di Simone Verde
Maggioranza divisa e battuta in Senato sul ponte sullo Stretto di Messina. Con un emendamento alla Finanziaria in cui l'Italia dei Valori ha votato a fianco del centro-destra per impedire la chiusura della società responsabile della grande opera pubblica. Primo strascico politico, la defezione di Franca Rame dal gruppo di Antonio Di Pietro, per protesta «contro dichiarazioni contraddittorie e l'incapacità a perseguire una linea politica chiara e coerente con il programma». Ma anche «contro un progetto irrealizzabile, servito soltanto a sperperare denaro pubblico in una delle più grandi truffe degli ultimi anni».
Al centro della polemica, la Stretto di Messina Spa, creata nel 1981 proprio per la realizzazione del ponte. Una struttura costata finora oltre 150 milioni di euro e, come dimostrato da varie inchieste della procura di Messina, ripetutamente al centro di attenzioni della mafia. Società, però, il cui scioglimento chiesto dalla maggioranza avrebbe obbligato lo stato a versare oltre 350 milioni di euro di rimborsi agli azionari. Spesa che il ministro Di Pietro dichiara da tempo di voler evitare, proponendo di non procedere alla soppressione della società e di assorbirla nell'Anas per incaricarla di nuove infrastrutture in Sicilia e in Calabria.
Un compromesso, però, che non è riuscito a convincere la maggioranza. Innanzitutto - sostengono alcuni - poiché mantenere in vita una struttura già responsabile di sprechi, alla lunga potrebbe portare a spese superiori alla penale stessa. Poi, poiché i rischi di infiltrazione mafiosa suggeriscono di chiudere quello che sta diventando un vero e proprio carrozzone. Infine, poiché appare inaccettabile finanziare una società per progetti non in programma e dalla fattibilità ancora da dimostrare. A rinforzare queste perplessità, un'inchiesta apparsa sulla Repubblica nel novembre 2006, in cui venivano rese note spese faraoniche per progetti e studi tanto surreali quanto inconcludenti. Ricerche sul «Flusso dei cetacei fra Scilla e Cariddi» o su «L'impatto antropologico dei lavori sulla popolazione locale». Tutti elementi ribaditi e ricordati in Senato da Natale Ripamonti, relatore di maggioranza per il provvedimento. «Non si capisce - afferma Ripamonti - perché una società dal passato così discusso debba rimanere in piedi. Il problema è che Di Pietro non si vuole rassegnare all'idea che il ponte non si farà. E per questo propone l'assorbimento in Anas. per lasciare una porta aperta, in futuro, alla realizzazione del progetto».
Secondo il senatore dei Verdi, a motivare l'ostinazione di Di Pietro sarebbe innanzitutto «l'esigenza di distinguersi politicamente all'interno del governo. Tanto più che il ministro è uscito perdente dallo scontro con Clemente Mastella». Un'esigenza resa ancora più pressante dall'eventualità di elezioni anticipate e dalla presenza, tra i deputati dell'Italia dei Valori, di Aurelio Misiti, da sempre potente e convinto sostenitore del ponte. Un deputato cresciuto nelle file del Pci, ex segretario nazionale della Cgil-Scuola e passato nelle file berlusconiane nel 1994. Un salto che gli permise di essere nominato nel 1994 Presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici e Commissario straordinario per le grandi opere del sud nel 2003. Una tortuosa vicenda politica per il momento conclusasi con l'elezione delle file del partito di Di Pietro con l'ambizione di rappresentare quella parte di elettorato calabrese che spera di trarre vantaggi dalla costruzione del ponte.
dal manifesto
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