vissuta ogni giorno, si espande e cresce. Se viene mortificata e offesa, deperisce e può anche morire.In tutti i Paesi del mondo ci sono i governi. Ma solo in quelli democratici c’è l’opposizione.Coltivare la democrazia, farla vivere e crescere ogni giorno, significa rispettare l’opposizione, riconoscere la sua funzione democratica: nelle aule del Parlamento, come nelle piazze del Paese.Se noi non svolgessimo fino in fondo il nostro ruolo all’opposizione, se non facessimo coesistere la durezza della denuncia e il coraggio della proposta, se non lo facessimo, tradiremmo il nostro mandato. E per colpa nostra, una colpa che sarebbe imperdonabile, la democrazia italiana diventerebbe più debole.E’ indice di una mentalità sottilmente e pericolosamente illiberale, pensare che in una democrazia non bisogna disturbare il manovratore e che tutto ciò che limita, regola, condiziona il suo potere è solo un fattore di disturbo.E’ un disturbo il Parlamento, perché vorrebbe e dovrebbe discutere le proposte di legge o i decreti del governo, prima di approvarli.E’ un disturbo la magistratura, perché esercita un controllo di legalità che non può e non deve risparmiare chi governa la cosa pubblica in nome e per conto della collettività.E’ un disturbo la Corte costituzionale, perché deve verificare la costituzionalità dei provvedimenti voluti dal governo e approvati dalla maggioranza in parlamento.E’ un disturbo l’opposizione. Perché spezza l’incantesimo del plebiscitario consenso al governo. Perché dimostra che c’è un altro modo di pensare, che potrebbe domani diventare maggioritario. Perché vuole, come noi vogliamo, una grande innovazione istituzionale, il dimezzamento del numero dei parlamentari, una sola Camera con funzioni legislative, una legge elettorale che restituisca lo scettro ai cittadini. A cominciare dalla battaglia parlamentare che faremo nei prossimi giorni per mantenere il voto di preferenza alle prossime europee. Una democrazia che decide, decide velocemente, decide dentro i principi della Costituzione, non con pericolose concentrazioni del potere. Una democrazia più moderna, alla quale abbiamo contribuito con le coraggiose decisioni dei mesi scorsi. Noi oggi interpretiamo la nostra funzione in un modo che è perfettamente coerente con quanto dicemmo già al Lingotto, affermando che il PD, svincolato finalmente dai vecchi ideologismi, sarebbe stato “libero dall’obbligo di essere, di volta in volta, moderato o estremista per legittimare o cancellare la propria storia”.Questo siamo: un partito libero, che non teme né di apparire moderato agli occhi di alcuni, né di sembrare estremista agli occhi di altri. Perché null’altro è che un grande partito riformista.Un grande partito riformista, che fa dell’opposizione, un’opposizione di popolo, il modo per incidere oggi sulla realtà del Paese e per essere domani, strette le alleanze che le idee e i programmi vorranno, nuova maggioranza e nuovo governo per l’Italia.Il PD avrà sempre, anche all’opposizione, una sola stella polare: gli interessi generali del Paese. Quel Paese che amiamo e il cui destino è la nostra ragione d’essere. Quel Paese che vogliamo unire, rifiutando l’odio e la contrapposizione ideologica.Questa manifestazione è un grande momento di democrazia, sereno e pacifico. E guai, davvero guai, a chi pensa di ridurre solo minimamente la libertà di avanzare critiche, la libertà di dissentire, la libertà di protestare civilmente contro decisioni e scelte che non condivide. La democrazia non è un consiglio d’amministrazione. La minaccia irresponsabile e pericolosa di intervenire “attraverso le forze dell’ordine” dentro quei templi del sapere, della conoscenza e del dialogo che sono le Università, è stata qualcosa di abnorme e di mai visto prima. Puntuale, ancora una volta, è poi arrivata la smentita del Presidente del Consiglio. “Sono i giornali che come al solito travisano la realtà”, ha detto da Pechino. Ora: cambiando il fuso orario si può anche cambiare idea, e in questo caso è un bene che ciò sia avvenuto. C’è però qualcosa su cui vale la pena riflettere. Perché un’alta carica istituzionale si può permettere sistematicamente di negare ciò che è evidente, ciò che per giorni le televisioni hanno ritrasmesso sbugiardando l’ennesima smentita? Perché il Presidente del Consiglio si sente autorizzato, nel pieno della tempesta finanziaria che stiamo vivendo, ad invitare i cittadini a comprare le azioni di questa o quella azienda? Perché può arrivare ad annunciare una decisione non presa come quella della chiusura dei mercati, facendosi smentire persino dalla Casa Bianca? Se l’avessero fatto Gordon Brown o Angela Merkel sarebbe successa una catastrofe. Siccome nel mondo sanno chi è, non è successo niente.Ma perché coltiva questa impunità delle parole? Questa strategia dell’inganno permanente nei confronti dei cittadini? La presunzione che si possa promettere di tagliare le tasse che poi non si tagliano, di fare delle mirabolanti opere infrastrutturali che poi non vengono nemmeno progettate? E’ l’idea del potere che non è tenuto a rispondere dei suoi comportamenti. E’ un’idea del potere inaccettabile. E’ la confusione tra governare e prendere il potere.Contro questi rischi l’opinione pubblica, la cultura, la coscienza critica del Paese, l’antico amore degli italiani per una democrazia viva e piena, devono farsi sentire.Voglio essere chiaro: noi non pensiamo che questo governo sia la causa di tutti i mali. Non saremo noi, a differenza di chi ci ha preceduto nel ruolo di opposizione, a gridare al regime. Il problema è che il governo Berlusconi è totalmente inadeguato a fronteggiare la gravissima crisi che stiamo vivendo. E lo è per una ragione semplice: perché non ha nel cuore l’Italia che produce e che lavora, l’Italia che soffre. E’ un governo che si occupa di rassicurare i potenti di questo Paese, piuttosto che di combattere la drammatica situazione di imprese e lavoratori.L’Italia può essere altro. L’Italia “è” altro.E’ però vero che la fotografia dell’Italia attuale sta sbiadendo, ha quasi del tutto perso i colori, e la ricchezza delle sfumature, della modernità. I volti degli italiani appaiono sgranati e in bianco e nero. Come le vecchie immagini di una volta, perché l’immobilismo che già ieri ci condannava ad una crescita stentata rischia oggi, dentro una crisi economica di questa gravità, di farci tornare drammaticamente indietro.Tornano indietro gli artigiani, gli operai. C’è stato un tempo in cui la fatica, i sacrifici e il talento, la specializzazione, davano dignità al lavoro e permettevano anche di metter su un laboratorio in proprio, e poi magari una piccola fabbrica. L’ascensore sociale funzionava, le condizioni di vita miglioravano. E comunque c’era la speranza che questo potesse accadere.Oggi come vive un operaio che fatica tutto il giorno, e che troppo spesso in questo Paese sul lavoro rischia la vita, per 1.200 euro al mese? Che speranza può avere di poter star meglio, se deve invece preoccuparsi di essere messo in cassa integrazione, di arrivare in fabbrica una mattina e di leggere nella bacheca di servizio che fra sei mesi si chiude perché la produzione si ferma? Tornano indietro le aziende, rischiano di tornare indietro i piccoli e medi imprenditori. Quelli che sanno mettere a punto nuove tecniche e creare nuovi prodotti, e che così hanno fatto crescere il Paese. E’ gente onesta, che esce di casa che è ancora buio e torna a casa che è già notte, e fatica a dormire per la paura di non farcela e di dover chiudere: perché l’affitto aumenta a rotta di collo, le bollette paiono impazzite, la burocrazia è soffocante, la pressione fiscale opprimente. Sognavano di crescere per poter competere meglio, ma devono fare i conti con una realtà opposta: difficoltà ad avere finanziamenti dalle banche, che anzi chiedono di rientrare rapidamente dal debito, ed esportazioni che calano perché i clienti americani, tedeschi e inglesi sono impegnati a ridurre al massimo i consumi. Qualche giorno fa, ad una azienda metalmeccanica del bresciano che ha cinquanta dipendenti ed è attiva da mezzo secolo, è stato chiesto di rientrare subito del fido e intanto hanno bloccato le carte di credito. “E’ una cosa umiliante”, ha detto il titolare. Ecco uno degli effetti di questa crisi: non conta la storia e la serietà di un’impresa, si guardano solo i numeri e i conti. Quelli della banca, non quelli dell’azienda.E tornano indietro, non possono proprio a guardare avanti, i giovani, i nostri ragazzi. Su un muro di Milano qualcuno ha scritto: non c’è più il futuro di una volta. E’ la cosa più grave. Ieri a vent’anni e a trenta si raccoglievano i frutti dello studio o già si lavorava, e comunque si pensava al domani convinti che sarebbe stato migliore rispetto alla vita vissuta dai dei propri genitori. Oggi i giovani italiani sono prigionieri della gabbia del precariato. Sono storie umilianti, e sono tantissime. La risposta ad un annuncio su Internet e l’invio di un curriculum, le cuffie in testa e il microfono per rispondere alle telefonate, i 1.200 euro lordi promessi dai selezionatori che diventano 800 e cioè 640 netti considerando i giorni effettivi di lavoro. Quattro euro l’ora. Una vita precaria e i sogni mortificati per quattro euro l’ora. Ma si accetta, perché con il contratto a scadenza si è sotto ricatto. E si accetta.E quella foto dell’Italia è in bianco e nero, purtroppo, anche a simboleggiare gli opposti, anche a dire dell’estrema ricchezza e dell’estrema povertà che dividono in due un paese ingiusto.Non siamo solo noi, non è la cattiva propaganda dell’opposizione ad affermarlo, lo ha detto la Banca d’Italia, lo dice l’Ocse: la nostra è una delle società più diseguali dell’Occidente, siamo uno dei paesi nei quali la forbice tra chi ha tanto e chi ha poco o niente si è fatta più larga. L’Italia ha urgente bisogno di crescere e per questo ci vuole, lo diciamo da mesi, un grande patto tra i produttori. Siamo nel pieno della terribile, drammatica crisi finanziaria internazionale, che sta producendo una grave recessione mondiale e che si è abbattuta anche sul nostro Paese. Una crisi che richiederebbe, da parte di chi governa, senso di responsabilità e moderazione. Parole sconosciute a Berlusconi.La crisi non va certo spiegata agli operai, alle imprese, ai ragazzi che cercano o perdono un lavoro. Lo sanno bene, lo sapete bene, lo vivete ogni giorno sulla vostra pelle. Lo sanno i pensionati, che prendono ogni mese la stessa pensione e intanto pagano di più per il pane, per la pasta, per le bollette della luce e del gas. Lo sanno le famiglie italiane, che faticano ad arrivare alla fine del mese. Lo sanno i sette milioni e mezzo di persone che vivono poco al di sopra della soglia di povertà, 500-600 euro al mese, vicinissimi a quegli altri sette milioni e mezzo che già stanno sotto. Fanno 15 milioni in totale. Non esagera, la Caritas Italiana, quando lancia l’allarme povertà.C’è la crisi. Ed è vero che ci arriva dagli Stati Uniti. Ma nessuno può farne un alibi o una scusa. Soprattutto non può farlo, non può chiamarsi fuori, una destra che per anni ha diffuso a piene mani tre tossine, culturali e politiche.La prima è un’idea monca della libertà, quella che considera ogni regola come un inciampo, che è figlia dell’ideologia del liberismo selvaggio e dell’individualismo sfrenato. E la disinvoltura con cui si fa una bella capriola e si diventa all’improvviso statalisti nasce dal fatto che l’unico vero sistema che piace alla destra è quello nel quale sia il mercato che lo Stato sono al servizio degli interessi dei più forti. La seconda tossina è la freddezza, lo scetticismo, l’ostilità perfino nei riguardi dell’Europa. Ed è ovvio: l’Europa è coesione sociale e crescita economica insieme, è un orizzonte che chiama a muoversi in un sistema di regole e responsabilità comuni. La terza tossina è il primato della finanza e di quella più creativa, più disinvolta e più cinica possibile, nei riguardi del lavoro e della produzione di beni e servizi. Vi farò tutti ricchi, perché il denaro da solo moltiplicherà il denaro, tutti avrete il vostro albero delle monete d’oro nel campo dei miracoli. L’impegno, la fatica, lo studio, la pazienza e la tenacia non servono più, sono avanzi del passato: tutto è facile, tutto è possibile, perché tutto è lecito.La crisi, ha detto un grande economista come Paul Samuelson, “è figlia di un insieme diabolico di avidità, indebitamento, speculazione, laissez-faire, e soprattutto un’infinita incoscienza”. C’è il ritratto della destra, dietro queste parole. Anche della destra italiana di questi ultimi quindici anni. L’intervento dello Stato è “un imperativo categorico”, ha detto Berlusconi fulminato sulla via di Damasco. Ma sicuramente un giorno arriverà una smentita anche di questa frase. Come quando, poche ore dopo averla fatta, ha corretto quell’affermazione destinata comunque a rimanere negli annali per la sua totale irrealtà: “la crisi non avrà effetti sull’economia reale”.E’ invece proprio l’economia reale l’emergenza vera di queste ore. Cosa ha fatto il Presidente del Consiglio per difendere le piccole e medie imprese o il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi degli italiani? Nulla, assolutamente nulla. Cosa ha fatto, cosa sta facendo il governo per le famiglie? Ha tagliato del 32 per cento il Fondo a loro destinato, e lo ha fatto per coprire una parte dell’abolizione dell’Ici sulle abitazioni dei più ricchi. Così, come ha denunciato l’Associazione famiglie numerose, c’è un “signor Rossi” milionario, che ha 500 mila euro di reddito annuo, diverse case di proprietà e non ha figli, che non paga più l’Ici perché un “signor Rossi” che fa l’operaio, che ha 25 mila euro di reddito annuo e vive in una casa in affitto con moglie e quattro figli a carico, non riceve più i 330 euro che prima gli arrivavano dal Fondo per le famiglie. Insomma, dinanzi a una crisi che sta impoverendo ancora di più le famiglie italiane, il governo cosa fa? Spende le poche, preziose risorse per i più ricchi. E questi costosi regali li pagano tutti i contribuenti, perché hanno meno servizi, perché pagano più tasse e perché ricevono meno sostegni. Li pagano i Comuni, cuore del nostro Paese, costretti per questo a scelte socialmente dolorose. Li pagano gli italiani all’estero, anche loro cuore del Paese, anche loro colpiti anche dalle scelte di questo governo.Voglio dirlo chiaramente: il governo ha sbagliato tutte le previsioni economiche, il governo ha fatto una Finanziaria che immaginava una fase di crescita, il governo ha esplicitamente e drammaticamente sottovalutato le conseguenze durissime che la crisi sta avendo sulle famiglie e sulle imprese.Si sono riuniti anche di notte per garantire sostegno alle banche, quelle banche che devono restare indipendenti dalla politica. Ora si riuniscano anche di notte per fare invece un grande piano per i cittadini, per combattere la recessione e l’impoverimento della società italiana. Dalla crisi del ’29 si uscì con il New Deal. Ora nel nostro Paese è tempo di un Piano organico per la crescita e la lotta alla povertà e alla precarietà. L’Italia è un Paese migliore della destra che lo governa.Le misure per stabilizzare la crisi finanziaria, prese a livello europeo, sono giuste e necessarie. Ma non sono sufficienti. Ne servono altre, indispensabili: il sostegno con un fondo di garanzia alle micro e piccole imprese, un piano di investimenti in infrastrutture e soprattutto un intervento per aumentare i redditi da lavoro, i salari, gli stipendi, le pensioni degli italiani. Abbiamo presentato proposte per sostenere l’economia reale. Se queste priorità saranno riconosciute noi faremo, come sempre, la nostra parte. La faremo, come ho detto, per l’Italia, non certo per Berlusconi.Noi da questa piazza non insultiamo nessuno e non gridiamo al regime. La nostra sfida è chiara, ed è la stessa che lanciammo al Lingotto. Non conservare quello che c’è. Non assegnare al riformismo il compito di difendere anche importanti conquiste del passato. No, è il tempo della costruzione dell’Italia del nuovo secolo. E’ il tempo del coraggio riformista, non della pigrizia conservatrice.Le nostre proposte sono sul tavolo. Noi chiediamo di ridurre, a partire dalla prossima tredicesima, il peso delle tasse sui lavoratori dipendenti e sui pensionati. Proponiamo di destinare a questa misura sei miliardi di euro, in un insieme di interventi che valgono lo 0,5 per cento del Pil.E’ un intervento rilevante ma sostenibile per le nostre finanze pubbliche, risanate dall’azione di un uomo che quando governava pensava al Paese, e non a se stesso: Romano Prodi. E’ un intervento sostenibile, nel momento in cui si è introdotta una maggiore flessibilità dei parametri europei all’interno dei vincoli del Patto.La spesa pubblica, in Italia, deve essere ridotta. Senza esitazioni. La nostra linea, però, è “spendere meno e spendere meglio”. Non “spendere meno” e basta, senza preoccuparsi di cosa ne sarà delle scuole, degli ospedali, della sicurezza dei cittadini.Abbiamo sempre detto “pagare meno, pagare tutti”. E invece ora di pagare meno non c’è traccia e la lotta all’evasione fiscale è scomparsa dall’orizzonte. Il governo sta riproponendo la vecchia ricetta: aliquote alte, pochi controlli, evada chi può. Complimenti: è la strada maestra per andare tutti a fondo.E vorrei porre qui la domanda che si stanno facendo gli imprenditori e tutti gli italiani: dov’è finita la promessa di ridurre le tasse? Di portare la pressione fiscale sotto il 40 per cento? La verità è che le tasse le stanno aumentando Voglio ripeterlo: le tasse stanno aumentando. E questo proprio in una fase di recessione, quando si dovrebbe consentire a chi ha redditi medi e bassi di poter aumentare i propri consumi. E poi: abbiamo sempre detto che la pubblica amministrazione deve essere riformata. Dunque va bene la lotta ai veri fannulloni. Chi lavora nel settore pubblico, a cominciare dai dirigenti, deve metterci il doppio e non la metà dell’impegno di chi lavora nel settore privato.Ma la pubblica amministrazione è piena anche di persone straordinarie, che mettono al servizio della collettività sapere e competenza, in cambio di un reddito col quale faticano a vivere dignitosamente. Penso agli infermieri e ai medici ospedalieri. Penso agli agenti delle forze di polizia, che rischiano la vita e devono chiedere l’anticipo sulla liquidazione per tirare avanti. Penso alla scuola, alla ricerca, all’Università. Il governo ha fatto due errori. Il primo: le ha ridotte a voci da tagliare, dimenticando che sono un settore strategico per il futuro del Paese. Un settore da riformare, anche in profondità, ma per investirci maggiori e non minori risorse.Stupisce lo stupore per la protesta che sta dilagando in tutta Italia. E’ una protesta giusta, perché consapevole, responsabile e assolutamente non violenta. Come sempre dovrà essere, respingendo il tentativo di radicalizzare lo scontro portato avanti dal governo. E’ un movimento senza bandiere né di partito, né di sindacato. Una grande prova di autonomia della società civile. Le maestre insieme alle mamme, gli studenti insieme ai rettori. Questo movimento ama la scuola e la vuole cambiare, tanto che nelle piazze ci va anche per fare lezioni all’aperto di fisica o di filosofia.Il governo invece sta togliendo l’aria all’Università italiana, sta impedendo l’ingresso di nuove leve di ricercatori e docenti all’interno degli atenei, sta togliendo ogni prospettiva di poter continuare a lavorare nel nostro Paese a giovani scienziati che hanno fin qui fatto partecipare l’Italia a progetti come quelli del Cern di Ginevra o hanno garantito il monitoraggio di vulcani e terremoti in un Paese come il nostro. Giovani scienziati che si sono visti bloccare l’assunzione dal governo Berlusconi del 2002 e che si vedono arrivare il licenziamento dal governo Berlusconi del 2008.“Prenda nota, signor ministro Giulio Tremonti – non sono io a dirlo, ma è uno storico come Franco Cardini dalle colonne del “Secolo d’Italia” – ritirare l’appoggio alle Università è un modo di rubare ai poveri per dare ai ricchi. Un modo come infiniti altri. Ma è l’esatto contrario di quel che avrebbe voluto il ‘suo’ Robin Hood”. Il secondo errore è forse ancora più grave. Avete camuffato i tagli sotto le mentite spoglie di una “riformetta” che ha mortificato la dignità culturale e professionale dei docenti, la partecipazione dei genitori e degli studenti, la natura di comunità educante della scuola. Voglio essere chiaro: ogni posizione conservatrice sulla scuola e l’Università è sbagliata. Abbiamo bisogno della scuola dell’autonomia e del merito. Di una scuola che abbia fiducia nella capacità di scelta dei ragazzi. Di una scuola guidata da un progetto educativo moderno e capace di promuovere opportunità sociali e merito, in un contesto di permanente, indipendente, valutazione di qualità.I conservatori sono quelli che si preoccupano di sistemare piccoli particolari, come il grembiule e il ripristino dei voti. C’è bisogno invece di una radicale riforma. E voglio dire che se c’è una materia sulla quale il Paese dovrebbe proiettare se stesso oltre le divisioni, è proprio una scelta di fondo della scuola e dell’Università. Non si può ad ogni cambio di ministro stravolgere la vita di milioni di famiglie, di ragazzi, maestri e professori. E’ la sfida dell’innovazione della scuola, quella che ci interessa. La scuola elementare italiana, una delle migliori del mondo, è il frutto di decenni di elaborazione pedagogica, teorica e sul campo. Che cultura, che pensiero, che innovazione c’è dietro il ritorno al maestro unico o all’abolizione per via di fatto del tempo pieno?E davvero qualcuno pensa che il fenomeno del bullismo si possa risolvere con il voto in condotta? No. Non è così semplice, non è così banale. Dietro questi atteggiamenti c’è molto di più. Dietro il fatto che un bambino su cinque comincia a bere tra gli 11 e i 15 anni c’è davvero un vuoto più grande. C’è il degrado e sociale e il disagio familiare. C’è l’annoiarsi di fronte alla vita di chi forse è spinto a conoscere il prezzo ma certo non il valore delle cose.Quel vuoto a noi spaventa. Per voi è indifferente. Perché vi è congeniale. L’avete alimentato con la vostra cultura dell’individualismo e dell’egoismo. Con il vostro fastidio per ogni regola morale. Con la vostra idea che contano non lo studio e il lavoro, ma solo il successo facile. Quello che si raggiunge anche senza saper far niente, basta apparire in televisione. Quello che si può ottenere in ogni modo, anche prendendo le scorciatoie e passando sopra gli altri.Uno scrittore, che di mestiere fa anche il professore, ha raccontato così i pensieri di una sua studentessa, di una ragazza come tante della sua generazione: “Professore, ha presente il fascio di luce che d’improvviso avvolge l’ospite d’onore e lo separa dal buio? Quella chiazza bianca o gialla sul palcoscenico? Mi sono accorta – dice questa ragazza – che è piccola, un cerchio minimo. Tutti non ci possiamo entrare, e neanche parecchi. Lì c’è posto per pochissimi. Per gli altri c’è il buio, il niente, al massimo un posto in platea per applaudire chi ce l’ha fatta e crepare d’invidia. A me non piace stare da una parte ad applaudire agli altri. Oggi a nessuno piace. Ma non mi va nemmeno di uscire dal teatro e mettermi a battere chiodi o sudare per due lire come mio padre e mia madre. Io quella luce la voglio. Io li capisco quelli che bruciano le macchine a Parigi. Loro la luce se la fanno da soli, e il mondo li guarda, arrivano le telecamere e il buio non c’è più, non c’è più questo schifo di vita”.Questa cultura l’ha creata la destra. L’avete costruita voi. Non vi interessa la scuola perché la vostra scuola è la televisione. E la vostra diseducazione civile degli italiani rimbalza fin dentro le scuole. Fa rabbrividire la mozione della Lega sulle classi differenziate per i bambini stranieri. “Famiglia cristiana” l’ha definita “la prima mozione razziale approvata dal Parlamento italiano”.Che nella scuola dell’obbligo ci siano classi separate o test d’ammissione per distinguere un bambino dall’altro è un danno per tutti. E’ un danno per i bambini italiani, che considereranno quei loro amici diversi da loro, introiettando un concetto foriero di catastrofi. E’ un danno drammatico per i bambini immigrati, che si sentiranno messi ai margini e respinti, e coltiveranno un senso di separatezza che potrà essere molto rischioso in primo luogo per la sicurezza della nostra società.Quella mozione offende i bambini, umilia la scuola e il Parlamento. La questione dell’insegnamento dell’italiano ai bambini stranieri è una questione reale, che da anni la scuola elementare affronta con successo e che dovrà ancora di più saper affrontare, attraverso lo sviluppo dei corsi integrativi e non con la segregazione etnica.Si chiama interculturalità. Ed è un altro esempio di come l’Italia sia migliore, molto migliore della destra che la governa.E’ con l’Italia, allora, che dovete discutere e ragionare. Con la scuola e l’università, innanzitutto. E poi in Parlamento: aprendo quello spazio di confronto auspicato con la consueta saggezza dal Presidente Napolitano, cercando soluzioni condivise e perciò stesso durature, perché sottratte al conflitto politico immediato. Noi vi facciamo una proposta: il Governo ritiri o sospenda il decreto attualmente in discussione in Parlamento, modifichi con la Legge Finanziaria le scelte di bilancio fatte col decreto e avvii subito un confronto con tutti i soggetti interessati, giovani studenti, famiglie, docenti. Fissando un tempo al termine del quale è legittimo che le decisioni siano prese.E’ il tempo di dirsi chiaramente una cosa, anche autocriticamente: nella scuola e nell’Università italiana forse si spende male, ma certo si spende poco. E’ il cuore del futuro del Paese, e per questo voglio prendere un impegno: quando governeremo l’Italia, noi dovremo fare quello che in questi giorni ha detto il Presidente francese. E cioè un grande sforzo per l’istruzione, per la formazione dei giovani. Sarkozy ha annunciato che all’Università sarà progressivamente destinato il 50 per cento in più di risorse. E’ una assoluta priorità, che non si può non vedere e che non ha colore politico. Quando noi governeremo, faremo altrettanto.Se le cose cambiano, va cambiato anche il modo di guardarle. Alla parola “costi” si deve sostituire la parola “investire”.Vale, questo, per la grande frontiera dell’ambiente, per il gigantesco problema del surriscaldamento globale, per la strada indispensabile delle energie rinnovabili. Basta col pensare che tutto, quando si parla di questioni ambientali, sia solo un costo da sopportare. “Costi irragionevoli”, ha detto il Presidente del Consiglio di fronte ai nostri partner europei.L’ambiente e l’economia non sono nemici tra loro. Il Pil può salire mentre contemporaneamente aumenta la tutela della natura e migliora la qualità della vita. Anzi: il Pil sale solo se al centro dello sviluppo c’è la sostenibilità, c’è la riconversione dell’economia.Davvero non si capisce perché se la Germania è riuscita a creare, nel comparto delle fonti rinnovabili, duecentomila posti di lavoro negli ultimi dieci anni, da noi non possa avvenire qualcosa di simile. O perché non sia possibile seguire l’esempio della California, che puntando sull’efficienza energetica ne ha creati un milione e mezzo.E ad ogni modo: solo se gli impegni internazionali assunti dall’Italia saranno confermati, come è dovere di un grande paese europeo, sarà giusto studiare momenti di flessibilità per venire incontro alle esigenze delle imprese nell’attuale situazione. Il Partito Democratico vuole essere il grande partito dell’ecologismo moderno, fatto non di pregiudizi antiscientifici, ma dall’idea che sia proprio l’ambiente, scegliendo la via della “rottamazione” del petrolio, della fine della dipendenza dai combustibili fossili, degli investimenti sulle fonti rinnovabili, del potenziamento del trasporto pubblico, a poter garantire la nostra ricchezza di oggi e il domani dei nostri figli.Alle mie spalle, la vedete, c’è una bellissima frase di di Vittorio Foa: “pensare agli altri, oltre che a se stessi, e pensare al futuro, oltre che al presente”.Valgono, queste parole, per l’ambiente. E valgono per il drammatico corto circuito che nella nostra società si sta creando per colpa di un’equazione tanto ingiusta quanto sbagliata: più immigrazione uguale insicurezza, straniero uguale estraneo, diverso, “altro” da sé, minaccia per il proprio territorio, la propria casa, la propria incolumità. E quindi nemico da allontanare, da respingere, da cacciare.Non ci stancheremo mai di ripeterlo e mai di fare di tutto per rendere concreto questo principio: la sicurezza è un diritto fondamentale di ogni cittadino. Chiunque lo colpisce va perseguito, qualunque sia la sua nazionalità. E basta con la vergogna di troppi delinquenti, non importa se italiani o stranieri, arrestati dalla polizia e poi scarcerati dopo pochi giorni, o di condannati che evitano il carcere grazie a una serie infinita di premi e benefici.Però quell’equazione no, non si può fare. Non si può negare uno dei fondamenti della nostra civiltà: sono gli individui che commettono un crimine che vanno puniti. Mai i gruppi, mai le comunità etniche, sociali o religiose.La madre del razzismo è la paura. Il problema è che ad alimentarla c’è anche l’uso politico dell’immigrazione. Il massimo dell’ipocrisia in chi, come il governo, dovrebbe avere l’onestà di dire che da quando ci sono loro gli sbarchi sono raddoppiati, le espulsioni sono ferme e si sta creando una nuova bolla di clandestinità.La paura, ha detto bene Ilvo Diamanti, “paga”. In termini elettorali e di consenso, almeno nell’immediato. “Per contrastare il razzismo”, ha scritto ancora Diamanti, “si dovrebbe combattere la paura. Invece viene lasciata crescere in modo incontrollato. E molti, troppi, la coltivano, questa pianta dai frutti avvelenati che cresce nel giardino di casa nostra”.Molti, troppi episodi si sono verificati negli ultimi mesi, nelle ultime settimane. Di quasi tutti si è detto “il razzismo non c’entra”. Ma non è razzismo l’assassinio di Abdoul, ucciso per una scatola di biscotti al grido di “sporco negro”? Non ci sono l’ignoranza, l’estraneità e l’ostilità verso “l’altro” dietro l’aggressione di un ragazzo cinese alla fermata di un autobus? Non dobbiamo pensare che ci sia razzismo dietro il fermo violento da parte dei vigili e il pestaggio di Emanuel? Dietro quel negargli persino il cognome?E c’è un episodio che mi ha colpito particolarmente. In una scuola di una provincia italiana i bambini avevano disegnato, insieme alle loro maestre, delle sagome da mettere vicino alle strisce pedonali per dire agli automobilisti di rallentare. Queste sagome ritraevano loro. Erano bambini e bambine. Erano di colori diversi. Qualcuno deve aver pensato che c’era qualcosa di sbagliato nel fatto che ci fossero ritratti di bambini neri e di bambini bianchi insieme, e ha pensato di andare, di notte, a sbiancare con la vernice le sagome scure. Razzismo strisciante, vigliaccheria e pretesa di insegnare la propria aberrante idea di ciò che è giusto: il peggio del peggio riunito in un solo gesto. Ecco qualcosa di fronte al quale noi non siamo e non saremo mai indifferenti. Qualcosa che noi combattiamo e combatteremo sempre.L’Italia non è non sarà mai un Paese razzista. E domando: la libertà e la democrazia non sono diminuite e ferite quando si ripetono atti di odiosa e intollerabile omofobia, che allontanano le nostre possibilità di convivenza civile e allargano il discrimine che vive sulla propria pelle chi non gode di leggi di pari opportunità e non è adeguatamente tutelato contro i reati d’odio?L’Italia è un paese migliore della destra che la governa. La sua storia racconta un paese migliore.Un bravo giornalista lo ha detto bene. Nei decenni successivi alla guerra, i nostri dialetti erano lingue ben strutturate, che resistevano tenacemente alla penetrazione dell’italiano. Allora nessuna Lega pensò di differenziare i ragazzi. Nessun ministro italiano immaginò mai di separare i piemontesi dai calabresi, i lombardi dai siciliani, i veneti dagli abruzzesi. Eppure quella era un’Italia nettamente divisa in classi, piena non solo di differenze linguistiche ma di diseguaglianze sociali. Ma quell’Italia non fu mai razzista, non fu mai “differenziata”.L’Italia non può diventare questo proprio oggi, nel tempo che vede incrociarsi culture, popoli e persone. Noi non permetteremo che accada. Noi continueremo a credere che alla paura e anche alla sua percezione va data risposta, e che insieme va data risposta a chi arriva qui, lavora onestamente, e chiede integrazione, chiede diritti civili, chiede di poter votare, a cominciare dalle amministrative.L’Italia è un Paese migliore della destra che la governa. Moltiplicano l’ingiustizia in un Paese ingiusto.Scelgono l’immobilismo in un Paese fermo.Alimentano l’odio in un Paese diviso.Cavalcano la paura in un Paese spaventato.Ma l’Italia, nonostante tutto, resta migliore.Stanno facendo dell’Italia un deserto di valori e la chiamano sicurezza.Stanno cercando di creare un pensiero unico e lo chiamano gradimento, consenso.Stanno calpestando principi e regole della vita democratica e la chiamano decisione.Ma l’Italia, nonostante tutto, resta migliore.C’è l’Italia delle 250 mila persone che con una firma si sono strette attorno ad un ragazzo di ventotto anni che rischia ogni giorno la vita e che continua a combattere contro la camorra con le sole armi che possiede e vuole usare: la passione civile, il coraggio delle idee e la straordinaria forza della scrittura, che arriva lì dove la violenza e la stupidità di uomini che non valgono nulla non arriveranno mai. A Roberto Saviano va il grazie di tutti noi che oggi siamo qui in questa piazza. Lo stesso grazie va alle forze dell’ordine, ai magistrati, agli imprenditori coraggiosi e alle associazioni che ogni giorno contrastano l’illegalità, resistono alla sopraffazione, tengono viva la speranza. Ad ognuno di loro va il grazie di tutti gli italiani onesti e perbene, di tutti coloro che non si rassegnano a pensare che le cose continueranno ad andare così perché così è sempre stato e nulla può cambiare.Un’altra Italia è possibile. L’Italia della legalità, e non della furbizia. L’Italia della responsabilità, e non dell’esclusivo interesse personale. L’Italia del merito, e non dei favori. L’Italia della solidarietà, e non dell’egoismo. L’Italia dell’innovazione, e non della conservazione.Oggi da questo luogo meraviglioso noi vogliamo far arrivare agli italiani un messaggio di fiducia.Le cose possono cambiare. Le cose cambieranno. Non c’è rassegnazione che non possa cedere il passo alla speranza. Non c’è paura che non possa essere vinta dalla consapevolezza di sé e dall’apertura agli altri. Non c’è buio dopo il quale non venga la luce.E allora dell’Italia tornerà a vedersi tutto il meglio. La civiltà di un popolo che sa accogliere ed includere. La creatività e il talento di generazioni di donne e di uomini che hanno sempre cercato il nuovo. Il coraggio di chi ha traversato il mare, di chi ha lasciato la propria terra per lavorare e fare più ricco il Paese. La tenacia di chi ha rischiato per fare impresa e di chi si sacrifica per difendere legalità e sicurezza.E’ la nostra meravigliosa Italia. Quella che è stata e quella che può essere. Quella che sarà con il nostro lavoro, il nostro coraggio, la nostra voglia di futuro.Un’altra Italia è possibile. La faremo insieme.

Gli studenti dell'Istituto Superiore "Giovanni Colletto" di Corleone: "Futuro, quo vadis?

La protesta che vogliamo portare avanti non si presta a nessuna strumentalizzazione politica: il nostro diritto allo studio non sta né a destra né a sinistra. Chiediamo una politica che tenga conto dei problemi reali: l’istruzione della futura classe dirigente è così importante che non ci si può perdere in discorsi di parte, tanto meno la si può affrontare in termini prettamente economici. I tagli ai fondi per la scuola manifestano una chiara mancanza di denaro nelle casse dello stato. Allora perché non frenare le spese interne riducendo il numero di coloro che approvano in un Parlamento strapieno o vacante (fate voi) decreti e disegni di legge ridicoli, inapprovabili e soprattutto destinati a impoverire la vera ricchezza delle risorse dello stato? Non abbiamo intenti di polemica fine a se stessa, ma intendiamo semplicemente manifestare il nostro punto di vista chiaro, diretto e soprattutto indipendente e apolitico. Abbiamo assistito in questi giorni a molteplici atti di protesta studentesca. Scuole intere dalle primarie alle università, sono scese in piazza per manifestare il proprio sdegno nei confronti di una brutale amministrazione delle “cose della scuola”. Questa riforma rischia di rovinare il presente e il futuro delle scuole italiane. La struttura della scuola primaria e secondaria subirà una modifica radicale. La scelta del maestro unico, apparentemente dettata da motivi pedagogici, è in realtà frutto di ragioni sostanzialmente economiche. La valutazione del comportamento degli studenti rischia di diventare uno strumento ideologico di ricatto se non se ne dà un’interpretazione pragmatica. La motivazione di risolvere il problema del bullismo può anzi creare docenti o dirigenti scolastici “bulli”, che fanno un uso dispotico della loro autorità. Lo studente ha diritto allo studio, uno studio che va tutelato. Una politica che vuole migliorare la scuola può proporre la riduzione dell’età dell’obbligo scolastico? Tutelare il diritto allo studio sembra l’ultima preoccupazione di questa riforma! Infine, il taglio delle risorse economiche destinate all’università pubblica può essere facilmente inteso come una lesione inferta al principio costituzionale che garantisce eguaglianza e pari dignità tra i cittadini. L’università diventerà una fondazione di diritto privato, aperta solo a chi può permettersela, creando uno studio d’èlite. E’ bene che i nostri cari politici ricordino che l’istruzione non si baratta né con la politica né tanto meno con i soldi.! Sembra quasi una politica di difesa: i despoti gelosi del loro potere non permettono la creazione di presenti menti pensanti e future menti politiche. Vuole veramente questo, Ministro Gelmini???
Marino Pasquale, Matteini Francesco, Palmeri Giuseppe, Marcellino Marika, Cannucio Giusy
Istituto Istruzione Secondaria Superiore “Don G. Colletto” Corleone

venerdì 24 ottobre 2008

PARENTI DOCENTI. Palermo, Ecco le cento famiglie "in cattedra"...

di Attilio Bolzoni e Emanule Lauria
Una Cupola dotta si spartisce il sapere di Palermo. Sono cento le famiglie che hanno l´Università nelle loro mani, cento clan accademici fatti di figli che salgono in cattedra per diritto ereditario, fratelli e sorelle che succedono inevitabilmente ai loro padri e ai loro zii, nipoti e cugini immancabilmente primi al pubblico concorso.
Regnano in ogni facoltà. Si riproducono nell´omertà. Docenti parenti. Cinquantotto a Medicina. Ventuno a Giurisprudenza. Ventitré su appena centoventinove professori ad Agraria, la roccaforte dei patti di sangue.
Se l´Ateneo di Bari è diventato famoso in Italia per la compravendita di esami e per i test superati in cambio di sesso, quello di Palermo ha un primato assoluto che spiega come i «soliti noti» spadroneggino in ogni disciplina. Ordinari, associati, ricercatori: tutti legati uno all´altro da un intreccio parentale. In totale sono almeno 230. Cento famiglie.
Un altro record solo apparentemente innocuo di questa Università è per esempio il luogo di nascita dei suoi docenti: il 54,7 per cento sono palermitani. Più della metà sono di qui e due su tre vengono dalla provincia. Soltanto Napoli eguaglia la capitale della Sicilia in questa performance. Ma il numero che svela fino in fondo la Palermo cattedratica è quell´altro sui legami familiari. Sono piccoli grandi eserciti dislocati dipartimento dopo dipartimento, materia per materia. Somiglia tanto a un´occupazione militare, chi non fa parte di un clan resta quasi sempre fuori. E tutto nel rispetto della legge e delle procedure. La regola per conquistare un posto in università è solo una: non parlare. Qualcuno - è chiaro - si ritrova suo malgrado in questo elenco nonostante meriti e titoli. Per molti però quello che conta è solo il nome che portano.
Ci sono delle vere e proprie dinasty anche a Scienze, ad Architettura, a Economia. In ogni facoltà ci sono ceppi familiari dominanti, aule e laboratori di ricerca popolati solo da rampolli. Uno scandalo dopo l´altro soffocati nel silenzio.
A Medicina le famiglie che comandano sono 24. Si ramificano dappertutto. Una è la famiglia Cannizzaro. Il padre Giuseppe è ordinario di Scienze farmacologiche, nel suo dipartimento c´è anche il figlio Emanuele (ricercatore), la cognata Luisa Dusonchet (associata) e la figlia Carla che insegna a Farmacia. Ordinario di Scienze stomatologiche è Domenico Caradonna, i figli Carola e Luigi fanno i ricercatori nello stesso dipartimento. Ordinario di Scienze biochimiche è Giovanni Tesoriere, la moglie Renza Vento è a Biologia, la figlia Zeila è entrata in Architettura dove c´è anche suo marito Renzo Lecardane. Zeila è stata nominata a soli 37 anni come associata «per chiamata diretta», il marito - che da un anno era impiegato al Comune di Palermo dopo un´esperienza all´estero - ha conquistato un posto grazie alle norme sul «rientro dei cervelli». Altri nomi eccellenti di Medicina con parenti al seguito: i Salerno (Biopatologia), i Canziani (Neuropsichiatria infantile), i Ferrara (Otorinolaringoiatria), i Piccoli (Neuroscienze cliniche). Dopo i parenti ci sono naturalmente schiere di compari. Li piazzano per grazia ricevuta. A un favore fatto ne corrisponde sempre un altro. E´ una catena interminabile, un giro chiuso. Le carte sono sempre a posto, i concorsi a prova di codice penale, un altro discorso è la decenza.
Come a Economia, il reame dei Fazio. Il capostipite è Vincenzo, ordinario di Scienze economiche, aziendali e finanziarie. Nello stesso suo dipartimento ci sono altri due Fazio: i suoi figli, Gioacchino associato e Giorgio ricercatore. Insegnano la stessa materia di papà. Il preside di Economia si chiama Carlo Dominici, suo figlio Gandolfo è anche lui in facoltà per istruire gli studenti in Scienze economiche. Poi ci sono i due Bavetta, Sebastiano ordinario e Carlo associato, figli di Giuseppe che lì a Economia c´era fino a qualche tempo fa. Ora è in pensione. Un ultimo caso di padre e figli di quella facoltà: il docente di economia aziendale Carlo Sorci e sua figlia Elisabetta - ricercatrice - che insegna Diritto commerciale.
A Giurisprudenza i docenti sono 137 e i nuclei familiari che dettano legge 10. Alfredo Galasso è ordinario di Diritto privato, suo figlio Gianfranco insegna la stessa materia, nello stesso dipartimento c´è anche Giuseppina Palmeri che è la moglie del fratello di Gianfranco. Anche Savino Mazzamuto (Diritto privato, ora trasferito a Roma 3) ha lasciato un posto in eredità a suo figlio Pierluigi. La figlia di Aurelio Anselmo, Alice, ha trovato sistemazione all´Università di Trapani: ricercatrice di Diritto pubblico. Salvatore Raimondi, nome pesante, amministrativista di grido ingaggiato per i suoi «pareri» anche dalla Regione siciliana, ha nel suo dipartimento di Diritto pubblico il figlio Luigi. E Rosalba Alessi, ordinario di Diritto privato - e soprattutto potente commissario degli enti economici siciliani, una carica che vale come tre assessorati importanti - ha nello stesso suo dipartimento il nipote Enrico Camilleri.
Ad Architettura c´è una grande famiglia, quella dei Milone. Il preside Angelo è in compagnia del fratello Mario (che è anche vicesindaco di Palermo e - attenzione - assessore ai rapporti con l´Università) e due figli che sono ricercatori: Daniele e Manuela. A Lettere, i Carapezza sono 4. I fratelli Attilio e Marco, il primo che insegna Scienze delle Antichità e il secondo Filosofia e teoria dei linguaggi. Il loro cugino Paolo Emilio è ordinario di Musicologia, suo figlio Francesco è ricercatore nello stesso dipartimento di Attilio. Poi ci sono i Buttita. Nino, il vecchio, antropologo, è stato preside di Lettere. Il figlio Ignazio insegna all´Università di Sassari ma ha supplenze a Palermo. La moglie Elsa Guggino è ordinaria nella stessa facoltà.
L´elenco dei padri e dei figli continua a Ingegneria, 18 famiglie e 38 parenti. Filippo Sorbello e il figlio Rosario, Michele Inzerillo e la figlia Laura, Stefano Riva Sanseverino (cognato di Luca Orlando) e la figlia Eleonora. A Scienze Matematiche Fisiche e Naturali si contendono il numero dei parenti i Gianguzza e i Vetro. Mario Gianguzza, ordinario di Biopatologia a Medicina, a Scienze ha come colleghi i fratelli Antonio (Chimica inorganica) e Fabrizio (Biologia cellulare) e la figlia Paola (Ecologia). Uno dei loro nipoti, Salvatore Costa, è anche lui in Biologia cellulare. L´altra famiglia, i Vetro, è tutta appassionata di matematica. Pasquale Vetro, matematico. La moglie Cristina Di Bari, matematica. Il loro figlio Calogero, matematico.
La facoltà più piena di mogli e mariti e figli è però quella di Agraria. Su 129 docenti 23 sono parenti. Un quinto. Divisi in 11 nuclei familiari. Il preside Salvatore Tudisca ha lì dentro come associata sua moglie Anna Maria Di Trapani. L´ordinario Antonino Bacarella ha la figlia Simona e il nipote Luca Altamore. L´ordinario Giuseppe Chironi ha la figlia Stefania, l´ordinario in pensione Giuseppe Asciuto ha suo figlio Antonio, l´ordinario in pensione Carmelo Schifani ha il figlio Giorgio, l´ordinario Salvatore Ragusa ha il figlio Ernesto, l´ordinario Luigi Di Marco ha la moglie Antonietta Germanà, l´ordinario Vito Ferro ha la moglie Costanza Di Stefano, l´ordinario Antonio Motisi ha la moglie Maria Gabriella Barbagallo, l´ordinario Riccardo Sarno ha il figlio Mauro, l´ordinario Claudio Leto ha la moglie Teresa Tuttolomondo. Cento famiglie. Di queste ce ne sono sessanta con «residenza» fissa in uno stesso dipartimento. E´ praticamente casa loro.
da la Repubblica