sabato 27 ottobre 2007

LA SECONDA VOLTA. Come muore un italiano...

di GABRIELE POLO
Prendiamo atto: per «difetto di giurisdizione» un tribunale della Repubblica non può giudicare l'uomo che - per sua stessa ammissione - ha ucciso Nicola Calipari sparandogli addosso la notte del 4 marzo 2005 a pochi metri dall'aeroporto di Baghdad. Vuol dire che la giustizia italiana si dichiara impotente di fronte a una magistratura superiore, quella sì davvero competente, quella del «soggetto mandante», gli Stati uniti d'America. In altre parole vale la legge dell'impunità per qualunque reato commesso, ovunque venga commesso, se di quel reato è responsabile un marine americano. Non assolto preventivamente in quanto persona in carne e ossa, ma per la divisa che porta, per ciò che rappresenta: il dominio a stelle e strisce sul mondo.
Prendiamo atto: la giurisdizione dello stato italiano sui propri cittadini, le tutele che dovrebbe garantire loro, si estinguono di fronte a un potere più grande, quello sì davvero praticato, quello della superpotenza mondiale. Vuol dire che la sovranità nazionale è orpello per la retorica che nelle scuole della Repubblica fa inchinare i bambini di fronte alla bandiera. Un falso, nulla di più. In altre parole vale la legge del più forte, e di fronte a esso non si può far altro che abbassare la testa, nel migliore dei casi chiedere comprensione e implorare clemenza. Vale per la sentenza di ieri come per quella del Cermis, ma è la stessa cosa per la costruzione di una nuova base militare Usa a Vicenza. Atti giuridicamente infondati, politicamente non dovuti e gratuiti.
Prendiamo atto: la guerra non finisce mai di uccidere. Lo fa materialmente e poi lo rifà simbolicamente. E la seconda volta è persino peggio della prima. Perché ti dice che sei un niente, che il meccanismo incombe su di te ed è più forte di te. Di italiani in Iraq ne sono morti più d'uno e di mestieri diversi: soldati, giornalisti, contractors, agenti segreti, tutti uniti nella stessa sorte e tutti vittime della stessa superiore ragione, quella della primazia occidentale che porta civiltà seminando morte. E lasciando morte alle spalle, magari poi andandosene come abbiamo fatto noi, senza curarsene più, pensando di essere assolti dal proprio ritirarsi, come se nulla fosse successo. Tranne quei morti, così terribilmente uguali agli altri che non vogliamo vedere. Perché nell'andarcene rimuoviamo anche i «nostri». Come per Baldoni, come per Calipari.
Prediamo atto: avevano ragione tutti quelli (giornalisti, politici, militari) che ci avevano detto fin dal 5 marzo di lasciar perdere, di non illuderci su come sarebbe andata a finire. Più arguti di noi, quelli che ci invitavano al realismo, quelli che ci accusavano d'ingenuità. Hanno «vinto» loro. Ma noi quell'ingenuità ce la teniamo stretta, perché è la sola cosa che ci permette ancora di non misurare la vita in euro. O in dollari.
dal manifesto

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