di Agostino Spataro
In politica, fra il dire e il fare c’è sempre un compromesso al ribasso da saltare.
Regola confermata anche nella formazione delle liste siciliane per Camera e Senato. Vi ricordate quante buone intenzioni? C’era chi propugnava la “rivoluzione” e si è ritirato in buon ordine. Chi prometteva il rinnovamento radicale ed ha proposto testate di lista zeppe d’uscenti o di candidati inquisiti trasferiti da un’Assemblea all’altra. Non sono serviti a nulla i decaloghi e le minacciose circolari. Non c’è stato verso: tutti dentro, affastellati, con un posto sicuro in parlamento.
Si può fare e si fa. Come vuole il porcellum che ha tolto l’incomodo delle preferenze, sempre da meritare, da sudare e in qualche caso, purtroppo, anche da comprare. Insomma, il cambiamento sarà per la prossima volta.
Scorrendo i nomi dei candidati papabili se ne ricava l’impressione di un déjà vu, di una disarmante (o arrogante?) continuità che non lascia sperare nulla di buono e di nuovo.
Ma entriamo nel merito, cercando di rispondere ad alcune domande.
Quanti e chi sono i volti nuovi?
A ben guardare le testate di lista (le altre a questo fine non contano), i pochi nomi nuovi sono quasi tutti di candidati cooptati per diritto ereditario o catapultati dall’esterno. Falso problema? A me pare, piuttosto, un serio problema.
Poiché tale, eccessiva presenza confligge col principio costituzionale della rappresentanza territoriale che è anche un saggio criterio per meglio tener conto dei bisogni e delle risorse locali.
Non a caso, a garanzia di tale principio la legge ha posto i collegi regionali o circoscrizionali che, perciò, non vanno usati per riconoscimenti individuali e/o per compensare assetti politici extraterritoriali.
Tutto ciò non accade solo in Sicilia, ma anche altrove. Per quali motivi?
Le cause sono molteplici, ma tutte riconducibili alla “crisi della politica”, delle sue idealità, dei valori solidaristici, del venir meno del suo spirito di servizio. Il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica ha creato, fra l’altro, un pericoloso amalgama fra le principali forze politiche le quali, nella corsa verso il “centro”, sembrano aver smarrito le loro peculiari connotazioni politiche e culturali. Salvo poi ad accusare il rivale-birichino che gli ha copiato il programma. In realtà, i programmi non sono copiati ma frutto del medesimo pensiero. In ogni caso, copiati o meno, non si stracciano, signor Berlusconi!
A parte queste osservazioni, il fatto politicamente più rilevante è che con queste liste il ceto politico siciliano dimostra di voler continuare ad agire in regime d'auto referenzialità, auto-riproponendosi pari pari al corpo elettorale, infischiandosene delle esigenze di rinnovamento, di competenze, di legalità, di coerenza dei comportamenti espresse dalla società.
Non si è lasciato fuori nemmeno l’ineffabile senatore Strano autore di un gravissimo oltraggio al Parlamento. Non è che sia il peggio del peggio, tuttavia la sua esclusione sarebbe stata di monito ad altri che verranno.
Con queste candidature-nomine quale Sicilia sarà rappresentata in Parlamento?
Questa è forse la domanda decisiva che, a questo punto, si dovranno porre gli elettori visto che già conoscono i nomi dei futuri eletti.
La scelta dei partiti, soprattutto dell’ex centro-destra, è stata quella di puntare a candidature capaci di fare il pieno dei voti, senza badare alle sottigliezze morali.
Liste acchiappavoti, dunque, al di là dei metodi coi quali s’acchiappano.
Come sono quelle del Pdl, dell’Udc e dell’onnivoro Mpa: zeppe di candidati papabili e di “riempitivi” pesanti: deputati e assessori regionali, di consiglieri e assessori provinciali, manager e consulenti di nomina politica, debitamente lottizzati. Gente che non sarà eletta, ma che deve portare il suo obolo. Anche questo si può fare in Sicilia grazie alla demolizione, trasversale, del sistema delle incompatibilità e di limitazioni delle presentazioni nelle circoscrizioni.
Per cui dobbiamo assistere all’indegno spettacolo di candidature giocate per “tutte le ruote” d’Italia (come al Lotto), o contemporaneamente presenti in liste per assemblee diverse (Parlamento e Ars) e/o mirate alla conquista di cariche obiettivamente incompatibili come quelli fra deputati all’Ars e sindaci e presidenti di provincia.
Insomma, il campo delle opportunità si è allargato a vantaggio dello stesso ristretto gruppo di persone che per raggiungere lo scopo passano, impunemente, da un partito all’altro. Come le api da un fiore all’altro. Ma se le api fanno il miele e aiutano l’impollinazione, a cosa servono i saltimbanchi politici?
Anche in questo caso il fenomeno riguarda in prevalenza i partiti dell’ex centro-destra. Tuttavia qualche saltimbanco si trova anche nelle liste del PD, dove però scarseggiano gli acchiappavoti. Le candidature sembrano, infatti, più mirate a garantire un equilibrio interno fra le diverse componenti, a detrimento di una forte proiezione esterna.
Il risultato potrebbe essere quello di avere, in entrambi i casi, delegazioni parlamentari scarsamente motivate che difficilmente produrranno progetti e azioni capaci di modificare, nel senso del diritto allo sviluppo, il vigente sistema di relazioni fra Stato-Regione.
Agostino Spataro
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