giovedì 24 gennaio 2008

I CANNOLI DI TOTO'. Cuffaro dimettiti!

di CLAUDIO FAVA
Nel diluvio di dichiarazioni su Cuffaro e i suoi cannoli mi hanno stupito i sottilissimi distinguo di chi si è detto intimamente sollevato al pensiero che il governatore della Sicilia non sia mafioso ai sensi dell'art.7 di una legge del '91. Come se a provocare la nostra indignazione e la nostra umiliazione debbano essere i tecnicismi giudiziari con cui si interpretano i fatti, e non i fatti stessi. Io per esempio mi sento indignato e umiliato all'idea che Cuffaro continui a ricoprire la più alta carica istituzionale della Sicilia: e non mi offre alcun sollievo il fatto che un tribunale abbia scelto di negargli un'aggravante ai sensi del codice penale.
Ciò che rende Cuffaro moralmente inadeguato all'ufficio che ricopre non sono i meccanismi di decadenza collegati a una condanna ma ciò che quest'uomo ha fatto nell'esercizio delle sue funzioni. E che vorrei riepilogare a me stesso, al netto di ogni aggettivo e di ogni moralismo. Punto primo: Cuffaro era amico di un mafioso, riconosciuto tale da una sentenza che lo ha condannato in primo grado a 14 anni di reclusione. Punto secondo: Cuffaro ha sperperato i denari dei siciliani concedendo alla clinica di Provenzano, attraverso gli uffici del suo amico mafioso, convenzioni con cui si pagavano prestazioni sanitarie a tariffe fino a dieci volte più salate che nel resto d'Italia. Punto terzo: Cuffaro ha mentito alla giustizia e ai siciliani quando ha detto di non aver mai rivelato ai suoi amici indagati che erano intercettati.
Qualunque impiegato di concetto fosse stato ritenuto responsabile di simili comportamenti, con o senza la benedetta aggravante dell'art.7, sarebbe stato immediatamente sospeso da incarico e stipendio. Qualunque manager privato si fosse trovato nelle condizioni di Cuffaro, sarebbe stato immediatamente licenziato per giusta causa dalla sua azienda. Qualunque uomo pubblico riconosciuto colpevole di questi fatti, con o senza aggravante, si sarebbe presentato davanti alla pubblica opinione con l'umiltà di chi ha sbagliato. Invece è finita come sappiamo: a cannoli. Con l'afflizione dell'ennesimo teatrino di Cuffaro che il giorno dopo spiegava come i cannoli, nel suo studio, li avesse pagati e portati qualcun'altro, ci mancherebbe...
Ho appreso, dalle parole d'un segretario sindacale, che per fortuna la condanna per Cuffaro è stata una "condanna normale, come può capitare a tanti politici che sbagliano in altre parti d'Italia". E le cose che ha fatto? Normali anch'esse? In quali altre parti d'Italia un governatore dà appuntamento ai suoi amici più chiacchierati sotto il ficus del suo giardino per timore di essere intercettato? In Pakistan? Nel Burkina Faso? Ho letto perfino, firmate da amministratori di centrosinistra giù ad Enna, irripetibili manifestazioni di solidarietà per il governatore condannato. E la solidarietà ai siciliani? A chi muore negli ospedali pubblici ridotti a bilanci di sussistenza per beneficiare le case di cura private del signor Aiello? A chi ha votato Cuffaro e si sente tradito? La solidarietà per un'isola ridotta ad uno zibaldone di luoghi comuni, sberleffi e pernacchie? Mentre qualcuno tirava un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo del governatore dall'anatema dell'articolo 7, il New York Times pubblicava la sua foto in prima pagina liquidando l'intera comunità dei siciliani d'America, dopo un secolo di riscatti sociali e civili, come un'etnia senza redenzione, un malinconico repertorio di coppole e frutta candita.
Perfino in questa Sicilia di bizantinismi dovrebbero contare i fatti, non la loro qualifica giuridica. Ma vi dirò di più: a questo punto il problema non è nemmeno aver favorito o meno la mafia ma aver offerto cannoli alla faccia dei siciliani ammazzati dalla mafia. I soldi della Regione Siciliana, quelli che Cuffaro ha regalato alla clinica di Aiello e che poi sono finiti nelle tasche di Provenzano, saranno serviti a Cosa Nostra per premiare i killer da mille euro a morto, per stipendiare gli estortori che vanno a riscuotere il pizzo, per pagarsi gli avvocati, per garantirsi le latitanze, per minacciare, corrompere, uccidere. Di fronte a questo scempio della dignità di un popolo, Cuffaro mangia cannoli e si paragona a Gandhi. E allora, con rispetto parlando, me ne frego che il tribunale lo abbia o meno proclamato mafioso: per me quell'uomo, mafioso o meno, non è più un cittadino siciliano ma una vergogna per tutti i siciliani onesti, di destra e di sinistra: onesti e basta.

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