PALERMO — Il mistero religioso di Bernardo Provenzano è tutt'altro che sciolto. Resta intatto l'enigma composto e alimentato da frasi, sottolineature e bigliettini raccolti nell'ormai famosa Bibbia sequestrata nel covo di Montagna dei Cavalli, dove il padrino di Corleone fu arrestato l'11 aprile 2006. E' un testo delle edizioni Paoline, anno di stampa 1968, 1.425 pagine compresa l'introduzione. Su quei fogli ingialliti, che per la prima volta si possono vedere, il capomafia pluriergastolano ha studiato, ragionato, scritto con la sua calligrafia malferma e ortografia infantile, preso appunti, copiato interi brani. A quale scopo? Mistero insoluto. Due relazioni «investigative» del Servizio centrale operativo della polizia e dell'Fbi statunitense hanno concluso che non c'erano indicazioni su codici cifrati. Ma ora sulle scrivanie dei pubblici ministeri Pignatone, Prestipino e Sabella è arrivata l'analisi di un sacerdote, teologo, studioso di testi sacri, secondo il quale c'è ancora molto da scavare nei segreti del volume così a lungo «lavorato» da Provenzano. E che «esclude un utilizzo unicamente personale» del libro: «Le segnature, in genere a matita, analogie, correlazioni, rimandi, cancellature pure leggibili, rendono evidente la volontà di trasmettere messaggi», ha comunicato il religioso al termine delle sue «osservazioni preliminari » sulla Bibbia del Corleonese. Secondo questa analisi, il boss «ha voluto conferire a segni e segnature una precisa connotazione: ciò indica un lungo e affinato lavoro e messa a punto di un sistema». E avanza un'ipotesi: «Che il soggetto (cioè Provenzano, ndr) utilizzasse tale strumento attraverso il linguaggio biblico-simbolico. Tale modalità comunicativa si rivolgerebbe però ad affiliati privilegiati all'interno di un gruppo ristretto e selettivo». Non sembra sbagliato insomma, per il sacerdote nominato ausiliario di polizia giudiziaria, «ritenere che il soggetto abbia semplicemente adottato il linguaggio biblicosimbolico formando un suo codice personalizzato, senza riferimenti a complicati codici preesistenti». Lo studio della Bibbia da parte di Provenzano sarebbe quindi stato necessario al Padrino per imbastire messaggi o comunicazioni attraverso i riferimenti a specifici brani del testo. Una modalità che sembra perfino esplicitata in un biglietto dattiloscritto trovato all'interno del libro che il boss aveva con sé, e che ha chiesto di poter tenere dopo l'arresto. Richiesta negata. «In qualsiasi posto o parte del mondo mi trovo — si legge in quella sorta di "pizzino" — in qualsiasi Ora io abbia a comunicare con T... Sia parole, Opinione, fatti scritti. Chiedere a Dio il sugerimento, la sua guida, la sua esistenza affinche con il suo volere Possano giungere Ordine per lui eseguirlo affin di Bene». Una specie di promemoria — secondo l'ipotesi della relazione — per stabilire (e comunicare) che dovunque (anche nella cella di un carcere) si può ricorrere a risposte desunte dalla Sacra Scrittura, che diventa «lo strumento più immediato ed inequivocabile per suggerimenti, guida e assistenza». La Bibbia di Montagna dei Cavalli risulta sottolineata in vario modo— a volte con linee unite, altre con piccoli tratti sotto ogni parola — per il 90 per cento del testo. Quasi tutta. Ma solo in alcune parti compaiono dei frammenti di post-it gialli, ritagliati con cura, divisi a scacchi e arricchiti da frecce colorate. Altre frecce, quasi sempre a gruppi di tre, sono disegnate in rosso su alcune pagine. E di tanto in tanto ci sono annotazioni scritte a matita dal Padrino, a indicare la sintesi di un pensiero, o perfino un destinatario. Come si capisce da un biglietto trovato a pagina 502, con l'annotazione «Esdra, pg 503 Per mio figlio Angelo»; le ultime due parole sono cancellate ma ugualmente leggibili. A pagine 503, tra tante parole del libro di Esdra sottolineato o evidenziate con un adesivo azzurro, la frase di apertura recita: «anzi, i capi e i magistrati sono stati i primi a compiere questa trasgressione». Un altro brano indicato con le freccette parla più direttamente di «figli e figlie», e l'indicazione di «Angelo» compare anche in cima a un passaggio del libro di Tobia. Su una pagina delle profezie di Isaia, invece, in cima alla pagina 862, l'annotazione di Provenzano dice: «47 v 13 ogni mese»; sottolineato, nel testo, il versetto 13 del capitolo 47 nella parte: «Si levino ora a salvarti quelli che misurano il cielo, che osservano le stelle e ti fanno sapere ogni mese quello che accadrà». Le ultime parole sono cerchiate una dopo l'altra, come se la cosa più importante del brano fosse il riferimento alla scadenza mensile, che potrebbe avere un senso preciso all'interno di una comunicazione. E il versetto 7 del capitolo 24 del Deuteronomio è evidenziato sia dalle sottolineature che dai post-it con le freccette. Si citano rapiti trattati da schiavi e rapitori che devono morire; sopra, Provenzano ha scritto «E Guiseppe», probabile errore ortografico per «Giuseppe». Può essere una mera suggestione, ma il figlio del pentito di mafia Santino Di Matteo, rapito e assassinato a 14 anni da futuri pentiti che hanno avuto forti sconti di pena, si chiamava Giuseppe. Si riferiva a quella vicenda, il capomafia? Alcune frasi scritte a mano dal boss di Corleone ora rinchiuso nel carcere di Novara sembrano commenti personalizzati. Oppure giudizi riportati da altri, come si legge nel biglietto applicato alla fine del libro di Giobbe: « TT. a detto a M. che nella Bibbia c'è scritto prostituirsi none Peccato ». E in testa al capitolo 59 del libro di Isaia, intitolato «I peccati ostacolano la salvezza », Provenzano ha annotato: «Copiare fino al v. 8»; si parla di «mani imbrattate di sangue» e di «dita macchiate d'iniquità», situazioni che ricorrevano spesso nell'ambiente in cui il boss ha vissuto e comandato fino all'aprile del 2006. Chissà se quelle frasi erano destinate a qualche uomo d'onore. Magari uno di quelli che gli scrivevano i «pizzini» in cui chiedevano lumi o davano spiegazioni su estorsioni e omicidi. Come fece il latitante Salvatore Lo Piccolo, che scriveva al religiosissimo Padrino per dargli conto dei motivi per i quali aveva dovuto ammazzare una persona, probabilmente Giovanni Bonanno, mafioso di Resuttana, vittima di «lupara bianca» appena tre mesi prima dell'arresto di Provenzano. Il boss di Corleone inviava e riceveva messaggi come questi, che trattavano di ricatti e di morte, mentre della Bibbia sottolineava quasi ogni pagina. Anche l'introduzione dove si spiega che i testi sacri sono «utili per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l'uomo sia perfetto».
Giovanni Bianconi
Il Corriere della Sera, 20 settembre 2007
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