MILANO - Appartamenti, ville, bar, trattorie, garage, officine: sono 245 su 542 i beni della mafia non ancora utilizzati in Lombardia. E il numero di immobili da destinare cresce con lentezza, nonostante le confische siano in aumento. Anm, Corte d’appello e l’associazione Libera spingono per velocizzare lo smaltimento delle pratiche. «Ma il tavolo con gli enti locali va a rilento. Non si vuol vedere che la mafia c’è anche qui», commenta Lorenzo Frigerio, di Libera. «E' un regalo alla criminalità», avverte Francesco Forgione, presidente della commissione antimafia. Tre bar: lo Spuntino, in via Tiziano, il Mood a Cusano Milanino, il Novi in viale Monza. Una pensione in via Ingegnoli. Una profumeria in viale Porpora. Un'edicola in viale Washington. E trattorie, garage, box, terreni, appartamenti. E' il tesoro della criminalità organizzata a Milano. Proprietà immobiliari sulle quali hanno investito i Morabito, gli Epaminonda, gli Izzo e altri 'ndranghetisti, mafiosi e camorristi. Per loro la Lombardia era la terra dove il denaro sporco si ripuliva come per magia e così la regione è diventata la quarta, in Italia, per numero di beni confiscati, dopo Sicilia, Campania e Calabria, a pari merito con la Puglia. Secondo i dati forniti dall'agenzia del demanio, sono 542, in netto aumento rispetto alla rilevazione di un anno fa, quando se ne contavano 488. Quelli già destinati, però, sono solo 297, trenta in meno della Puglia. Milano, inoltre, è l'unica città che non ha ancora firmato un protocollo d'intesa con l'agenzia del demanio, un passaggio indispensabile per risolvere il vero problema, l'estenuante lentezza e i ritardi tra la fase del sequestro, la confisca e l'assegnazione dei beni. Roma, Reggio Calabria, Palermo, Bari e Torino l'hanno già fatto. Se le cooperative sociali che si occupano di handicap o di anziani non riescono a entrare in possesso degli appartamenti in via Paisiello a Milano con annessa cantina, se i disagiati psichici non possono coltivare ortaggi biologici nel terreno che fu di Mario Adduci a Rozzano, la colpa, come al solito, è dei "tavoli istituzionali" che si aprono ma non si chiudono con una decisione. A spingere per velocizzare l'iter sono i magistrati di Milano e Libera, l'associazione che si occupa della lotta alla mafia e del riutilizzo sociale dei beni confiscati. L'ultimo incontro c'è stato a luglio: irappresentanti dell'associazione nazionale magistrati e della Corte d'appello avevano già pronta una bozza di protocollo ma i funzionari del Comune non erano convinti di alcuni passaggi e hanno chiesto una pausa di riflessione. Doveva esserci un nuovo incontro, ma tre mesi dopo non si sa ancora nulla. Lorenzo Frigerio, presidente regionale di "Libera", parla di atteggiamento distratto da parte dell'amministrazione comunale. E fa notare anche che a Milano, ma anche in altri comuni dell'hinterland come Buccinasco, quasi sempre si opta per il riutilizzo a fini istituzionali dei beni e non anche, come prescrive la legge La Torre, per fini sociali. Va bene utilizzare gli appartamenti per i senza tetto che soffrono il freddo d'inverno. Ma servono progetti che mostrino a tutti che quelli che un tempo erano locali in mano alla mafia ora sono della collettività che se n'è riappropriata. Su questo e' nata la polemica per la "pizzeria sociale", proposta da Libera ma affossata dalla nuovagiunta di Buccinasco. Ma su questo punto sembra non esserci intesa nemmeno con il comune di Milano. Dietro ci sarebbe un atteggiamento un po' ipocrita delle amministrazioni locali che non vogliono riconoscere che la mafia c'è o c'è stata anche qui. «Ogni giorno in più che passa prima della destinazione dei beni della mafia è un regalo alla criminalità che in questo modo vede affermata la sua intoccabilità», commenta Francesco Forgione, presidente della commissione parlamentare antimafia, ieri alla Bocconi per un incontro, organizzato dalla rete Lilliput con l'economista Donato Masciandaro, dal titolo "La lotta alle mafie parte da Milano". Eppure, il tribunale di Milano, spiega Franco Cassano, che sta curando uno studio dell'associazione nazionale magistrati sul futuro dei beni della mafia, è uno dei più attivi d'Italia in materia di confische e sequestri. Deve fare i conti, però, con le lentezze della pubblica amministrazione. Gli esempi positivi, in Lombardia, ci sono: a Segrate la villa bifamiliare dell’ex boss Elio Pellegrino è stata riconvertita dal Comune in struttura sociosanitaria. Anche a Milano sono stati già destinati diversi beni, dal bar di via 22 Marzo, alla società immobiliare in via Varese che era del boss Biagio Crisafulli. Ma sono ancora troppo pochi e poco significativi: Milano, forse, deve ancora fare i conti con il suo lato oscuro. DAVIDE CARLUCCI
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La Repubblica, edizione di Milano
Martedì 2 ottobre 2007
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