sabato 12 aprile 2008

Jovanotti, domani faccio il pieno

Intervista a Lorenzo Cherubini di Toni Jop

Sentite questo pensiero, è quasi una canzone, un mezzo rap: «Mettiamola così, io sono di sinistra ma...c’è stato in Italia un momento particolare, un momento forte e chiave. Quella intuizione di Moro e Berlinguer...una intuizione giusta...frenata come i fatti che cambiano la storia...da una pallottola, la stessa che ha ucciso Kennedy. Io sono di sinistra, ma penso che il paese...»: contenti? Manca la musica ma il testo è di Jovanotti, anzi, non è neppure un testo nel senso programmatico del termine, gli è venuta fuori così mentre si parlava del più e del meno. Lorenzo è un tipo strano, per questa Italia nevrastenica, sempre più in bilico tra depressione ed euforia. Distante da questa sindrome binaria, si muove con saudade brasilera nell’onda delle nostre cose e ne rintraccia il ritmo, un rap appoggiato a un feeling che sa di samba. È all’incrocio tra queste due scritture dell’anima che costruisce le sue cellule poetiche, quasi transistor con due ingressi e una uscita: speranza e delusione, i primi due, tenerezza l’uscita. Cellule non immediatamente anti-sistema, ma preziosi salvagenti e in quanto tali resistenze allo spasmo del sistema che pretende un riciclaggio veloce e senza tentennamenti della materia umana. In altre parole: il cinismo sovrano ti stomaca? Ascolta Jovanotti e la nausea ti passa, almeno per un po’, senza perdere lucidità, anzi...e questo è il tempo che volevano portarti via...

Lorenzo, dicevi di Moro e Berlinguer. Va bene, vai avanti...

«Niente, ho seguito in tv, l’altra sera, un vecchio discorso di Moro. Toni datati, è vero, ma i contenuti no: parlava di uno Stato che fa le leggi e lascia libertà ai cittadini all’interno di un sistema di regole condivise. Nulla di meno ideologico, un gran senso pratico della politica figlio di una visione forte...».

Insomma, hai provato stima e l’hai appesa a una zattera di sorprendente nostalgia...

«È questo il punto: neanche un po’. Perché Veltroni ha ripreso questo filo che c’era già, era rimasto in Via Fani. Serviva qualcuno che riannodasse Moro e Berlinguer al presente. È un credito che avevamo con la storia, non ti sembra?».

Se c’è un modo rock di entrare nel nostro album di famiglia, l’hai trovato. E chi lo sapeva che riuscivi a mettere insieme illuminismo e romanticismo senza battere ciglia?

«Intanto, Veltroni è pop e a me piace che lui abbia questo ritmo nelle vene. Poi, è Walter che sta mettendo assieme i pezzi, in questo caso, con la sinistra, il centro, il centro del paese, quello senza il quale, così dice la storia, non si governa in Italia. Ma è un centro sensibile, disposto ad aprirsi che va solo aiutato a vincere la paura, ma pensa in termini moralmente non aggressivi...Lasciatelo dire da uno che è nato e cresciuto in una famiglia cattolica osservante. Mio padre ha lavorato per cinquant’anni in Vaticano...».

E cosa voterà tuo padre?

«Novità: voterà Veltroni, voterà Partito Democratico e in passato è uno che si è sempre rifiutato di votare per i partiti della sinistra. Ha settantatre anni e, giuro, con la sua decisione io non c’entro: ha trovato che Walter è credibile e che non è in contraddizione con la sua tradizione umanistica della politica...».

E poi, ammettiamolo: c’è, in questo cattolicesimo italiano progressista la capacità di esprimere una radicalità che invece di tanto in tanto viene meno in chi esce dalla cultura politica, molto più machiavellica, del Pci. Infine, questo voto è un imbuto col collo molto stretto...

«È un voto importante. Mi va di dire che è decisivo, che è l’ultimo appello...».

Nei confronti di chi, del paese?

«Del paese, certo, ma anche della politica. Come altri artisti, giro molto. Contatto una quantità enorme di persone, giovani soprattutto. Mi sono fatto un’idea del paese che abbiamo attorno...».

Bravo, chiudi gli occhi e racconta...

«Scusa, ma gli occhi li apro, parlo meglio. Mi pare di aver a che fare con una paese complesso ed estremo, molto più che in passato. Ci sono energie vitalissime, un mondo di ragazzi che amano lo studio, che vogliono fare, cambiare le cose e che invece giorno dopo giorno fanno i conti con la delusione globale di questi bellissimi istinti che sono sogni, competenze, progetti, voglie. Dall’altra c’è una politica che non sa rispondere a queste energie, una classe politica che non sa raccogliere questi segnali...».

Intanto, grazie per non esserti accodato al piagnisteo sulla tristezza del presente e sulla bellezza di un passato eroico...

«Credimi, dico davvero quando sostengo che questa è l’ultima occasione, per noi italiani. Dobbiamo cambiare e, ora, Veltroni sembra in grado di promuovere questo cambiamento. Sarà bene smetterla di trastullarci nella mitologia che tiriamo fuori dal cassetto ogni volta che stiamo male: madonna che popolo creativo, fantasioso, speciale, capace di inventare il bello, siamo unici al mondo. Tutte balle, se non cambiamo la struttura paese. E chi l’ha detto che, sulla terra, abbiamo l’esclusiva della immaginazione, della fantasia e della creatività? Se ci lasciamo schiacciare, come sta avvenendo, perdiamo le nostre storiche qualità e altri vengono avanti, più bravi di noi, adesso, a fare le cose che a noi un tempo venivano bene».

Hai visto Berlusconi l’altra sera in tv?

«Sì, l’ho visto. Mi è sembrato il vecchio Berlusconi, ho pensato che la sua forza sta nel fatto che incarna un tipo di Italia che esiste e trae vantaggio da quella particolare visione delle cose, dinamica ma poco rispettosa delle regole, sbruffona, sveglia in un certo senso. E sa raccontare l’Italia agli italiani, così affascina...».

Mi viene in mente uno di quei miracolosi prototipi cinematografici di italiano meschinello che quel mostro di Sordi ci ha regalato...

«Solo che Sordi ce li mostrava per dirci: attenti, siamo anche questo, mentre Berlusconi suggerisce: forza, governiamo con questo. Infatti, per molti rappresenta un modello di virtù e di talento. Ma non mi piace parlare di Berlusconi...».

Anche tu? Fai pure a meno di parlarne, ma sta lì, hai voglia a far finta di niente...

«Dico la verità: il fatto è che ne parlo storicizzandolo, non riesco a pensare che sia ancora lui l’interlocutore...».

Mettitela via, è lui..

«Per me è una stranezza che l’uomo da battere sia ancora lui. Ogni volta che ci penso mi ritrovo in un pensiero labirintico. Ho letto Nanni Moretti sulla Repubblica...sono d’accordo: Berlusconi esiste perché esiste lo spettacolo, lui è lo spettacolo, come Veltroni, per me, è la bella politica...».

Bisogna capire se vincerà lo spettacolo o la bella politica...Ma quanto ti piace Walter?

«Lo seguo da anni. Quante volte mi sono chiesto: tocca a lui, lui ce la può fare e invece niente. È stato un ottimo sindaco di Roma ma lo volevo a Palazzo Chigi. Oggi tocca a Walter: è come un cuoco che ha messo assieme una ricetta nuova sì, aggregando condimenti noti e ora si appresta a cucinare il piatto principale. Lo vedo così. Lo vedono così anche un sacco di ragazzi che non avrebbero mai votato e che invece lo faranno...».

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«La leggo. E domani faccio il pieno, tranquilli».

L'Unità, 12.04.08

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